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ARNALDO DA BRESCIA
TRAGEDIA
DI
GIO. BATISTA NICCOLINI
CORREDATA DELLA VITA D'ARNALDO
E DI NOTE E DOCUMENTI STORICI
...............................................non anterevellar
Examinem quam te complectarRomatumque
NomenLibertaset inanem presequar umbram.
Luc. Phars. Lib.II
Edizione eseguita sulla seconda di Firenze.
LOSANNA
A SPESE DELL'EDITORE
1848
L'AUTORE A CHI LEGGE.
(Avvertimento premesso alla prima Edizione 1843.)
Quando alla materia non si danno quelle forme ch'essa aricevere è dispostale opere non possono mai corrispondere alle intenzionidell'arte: però ho creduto dover trattare in questo modo il fatto ch'argomentodella mia Tragediae ad agevolarne l'intelligenza io l'ho corredata di copiosenote. Ho posto in fine del Libro tutto quello che intorno ad Arnaldo da Bresciaè dato raccogliere dagli scrittori del suo tempo: ma pochi di essi e brevementene parlanoe quei pochi sono monaci e stranieri. In un secolo nel qualel'Italia potèquantunque divisadistruggere per sette volte gli eserciti diFederigo Barbarossae finalmente trionfarne a Legnanomancò fra noi chisolamente il nome ricordasse di questo martire che ebbe la Libertàbenchè purle ceneri ne fossero temutee fatte sommergere nel Tebro da un PonteficeInglese e da un Imperatore Tedesco.
La memoria di tant'uomopercossa dagli anatemi della CuriaRomanae da calunnie antiche ripetute in tutte le storiegiacevanell'abominiofinchè sul terminare del secolo scorso non venne a ristorarla edifenderla il sacerdote Giovan-Battista Guadagnini Brescianomossodall'amore del vero e dalla carità del loco natio. - Ho premesso al mio lavorola vita che d'Arnaldo scrisse questo dotto e piissimo Parrocoil quale fu dellasua nobil patria singolare ornamento.
Vita d'Arnaldo.*
Arnaldo fu Bresciano non sol di domicilioma ancora dinascita. Non si può tuttavolta ben accertare s'egli nascesse in città oin alcun luogo del contado non trovandosi ciò scritto; ma è piùprobabile che fosse cittadino. Alcuno de' nostri scrittori ha detto ch'ei funobilissimo
()ma non ci dice d'onde abbia presa questa notizia; ed è notoche un secoloprima gli scrittori lavoravano francamente di fantasia. L'essere però Arnaldostato mandato sino in Francia agli studidimostra che la sua famiglia non erapovera di facoltà.In qual anno egli nascesse è difficilel'indovinarlo; io conghietturo ch'egli nascesse circa l'anno 1105. Eccone ilfondamento. Egli morì in Roma nell'anno 1155assai verisimilmente nell'annocinquantesimo dell'età sua; perchè non veggo che alcuni de' suoi avversari lorimproveri o di furor giovanile o di aver delirato in vecchiezzanell'opporsi in Roma con tanta costanza al formidabile partito papale. La figurach'ei fece in Brescia nella fazione de' Bresciani contra il vescovo Maifredonell'anno 1138e nel Concilio di Sens in Francia nel 1140dimostrach'ei non doveva esser minore d'età di trenta e più anni quando figurò inBresciae di vicino a' quaranta quando figurò in Francia. Ponghiamo che quandoegli era in Roma avesse quarantacinque anni; dal 1150 sino al 1155 incui morì corrono cinque anniche aggiunti a quarantacinque fanno inpunto gli anni cinquanta.
Abbracciò Arnaldo da giovinetto lo stato ecclesiastico ericevette i primi due ordini minori. Ciò apparentemente deve essere succedutoin Bresciae il suo vescovo ordinatore esser dovette il nostro vescovo Villanoche di coadiutore divenne vescovo nel 1116 per la deposizione del suopredecessore il cardinale Arimannoseguita quell'anno nel Concilio Romano
();alla qual disgrazia soggiacque di poi nel 1132 anche il medesimo Villano chefu discacciato dal vescovado di Brescia da papa Innocenzio().Aveva Arnaldo sortito uno straordinario talento eduna veemente inclinazione agli studi. Questo fece che i suoi maggiorideterminarono di mandarlo a tal fine in Francia alla scuola del celebre PietroAbailardo
()la cui fama tirava in quel regno il fiore della nobiltà italiana. Ebbe iviin conseguenza per condiscepoli molti giovani illustri d'Italia espezialmente di Roma; poichè nella Romana Corte per questo appunto vantavaPietro Abailardo molti suoi scolari divenuti prelati e cardinali()tra quali il cardinal Guido di Castello illustre per e sueLegazioni onorato dalle lettere di san Bernardoe divenuto papa colnome di Celestino II().Guntero ci dice che Arnaldo stette alla scuola d'Abailardoper lungo tempo
()ma non ci dice quanti anni.Ci dice bene
()che colà visse con poca spesa. Questo potrebbe mostrare che le facoltàd'Arnaldo non fossero molto copiose nè molto illustre la sua famiglia oche i suoi maggiori gli fossero avari di uno splendido trattamento convenientealla sua nascita e al patrimonio. Ma potrebbe essere ancora che il giovaneArnaldoapplicato tutto agli studinon si curasse delle vane comparse chepiacere sogliono alla gioventù lontana dagli occhi de' suoi maggiori. Quel chepenso essere ancor più probabile si è che il giovane Arnaldoabbracciasse colà l'istituto degli altri scolari di Pietro Abailardo. Perchèecco ciò che di loro racconta Natale Alessandro().L'Abailardo dopo la sua conversionefecesi monaco in San Dionigi. Nontrovò in quel monistero pace nessuna. La disapprovazione libera ch'ei facevadella vita secolaresca di que' monacie l'aver voluto sostenere la sentenza delvenerabile Beda che il san Dionigi di Francia non era stato l'Areopagitagli tirò addosso una fiera persecuzione. Sottrattosene colla fugaal fine colconsenso del recon licenza dell'abate e per la liberalità d'alcunepersone si formò un nido di quiete in una terra del contado di Troyesdonatagliin un luogo amenissimo dove si formò la sua capanna edun oratorio di canne e di paglia. Inteso ciò dagli scolaridiceNatale Alessandrocominciarono a concorrere da tutte le partiedabbandonate le città e le castellaabitare nella solitudine: invece di casecostruirsi delle capanne: invece di cibi delicativivere delle erbe dellacampagnae di pane plebeo: invece di letti molliprocacciarsi paglia e strame:e invece di menseergere delle zolle di terra. Assai probabilmente ilgiovane Arnaldo fu di questo numeroe questo verisimilmente ha voluto indicareGunteroquando scrisse: Tenui nutrivit Gallia sumptu.Era molto naturale che questa vita da monaco fervorosoispirasse al giovane Arnaldo l'amore alla vita monastica. Di fattitornato inpatria dopo il termine de' suoi studisi fece monaco in uno dei nostrimonasterima non si trova in quale di essi venisse ricevuto. Generalmenteparlandoquesto è verisimile indizio che la disciplina monastica nonfosse tanto scaduta ne' bresciani monasteri o almeno che il penitentegiovane alcuno ne trovasse acconcio a' suoi pii disegni. Il che a me sembratanto più verisimilequanto cheessendo stato lungamente alla scuola diPietro Abailardoavea potuto coll'esperienza del maestroche non trovò quietenè al monastero di San Dioniginè in quel di Ruysimparare con qualcircospezione dovesse scegliere il monastero in cui destinava di menar la suavita.
Il suo fervore non fu passeggero; nè la vita sì pocoregolata del gran numero de' monaci di quel tempo lo potè raffreddare. Sembraanzi che andasse crescendo; perchè nell'anno 1140 san Bernardo attesta che lasua vita era austerae che i suoi digiuni erano taliche pareva non mangiassenè beesse: il suo discorso era pieno di unzionela sua conversazionedolcissimail suo esteriore tutto spirante pietà
().Si può ben credere che ad un religioso di questo caratterefosse di somma afflizione lo stato compassionevole della Chiesa Cattolica dique' tempi. Innondava allora la simoniadi cui la fonte principale era l'imperialcorte di Germania dove facevasi traffico notorio de' vescovadi e delleabbazie. Questi prelati simoniaci naturalmente volevano rimborsarsi della spesafatta nel comperarsi il benefizio; e così vendevano anch'essi gli ordini e ibenefizi a persone che si studiavano anch'esse pure di risarcirsi colla venditadelle orazioni e de' Sagramenti. Da somiglianti prelati non poteva aspettarsigran sollecitudine nella scelta de' ministri del santo Altare. I canoni cheversano sopra una materia sì gelosanon erano in alcuna considerazione. Non siguardava all'etàperchè il nostro vescovo Ulderico ordinò prete e parroco diSan Giovanni BattistaArdiccio degli Aimoni ancora fanciullo di solidodici anni
().Non si guardava a' costumi perchè quelli del nostro clero d'allora nonpotevano essere più corrotti. Non si guardava nè meno alla scienza dicui in quel tempo non apparisce vestigio: il solo interesse dell'ordinatoresuppliva a tutto.In tanta disattenzione de' prelatinon potevano noninnondare tutti i vizi nel clero. Tanti cherici entrati nella casa del granPadre di famiglia non per la portama per le finestresenza vocazionesenzaspirito ecclesiasticosenza letteresenza alcun freno de' loro prelatinonpotevano non abbandonarsi all'oziopadre de' vizied approfittarsi dellaricchezza delle loro prebende per fomentarli. Il lusso della mensadelle vestidegli addobbi divenne eccessivo. L'esempio de' prelati cheaffettavano la temporale signoria e perciò mantenevano un trenoprincipesconon pur metteva tutto il clero inferiore al sicuro da ogni lororiprensione o gastigoma lo assicurava della loro approvazione e della lorograzia. Da questa vita molle era naturale che sboccasse con empitol'incontinenza. E di fattibenchè Dio ne conservasse alla sua Chiesa alcuniillibativenne tempo in cui non era disdetto a chi di loro il volesse ilmantenere pubblicamente una concubinaed il generarne ed allevarne in palese ifigliuoli. E tanto d'ardire presero gl'incontinenti che a dispetto de'canoni anche recentie di tanti Concili allora celebrati per metter argine asì torbido torrente le concubine menavansi francamente a casa comespose legittimee le dame più illustri non facevano difficoltà di sposarsi adun prete
().La necessità di mantenere non solo un treno magnificoeduna copiosa e splendida mensama ancora la moglie e i figliuolie di dare aquesti un congruo statogenerò altri disordini. Si perdette la memoria delladivisione che dee farsi delle ecclesiastiche rendite da ogni benefiziatoritenendo per sè sol quanto basti al sostentamento frugale della sua personaedispensando il restante alle chiese ed a' poveri. Tutto applicavano a sè edalla propria famiglia. Anzinon contenti di ciòprocacciavansi il maggiornumero di benefizi ecclesiastici che potevano; e di qui nacque l'abusolagrimevole della pluralità de' benefizi ancora aggravati di cura d'animeequindi la non residenza. Più: dove non giungevano le rendite a supplire ai lorobisogni o alle loro cupiditàalienavano i fondi stessi disponendone adarbitrio come di cosa propriae con vendite e con infeudazioni e con donazionie in ogni altro modo che occorresse; nel che i prelati diedero ad essi unesempio scandaloso.
Per giustificare abusi di tanto scandalo si passò adun altro maggiore che fu d'insegnare che i beni ecclesiastici erano propride' benefiziatich'essi n'erano padronie non semplici amministratori edispensatori; e perciò era loro lecito e di consumarne tuttesenza detrazioned'alcunale entratee di convertire a proprio uso i frutti e il capitalestesso dei fondi.
A tutti questi mali s'aggiunse la fiera e lunga discordia tral'Impero e il Sacerdoziocon tanti scismi guerre e rivoluzioni chefinirono di mandare a fondo ogni residuo di disciplina. In questi tempi diturbolenzela via certa di salire alle prelature più cospicue era quella dimostrarsi zelante dell'uno o dell'altro partitosecondo che le circostanzefacevano comparire più probabile la speranza del proprio avanzamento. Quando laparte imperiale era la più potente era facile il trovare una quantitàd'ecclesiastici nobili che si riscaldavano a favore di Cesare entrando agara in tutti i complotti anche iniquisenza eccettuarne gli stessi scismi.Dove al contrario pendesse la bilancia del partito papalevedevansi altrettantizelare la causa del papae colorire la propria cupidità col finto zelo dellareligioneed eccitare per divozione i principi ed i popoli alla ribellionecontro l'imperadore. Di questo numero fu il nostro vescovo Arimannoche per unsomigliante zelo fu creato cardinale (dignità allora più rara fuori di Roma) ecostituito Legato Apostolico in Lombardia. Fu impresa di questo Cardinal-Legatolo spuntare con tutta forzache la nostra cittàallora suddita dell'Imperosi ribellasse al suo signoree s'ergesse in repubblica
().E da qui può vedersiche gli ecclesiastici delle altre città Lombarde etoscane furono gli autori principali di simili ribellioni delle città loro.Da questo nuovo disordine ne nacque un altroe fu che ivescovi delle città lombarde siccome erano stati i capi dellaribellionecosì vollero essere i capi delle nate repubbliche; il cheespressamente raccontasi del pure or detto cardinale nostro vescovo Arimanno
().Egli stabilì per patto della concertata ribellioneche il vescovo sempre fosseil capo e il signore di Brescia superiore al generale Consiglio ed aiconsoli. Così fecesi una nuova piaga mortale alla pur troppo già piagatadisciplinatrasfigurando i vescovidi pastori delle animepadri de' povericonciliatori della pacemaestri dell'umiltà della mansuetudine dellafrugalità del disprezzo d'ogni terrena grandezza e d'ogni terrenotesoro: in principi del secolooppressori de' deboli conciliatori diguerre ed alleanzeed esempio d'alterigiadi doppiezzadi ferocia edi mondana magnificenza.Questo loro temporale governo non poteva non esser funestoallo Stato ed alla Chiesa. Alla Chiesaperchè oltre allo sconcertar del tuttol'idea del vescovato distraeva i prelati in tutto dalle cure pastoralied avviliva in appresso l'idea dello spirituale ministero lasciato in tutto alclero più bassoquasi impiego servilee da gente plebea; spargea nel clerospezialmente nobileuno spirito di terrena grandezza; autorizzava il lusso e lecure secolari e il mal uso delle ecclesiastiche rendite; e ciò ancorache più montagl'interessi del principato erano quasi sempre in contrasto conquei della Chiesaconvenendo al vescovo-principe spesso il promuovere non laconcordiama la disunione; non la pacema la guerra; non la riforma de'disordinima la tolleranzaed anche l'aumento de' medesimi. Lo scialacquamentoimmenso delle decime e di varie regalie della Mensa episcopale di Brescia nacqueda vescovi somigliantiche per istabilire la loro temporale grandezzaledivisero in feudo tra' potenti della città e del territorioche restarono conciò costituiti vassalli del vescovoed obbligati a portar l'armi a sua difesa
().I poveri e le chiese rimasero interamente privi della porzione spettante a loronelle entrate della Chiesa; le qualibenchè solite a sopravanzare almantenimento del pastorepiù nemmeno bastavano al mantenimento del principeil quale trovavasi obbligato a procacciare il mancante colle annate de' benefizivacanti co' pesi annui imposti alle chiesee fin colla vendita delleindulgenzee talora degli ordini e de' benefizi().Riuscì funesto ancora allo Stato. Dioche ha istituite ledue podestà regia e sacerdotalele aveva ancora divise. Non era sperabilech'egli spargesse le sue larghe benedizioni sopra il governo di chi per umanacupidità aveva voluto riunirle insieme contra l'ordinazione divinae per viesì poco legittime. Perciò il governo d'Arimanno fu alla nostra città funesto.Il popoloche aveva cominciato a bramare di godersela intera ed adiminuire l'autorità temporale del vescovoil vescovo fermo a ritenerlaeccitò dissidii tra il popoloche abortirono ad una guerra civile chedopo avere sparso un fiume di sangue cittadinoe desolate le nostre fertilicampagnefinì alla peggio di luiche fu bandito per tre anni lungi cinquantamiglia da' confini bresciani
().L'autorità temporale del vescovo da quel tempo si ridusse apocoe già si pensava a ridurla a niente
().Arimanno nel 1116 fu deposto dal vescovatonel Concilio di Romada Pasquale II.Non si sa il perchèma sì può senza gran pericolo d'errore pensare chequesto vescovopieno di spirito mondano vedendo abbassata da' Brescianila sua temporale autorità sopra di essipensasse di riacquistarla col gettarsial partito dell'imperatore Arrigo Vche allora preponderava in Italia contra ilpapa Pasquale.Villanosuo coadiutoretentò anch'egli invano di rialzarela signoria vescovile al tempo ch'ei reggeva la nostra chiesa in assenza delbandito vescovo Arimanno. Divenuto poscia vescovoforse fece nuovi attentati;ma non dovette riuscire con felicitàperchè nel 1132 il pontefice InnocenzioIIvenuto a Brescia in personalo cacciò dal vescovato: il che dimostraacreder mio che anch'egli come Arimanno impaziente divedersi col solo pastorale senza lo scettro si buttasse al partitodell'antipapa Anacleto che disputava il papato ad Innocenzioed avevain Italia il partito più forteed il favore di Corrado re d'Italia.
Al vescovo Villano venne dunque sostituito Maifredoche eragià suo coadiutore da undici anni e fu sospettato che co' suoi ufficipresso al papa Innocenzio avesse promosso la deposizione di Villanocomeaccerta l'abate Biemmi nella sua Continuazione della Storia di Brescia manoscritta;il quale fa ancora osservareche siccome Arimanno aveva per coadiutore Villanoe fu deposto nel 1116 e Villano avea per coadiutore Maifredoe fuparimente deposto nel 1132e il loro posto fu immantinente occupato da queiloro coadiutori si può ben credereche ciò bastantemente insegnasse a'vescovi che seguironoa non servirsi più di sì fatta coadiutoriaperchè daqui innanzi non veggonsi più nominati questi vescovi coadiutori. Maifredopertanto con non minore ardenza dei suoi predecessoridiedesi arialzare il prostrato edifizio della temporale signoria episcopale: e si puòcredere che a ristabilirla molto contribuisse il papa Innocenzioche alloratrovavasi in Brescia; perchè è assai credibile che Maifredo promettesse alpapa un inviolabile attaccamento a luied un efficace studio per mantenergliattaccata la cittàdi che il papa aveva estremo bisogno in quel tempo.Racconta lo stesso abate Biemmi nella citata continuazione della suaStoria ms. di Bresciaun fatto che ci può dare molto lume tra le tenebre ditanta antichità e in tanto disperdimento delle antiche carte. Doveva ilpapa Innocenzio aver deplorata la decadenza della disciplina ecclesiastica dellanostra cittàla quale aveva avuto l'infortunio d'essere stata governatasuccessivamente da quattro vescovi scismaticie morti scomunicatie poi dalvescovo-cardinal Arimannoe da Villanoche entrambisolleciti solo deltemporal principato non solo non si erano curati di ristabilire ladisciplinama l'avevano più che mai precipitata colle guerre e discordie chedestarono per conservarselo. Quindi non meno in Bresciache nelle altre cittàspecialmente di Lombardia regnava nel clero la simonia e l'incontinenzacogli altri abusi che ne sono la sequela. È assai verisimile che il papazelante raccomandasse a Maifredo vescovo-coadiutore di procurare vigorosamentela riforma; e che Maifredobramoso di salire sulla cattedra episcopalese nemostrasse non meno zelante del papaaccusasse Villano d'aver trascurato unaffare sì rilevantee promettesse al papache se fosse egli fatto vescovoradunerebbe un Sinodo diocesanoin cui la riforma sarebbe fatta nelle forme. Difattisalito sulla cattedra di Brescia e dato buon sesto alle cose sueper tutto l'anno seguente 1133radunò l'anno dipoi il Sinodoper quantoafferma l'ab. Biemmiin cui co' voti concordi del clero si vietò la simonia eil concubinatoe si fecero altri utili decreti. Può servir questo di gloria alclero Brescianoperchè si vede che tutto non era corrotto anzi lamaggior parte di esso detestava gli abusi e ne procurava l'estirpazione.
L'abate Biemmi ne attribuisce specialmente il merito aiparrochi di campagnae nominatamente ad Ambrogio parroco di Gardone inValtrompiae a Tostando parroco di Vestone in Valsabbia. Ma oquesta notizia non deriva da pure fontio almeno dee dirsi che Ambrogio fosseparroco della pieve d'Inzinoe non di Gardone; perchè Gardone èparrocchia nuovaassai di fresco smembrata dalla pieve d'Inzino. Per altro ècerto che nella città il disordine del concubinato pubblicoe portato finoalla sfacciataggine di palliarlo col nome di matrimonioera familiare specialmentealla nobiltà di quel tempo. Se i parrochi ancora concorsero nel Sinodo acondannare la simonia e l'incontinenzapuò ben presumersi che pensasserotrattarsi da Maifredo per cerimonia questo negozioe che non verrebbe mai dalleparole ai fatti per dare esecuzione ai decretipoichè non gli tornava a contol'irritare contro di sè le persone potenti di cui abbisognava per mantenersisul trono.
Ma il popolo bramava ardentemente la tanto necessaria riformadel cleroe perciò i consoli di quel tempo sollecitavano fortemente il vescovoMaifredo a dar esecuzione ai decreti del Sinodoe costringere i concubinarii adallontanar le concubine e i simoniaci a rinunziare le sagrilegamenteoccupate prebendeusando le pene canoniche ove non fruttassero le ammonizioni.Fosse pio zelo del vescovo Maifredofosse brama di mantenersi nella protezionedel papa Innocenziofosse paura di disgustare il popoloe di perdere non solla signoriama ancora il vescovatocom'era accaduto ai due suoi immediatipredecessoris'arrese alte istanze de' consolicon patto che l'assistesseronell'impresa colla forza dell'autorità civile che stava non men nelleloro che nelle sue mani.
Siccome per una parte il cancro del clero era invecchiatoedall'altra in que' tempi i vescovi non si curavano d'usare nè i rimedii dolcidella predicazione nè la forza piacevole dell'esempio d'una illibataosservanza dei santi canonima davan di mano subito ai rimedii acri dellecensure e della privazione dei benefizii (come abbiam veduto praticarsi daArimanno e da Villano col canonico Morando nel 1110
();e forse nemmeno procedevasi colla debita esattezza dell'ordine e del processocome in quel caso appunto procedettero senza ordine alcuno que' due prelati); ilrimedio non solo fu inutilema rovinoso. I cherici dissolutich'esser dovevanoi più potenti della cittàdestarono una fiera sollevazione contra il vescovoe contra i consolideclamandocom'è credibileche il vescovo ed i consoliprocedessero tirannicamente; che violassero gli usi immemorabilmente tolleratinon solo in Brescia ma in tutta la Lombardia anzi in tutta laCristianità; che operassero non per vero zelo della disciplinapoichè ilvescovo era salito sulla cattedra per vie poco plausibili ma questi perfarsi merito a Roma a loro costoe quelli per avvilire e mortificare lanobiltà odiata dal popolo. Pertanto fu loro facile il tirare al lor partito nonsolo tutti i parenti loro e delle pretese lor moglima ancora i loro vassalliarimanni e dipendentie cacciare a furia dalla città e il vescovo e i consoli;come seguì secondo l'ab. Biemmi nell'anno susseguente 1135erilevasi dal Cronico Bresciano mandato da Bolognadove a quest'anno si nota: Consulesprimi ejecti sunt().Il papa Innocenzio prese a cuore di ristabilir Maifredo eda questo effetto mandò a Brescia suo legato il cardinal Oberto in via lata;per mezzo del qualericomposte le cosefu dalla città spedito a Maifredoil conte Goizone da Martinengo per ricondurlo alla sua cattedra. Non si sa qualifossero gli articoli di questo accordo; ma sembrami assai verisimile che ledifficoltà incontrate dal vescovo Maifredo nel disgustare i nobili col tentarela riformaconsigliassero a lui di non più insistere su tal negoziomaabbandonando i dissoluticome incurabilialla propria coscienzaprocurarsiper tutte le vie la benevolenza de' grandi col favorire il loro partito. Iopenso che verisimilmente si spargessero allora i semi di quelle eterne discordietra la nobiltà e il popolo di Bresciache poi lacerarono funestamente labresciana repubblica; e che il vescovo Maifredoper istabilirsi nel principatodella cittàs'abbandonasse fin d'allora al partito dei nobili.
Tanto più acremente dunque il popolo che bramava lariforma del cleroopponevasi all'autorità temporale del vescovo Maifredo; e sipuò credere che nell'elezione de' nuovi consoli nei quali era ripostala somma della pubblica autoritàil popolo si studiasse di sollevare a quelposto quei due soggetti cui vedesse più ardentemente desiderare e ilristabilimento della disciplinae la perfetta libertà della patria; e che taliappunto fossero i due consoli Ribaldo e Persicoi quali si trovavano consolinell'anno 1139.
Arnaldoche ardeva di desiderio di veder riformata la Chiesadi Dioe ben conosceva quanto fosse contrario allo spiritoalle leggi edall'utilità della Chiesa questo principato che il vescovo Maifredo ambiva permezzi sì poco plausibilie in circostanze nelle quali l'estrema necessitàdella riforma esigeva un prelato libero da tutte le mondane occupazioni edinteressi per applicarvisi con tutto lo spirito e con tutte le forzeespecialmente che presentasse nella propria persona un modello compiutodell'osservanza dei santi canoni; disapprovò pubblicamente l'impresa delvescovo ed animò i consoli a resistervi. Il sentimento d'un uomo giàmontato in gran credito di dottrina e di pietàconfortò i due consoli nellaloro impresa. Essi lo confortarono a vicenda a farsi merito presso a Dio diprendervi parte con calore e colle sue prediche al popolo tirarlo tuttoal buon partito. Arnaldo non fu punto restio. Colle Scritture e coi canoni allamanomostrava al popolo che i vescovisiccome descritti in capo alla miliziadi Dionon debbono impacciarsi nè intrigarsi in faccende secolaresche; checome successori degli Apostoli debbono esserne gl'imitatorie direcomedicevano gli Apostolia chi li voglia aggravare di mondane sollecitudini: Nonè giusto che noi abbandoniamo la parola di Dio per servire alle mensecioèper procurare al popolo i temporali vantaggi: eleggete tra voi degli uominicapaci di tale ufizioe noi ci applicheremo con istanza alle funzioni santeedal ministero della parola divina. Siccome Arnaldo era eloquenteperconfessione de' suoi medesimi avversariied era in reputazione d'uomo erudito edi santa vitagran parte del popolo entrò ne' suoi sentimentie così ilpartito dell'opposizione contra il vescovo Maifredo divenne assai potente.
Non istette Maifredo colle mani alla cintola. Seppe stringerea sè più che mai i nobilicosì ecclesiastici come secolarimostrando adessi che il vescovado di Brescia era un benefizio destinato ai nobilieche passando da una in altra famiglia col tempo ad una ad una leillustrava tutte collo splendore non solamente della mitra episcopale maancora dello scettro; che si toglieva in conseguenza all'ordine nobile quantotoglievasi al vescovo. Seppe rappresentareche il vescovo principe della suacittà avrebbe sempre favorito i nobili dell'impiego delle cariche dellarepubblica e della Chiesaed esclusone i plebei: laddove trionfando in questoaffare la plebenemica naturalmente de' nobiliessi verrebbero villanamentesprezzatie ributtati da tutti gl'impieghi civili ed ecclesiastici. Fece ancheapprender loro che la plebeabbandonata ai consigli d'Arnaldo uomo diseveri costumi e uno zelo indiscretoavrebbe dimandata ad alta voce la generaleriforma di tutto il clero per lo che una gran parte de' benefiziatisarebbero stati privati de' loro benefizii col pretesto della simonia odell'incontinenzae ridotti colle loro famiglie all'obbrobrio ed allamendicità; e che quei medesimi che rimanessero in possesso delle loro chieseverrebbero ridotti a contentarsi d'una porzione assai tenue delle lororendite assegnate pel loro sostentamento ristretto alla misura assai rigidadell'antica severità dei canoni. Seppe spargere questa non insussistenteapprensione ancora in quei monasteri nei quali il possesso di regi feudie di grandi ricchezzee l'usurpazione delle parrocchie e delle decime l'eccessodel lusso e della mollezza e l'ingiusta detenzione della gran parte deiloro prodotti dovuti ai poverinon somministravano poca materia alla riforma daArnaldo bramata.
Quindi non solo il vescovo e i nobili cosìecclesiastici come secolarima tutto il clerogli abati ed i monacisi confederarono per far fronte ad Arnaldo ed alla sua fazionesostenendoal popolo tutto il contrario di ciò che Arnaldo insegnava. Arnaldopermostrare al popolo come le voci de' suoi avversarii partivano non da amore dellaverità e della disciplinama da quello dell'interesse loro in gravepregiudizio spirituale e temporale del popolo medesimogli mostrò quantoingiustamente i cherici ed i monaci riputassero suoi proprii i beni dellechieseper autorizzarsi a spenderne i prodotti in lussoin golosità ed in usipeggiorie fino a dilapidarne i fondi che formano il patrimonio de' poveri;quandocome semplici dispensatori non possono trarne per sè che ilnecessario onesto sostentamento e suppliti col rimanente i bisogni dellareligionedistribuirne fedelmente l'avanzo ai poverelli. Mostrò la necessitàdella riforma del clero e de' monacirilevando col confronto de' canoni antichil'orrore e la moltitudine de' moderni abusi; e mostratane la necessità purtroppo evidentefece osservare come indarno ella speravasi da vescovi rivestitidell'autorità regiach'essendo i primi a violare in materia gravissima i sacricanonio non la tenterebbono maio la tenterebbero senza successoperchè ilclerogli abati ed i monaci lor direbbero: Medicecura te ipsum; cheanzicome già faceva il vescovo presentetutti i di lui successoriperconservarsi la signoria ed evitare la propria riformasarebbero sempre i capidel partito dell'opposizione alla riforma stessa: e che per questo fine anchesolo era spediente e necessario il non lasciare impadronirsi il vescovodella regia autoritàma il ritenerla o il ricuperarla per farne uso come dimezzo in queste circostanze unico ed efficaceposto da Dio in mano delpopoloper salvare la sua Chiesa: chequando la repubblica possa e voglia faruso di un tal potere da Dio compartitole la riforma era facile e pronta;perchè bastava incamerarecome dicesi tutti i beni ecclesiasticicommetterne l'amministrazione a persone secolari da lei deputate aquest'uffizio che somministrassero a' cherici ed a' monaci il lorocongruo sostentamento e non più determinato a tenore de' canoni edistribuissero il rimanente alli altri usi della religioneed al sollievo de'poveri. Così rimarrebbe regolato l'uso delle ecclesiastiche rendite salvatii fondicorretto il lusso e la golosità; e così sarebbe tolta la simonia e ilconcubinatocoll'escludere dalla partecipazione di quelle rendite i simoniaci ei concubinarii.
La causa trattata da Arnaldo era troppo plausibile e grata alpopolo per non essere da lui con ambe le braccia accolta; ma similmentel'interesse e l'abilità del vescovodel clerode' monaci e de' nobilieratroppo grande per non farvi un contrasto terribile. Dove le ragioni nonvalevano si ricorse all'armi; e la città nostranell'anno 1138 a nelseguente 1139trovossi involta in una agitazione spaventosa.
II partito degli ecclesiastici era forse per soccombere seun impensato accidente non faceva cangiar faccia all'affare. Nella primavera diquest'anno 1139 il pontefice Innocenzio II tenne in Roma il granConcilio di Lateranoa cui furono chiamati tutti i vescovi e gli abatiche visi raccolsero fino al numero di mille. Vi andòpertantoanche il nostrovescovo Maifredo e i nostri abati. Non poteva loro presentarsi più opportunaoccasione per muovere contro di Arnaldo non solamente il papa e tutta la romanaCuriama tutti i vescovi e gli abati del mondo egualmente interessaticon loro in questa causa comunee seppellirlo sotto gli anatemi di tutta laChiesaraccolta in un general Concilio sì numeroso. Concertarono dunque traloro Maifredo e gli abatila querela da porgersi al papae lapresentarono a luiconceputa nei termini più energici ed efficaci. I moderniscrittori sono d'accordo che Arnaldo fosse condannato come eretico in quelConcilioe che la sua condanna contengasi nel canone XXIIIin cui veggonsicondannate le eresie più mostruose de' Catari e de' Petrobusiani. E se questofosseconverrebbe di necessità convincere il vescovo Maifredo e gli abati dinera calunniaperchè la dottrina d'Arnaldodescrittaci anchesvantaggiosamente da Ottone di Frisinga vescovo e da Guntero monacotrovasi lontanissima da quegli errori. Ma san Bernardo ci assicura che Arnaldovi fu accusato non di eresiama di scismabensì poi d'uno scisma pessimo; ecosì vedesiche i nostri scrittori moderni prendono in ciò uno sbagliovisibile e che perciò nemmeno è vero che il canone XXIII di quelConcilio riguardi Arnaldoe che vi sia stato condannato di eresie orribili.
Può essereper altroche Maifredo e gli abatii qualiritornati da quel Concilio a Bresciacacciarono Arnaldo e i due consoli suoifautoricome ereticidalla città avessero tutta la volontàd'accusarlo come eretico al papa ed al Concilioe che forse la loro accusatendesse a questo scopo; ma ciò mostrerebbe che il papa non trovò fondamentobastevole per simile accusa e che fu necessario ristringerla alla soladenunzia di scisma: e più che mai ne risulterebbeche il canone XXIII nonriguarda Arnaldo. Non si sa nemmeno se l'accusa fosse portata anche al Concilioo se restasse presso al papa solo. Ottone di Frisinga sembra dire che l'accusafu portata al Conciliocon queste parole: In magno Concilio RomæsubInnocentio habitoab episcopo civitatis illiusvirisque religiosis accusatur. Masan Bernardo dice solamente: accusatus est apud dominum papam schismatepessimo. Comunque sial'accusa almeno accettata dal papa o dal Concilio nonfu d'eresiama solo di scisma. Lo scisma poi perattestato d'Ottoneconsisteva nella dottrina insegnata da Arnaldoed espostacida Ottone nel medesimo luogo. Questo fu considerato per uno scisma pessimoinquanto che Arnaldo non solo non concedeva agli ecclesiastici la superiorità daloro pretesa sopra il temporale de' principima accordava a' principi una pienaautorità sopra i beni ecclesiastici per regolarne l'uso a tenore de' canoni.San Bernardo dice che Roma ebbe orrore di questa dottrina d'Arnaldoe d'Arnaldomedesimo che l'insegnava
().La cosa era naturale. Essa dottrina tendeva a rovinare i fondamenti dellagrandezza di quella corteche consistevano nella dottrina contrariala qualecostituisce il papa signor temporale di tutto il mondo. Anche il restante delladottrina d'Arnaldo dovea mettere in apprensione quella corte la qualenon trovava minore ostacolo al suo principato ne' suoi Romani di quelche trovasse ne' nostri Bresciani il vescovo Maifredo. È perciò notabilechesan Bernardo non attribuisce questo orrore al concilioma a Roma sola. Pareche se tutto il Concilio avessene mostrato un orror similesan Bernardo avrebbedetto non Romama orbis exhorruit.DunqueMaifredo vescovo e gli abati rimasero delusi dellasperanza che avevano di far dichiarare eretico Arnaldo dal papa e dal Concilio;il che sarebbe stato di grand'uso a loro per cacciarlo da Brescia co' suoifautori e trionfar della nemica fazione. Per non ritornar nondimeno aBrescia colle mani vuote eglino implorarono dal papa un decreto di bandocontro di lui. Pare che Ottone di Frisinga dica che non ottennero nemmen questoma solo un ordine che intimasse silenzio ad Arnaldo
().Fece nondimeno quest'ordine lo stesso effetto. Il vescovo Maifredoa cui eraintimato l'ordine d'imporre silenzio ad Arnaldonon fu tardo ad eseguirlo tostoche fu ritornato a Brescia. Radunato come può credersiil cleroinobili ed i monacipubblicò l'ordine ricevuto dal papa; esagerò l'orrore concui la dottrina d'Arnaldo era stata sentita in Roma; procurò di mostrarnel'affinità colla dottrina de' Cataricondannata nel canone XXIII di quelConcilio; ordinò che in tutte le chiese fosse proclamato per ereticoo almengravemente sospetto d'eresia; e che si eccitassero i fedeli a liberar per semprela città da questo velenodiscacciandolo coi suoi fautori.Il popolonaturalmente religiosoignorante e volubileabbandonò in gran parte il partito d'Arnaldo. I nobili presero l'ascendentesopra una fazione così indebolitae prese l'armi cacciarono dallacittà come eretici ed ipocriti Ribaldo e Persico i dueconsoli primarii con tutti i loro aderenti. Arnaldo fuggì da Bresciaenon tenendosi in alcun luogo d'Italia sicuropassò in Zurigo negli Svizzeri.Questo pare che voglia esprimere san Bernardo scrivendo che fucacciato dal natio suoloe che fu costretto a promettere di non più ritornarein patriase non con licenza del papa; e che il vigore apostolico hasforzato l'uomo nativo d'Italia a passar l'Alpie non gli permette dirimpatriare
().Di qui si vede che il vescovo Maifredo ragguagliò il papa d'aver eseguitol'ordine suointimando silenzio ad Arnaldo; d'averlo trovato ben lontano dalprestarvi la debita ubbidienzae di averlo perciò cacciato dalla cittàcoll'aiuto de' nobili attaccati al partito della Curia romana: e che lo pregòdi confermare il fatto e di proibire per sempre a lui il ritorno in Italia. Ilpapa approvò la cacciata; e quanto al ritornooperò per mezzo de' suoi nunziiin quelle partiche promettesse di non ritornarese non con licenza di SuaBeatitudine.È però da osservare in tutto questo negozio chenulla seguì d'onde legittimamente venga pregiudicato alla di lui fama. Laquerela contro di Arnaldo portata al papae se vuolsi anche al Conciliononaveva altro fondamento che il vescovo e gli abatich'erano insieme accusatoritestimoni e parte; Arnaldo non era presente a difendersinè fu citato alladifesa. Il decretodunquedel papa è privo della debita legalità. Non fumeno irregolare l'esecuzione del decreto. Esso non portava se non l'intimazionedel silenzioeseguita la qualeove non sortisse l'effettorichiedevasi unnuovo decreto per passare ad una espulsione violenta; e quest'ordine futrascurato. L'accusa non era stata d'eresiama solo di scisma; e il vescovocacciò Arnaldoe i due consoli primariiRibaldo e Persiconon comescismaticima come eretici ed ipocriti. Così lo racconta il Malvezzi nel suoCronico al cap. 54nel tomo XIV Scriptor. Rerum Italicarum delMuratoricon queste parole: Duo consules hæretici a consulatu Brixiædepositi… Rebaldus et Persicus viri hypocritæ et hæreticiqui eoanno consulatum regebanta militibus catholicis a Brixiana civitate cum suissequacibus expulsi sunt. Ognuno sa poiche nel linguaggio di quell'etàcon quel vocabolo militibus vengono indicati i nobilicon pocoonore della nostra cittàquasi che tutto il cattolicismo di essa fosse ridottone' soli nobili.
San Bernardo e Guntero ci raccontano che Arnaldo colle sueprediche pose in rivolta contra il clero non solamente Bresciama ancora altrecittà
().Non solo io non so determinare che città queste fossero ma nemmeno inqual tempo ciò succedesse. Bisogna però che ciò sia avvenuto prima delConcilio di Sens. Gli affari ivi trattatie il suo ritiro da quel regnoe ilsuo viaggio e stabilimento a Zurigolasciano poco spazio di tempo percollocarvi queste rivolte. Parmi probabile che ciò seguisse l'anno antecedentein tempo che per la celebrazione del Concilio di Laterano i vescovi delle vicinecittà lombarde trovavansi dalle loro sedi lontani. Benchè quel Concilio fossedi breve duratapoichè incominciò al principio d'aprile e terminò verso lafine del mesetuttavia tra l'andata e il ritorno de' vescovi scorre spaziobastevoleperchè Arnaldo o invitatovi dai capi delle fazioniche per tuttoregnavano non meno che in Bresciao di spontaneo motofacesse delle scorrerieper le città lombarde per promovervi col fatto quella riforma delcleroche nel Concilio di Roma o non sarebbesi promossa o lo sarebbesenza frutto come mostravalo l'esperienza di tanti precedenti Concili.Può essere ancorache in quest'anno medesimo dopo che fu cacciato da Bresciasi ricoverasse in altre città vicineprima di uscire d'Italiae non potendofrenare il suo zelo vi destasse i medesimi tumulti; finchèpassando diuna in altra città e non vedendosi in Italia sicurosi risolvesse in fine apassare l'Alpi.Ottone e Guntero raccontano ch'ei ritirossi a Zurigocittàdegli Svizzerie che qui pureassunto il carico di predicatorevi sparse perqualche tempo la sua dottrina. Guntero ci assicura che in breve la infettòtutta del suo errore sì fattamenteche ancora al suo tempo i figliuoliconservavano il gusto della dottrina assaporata da' padri loro. Ciò nondimenosembra difficile a conciliare con ciò che ne scrive l'anno seguente sanBernardo al vescovo di Costanzaalla cui diocesi è appartenente Zurigo. Nonsembra credibile che una sì gran commozione del popolo di Zurigo restasseignota per tutto quell'anno al suo vescovo: eppure noi leggiamo in quellaletterache il Santo Abate ne scrive a lui come di una persona incognita almedesimoe non gli espone i mali già fatti da Arnaldo in quella città mail pericolo che ve li facesse. Inclinodunquea credere che Arnaldo nonandasse dirittamente a Zurigo quando si partì d'Italia ma perallora si ricoverasse altrove; e vi si annidasse poi l'anno seguente quandoritirar si dovette di Francia: con che facilmente possono conciliarsi OttoneGuntero e san Bernardo. Ciò che insegnasse in Zurigoe con qual successo indarnosi cercherebbenon trovandosi scritto.
Comunque sial'anno seguente 1140 Arnaldo andò inFranciachiamatovi dal suo maestro Pietro Abailardo. Questi doveva presentarsial Concilio di Sens per difendervi la sua dottrinaaccusata d'eretica daGuglielmo abate di San Teodoricoe per suo mezzo da Goffredo vescovo diChartres e da san Bernardo. Temeva l'Abailardo sopra tutto la dottrinal'acumeil credito di san Bernardo. Perciò chiamò in sua difesa da tutte le parti isuoi scolari più abilie tra gli altri anche il nostro Arnaldo. Questi viandòe comparve al Concilio col suo maestroe con una moltitudine de'discepoli di lui. Fu questa una prova solenne della sua abilità nelle disputeteologiche; poichè in tanta turba di discepoli di Abailardoniuno eguagliònemmen da lungi il suo coraggio la sua eloquenza e la sua dialettica.Degli altri discepoli nessuno è nominato e tutti rimangonsi nell'oblivione;non è cosi d'Arnaldo il qualecome l'armigero del nuovo Goliachè così chiama san Bernardo l'Abailardodifendevasiccome egliraccontatutte le Proposizioni di luicon lui e più di lui
().Cattivo esito ebbe per l'Abailardo la sua causa in quelConcilio. I vescovi e gli altri ecclesiastici mostravano apertamente d'essereper condannarlo; ond'egliaffine di prevenire la sua condanna appellòda quel Concilio alla Santa Sede sperando fortuna maggiore in Romadoveaveva cardinali e prelati stati suoi discepoli. Giovò questo a lui per impedireche nella sentenza del Sinodo fosse proscritto il suo nome ma nonimpedì che fosse dannata la sua dottrina contenuta in diciannove Proposizioniestratte da' suoi libri. I Padri giudicarono spediente il condannarle nonostante l'appellazioneper impedire il progresso che potea fare la suadottrina.
Questo gettò anche Arnaldo in nuovi travagli. San Bernardoche aveva già di lui pessime impressioni sul racconto a lui fatto dagliecclesiastici di quanto egli aveva operato in Italiaper cui già lo tenea perun pessimo scismaticovedendo ora l'ardore con cui difendeva i capitoli del suomaestroch'egli considerava per eretici lo giudicò anche eretico. Ecome il suo zelo era grandequal esser suole nei santiscrisse al papaInnocenzio con tutta la forzanon solamente contro l'Abailardo autore di quelladottrinama ancor contra Arnaldo suo difensore nel Concilio le duelettere 189 e 330 quando i Padri nelle loro Lettere Sinodiche 190 e 337non l'avevano tocco nè punto nè poco: e laddove i medesimi Padri circa ilrimedio da apprestarsi alle insorte novità si rimettevano alla prudenza delpapae nella lettera 190 e nella 337dettata dallo stesso san Bernardosupplicavano solamente che fosse da lui approvata la condanna che il Sinodoaveva fatto delle proposizioni dell'Abailardoe fosse proposta la giusta pena achiunque ostinatamente le difendessee lo consigliavano ad imporre silenzio adAbailardovietandogli la scuola e il pubblicar libri ed a proibire isuoi libri già scritti; lo zelo del Santo Abate passò oltre a consigliare alpapa di far imprigionare ed Abailardo ed Arnaldo.
II papa condiscese in tutto a san Bernardoe spedì a' 15 diluglio una lettera brevema fulminantea' due arcivescovi di Reims e di Sensed a san Bernardocon cui ordinava che Abailardo e Arnaldo fossero rinchiusiseparati l'un dall'altro in luoghi religiosi dove fosse creduto meglioe fossero abbruciati i libri contenenti la dannata dottrina
().San Bernardo non fu negligente nel pubblicare la letterapontificia al Colloquio di Parigicome aveva ordinato il papae nelsollecitarne l'esecuzione. Volarono subitodice Bernardo di Poitierslecopie di quell'apostolica lettera per la Chiesa di Francia
().Macome se ne lamenta san Bernardo()il suo zelo non fu secondatoe non si trovò in Francia chi facesse questobene d'imprigionare nè Abailardo nè Arnaldo. Tutto al contrariosì l'uno chel'altro trovarono benigno ricovero presso a persone di qualità grande e digran senno. L'Abailardo venne ricoverato dal venerabile Pietro abate diClugnì nel suo monistero che lo riconciliò ben presto e col papaInnocenzio e con san Bernardo medesimo; il quale in una pacifica conferenza dalvenerabile Pietro concertata tra l'Abailardo e lui in presenzadell'abate di Cistercio lo ritrovò d'animo cattolicissimoe udìspiegarsi la maggior parte delle sue Proposizioni in cattolico sensoe lealtreche nol soffrivanorigettar con prontezza e con piena sommessione algiudizio della Chiesa. Era allora l'Abailardo in età di sessantun annoe vissedue altri anni sotto l'ubbedienza del Ven. abate Pietro con somma edificazioneornato dopo la sua morte di magnifici elogi di pietà e di dottrina dallo stessoVenerabile abate.Quanto ad Arnaldoessendo egli forestiero e senza appoggioin Francia dovette partirsene e ritirarsi altrove; onde san Bernardoscrive che ne fu cacciato
().San Bernardo tenne per certo che si fosse ritirato nella diocesi di Costanzacom'ei ne scrive a quel vescovo; e fuper avventuraallora ch'egliannidossi per la prima volta in Zurigo. Perciò lo zelo del santo Abate lospinse a scriverne con molta forza a quel prelatoperchè di là lo cacciassesollecitamente o piuttosto lo imprigionassecome aveva comandato ilpapa. Sembra ancora che la casa ove si era stabilito fosse quella delcardinale Guido da Castello legato apostolicochè anche a quelcardinale scrive san Bernardo la lettera seguente allo stesso fine: ed è unaforte conghiettura di ciò il sapere che il cardinale Guido era stato discepolodi Abailardoe perciò condiscepolo di Arnaldo. Dovevadunqueil cardinalGuido essere allora Legato in Germania a cui apparteneva alloral'Elvezia; e non in Franciacome ha pensato un dottissimo scrittor moderno():perchè san Bernardo scrive al cardinaleche Arnaldo era già stato cacciato diFrancia. È vero che non asserisce di certo che Arnaldo si ritrovasse in casasua; ma si può pensare che il Santo Abate prendesse questa dilicata maniera discriverecome si usa colle persone grandiperchè la sua esortazione nonprendesse un'aria di riprensione e producesse contrario effetto.Cosa ottenesse il sant'uomo con queste letterenon è noto.È assai probabile che non ottenesse niente di più di quello che avesseottenuto la lettera del papa Innocenzio. Di Arnaldo non si legge più unasillaba da quest'anno 1140 sino al 1145in cui passò a Roma; il che dimostrache per questi cinque anni egli rimase in quiete. E parmi verisimile che ilcardinale Guido il quale ben conosceva Arnaldo stato suocondiscepolo non men di quello che il Venerabile Pietro abate di Clugnìconoscesse l'Abailardogli prestasse gli stessi amorevoli uffici epersuaso del cattolico di lui cuorelo inducesse colle buone a disapprovaretutti quegli articoli del suo maestro che aveva disapprovati lo stessoAbailardo e tutti i cattivi sensi che davansi a quelle proposizioni; eche ciò fattoimpetrasse a lui dal papa Innocenzio quella quieteche ilVenerabile Pietro aveva impetrato all'Abailardo
().Niente poi era più facileche indurre Arnaldo a ritrattare li errori del suomaestro. Arnaldo non era l'autore di quegli articoli e dovea senzadubbio avere assai minor difficoltà a ritrattarli di quel che ne avessel'Abailardo. Non li aveva Arnaldo difesi che in qualità d'avvocato del suomaestro al tribunale del Concilio di Sens: e si sa che gli avvocati sostengonocon calore nell'atto della causa ciò che eglino medesimi dipoi confessano nonessere gran fatto sussistente: e lo stesso amore e concetto del suo maestro chelo aveva invitato e indotto a difenderlo nel Conciliodovevalo indurre adimitarlo nella rassegnazione al parer de' più saggi. Ma ciò che più d'ognialtra cosa rendeva il negozio di piena riuscita si è che leproposizioni dell'Abailardo non erano appunto del genio d'Arnaldo. Assai diversierano i loro temperamenti. Il genio dell'Abailardo era dialettico e sottileportato per le quistioni specolativech'erano della moda del suo tempo dipoca o nessuna utilità alla pratica e sovente poco intelligibili aglistessi disputanti. La sua profana letteratura lo faceva gustare delle sentenzede' filosofi più ancora che della dottrina dei Padricome gli rimprovera sanBernardo; e parlare col linguaggio de' Gentili più tosto che con quello dellaTradizione. Arnaldo tutto al contrario aveva sortito un'indole solida e maschiache lo portava al massiccioall'utile ed al pratico: il suo zelo per ladisciplina della Chiesa lo faceva ardere e avvampare di desiderio di rialzarladalla postrazione miserabile in cui giacevae il suo studio per questo eraquello del Vangelodelle Apostoliche Letterede' canoni e de' Padri; el'impegno che aveva preso per un oggetto di tanta importanzae le persecuzioniche soffriva per la causa di Dioaccendevano a più doppi il suo fervore. Nulladunque era più facile che far mettere in dimenticanza i sottili articoli delsuo maestro Abailardoe l'accidentaria difesa chesolo per favorire ilmaestrone aveva intrapresa al Concilio di Sens.Sia come si voglia non rimane memoria alcuna cheArnaldo avesse più per conto della dottrina dell'Abailardo travaglio o molestiadi sorte. San Bernardo stessoche pur sopravvisse tredici anni a quellacontroversiaessendo morto nell'anno 1153 a' 20 d'agostonon lo nomina maipiù; benchè il Santo Abate avesse sì frequenti occasioni di parlarne in tantelettere scritte dipoi a' papi successori d'Innocenzioe massimamente al suoEugenio IIIed ai cardinali e prelati della Chiesa Romana; ed Arnaldofissatosi in Roma dal 1145 fino al 1155 in cui morìne dèsse si strepitoseoccasioni. Una volta sola lo nomina nella lettera 298 al papa Eugeniol'anno1151 sei anni dopo che Eugenio era travagliato da Arnaldo per contodella temporale signoriae in una circostanza talein cui dovevase credutol'avesse ereticoaguzzare più che mai la sua penna: tutto al contrariologiudica vie men colpevole assai di frate Niccolò suo segretariodellainfedeltà di cui nell'uffizio di segretario e d'alcuni altri moralidifettisi duole col papa.
Godette dunque Arnaldo perfetta quiete dall'anno 1140 fino al1145e sotto il pontificato d'Innocenzio IIche morì a' 24 di settembre del1143; e ne' brevi pontificati di Celestino IIch'era stato il cardinale Guidoda Castello suo amico e protettoremorto a' 9 di marzo del 1144; e diLucio IIche morì a' 13 febbraio del 1145. Non si sa nè che si facessenèdove dimorasse in questo tempo. Sembra credibile che abbia potutovolendoritornare in Italiao dopo la sua riconciliazione col papa Innocenzioo almenonel pontificato di Celestinosuo amorevole. Ma sembra altresì verisimilechenon abbia voluto ritornare a Brescia sua patriadove Maifredo suo nemico eraancora vescovo e principee d'onde erano sbanditi tutti i suoi partigiani ela fazione nemica era dominante e piena d'odio antico. Nel Cronico Bresciano pubblicatodall'abate Carlo Doneda() all'anno 1145sta scritto: Ribaldus etPersicus capti a militibus Brix.; ed all'anno 1153: Manfredus Episcopus (sisupplisca) obiit. Castrum Montis Rotundi destructumubi Arnaldus suspensusfuit. Il chiarissimo signor arciprete dottor D. Baldassare Zamboniin unalettera ad un suo amico del primo d'agosto del 1784dice che gli pared'aver letto sugli Storici Brescianiche i fuorusciti si fossero ritirati inMonte Rotondo (castello del Bresciano). Il Capriolicitato dal signor abateDoneda nella annot. 10 al detto Cronicodice che la Rocca fudistrutta perchè la guarnigione attendeva alla ruba. Ciò non contraddiceal detto di sopra perchè i fuorusciti non potevano vivere altrimentinon essendo liberi nè all'agricoltura nè al commercio. Da ciò si vede cheil vescovo Maifredo perseverò nella signoriae nella persecuzione contra lafazione contrariasino alla morteaccaduta appunto in quest'anno 1155; e chel'anno 1145 fu fatale alla fazione d'Arnaldo per la presa fatta de' due consoliprimari Ribaldo e Persicosuoi fautori.
Morto Lucio IIsommo ponteficed'un colpo di sassolanciatogli contra da' Romanimentr'egli con una banda d'armati volle assalirliin Campidoglio ove trovavansi raccolti per deliberare dell'elezione diGiordano in patrizioo sia Capo del Senato Romano; fu due giorni di poicioèa' 27 di febbraioda' cardinali eletto papa Eugenio III allora abate diSant'Anastasio ed allievo di san Bernardo. Già da lungo tempo erasi inRoma formata una fazione di repubblicisti non meno che nelle cittàlombarde e toscanela qualecontenta di confessare l'alto dominiodell'imperatore sopra Romanon s'acquietava di riconoscere il papa per suosignor temporale e molto meno per suo assoluto sovrano come ipapi pretendevano. Per questooltre i consoliavevano ristabilito il Senatodi cui si veggonocome osserva il Muratorichiari vestigi fin da' tempi diCarlomagnoe ch'era poi stato dai papi abbattuto: aveano inoltre creatoultimamente un Patrizioo sia Capo di questo Senato; e per la rotta data alpapa Lucioe la sua morte indi seguita vedevansi in una chiarasuperiorità di forze. Anche in tempo del papa Lucio aveano già atterrate moltecase fortificate e torri da guerra de' cardinali e de' nobili del contrariopartito ed alcune altre riserbate ad uso proprio e cacciati dicittà vari personaggi di quella fazione: di che ne scrissero a Corrado re de'Romani professando d'averlo fatto in suo servigio contra i ribelli diSua Maestàe spezialmente contro del papa Luciodel quale scoprono al reCorrado la lega fatta contro di Corrado stesso col re di Sicilia eimplorano la sua assistenza.
Vedendoadunque eletto da' cardinaliclandestinamente senza il consenso del clero e del popolonè l'assensodel reil papa Eugenio gli fecero intendere che avrebbero fattaannullare la sua elezione se non confermava il Senato stabilito el'elezione del Patrizioe non rinunziava al temporale governo di Roma. EugenioIIIben lontano dal contentarli uscì di Roma di notte con alcunicardinali e ritirossi con loro in Monticello; e il giorno seguente contutti i cardinali si trasferì a Farfa dove il dì seguente 18 febbraiofu consacrato. Essendosi poi condotto nelle piazze forti dello Stato Romano diedeprincipio a far la guerra contra i Romani suoi spirituali figliuolichelo volevano pastorenon principeaffine di sostenere il suo temporalprincipato: la qual guerra durò per tutto il tempo del suo pontificato chefu di otto anni e quattro mesie continuò poi sotto alcuni ancora dei suoisuccessori.
Arnaldosul principio del pontificato d'Eugeniosi condussea Roma per caldeggiare la fazione de' Romani che contrastavano al papa latemporale signoria. Ed è probabile che vi fosse chiamato da alcuno dei Romanistessi affinchè colla sua eloquenzacolla sua dottrina e col creditodella sua vita esemplareben diversa da quella di alcuni cardinali e prelati diquella cortetirasse tutto il popolo al loro partito; poichè è certo che ciòtornava molto in acconcio de' fatti loro e che Arnaldo aveva in Roma nonpochi conosciutiche erano stati con lui discepoli di Pietro Abailardo inFrancia. Egli è probabile ancora che vi fosse trasportato dal proprio zelo:perchèconsiderando egli per una corruttela capitale della disciplina ilvolersi i vescovi intricare nelle cure secolari del principato emassimamente il volersi in esso mantenere a dispetto de' popoli cheformavano il loro greggee con la guerrasterminio e spargimento del sangueloro; dovea naturalmente desiderare di veder guarita la Chiesa da questa piagamortale nel Capo di essada cui si diffondee coll'esempio e colla dottrina ecoll'autorità il male per tutto il corpo; ed esser lieto che lecircostanze presenti di Roma ne presentassero a lui una occasioneche lolusingava della guarigione intiera.
Vi si trasferì dunque e colle sue prediche accrebbedi molto il partito repubblicano. Vi insegnava apertamenteche convenivariconoscere tutta la spirituale autorità del papa: ch'egli era il primo pastoredella Cristianità e il giudice delle cause ecclesiastiche; ma che tuttala sua autorità ristringevasi all'uffizio di pastor della Chiesa: che la curadi tutte le Chiese del mondo ben lo forniva di tante sollecitudini (massimamentein tempo in cuiessendo cresciuti smisuratamente gli abusiv'era tanto datravagliare per isvellere e distruggeredisperdere e dissipare le pessimeusanzeed edificare e piantare di nuovo l'osservanza salutare de' santicanoni); che il papa ben poteva contentarsenesenza addossarsi ancora il pesodel governo temporale e terrenodi cui l'alta ispezione doveva rilasciare congioia al re ed imperator de' Romani suo sovrano; e l'immediata amministrazioneal senato ed al popolo romanoche non solamente se ne incaricavano senzacontrasto ma lo esigevano coll'armi alla mano. Esortavapertantoilsenato ed il popolo a rimaner saldi nella loro impresa ed a sostenerqualunque travaglio in una causa che riguardava non solo i loro temporalivantaggima il servizio di Dio e il bene della Chiesanon pur di Romama ditutta la Cristianità. A tal fine li confortava non solo a tener saldo ilsenatoma a rimettere in piedi tutte le antiche costumanze della romanarepubblical'ordine equestre ed il plebeoil Campidoglio e le antiche leggi.
Ottone di Frisinga e Guntero lo aggravano d'aver indotto ilpopolo di Roma e ad abbattere gli splendidi palagi dei cardinali e de' nobili diRoma e ad offendere le loro persone; ma in ciò lo aggravanoindebitamente; perchè tutto ciò avvenne a' tempi di papa Lucioprima cheArnaldo andasse a Roma; e i Romani scrivononella lettera al re Corradod'averlo fatto fin d'allora; ed oltre a ciòquelle case erano ridotte amaniera di fortezze e ad uso di guerra; onde la ragion della guerra voleva chesi espugnassero le fortezze nemiche e si offendessero le persone che ledifendevano.
Gli venne ancora attribuitonella lettera del clero romanoal papa Eugenio allora dimorante in Brescia e in quella dello stessoclero ad Adriano IV allora dimorante in Beneventoche avesse sottratto partedel clero e del popolo all'ubbidienza dovuta agli arcipreti-cardinali dellechiese matrici e vi si colorisce tutto ciò della nera tinta di scisma.Nulla di più ingiusto e di più frivolo. Quando Adriano scrisse la lettera dirisposta da Benevento al clero di RomaArnaldo era già mortoperchè quelpapa non passò a Benevento se non dopo avere spuntata la morte di Arnaldo; eperciò qualunque cosa fosse quello scismaArnaldo non ne era l'autore. Questoscisma in sostanza non era altrose non che il clero ed il popolo di qualunquedelle chiese filiali ricusava di andaregiusta il consuetoalle funzioni dellachiesa matrice: cosa che noi veggiamo oggidì andata in disusonon per altroche per la continua natural ripugnanza che hanno sempre avuto i popoli diandarvinon istigati da altrettanti Arnaldima ritenuti da naturale spiritod'indipendenzadall'abborrimento dell'incomodo di condursi ad una chiesalontanae da particolari disgusti o litigii col piovano della matrice. In unacittà poi cotanto divisa da contrarie fazioni quanto in quel tempo eraRomanulla era più naturale di quel che il clero e il popolo d'una fazionevedesse di mal occhio l'arciprete-cardinale che fosse dichiarato per la fazioncontraria; e perciò essendo usato a fare le sue funzioni d'ordinario nellapropria chiesa filialericusasse d'andare nei consueti giorni alla chiesamatrice. È ben certo che Arnaldo non attaccava punto gli spirituali dirittidelle chiese; anzi non per altro attentava alla temporale signoria degliecclesiasticise non perchè eglino fossero più attenti alle spiritualiincumbenze: e perciò queste novità non pure non erano secondoma erano contrale sue intenzioni.
Arnaldo rimase in Roma per tutto il tempo del papa Eugenioil quale al contrario potè pochissimo tempo dimorare in Romae sol verso ilfine della sua vita vi si stabilìdopo aver coi Romani fatto un accordopercui lasciava sussistere il senato. Sebbene conservò il pensier d'abolirlo eda questo oggetto si pose con tanto studio ad accarezzare il popolo con limosinee benefiziicheper attestato di Romoaldo Salernitanose la morte nol rapivaintempestivamente a' suoi disegniavrebbe spuntato col favor del popolo stessodi spogliar della loro dignità i senatori. Morì Eugenio III a' 7 di luglio del1153a cui dopo due giorni fu sostituito Anastasio IVche mori a' 2 didecembre dell'anno stesso 1153e nel dì seguente gli fu sostituito Adriano IV.
Adrianonon men desideroso che Eugenio di ricuperare esostenere la sua sovranitàpensò di giungervi col togliere da Roma ed anchedal mondo la persona di Arnaldo che fomentava la fazione a sècontraria. Lo scomunicò dunquee lo bandì; ma nè il bando gli fruttò puntoperchè Arnaldoprotetto dal senato e da diversi potentiproseguì a rimanereivi fermoe sostenere la sua dottrina; nè la scomunica perch'egli ladichiarava illegittima ed invalida. Avvenne che il cardinale di Santa Pudenzianache doveva essere de' più malveduti dal popolo pel suo attaccamento allafazione pontificiaandando a palazzofu insultato da uno de' Romani e ferito amorte. Il papa Adriano colse con pronta avvedutezza questo accidente per venirea capo de' suoi desiderii: perciò pose in interdetto tutta la città finchènon fosse cacciato Arnaldocome incentore del popolo e cagione di questidisordini. Era imminente la Settimana Santae il popolo bramava ardentemented'aver le chiese aperte per celebrarvi i consueti solenni uffizii: il clerosollecitava il popolo a dimandar che fosse levato l'interdettoed a promettereperciò di cacciare Arnaldo; e ne fu cacciato.
Mentre egli cercava altrove ricovero un cardinale lofece inseguire dalle sue genti che lo arrestarono: e già il conducevanoa Roma per consegnarlo nelle mani del prefetto della cittàche doveva farlomorire. Ma saputasi la cosa a tempo da certi conti della Campania suoi amicieche lo riputavano per santoessi il rapirono a forza dalle mani dei suoinemicie lo posero in uno dei loro castellisenza lasciar penetrare a niuno inquale di essi lo avessero posto
().Intanto l'imperator Federigo I trovavasi in Italiadiviaggio a Roma per prendervisecondo il costume di que' tempila coronaimperiale. La corte romana avea già molto innanzi stipulati de' vantaggiositrattati con Federigo; il che fu cagione che egli ributtò bruscamentel'ambasciata che i Romani gl'inviarono prima ch'ei si avvicinasse a Roma; ed alcontrario accogliesse onorevolmente i tre cardinali che gli aveva speditiincontro il papa Adrianoed accordasse loro tutte le dimande propostegli. Trale altre c'era questache Federigo desse nelle mani del papa la personad'Arnaldo. Federigo a tal fine fece imprigionare dalle sue genti uno di que'conti che favorivano Arnaldo nè lo volle rimettere in libertà sinch'ei non glielo consegnasse. Così Arnaldo fu tratto dal castello ove stavanascosto; fu consegnato nelle mani dei cardinalie da questi rimesso alprefetto di Roma che lo fece impiccareabbruciare infilzato in unospiedo il suo cadaveree spargere le sue ceneri nel Tevere perchè ilpopolo non lo venerasse qual santo
().Ciò avvenne l'anno 1155prima de' 18 di giugnoin cui seguì la coronazionedi Federigo essendo Arnaldo in etàper quanto io penso dicirca cinquant'anni.La sua eloquenza fu predicata da' suoi stessi nemici:l'esemplarità de' suoi costumi fu superiore alla loro malignità chèli costrinse al silenzio tutti benchè fossero in sì gran numero; ericevette uno stupendo elogio da san Bernardolume di quel secolo: il qualeessendo stato impresso fortemente contro di luilo giudicò dapprimascismatico e poi per le cose ()del Concilio di Sens lo perseguitò comeereticoed al fine non ebbe più che dire contro di esso! La suadottrina è stata da noi giustificata ne' due libri dell'Apologia cheabbiamo di lui fatta: e il suo coraggio e il suo zelo per la disciplina dellaChiesa sono abbastanza testificati dalle fatichedalle persecuzionie dallamorte che incontrò per cotal causa.
ARNALDODA BRESCIALe occasioni strepitose in cui la persona del nostroArnaldo figurò in Bresciain Francia e in Roma; i personaggicospicuicoi quali o ebbe a cozzare (Maifredo vescovo di BresciasanBernardoe tre papiEugenio IIIAnastasio IV e Adriano IV)o chefurono suoi amici (il cardinal Guido da Castellopoi papa CelestinoII)o che furono adoperati al suo sterminio (qual fu il famosoimperator Federigo I e il prefetto di Roma)ben confluiscono non pocoa rendere eterno il suo nome e a dare de' talenti edell'abilità straordinaria d'un semplice privato una irrefragabiletestimonianza.
PERSONAGGI.
ARNALDO da Brescia.
ADRIANO IVpontefice.
GIORDANO PIERLEONI.
LEONE FRANGIPANI.
ANNIBALDOnobile Romano.
GUIDOcardinale di Santa Pudenziana.
OTTAVIANOcardinale di Santa Cecilia.
Un CARDINALE di Santa Maria in Portico.
Alcuni altri Cardinali.
Senatori Romani.
Popolo Romano.
Legati della Repubblica Romana.
PIETROprefetto di Roma.
Un Sacerdote che annunzia la scomunica al Popolo Romano.
Alcuni del Clero.
OSTASIOconte di Campaniae seguace di Arnaldo.
ADELASIAsua moglie.
Donne Romane devote e penitenti del cardinal Guido.
Un MonacoMandato di un cardinale.
Un CAMERIERE segreto del papa.
Un ARALDO del papa.
Capitani e Soldati Svizzeriseguaci di Arnaldo.
Capitani e Soldati della Repubblica Romana.
GALGANO E FERONDOsoldati di Giordano.
Soldati di Leone Frangipani.
Soldati del papa e di un cardinale.
Il Carceriere del Castello Sant'Angelo.
Abitanti di Tortonad'Astidi ChieridiTrecatedi Gagliatescampati da quelle città e terre distrutte daFederigo Barbarossa nella prima sua venuta in Italiae un Sacerdotedei contorni di Spoleto. Di questi si compone il Coro nell'attoquarto.
FEDERIGO I della Casa di Sveviadetto Barbarossa.
OTTONEvescovo di Frisinga.
OTTONE Palatino conte di Baviera.
ROBERTOprincipe di Capua.
SERGIOduca di Napoli.
Ammiragli Pisani.
Principi e Vescovi Tedeschi.
Soldati Tedeschi.
Soldati Svizzeri sotto le insegne di Federigo.
Araldo e Scudiero di Federigo.
ATTO PRIMO.
Piazza vicina al Campidoglio.
SCENA I.
GIORDANO PIERLEONELEONE FRANGIPANI
Popolo Romano.
GIORDANO
Destatevi… sorgete… il nostro sangue
Si traffica nel tempio; e son raccolti
Tenebrosa congregai cardinali
A vestir del gran manto un altro lupo
Che pastore si chiami. Un dì sceglieste
O Romaniil pontefice(): gli antichi
Dritti il fero Innocenzo appien vi tolse
E compì l'opra d'Ildebrando audace.
Cesare colla stolaei far volea
Del mondo un tempio onde l'amor fuggisse
Uno il pensierouno il volereed uno
Tiranno a un tempoe sacerdotee Dio.
Mirate l'opra sua! Roma deserta
Dal Laterano al Colosseo(): guidava
Il normando furore e il saracino;
Fremea la sua preghierae maledisse
Colui che non insanguina la spada().
Imprecando morì: così perdonano
I vicari di Cristo ai lor nemici.
Barbari cardinali alzan dall'are
Colle man sanguinose un Dio di pace
E coi rifiuti delle mense opime
Dopo i veltri ci pascono. Latino
Sangue gentilesopportar saprai
Servitù così vile? ognor costoro
Sopra il vasto cadavere di Roma
Come l'ïenaa divorar staranno
Dei barbari gli avanzi?
LEONE FRANGIPANI
I detti suoi
Sono un blasfema: io con orror li ascolto.
PARTE DEL POPOLO
Morte a Giordan!
ALTRA PARTE DEL POPOLO
Viva Giordano! il fuoco
Strugga le torri ai Frangipani.
LEONE FRANGIPANI
È degno
Di seguirsi costui: le glorie antiche
Ricordi chi per avo ebbe un Giudeo().
Sia vostro repoichè ubbidir sdegnate
Al vicario di Dio: non sei cristiano
Nemmeno d'acqua.
GIORDANO
Vil calunnia è questa.
LEONE FRANGIPANI
D'Anacleto germanRoma dividi
Com'ei la Chiesa.
GIORDANO
Era Anacleto il vero
Pontefice di Roma: ai sommi onori
Lo alzò il voto dei più.
LEONE FRANGIPANI
Mostra la tomba
Del tuo papa Giudeo: certo in profano
Loco fu posto; un terren sacro avrebbe
Le infami ossa respinte().
GIORDANO
Empioche sai
Degli eterni consigli? IddioRomani
Giudicava Anacletoed io l'ho pianto.
LEONE FRANGIPANI
Lacrime infami! Egli col ferro aperse
Ogni tempio di Romae corse il sangue
Nella magion di Dio: fremer si deve
All'empio nome.
GIORDANO
Anche Innocenzo è reo.
È noto a voi che i sacerdoti accolti
Pregato non avean riposo eterno
Sul fral d'Onorioe nol chiudea la terra
Nel suo placido senquando le pronte
Mani distese alla fatal tiara
Il rival d'Anacletoe poi sedea
Solitario tiranno in Laterano.
Nè gli bastò: fra le ruine antiche
Che hanno in rôcca converse i Frangipani
Quel vil s'ascosee allor venia dall'arco
Di Costantinsempre funesto a Roma
D'inulte morti alta ruinae volo.
Mentre l'Europa parteggiar fu vista
Fra Innocenzo e Anacletoe sempre incerta
Chi della sposa dell'Agnel celeste
In terra fosse adultero o marito
E fu nei templie più nei corla guerra
Per licenza di spade e d'anatemi
Mi creaste patrizioed una santa
Voce destovvi dal maggior letargo
Che un popolo dormisse.
POPOLO
Ahi questa voce
Era d'Arnaldo; ei ne lasciò!
LEONE FRANGIPANI
Dovea
Ove Pietro morìvivere Arnaldo?
Ben fuggiva costui: se morto ei fosse
Nella santa cittadeio nei sepolcri
Degli avi tuoiche hanno da Giuda il nome
Dato gli avrei riposo.
GIORDANO
Arnaldo è santo…
LEONE FRANGIPANI
Arnaldo è un empio: sostener gli errori
Ei d'Abelardo osòfolle scudiero
Del novello Golia().
GIORDANO
Tu mal ripeti
Di Bernardo il garrir: silenzio eterno
Or preme il labbro al menzogner profeta().
Non mai parlato avesseo di sue fole
I monaci pasciuto!
LEONE FRANGIPANI
Empiot'ascolta
L'onor di Chiaravalle: è presso al trono
Della Madre di Dio: son le sue lodi
Ch'ei scrisse in terraripetute in cielo;
Gioia dei Santi.
GIORDANO
E qui per lui si piange.
Agitator di Francia e di Lamagna
E dei monarchi al fianco in ogni trono
Vaticinando l'avvenir sedea
Con umiltà fastosae le sue lane
Lieto agli stolti dispensandoEuropa
Dentro l'Asia mirò precipitarsi.
Invan le donne nei desertï letti
Gridaro a quel feroce: I santi nodi
Rompi pria della mortee tanto estingui
La carità di padre e di consorte
Che di sette fanciulli un uomo appena
Consola il pianto. Abbandonate il mondo
Costui rispose: le città sian vote
Ma pieni i chiostrionde su tutti io regni()
Poichè vinse Aladinoe d'insepolte
Ossa cristiane biancheggiar si vide
In Cilicia ogni rupeil folle capo
Che all'Europa mentìBernardo ascose
Ai fremiti del mondo; e dato avesse
Alle vittime sue silenzio e pianto!
Ma impudente e crudeldella superba
Voce a scusar gli oracoli bugiardi
Quei prodi estinti a calunniar si pose
Ch'egli ingannato avevae i suoi devoti
Tormentò coi terrori e coi flagelli.
LEONE FRANGIPANI
Fuggiteloo Cristiani: vi sovvenga
Che sul capo a Giordan sta l'anatèma()
Ch'Eugenio vi lanciò: parlar coll'empio
È delittoe periglio. Io qui venia
A difender la Chiesa: e non udiste
Voi di Datano e di Abiron gli esempi
Rammentarvi dall'are? Un'altra volta
Alla vendetta delle sue ragioni
Iddio potrebbe spalancar la terra…
E non tremate?
GIORDANO
Ipocrita! dovea
Ai piè dell'empioonde nascestiaprirsi.
Ricordate Gelasioil santo veglio()
Che dal voto comun le chiavi ottenne
Ch'ei serbò pocoe che volgea soavi:
La tïara io mirai del buon pastore
Splender sull'umil capoe al suon degl'inni
Fumar gl'incensi a Cristo in sacramento
Quando s'udia dai sacerdoti accolti
Del chiuso tempio rimbombar le porte
Che dai cardini suoi cadon divelte.
L'altar s'inonda di ladroni; appare
Il più crudel di tutti: era tuo padre:
Quindi un gridareun correreun celarsi
E immobili restar per lungo orrore.
Sventurato Gelasio! e che ti valse
Maestà di ponteficela vita
Scorsa cosìche la vecchiezza è santa
E l'abbracciato altaree Dio presente?
Vile nel suo furorstende la destra
Nel debil vecchio il Frangipan crudele
E il suo tremulo collo afferrae tutta
La persona gli offendee a quel caduto
Pur col piede fa guerra e lo calpesta:
Moltiplicando l'ire e le percosse
Vince l'oltraggio che fu fatto a Cristo.
UNO DEL POPOLO
È vero…
UN ALTRO DEL POPOLO
È ver: tratto Gelasio io vidi
Dei Frangipani alle temute case
Spelonca eterna di crudel masnada.
GIORDANO
E Pierleone in libertà lo pose
Il padre mio. Non v'accorgete? ei tenta
Ricordando il passato indur l'oblio
Dei perigli presentie vi trattiene
Con accorte parolein cui l'umano
Va mescendo al divin: sì l'arti imita
Dell'empia razza che promette il Cielo
Per usurpar la terra. Or via seguitemi
Al Campidoglio.
POPOLO
Al Campidoglio!
UNO DEL POPOLO
Arnaldo
Favellar vi solea.
UN ALTRO DEL POPOLO
Dinne: quel santo
Fra noi tornò?
GIORDANO
Seguitemi… vedrete.
(I più dei popolo seguitano Giordano
ed alcuni rimangono:
Leone Frangipani si ritira per altra parte.)
SCENA II.
POPOLO E NOBILI.
UNO DEL POPOLO
Fra i Pierleoni e Frangipani è guerra:
Perfidi entrambie a parteggiare avvezzi
O per l'Impero o per la Chiesa.
UN ALTRO DEL POPOLO
Ignoro
Se un eretico è Arnaldo: io so che a mensa
Gavazzano i patrizie a noi dall'alto
Gittano pietre e strali: andiam ai chiostri
E un pane avrem.
UN ALTRO DEL POPOLO
Foco alle torri: io sdegno
Quel pan che avanza ai monaci pasciuti.
UN ALTRO DEL POPOLO
Qui la misera plebe ognor digiuna;
Cascan di fame i figli miei: potremo
Per molti giorni sostener la vita
Coll'oro dei tiranni.
UNO DEI NOBILI
Udiste! io volo
Il mio palagio ad afforzar; là posso
Difendermi da tutti; e poi le parti
Seguirò di chi vince.
SCENA III.
Piazza sul Campidoglio.
GIORDANOPopolo.
GIORDANO
Io quiRomani
Non vi chiamai senza ragione: Arnaldo
Fra noi tornava.
POPOLO
Ov'è? chè tarda?
UNO DEL POPOLO
Ei venga.
POPOLO
Evviva il santo.
(Comparisce Arnaldo.)
UNO DEL POPOLO
Liberi la Chiesa
Dagli adulteri suoi.
UN ALTRO DEL POPOLO
Respiri alfine
L'aure d'Italiae la straniera polve
Scota dai piedi suoi.
GIORDANO
Quanto è diverso
Da cardinal che siede a concistoro
Che di sangue cristian le vene impingua
E per sè bramae altrui promettee toglie
Di Dio la Sposae ne fa strazio eterno!
Mirateamici! ha pel digiun le membra
Estenüate: sul benigno volto
Regna un santo pallor: l'orma vi resta
D'una lacrima pia. Sulla caduta
Vostra grandezza ei piange; e in occhio umano
V'ha pianto degno di sì gran sventura?
Non sia privato lutto ove tu giaci
Regina delle genti; ed una sola
Croce io vorrei sopra le tue ruine.
POPOLO
Qual v'ha rimedio?
ARNALDO
Libertadee Dio.
Voce dall'Orïente
Voce dall'Occidente
Voce dai tuoi deserti
Voce dall'eco dei sepolcri aperti
Meretricet'accusa. Inebriata
Sei del sangue dei Santie fornicasti
Con quanti ha re la terra. Ahi la vedete:
Di porpora è vestita; oromonili
Gemme tutta l'aggravano(): le bianche
Vestidelizia del primier marito
Che or sta nel Cieloella perdè nel fango.
Però di nomi e di biasfemi è piena
E nella fronte sua scrisse: Mistero.
Ahi! la sua voce a consolar gli afflitti
Non s'ode più: tutti minacciae crea
Con perenni anatèmi all'alme incerte
Ineffabili pene. Gl'infelici-
Qui lo siam tutti- nel comun dolore
Correano ad abbracciarsie la crudele
Di Cristo in nome li ha divisi: i padri
Inimica coi figlie le consorti
Dai mariti disgiungee pon la guerra
Fra unanimi fratelli. È del Vangelo
Interprete crudel: l'odio s'impara
Nel libro dell'amor. Gli anni son volti
Che il rapido di Patmo Evangelista
Ne profetò: per ingannar le genti
Rotte ha Satanno le catene antiche
E siede la crudel sull'infinite
Acque del pianto che per lei si versa.
Il seduttor dell'uomo all'impudico
Labbro due nappi appressa: in uno è sangue
Nell'altro l'oro; e quell'avara e cruda
Beve in entrambisì che il mondo ignora
S'ella più d'oro o più di sangue ha sete.
Perchè salì costei dalle profonde
Viscere della terra al Campidoglio?
Fu bella e grande nelle sue prigioni.
Signorquei che fugaro i tuoi flagelli
Più l'ostie mute a trafficar non stanno
Del tempio tuo sul limitar; ma dentro
Si vende l'uomoe il sangue tuo si merca
Figlio di Dio.
POPOLO
Che ne consigli?
ARNALDO
All'empia
Scettro e spada toglietee alfin vi renda
Le malnate ricchezze.
UNO DEL POPOLO
Andiam le case
Dei cardinali a depredar.
UN ALTRO DEL POPOLO
Ma ricchi
Sono i patrizi ancor.
ARNALDO
Popoloascolta…
Frenatevi… la legge…
UNO DEL POPOLO
Ahiqui la legge
Solo i poveri frenae da gran tempo
Viviam derisiignudi. E quale è il frutto
Della tua libertà?
ARNALDO
M'udite: il clero
Tutto acquistò con forza o con inganno.
Ei qui possiede ampi dominie tolti
Agli avi vostri; egli qui fe' la terra
Sterilevota ed insalubre; e Cristo
Re della vitacircondò di morte.
Ma dei facili colli all'aër puro
Con empio lusso edificò superbe
Pei monaci delizie: a voi tuguri;
I palagi per loro.
POPOLO
Evviva Arnaldo!
ARNALDO
Io da quel giorno che di fole e vento
Pascer sdegnava il popolo Cristiano
Provai lo sdegno di crudel pastore
E dal loco natio per grave esiglio
Divenni peregrin: v'è noto il mio
Affannoso vagar di gente in gente
Per la dottrina che sarà feconda.
Dell'Appennin sui gioghie fra l'eterne
Nevi dell'Alpioh quante volte errai
Mutando i passi insanguinati e stanchi.
Vi fia noto ond'io tornoe qui vedrete
Altre genti adunarsi al mio vessillo
Ch'è quel di Cristo: ma con voiRomani
Era sempre il mio cor: muto divenga
Italiase t'oblio! Quasi due lustri
Qui contro Eugenio io stettie quella sacra
Fiamma nutriiche vi riarde i petti.
Costui cominciò lupoe poi fu volpe
E prodigo di pane ai rei mendichi
Qual merce vil la libertà di Roma
Comprar sperò dal volgo: il reo disegno
Morte interruppee liberal Giordano
La penuria fugò. Questa ritorna
Se una cieca licenza alle rapine
Precipitar vi fa: poveri tutti
Fa la rapinae nasce ogni delitto
Che genera rimorsi: i sacerdoti
È noto a voi che trafficar gli sanno.
Quante volte gridai da questi colli:
Non lice al clero posseder; gli basti
Con parchi cibi a sostener la vita
Quanto gli offre il fedel; nè tesoreggino
Il furore di Dio pastori avari
Che hanno nell'arche l'anima sepolta;
E la santa virtù gli rimariti
A quella che sposò Cristo col sangue.
Quanto il clero acquistò con lungo inganno
Parta fra voi la leggee non dovrete
Mendicare o rapir. Forse temete
Poco ottenerse da gran tempo il mondo
Coi suoi tributi a satollar non basta
La cupa fame della lupa ingorda?
POPOLO
Leggisìleggi…
ARNALDO
Perchè alfin tu torni
A grandezza e virtùpopol di Roma
E quel che fostie dove sei rammenta.
Il Campidoglio è questo: ecco il ruggito
Di mille vocie mille petti alzarsi
Con fremito sdegnoso. A questo nome
L'aura sentite dei trionfi antichi
Sulle libere fronti. E tempio in pace
E rôcca in guerra ei fu. Dal sacro monte
Scendae nei chiostri a inabissarsi vada
Chi servitù sognasse. Ecco il Tarpeo
Novamente afforzato: armi vi sono
A difender la patriae qui sedete
A libero consiglioe son risorte
Quelle virtù che il sacerdote aborre.
Or da quei sassiove regnò l'oblio
Vien memoria e rampogna. A voiRomani
Queste ruine parlano: sul volto
Vi leggo i segni di dolor sublime.
Ogni sepolcro interrogar vi piace
E fra le tracce del valor latino
Aggirarvi sdegnosi e riverenti
Chè la terra ad ognunFermatigrida
Tu calpesti un eroe. Sull'ardua cima
Qui saliro ai trionfied or d'astuti
Monaci iniquitraditori e molli
L'eterna gente ove non nasce alcuno()
S'edificò sulle ruine il nido;
Chiuse fra l'ombre sue marmi custodi
Di ceneri famosee poltroneggia
Fra le glorie di Roma e le sventure.
O Campidoglioov'io m'aggiro e fremo
Scoti il peso più vil da cui la terra
Esser possa costrettae non si trovi
Sopra la via dei tuoi trionfi antichi
L'ignominia del mondo: ostacol turpe
Son le lor case agli occhi. Oh! d'altra parte
Le sparse membra contemplar vi piaccia
Dell'eterna Cittàla cui grandezza
Sembrò favola ai vilie con un guardo
Fece il terror del mondoe il suo destino.
Tu soloo Romasotto il Ciel sembrasti
Fuor dell'ira del fato e della morte:
Il tempo stessovincitor di tutto
Non si fidò nelle sue forzee chiese
Ai barbari soccorsie ai sacerdoti.
Ma non ferronon fuocoe non la polve
Di lungo oblio le tue superbe moli
A ricoprir bastò: sfidano il Cielo
Vincitrici dei secoli. Lo giuro
Pei vostri fati; così voiRomani
Trionfar dei tiranni alfin saprete.
Leggiche molta età fe' stanche e mute
Vi piaccia rinnovar: titoli antichi
Ma glorïosi ancor. Consoli vanta
Ogni città d'Italiae tra voi nacque
Quel magistrato augusto allor che Bruto
Segnò dei regi l'ultimo delitto()
Col ferro che traea dal sen pudico
E il primo Sol di libertà splendea
Sul sangue di Lucrezia. E quiRomani
Quel venerato ufficio è solo un nome
Scritto sulle ruine: alfin risorga:
Alfin vi piaccia ristorar la santa
Maestà del senatoe i cavalieri
Fra la plebe e i patrizi ordin vetusto.
POPOLO
Come? i patrizi?
ARNALDO
Ma vi sian tribuni
Ch'abbiano sacra la persona; e questi
Sian difesa alla plebe. Amo la plebe
D'esser plebeo mi vanto; e il grande io seguo
Liberator dei servi: ei fra le turbe
Il pan divise e la parola eterna
E fra gli oppressi ritrovò gli amici.
Or su i troni di Francia e di Lamagna
Cerca tiranni il Fariseo novello
E di Cesare in nome un'altra volta
Sarebbe Cristo ucciso.
PARTE DEL POPOLO
Or sucreiamo
Console Arnaldo.
UN'ALTRA PARTE DEL POPOLO
Sia tribuno Arnaldo.
ALTRI DEL POPOLO
Non è Romano.
ARNALDO
Nell'Italia io nacqui.
Odio popolo mio: benchè lontano
Sul tuo destin vegliava. A tutti è noto
Che le spelonche sue Lamagna aperse
E i nostri campi un'altra volta inonda
Barbarico diluvio: ed ioRomani
Pria che tra voi tornassiin santa lega
Unir tentava le città lombarde.
Oh ferreo petto e mille voci avessi!
Non per accesi detti arida e stanca
La lingua che gridò: Siate fratelli
Quanti fra l'Alpi e Lilibeo spirate
Il dolce aër d'Italiae un popol solo
La libertà vi faccia. O Campidoglio
Dell'eco tuo degne parole ascolta;
Ripetile a ogni colle: aureche il petto
Respirava di Brutoad ogni orecchio
Portatele fra noi. Se Italia sorge
Qual fosse un uomocon voler concorde
Spade non chiegga a debellar Tedeschi
Da quella terra ove calpesta i fiori
Il ferreo piè dei suoi corsier superbi;
Raccolga un sassoin lor lo vibrie basta.
A questo ver che non si grida assai
S'apra ogni core ch'io non parli indarno.
Nè crediate però ch'esser qui voglia
O consoleo tribun: porpora ed oro
Copran colui che a Costantin succede
In queste pompee non a Pietro. O Roma
Qualunque il merti agli alti uffici eleggi
Fra l'italica gentee si ristori
Con sennofiglio degli esempi antichi
La repubblica tua: dei miei consigli
Non sarò parco ad ordinar lo stato.
Se questo avvengaedificarmi io voglio
In quel desertoove insegnava il vero
Quell'Abelardo che mi fu maestro
Tugurio vil che sia di terra e canne:
Là veglierò nella preghierae al Cielo
Alzerò voce che del Cielo è degna
Nè mai sorge dal cor dei sacerdoti.
Libera sia Romal'Italiail Mondo
E poi la morte a Dio mi riconduca.
POPOLO
Chi giunge mai?
UNO DEL POPOLO
Veggo la polve alzarsi
Dalla soggetta valle.
UN ALTRO DEL POPOLO
Odo più presso
Un calpestio di rapidi cavalli.
POPOLO
Mano alle pietre!
UNO DEL POPOLO
In Campo Marzio io nacqui.
UN ALTRO DEL POPOLO
Trasteverino io son.
ARNALDO
Siate Romani.
UNO DEL POPOLO
Son cardinali.
UN ALTRO DEL POPOLO
Empia genia.
ARNALDO
Mirate
Quanto orgoglio di manti: a voi mendichi
Un obolo si gettae quei superbi
Fan morder l'oro ai palafreni ardenti
Usi coi piedi a divorar la via.
UNO DEL POPOLO
Leon li guidae ha in man la spada.
SCENA IV.
Il CARDINAL GUIDO DI SANTA PUDENZIANA con altricardinali a cavalloe LEONE FRANGIPANI coll'insegne di prefettodi Roma.
IL CARDINAL GUIDO
Udite.
A pontefice abbiamo il cardinale
E vescovo d'Albano; e a lui piacea
Adriano chiamarsi().
UNO DEL POPOLO
Il suo cognome?
UN ALTRO DEL POPOLO
La patria sua? Nol conosciamo.
UN CARDINALE
Ei presto
Conoscer si farà.
UN ALTRO CARDINALE
Brechspir Britanno.
GIORDANO
Empia razzacrudelsceglievi a Roma
Un barbaro in pastore!… ei già col nome
Ci lacera gli orecchi.
ARNALDO
Io mai non chieggo
Ove nacquer costoro; e a lunga prova
VoiRomaniper Diosaper dovreste
Che non han patria i sacerdoti.
LEONE
Ohfine
A queste voci irreverenti e stolte.
Lasciate il Campidoglio: ognun ritorni
Alle sue case: assai di due ribelli
Abominati d'anatèma udiste
L'eretiche parole. Or che si tarda?
Tosto di qui sgombrateo a porvi in fuga
Con molti prodi che gli son fedeli
Adriano verrà.
ARNALDO
Lucio ricordi: -
E tuRomanoallo stranier tiranno
Se ascender osa il Campidoglioaddita
L'orme del sangue pontificio(). Immobili
Qui come il sasso del Tarpeo si resti.
LEONE
Cedete a questa venerata insegna
Di vetusto poter. Prefetto io fui
Della santa Cittadee i dritti antichi
Adrian mi rendea.
GIORDANO
Costui ristora
Ciò che Roma abolì.
UNO DEL POPOLO
Non più prefetto;
Il patrizio vogliam().
UN ALTRO DEL POPOLO
Viva Giordano.
ARNALDO
Viva la libertà! dal popol viene
Ogni possanza: quella spada infame
Franger vi piacciae calpestar nel fango.
Tinto del sangue di Crescenzioe fatto
vile dai suoi rimorsiOtton la diede
Un Cesare Tedescoalla tremante
Mano d'uom ligioe fu pallore uguale
Nel volto dello schiavo e del tiranno.
Poi la spada crudelee benedetta
Per ogni astutoond'è querela eterna
Fra corona e tïarae croce e scettro
Andò di schiavo in schiavoe alfin pervenne
Al più vile di tutti.
(A Leone Frangipani è tolta e poi rotta la spada per alcuni delpopoloed egli impaurito s'allontana.)
IL CARDINAL GUIDO
Un tanto oltraggio
Cesare offendeed Adrianoe Dio.
Dal Ciel discende la virtù che spira
Nei nostri petti: a sostener sue veci
Cristo elesse Adrianchè la sua fede
Nella Norvegia egli recò.
ARNALDO
Mentite:
Nella barbara terra il crudo Olao
Quella dottrina che dal sangue aborre
Mal seminò col ferro. Esser potrebbe
Apostolo un tiranno? In sì remote
Genti io non so ciò che Adrian facesse:
Forsecome Ildebrandoal re Britanno
Per la romana curiaomaggi ed oro
Chiesti vi avrà.
UN CARDINALE
Povere son.
ARNALDO
Chi tanto
Povero fu che voi non siate avari?
Molto lor tolse il ferroe colla frode
Certo Brechspiro li avrà fatti ignudi:
Son rapine le vostree sembran doni.
Costui m'è noto: da uno schiavo ei nacque
E d'esser schiavo è degno: egli al Normando
Che la sua patria opprimeè fatto amico.
Mendico errante d'Avignon nei chiostri
Giungea fanciulloe ministrar fu visto
Negli uffici più abietti: ivi a quei falsi
Monaci piacque per dolcezza astuta;
Lor arti appresee fra gl'inganni e l'ire
Sorger potea dalla natía lordura
A tiranno dei vili.
GIORDANO
Iniqui! un servo
Pontefice di Roma!
UN NOBILE
E fia sofferto
Da noi patrizi?
IL CARDINAL GUIDO
Rimaner più a lungo
Qui non dovremmo: ma pietà ci stringe
Dell'alme vostre. Sono al Cielo in ira
Ed Arnaldo e Giordanoambo divisi
Dal grembo della Chiesa: è un gran peccato
La vostra libertade.
ARNALDO
Empio! che dici?
È nel Vangelo un ver che ci sublima
E non ci avvalla nel servaggio; e Cristo
Uomo si fe' per sollevarci a Dio.
IL CARDINAL GUIDO
Teco non parloeretico. - Romani
Se il gregge errante allo smarrito ovile
Non riconduce del Pastor la verga
Ad esso è forza d'invocar la spada
Chese ai monarchi è dataalzar si deve
Al cenno sol dei sacerdoti. È presso
Lo Svevo Federigo: i suoi disegni
A voi noti esser denno: ei già da questi
Splendidi sogniche fra voi rinnova
Un monaco infedelcolle sue fiamme
Desta i Lombardied a riprender viene
Ciò che Italia usurpavae nel furore
Del suo lungo soffrircolle ruine
Gode farsi la via. Quanta diversa
È la Chiesa con voi! soffre ed aspetta
Imitando l'Eterno. Ah! più non pianga
Su i figli che delirano; tornate
Al suo materno sen: qui venni i giusti
A separar dai reprobi. Già rugge
La tempesta di Dio: fedeli agnelli
Stringetevi al pastorchè dirgli io possa:
Eran smarritied a perir vicini
Li ritrovava.
UN CARDINALE
(Questi versi sono detti in disparte dal cardinaleai suoi confratelli.)
Andiamfratelli: invano
Qui venuti non siam… piange il devoto
Femineo sessoe lacrime caduche
Stan sul ciglio dei vecchi… Ecco che molti
Abbandonano Arnaldoe ognor più rara
Divien la plebe che gli fa corona.
Mobili son gli affetti suoi… si tragga
Tosto con noi pria che la muti Arnaldo.
Qual fulmine che dorme entro le nubi
Era il silenzio in lui: schiuder lo veggo
A tremenda risposta il labbro audace
Che incenerisce colla sua parola. -
Chi è Cristiano ci segua; e voi tremate
Che qui ardite restar. Cesare viene
Del papa i dritti a sostener: punirvi
Più dei Lombardi ei dee. Siete ribelli
Alla Chiesa e all'Impero. - Or qui rimani
(Queste cose dice sommessamente all'Annibaldi.)
Annibaldo fedel: nei petti imbelli
Tucon un falso che somigli al vero
Cresci i terrori del vicin periglio.
SCENA V.
ANNIBALDOARNALDOPopolo.
POPOLO
Che faremoo signor?
ARNALDO
Voi lo chiedete?
O vincereo morir. Col quarto Arrigo
Per l'ingrato Ildebrando han pur saputo
I vostri avi pugnar: contro il tedesco
Furor non stette la virtù romana
Quando Lotario s'addestrava al freno
Del rival d'Anacletoe in Laterano
L'ignominia cambiò nella corona
E poi fuggì deriso? Ora quell'armi
Che hanno al fero Alemanno aperto il fianco
S'impugnino da voi: la causa è santa
Son gli stessi i nemicie da sicura
Torre mostrarsie benedir le spade
Arnaldo sdegna. O Libertànel seno
Pur m'arde il sanguee questo sangue è tuo.
ANNIBALDO
Non credete a costui. - Monaco astuto
Volan dal labbro tuo parole altere:
Ma genti che non mai stanca la guerra
Che il furor delle parti in lunghe pugne
Esercitòvincer tu speri? Io vengo
Dalle terre lombardee innanzi agli occhi
Ho il terror dei suoi popoli. Milano
Pria che vinta è discordee sta Pavia
Nel campo dell'Impero()e le sue squadre
Tu sol conosci alla licenza e all'ira
Verso gl'imbelli. Nelle mura infami
Di quell'empia cittade era il trionfo
Apparecchiato all'oppressor crudele
Di questa Italia che non ha fratelli:
Là vidi l'ebro e fetido Alemanno
Ritornar dalle stragie vacillante
Dalle donne pavesi andar soffolto
Con turpi abbracciamenti; e a Federigo
Tardar dense le genti il suo corsiero
E con bacio servile affaticargli
Le mani ancor del nostro sangue asperse:
Eicon rabbia di rege e di Tedesco
Da lungo ossequio liberarleaprirsi
Col ferro a un tempo e col destrier la via;
Nella polveche è nube a quel superbo
Lanciarsi i suoi fedelie chi s'arresta
Calpestaro ferir: degna mercede
Ebbe la gioia degli schiavi. Intanto
Quei campi che feconda il pingue Olona
Teutono cavalier muta in deserto.
Nel dolce pianoe senza colli e selve
Vana è la fuga del cultor lombardo
Che alle timide spalle avvicinarsi
Sente la vampa delle nari ardenti
Nel fumante destrier che lo persegue.
ARNALDO
Tu la possanza del nemico esalti
Ed avvilirci speri? Ahi sono pur troppo
L'Alpi ai Barbari aperte: era Adriano
Detto il pastor che qui chiamògli()e v'era
Un sacerdote ad insegnar la via.
Pera dell'empio il nome. Allor l'altare
Divenne un tronoe sol possanza ed oro
Cercò la Chiesa: e voiribelle o schiavo
Ognor mirate chi quaggiù di Cristo
Sostien le vecie mal da lui si noma.
Una catena insanguinata unisce
L'Italia alla Germania; è suo retaggio
La nostra servitù: ben fra le tombe
Tu scorrio Tebroche ubbidisci al Reno.
Nell'origine sua mostrar che giova
La fiumana del sangueove travaglia
Pierla tua naveche sì male è carca? -
Del presente si parli. A voiRomani
Dirò quei casi che costui vi tacque:
Ingannarvi non so. Rosate è fatto
Una ruina() da cui sorge il fumo
E guidava il signor di Monferrato()
L'armi alemanne contro Chieri ed Asti
Converse in polve: il suo pastor crudele
Tal fe' vendetta delle proprie offese
Sul gregge fuggitivo; egli di faci
Armò le man tedeschee casee templi
Strugger miravae benedisse il rogo.
Ecco il perdono che aspettar potete
Da tiranno mitrato. Un'atra cenere
Mostra quel colle dove fu Tortona();
E di vino e di sangue inebrïate
Vi dormian fra le prede e su i cadaveri
Le belve della Magna; e come pallide
Ombre vaganti per la notte oscura
Quei che al ferro avanzaro ed al digiuno
E ascose il grembo delle tue caverne
Desolata cittàvolsero il piede
Tacitamente all'ospital Milano.
Vi portan ferro ed odioe mille eroi
Nascervi io miro dal fecondo esempio
Che Tortona le diede. Oh! s'io potessi
Santa cittadesulle tue ruine
Riverente prostrarmi ed abbracciarle!
Le reliquie dei forti in prezïosi
Vasi io vorrei raccorree qui dell'ara
Nel dì della battaglia offrirle ai baci.
Oh sia lode al Signor! Più non si muore
Pei ceppi e per l'error: martiri alfine
Haisanta Libertà: per te divenga
Cenere anch'io. - Ma impallidir vi miro.
Romani voi! scendete; oh questo monte
Non è pei vili. Giù. Nell'ima valle
Il tiranno v'attende; ognun si prostri
E dia lacrime e baci al piè superbo:
Pria vi calchi nel fangoe poi v'assolva.
POPOLO
Armi discordie poche abbiam: le mura
Umili sono e ruinose.
ARNALDO
I petti
Son le mura dei forti. E voi credete
Che dia sgomento alle città lombarde
La distrutta Tortona? è un altro esempio
Di feroce valore in pochi forti
Risoluti a morir. Fatiche e sangue
Costa al tumido Svevoancor ch'ei guidi
Il fior dei suoi vassalli; e per più tempo
Trattenne il corso del furor tedesco
Una sola cittàche Italia intiera
Quando in età codarda al primo Ottone
Fu vittoria l'entrarvi. Alfin migliori
Noi siam dei nostri padrie ne calunnia
Il sacerdote lodator degli avi
Cui l'astuto facea coi suoi terrori
Trista la vitaed il morir tremendo.
Non conoscon paura e Crema e Brescia.
Ma che parlo di lei? Ferma qual rupe
Milano stanè crolla il capo altero
Al vento di Soaviaed è sì grande
Il suo valorche solo in lei potrebbe
Rompersi l'onda del tedesco orgoglio.
Magnanima cittàcombatti e vinci;
Ma se cadessinon temer: risorgono
Le mura che bagnò libero sangue;
Son fra gli schiavi le ruine eterne.
POPOLO
Tu ci oltraggisignor!
ARNALDO
Perchè si trema
Pria che suoni la tromba? O tuche fosti
Già re del mondo e nell'Italia il primo
Or l'ultimo sarai? Diran le genti
Che non mentì Bernardoil mio nemico
Quando ad Eugenio ei scrisse: «I tuoi Romani
Ribelli o vilidominar non sanno
Nè impararo a ubbidir; perchè li temi?()
All'Europa mostrò Tivoli umile
Che han parole superbe e piè fugace().»
POPOLO
Non più; cessao morrai.
ARNALDO
Popolt'ho desto;
Ora svenar mi puoi: ma pria nel sangue
Di quella gente che mancipio è fatta
Di tiranno crudelea Dio prometti
Lavar l'infamia onde tu piangi e fremi.
UNO DEL POPOLO
Evviva Arnaldo!
UN ALTRO DEL POPOLO
All'armi!
ALTRI DEL POPOLO
Ognun qui gridi:
Morte ai barbarimorte!
ARNALDO
Ahi sol gridate:
Morte al feroce venditor di sangue
Che oppressoopprimee in altri e in sè distrugge
L'immagine di Dio. Romaniudite:
Or tra voi non ritorno a darvi aita
Sol di parole. Poichè in Brescia io tenni
Del popolo le partie a due pastori
Strappai la veste che nascose i lupi
Ebbivi è notonell'Elvezia asilo
E sparsi i semi della mia dottrina
Su fecondo terren. Bernardo astuto
Ch'ebbe labbro soave e cor di bronzo
Fremea da lungied io tuonava il vero
Di Zurigo nei templi e di Costanza
O dagli alti suoi monti; e a quella guerra
Che fa l'uomo all'error pensai piangendo
Quando sotto ai miei piè solo indorarsi
Mirai le nubi che non vince il sole.
O bella Elveziaamo di tue profonde
Valli il misteroe l'invisibil fiume
Che rugge in seno dei creati abissi:
Ma ben più t'amo ora ch'io trassi in Roma
Della tua gente che morir non teme
Due mila prodi.
UNO DEL POPOLO
O generoso Arnaldo!
UN ALTRO DEL POPOLO
Qual figli ei n'ama.
POPOLO
O padree santo.
ALTRI DEL POPOLO
E morte
Ad ogni vile che così chiamasse
Il Sassone Adriano.
SCENA VI.
SVIZZERI DI ZURIGOE DETTI.
ARNALDO
Or viamostratevi
O generosi Elvezi()e al sen stringete
Questi Romani che vi fa fratelli
E Cristo e libertà. Quei santi nomi
Su questa croce che sarà vessillo
Ben fur scritti da voi: perchè cessasse
Il servaggio del mondo Iddio permise
La morte del suo figlio. A ognun rimiro
Sull'intrepido volto il gaudio altero
Della speranza che sorride ai forti:
Già vinceste i tiranni. A voiRomani
Un'emula virtù gli animi accenda;
Con augurio miglior l'aquile alzate
Cui mal diè Costantino il vol secondo
Nè più sia dote ai sacerdoti avari
Roma che abbandonò: da più di mille
Anni qui l'eco dei trionfi è muta.
O testimon delle vittorie antiche
Solitaria colonna in monte ignudo
Al par di te ferma rimanga ed alta
L'alma romana nell'ostil procella
Che freme intorno…() Il Paracleto è santa
Origine di affetti e di pensieri
Onde l'uom dalla terra a Dio si leva;
E alzògli un tempio il mio diletto amico
L'infelice Abelardo(). Ove risiede
Una sostanza unita in tre persone
Voli quest'inno: egli coll'aure eterne
Illumini la mentee scaldi i petti.
Scendi nel nostro esiglio
Spirito Creatore
Che unisci al Padre il Figlio
Col nodo dell'amore:
Coll'ali tue feconde
Consolator disserra
Le tenebre seconde
Che ingombrano la terra.
Per spazio interminato
Tu non scendesti invano;
Agitavi il creato
Con il tuo soffio arcano.
Alla terra la faccia
Il mar copría d'un velo:
Per te dalle sue braccia
S'alza e sorride al Cielo.
O tuche sempre acceso
Sei nell'eterna idea
Di Lui che non compreso
Comprende ed ama e crea;
Vinci col tuo valore
L'odio che ci divide
Che semina il dolore
E la speranza uccide:
Ripeti all'universo
Parole eterne e sante
Monte di sangue asperso
Sangue del primo amante.
Volse alla Madre un guardo
Le diè nell'uomo un figlio:
E a riconoscer tardo
Sei l'immortal consiglio
O secolo feroce
Per voglie al Ciel ribelli?
Gesù dalla sua croce
Ci fece a Dio fratelli.
Ma non creda la gente codarda
Te sol padre di miti pensieri:
Tu non prostri negli animi alteri
La virtude che grandi li fa.
Or colomba ed or aquila voli
Or d'amoror di forza ti vesti;
Come fuoco dal Cielo scendesti
A distrugger la nostra viltà.
Fu libera la Chiesae della terra
Ai confini volò la sua parola:
Sol dell'agnello a cui l'error fa guerra
Il puro sangue le tingea la stola:
Compì nell'innocenza e nel dolore
La legge che ci diede il primo amore.
Locolla appena Costantin sul trono
Che ruppe fede al suo primier consorte
E gli altri veri ella obliò che sono
Nati nel sen della feconda morte:
Ma può star nel sepolcro e nell'oblio
L'uom che nel Ciel ascese unito a Dio?
Perdesti il senso della tua dottrina
O Sacerdote nella carne assorto:
Speri il mondo ingannarse vaticina
La vittoria del vero Iddio risorto?
E il santo Spiritoonde mi vien lo zelo
Discende in terrae la marita al Cielo.
Noi siam suo tempio; ed i leviti avari
Avvezzi a fornicar tra le ruine
Pur col sangue infamati hanno gli altari
Ove Cristo arricchì delle rapine:
E non vi abitio Dioche ti riveli
Dentro il cuore dell'uom più che nei Cieli.
Spirtoche muovi ove tu vuoi le penne
So che al pentito Nazzareo Sansone
Per te la forza un dì maggior divenne
E scosse il tempio ove regnò Dagone;
Come quei crini onde il vigor gli venne
La druda avversa all'immortal ragione
A noi recise le virtù degli avi
E al par di lui ciechi siam fatti e schiavi.
ROMANI
Fugate ha ormai le tenebre
Quel Sol che ci governa;
Vive nel nostro cenere
Una favilla eterna.
Ogni virtù sopita
In noi risorgerà;
Lo spirito è la vita
La vita è libertà.
SVIZZERI DI ZURIGO
Comune abbiam l'origine;
Or non siam più lontani:
Il nostro ferro ai barbari
Dirà che siam Romani.
Tra l'infeconde rupi
Gravi di eterno gelo
Noi pur siam preda ai lupi
Che mai non muta il Cielo.
Vivrem come la libera
Aura dei nostri monti
Quando i crudeli vescovi
Dalle mitrate fronti
Non feriranno i popoli
Col pastoral profano
E tacerà l'Oracolo
Che mente in Vaticano.
ARNALDO
Solche regni nel nostro emisfero
E che or tutto fra noi rinnovelli
Dei tuoi raggipiù ardenti sian quelli
Che saetta la luce del vero.
E la fiamma di spirti novelli
Cresca sempre nel cuor del guerriero.
Vi abbracciate: son più che fratelli
Quei che unisce lo stesso pensiero.
UNO SVIZZERO AD UN ROMANO
Sapraigentil guerriero
Soffrir dell'armi il lampo?
ROMANO
Immobile ed altero
Teco starò nel campo;
Di fuga il sol pensiero
Nel cor non m'entrerà.
SVIZZERO
Se dall'avversa parte
Pugnar tu vedi il padre?
Se colle trecce sparte
Ti chiamerà la madre?
ROMANO
Dei sacerdoti è l'arte:
Io non avrò pietà.
SVIZZERO
Se il popolo qui cede
Della battaglia ai flutti?
ROMANI
Il Tevere ci vede;
Spenti cadremo e tutti.
Sarà ferito in fronte
Chi muor su questo monte.
Pesto egli avrà l'elmetto
Lo scudo aperto e il petto
Dall'aste e dalle spade:
Si muor per libertade.
Infame è quella polvere
Ove il guerrier si giace
Con stral che infitto restagli
Dentro il tergo fuace.
ARNALDO
Se a questi detti alteri
Non hai valor conforme
Diranno gli stranieri:
Bruto qui sempre dorme.
ATTO SECONDO.
SCENA I.
Stanze nel Vaticano.
ADRIANOGUIDO.
GUIDO
Signorconcedi al tuo fedel vassallo
Ch'ei torni in armi al Campidoglioe domi
Della plebe il furor: poscia d'Arnaldo
Dal giardino di Dio svelgasie s'arda
La mala piantache fiorir potrebbe
Ad eresie novelle.
ADRIANO
Uom che in remota
Isola nacquee barbaro vien detto
Dalla superba Italiaa nuovo impero
Vuoi che col sangue or dia principio in Roma?
Gli antichi nomi che rinnova Arnaldo
Nella vota cittàla vita avranno
Del fior che nasce fra le sue ruine.
Io sol pavento la fatal dottrina
Onde l'audace impoverir vorrebbe
D'ogni sostanza il clero. Ahi so che piace
Agli avari monarchi e ai lor fedeli
Che cingon spada: ognun di lor desia
Tornar la Chiesa ai suoi princìpi umili;
Delle sue spoglie rivestirsie santa
La direbbe quel dì che fosse ignuda.
Di Cesare alle porteinfin che a lui
Di svegliarsi piacesseallor dovrebbe
Assiso starsi il successor di Piero
Portentoso cliente; e a pan servile
Come il mendico che da noi si pasce
Stender la mano che dispensa i regni.
Provvide Iddio che il temerario Arnaldo
A libertà desti i Lombardi e Roma
Nè dell'Impero la ragion difenda.
Al suo lungo furor spazio novello
Però concedoe vaneggiar lo lascio
Dietro a quell'ombra che gli par persona
Finchè Cesare giunga. Egli promise
Della torbida Roma il fasto insano
Reprimere coll'armie della Chiesa
Porre Arnaldo in balía.
GUIDO
Signorl'Impero
Tutti gl'iniqui esterminar dovrebbe
Che la spada segnò dell'anatèma
Se al voler di colui che tien le chiavi
Della gloria di Dioservir sapesse
Con un ossequio volontario e pio
Siccome un figlio al padre. Ora fra i due
Occhi del mondo è guerrae di sua luce
Risplender crede quel minor pianeta
Che illumina la notte()e nell'oscura
Selva del mondo ogni mortal smarrita
Ha la diritta via: dal dì funesto
A trattar cominciò destra profana
L'armi immortalie contro noi l'Impero
Una lancia si fe' degli Evangeli.
Tu sei lo spirto che quaggiù gli avviva:
L'eterne leggi interpretar conviene
Solamente a quel re che non traligna.
ADRIANO
Notoo Guidomi sei: t'arde lo zelo
D'una causa ch'è santae non t'accorgi
Che langue il suon della querela antica
Fra l'Impero e la Chiesa()e non divampa
Più la fiamma di Dio nei petti umani.
Or nell'Italia è tanto oblio del Cielo
Che libertà si cercae si combatte
Ma non per noi. Mirar vorrei dai flutti
Combattuta la nave in cui m'assido:
Ma non sarà che nei suoi fianchi aperti
Mormori l'onda vincitrice. Ascolto
Sempre una voce che dal ciel mi grida:
Pietroper la tua nave invan paventi;
Tu porti Iddio. Ma dell'Europa io deggio
Reggere ancor le sortie sono i regi
Parte del gregge un dì commesso a Pietro
Nè la miglior(): sto nell'Italia incerto
Tra Federigo e le città lombarde
Ch'ei s'argomenta di puniree temo
Cesare nuovoe libertà novella.
Una è l'autorità: quando io mi ponga
Ove Milano innalza il suo vessillo
Non ubbidire insegnoe quei ribelli
Ch'io qui condannoin Lombardia proteggo.
Se con Cesare stoschiavo divengo
A quel poter che non vorrebbe eguali
E nell'antica servitù pavento
Ricondurre la Chiesa. Ahi quanto sangue
Si sparse a liberarla!… È nello Svevo
Indole atroce; lo rapisce il primo
Furor di gioventude e di possanza.
Popolo ei guidacheferoce e stolto
Nelle vinte città stima consiglio
Destar la fiamma onde gli tempri il verno.
Nel giorno che a costui diede Lamagna
Premer quel trono ove sedea Corrado
Di lieve fallo gli gridò mercede
Plebeo ministro()e con voce di pianto
Le genti accolte ripetean mercede.
La maestà della sua man severa
Fece silenzio in tuttie a Dio presente
Tutta il superbo sollevò la fronte
Non santa ancora per liquor d'ulivo
Da chi tien le mie veci in Aquisgrana
Gridando: «È la giustizia inesorabile
Nè cede alle preghiere il suo decreto;
Non mi posso ingannar.» Folle blasfema!
Sol non erra quell'uno a cui sul labbro
Parla la voce del Figliuol di Dio.
Io son colui: Svevoil mio loco usurpi…
E la sventura ti farà crudele
Se perdonar non sai mentre ti splende
Il sorriso maggior della Fortuna.
GUIDO
Padre e signorciò che delitto estimi
Non ardisco lodarchè se nell'opra
Esser merto poteacoi detti insani
Lo vïolò: ma pur nel re mi piace
Tanto rigor. Quando ai tuoi cenni ei serva
Con cieco ossequio ed ubbidir veloce
Dovrai sull'ara benedirgli il brando…
Quel dì sospiro in cui d'Arnaldo il sangue
La fè rinnovi dell'antico patto
Fra la Chiesa e l'Imperoe d'ogni male
Svelgano insieme la comun radice
E taccia l'uomo allor che parla Iddio
Sopra il tuo labbro. Tutto in sè l'Inferno
Senta Abelardoche primier le corte
Ali spingea dell'intelletto umano
A temerario volo(); ed empioe stolto
Nella sua scuola dimostrar tentava
Ciò che teniam per fedeed appressarsi
Colla ragione al vero inaccessibile.
Ahi la pronta credenzae dello spirto
La povertàcui fu promesso il Cielo
Per lui s'ebbe a dispetto; e sul maggiore
Dei ministri di Dio vennero a rissa
Pur di Gallia i fanciulli()e l'infinita
Schiera che in gente vana a lor somiglia:
Retro al sofista suo la razza audace
Entrò nel tempio a lacerar quel velo
Che coprì l'arae pur dei Santi il Santo
Fu nei trivi argomento a strepitoso
Garrir di volgo. In quella scuola Arnaldo
Crebbe al delitto: egli quell'armi stesse
Onde fe' guerra al Cielo il suo maestro
Or contro il soglio ha volte e la tua santa
Autoritàche dei monarchi al freno
I popoli educò. Ma l'empia voce
Qui suona ancorperchè lo zelo è morto
Ond'arse in terra il tuo fedel Bernardo
Madre di Dio!() che se ubbidito avesse
La terra dov'ei nacque al suo consiglio
E d'Innocenzo ai cenniil fero Arnaldo
Che nella fuga seminò gli errori
E ai trionfi or qui vien da lungo esiglio
Nelle mani cadea del mansüeto
Nostro poterche l'alma errante avrebbe
Sì ricondotta a Dio col pentimento
Ch'ella al Cielo potea salir dal rogo
Debita pena al corpo suo.
ADRIANO
La Chiesa
Fino alla tromba che nel giorno estremo
In ogni avello sveglierà la polve
Deve la guerra sostener col mondo
D'errori armato che si fan dottrina.
Lo Svevo abbiam nemico: or collo scettro
La possanza tener di Carlomagno
Io so ch'ei vuol(): spera che torni indietro
Il fiume eterno degli umani eventi
E a un suo cenno ubbidiscae gli riporti
L'antico freno che corresse il mondo.
A quella norma ricompor vorrebbe
Tutti gli statie dominar la Chiesa
A cui deve ubbidir: scandalo ei grida
I riti nostriuna spelonca il tempio
Ove l'oro si contae Dio si merca
Sul sepolcro di Pietro(). Oimèsul trono
Sta l'eresia d'Arnaldo! e se non fosse
Che amor gli ferve d'una fola antica
Nell'indomito pettoesser potrebbe
Di Cesare l'amico: ei l'empio capo
Promise a noi per vendicar l'Impero
Ma non la Chiesa: a separarla ei viene
Dalle città lombardeove risorge
La libertà che qui mal chiede Arnaldo.
Temo i doni di Cesare: infamarmi
Spera col sangue che a un mio cenno ei versi
Ond'io poi grato e reo la man sollevi
All'anatèma di Milanoe ponga
In sua balía l'Italia e Roma. O Guido
Tutto cangiò! La Croce invan sovrasta
Sulla corona ai rechè il suo mistero
Non aggrava la fronte a quei superbi.
Non riconoscon che fu data a Pietro
In retaggio ogni gentee si distende
Ai confin della terra il suo potere.
Però non deggio essere in tutto avverso
Alla ragion del popolo: t'è noto
Ciò che sperò Bernardo. Oh s'io potessi
Tornare Arnaldo al nostro gremboe farne
Un lione di Dio! dalla sua fronte
Disgombrerei dell'anatèma il carco
Se in Milano costui gridar sapesse:
Libero è l'uom quando ubbidisce a Dio
Che parla nel pontefice.
GUIDO
Non sono
Io nel cospetto d'Adriano?… e questa
La voce sua non è?… Dehnel tuo segno
Soccorrimio Signor. Guidosei desto
Oppur dell'uomo l'avversario antico
In fero sogno a cui fuggir non puoi
Così ti parla?
ADRIANO
Tu sei destoe sogni.
Stolto! obliasti che Gesù non vuole
Del peccator la mortee ad Abelardo
Perdonava Bernardoe pur gli piacque
L'austera vita a cui si diede Arnaldo?()
GUIDO
Finte virtudio vane; or sta la morte
Nell'opre sue.
ADRIANO
Posson col mio perdono
Risorgere alla vita.
GUIDO
Ei s'è diviso
Dal gregge tuo.
ADRIANO
Pur sull'abisso io deggio
Cercar la pecorella: io son pastore
Che perirvi non teme.
GUIDO
Arnaldo è lupo.
ADRIANO
Può farlo agnello Iddio: sorger ei puote
E tu cadere.
GUIDO
O signor mioti piaccia
Questo consiglio di mutar.
ADRIANO
Mutarmi!
Io che non erro?
GUIDO
Ma ti uscì di mente
Che un Concilio il dannò?… poi tu?…
ADRIANO
Che dici?
Io posso tutto. Osan le membra audaci
Ribellarsi dal capo? in queste mani
Non stan le chiavi un dì concesse a Pietro?
Qual sentenza di Dioripete il Cielo
La mia parola che qui scioglie e lega.
Non tanto Arnaldo osò. Sol della terra
Mi contrasta l'impero: or più di lui
Tu sei fuor della Chiesa.
GUIDO
(S'inginocchia al papa.)
Oh Dio! perdona;
Errai: perdona! Io dai tuoi piè non sorgo
Se non m'assolvi: m'ingannò lo zelo.
Sono il tuo fango: or qual più vuoi mi forma
Vaso di gloria o d'onta.
ADRIANO
Alzatie pensa
Ch'io sol dal monteove mi ha posto Iddio
A dissipar le tenebre del mondo
La face inalzo: è della sua chiarezza
Figlio lo zelo che all'error fa guerra.
Sempre travia chi guarda altrove; io sono
Norma all'opreai pensieri; e tu seguirmi
Non preceder mi devi: agnello umile
Al pastore t'attergae guata il suolo;
L'orme che vi segnai guidano al Cielo.
Conosco Arnaldo; ei qui verràlo spero
A segreto colloquio. Ancor non sono
Nel vicin tempio i cardinali accolti
Che fra il clero devoto e i suoi fedeli
Denno proceder meco a Laterano
E consacrarmi sul maggior dei troni.
Ov'io mutar non possa il cor superbo
Dell'infelice Arnaldoallor sapranno
Il volere di Dio: quando il periglio
Sta sulla Chiesanon son io che parlo.
A lor t'uniscie i nostri cenni aspetta.
SCENA II
ADRIANO.
Volere uman! poichè in Adamo osasti
Di ribellarti a Diocome sei pigro
A un verace ubbidir! Costui che crebbe
In un cenobioove a servir s'insegna
Al mio poterche venerata ed una
Fa la Chiesa di Diosottrarsi osava!…
Sopra ogni grado onde quassù si ascende
Io trovava un dolor; ma sulla cima
Vi stanno tuttie nascono le spine
Sulla cattedra mia più che sul trono…()
Quanta fatica è nel guardar dal fango
Quel manto che i più forti omeri aggrava!
Oh queste gemme della mia tiara
Sono un fuoco che m'arde il travagliato
Capoche a teSignorpiangendo inalzo.
Ma non deggio temer: colui che seppe
La croce sopportarch'era sì grave
Dei peccati del mondoal servo infermo
Soccorrerà… lo rappresento in terra. -
O silenzi del chiostroo della mia
Isola nubiche del Sol modesta
Fate la lucesiccome era un giorno
La sorte miaqui fra i tumulti insani
Dell'empia Romae lo splendor superbo
D'ardente Cieloio vi ricordo e piango.
SCENA III.
Stanze nel Castello di Giordano.
GIORDANOARNALDO.
GIORDANO
O santo pettoinvan t'affanni e tenti
All'altezza inalzar del tuo pensiero
L'umile Italia: ella ha d'errore ingombro
L'infermo capoe sempre in lei combatte
L'una coll'altra mano. E chi potrebbe
Del Sacerdozio a un tempo e dell'Impero
La guerra sostenerse Roma istessa
Roma che sa come gli Dei si fanno
Ch'ebber guerra fra loroe qui li ha visti
Correr nel sangue per seder sull'ara
Più fatal d'ogni tronoancor parteggia
Fra il pontefice e noi. Tu cerchi invano
Dall'error liberarlae l'Evangelo
Ai sacerdoti opporre: a lor si crede
E non a Dio: scrivon gli astuti i primi
Nel libro della mentee queste note
Cancellar non è dato. A me lo credi
Io nel sen dei più ardenti un paüroso
Odio conosco delle fole avite:
Pugnano ancor con essee non l'han vinte
E nel furor nascondono i rimorsi.
ARNALDO
Fede si serbi a Roma: io non potrei
Divellermi da lei: fosse ombra e sogno
Nel vano amplesso di perir mi giova.
Soffrio Giordanoe spera.
GIORDANO
Una speranza
Avreise Pietro fosse morto altrove.
ARNALDO
Ah non avvenga che pel reo cultore
Tu ti riduca a maledir la pianta!…
Ma che pensa il senato?
GIORDANO
Ei si figura
Che un nuovo impero qui risorgae possa
Divenir fonte del poter supremo
Il suo nuovo consesso()o almen confermi
L'imperator che la Germania elegge.
ARNALDO
So che in tali speranze a quel Corrado
Cui lo Svevo or succedeun dì scriveste
Magnifiche parole(): ei pria superbo
Non le degnò d'un cenno; e poi feroce
Precipitando dal disprezzo all'ira
Se nol rapia la morteei qui movea
Del terzo Eugenio a vendicar la fuga
E rispondea col ferro il re tedesco
Al romano senato.
GIORDANO
Or vien lo Svevo
A farsi sacroe più spiegar l'artiglio
Allo strazio d'Italia; e solo il papa
Ricercherà fra noi. Roma pagana
Quei tiranni che uccise in Ciel ponea:
Santa divennee quella man che tiene
Le chiavi che in Giudea fur date a Pietro
La tirannia consacra().
ARNALDO
All'armiall'armi!
Io lo gridai.
GIORDANO
Ma invan: questo senato
E il popol tutto che sentier non crede
Laddove orma non sianegli usi antichi
Fia che si appaghie manderà Legati
Al crudel Federigoe tutte al vento
Roma dispiegherà dei suoi vessilli
Le dipinte paureabbandonando
A vetuste pareti i ferri immoti
Reverente all'Impero; e fia chi veli
Con superbia di nomi il vil timore
Che gli desta il tiranno. A lui si deve
Già gridar odoil solito tributo
Da Roma dimandar? Perchè non viene
Su carro trionfal?… Miseri e stolti!
Dalla superbia del Tedesco avaro
Vi fia negata la più vil moneta
Che all'Italia rapì: sol d'essa i figli
A germanico plaustro incatenati
Ei dall'arse città condur vorrebbe
Al Campidoglio; e sì discordi e vili
Siam fatti omaiche dalla plebe insana
Plausie non compriavrebbe. Oh senza speme
Cittàche a regno o a libertà ritrovi
Nella memoria delle tue grandezze
Ostacolo e rampognae in lor consoli
La tua viltà! che servie fremie sogni
Miserae sei pur dal passato oppressa!
ARNALDO
Se diedi a una virtù che presto langue
Troppo audaci consiglie quel possente
Affrontar non osatealmen difese
Sian queste muraed ai Tedeschi è chiusa
Pur la via della fuga. Avranno a fronte
Il possente Normandoa tergo insorge
La vendetta lombarda: e questi lurchi
Di calore e di polve impazïenti
Se osan qui rimanerstruggersi io veggo
Negli squallidi campiin questo cielo
Tacitoardente: ivi avverrà che pugni
Ai danni loro anche d'Italia il sole.
GIORDANO
Pensa di Roma all'immortal nemico
Ch'è re dell'almeed ogni cor fa vile
E languido ogni braccio. Italia è schiava
Se baciarsi vedrai Cesare e Pietro.
ARNALDO
Pronti a tradirsi; e ancor non bene è noto
Chi sia fra lor che più somigli a Giuda.
L'uno all'altro s'oppongae pria che parli
Coll'astuto AdrianCesare ascolti
I Legati di Roma. Ei tragge seco
Gli esuli della Puglia(): a lor conviene
Stringersi d'amistà; chè ad essi ei vuole
Render la patriae alla Germania un regno
Che il Normando usurpò. Sempre la druda
Aborrita da noinelle sue guerre
Vince perdendo()e al pastoral ricorre
Se cade il ferro dalla mano imbelle;
E sul capo fatal resta la mitra
Quando l'elmo balzò. Tosto al Normando
Ch'ella domo vedea dai suoi terrori
Comandò prigionierae gli sorrise
E tutte consacrò le sue rapine
Purchè ligio ei gli sia: fu quindi offesa
La ragion dell'Impero. È un odio antico
Fra i Normandi e i Tedeschi. Or nel vassallo
Del Romano Pastor vede un ribelle
Federigo superbo: a lui palese
Sia che finge sdegnarsie puttaneggia
Con quel Guglielmo che ai Normandi impera
La Curia infida; e che Adrianoa tergo
Dell'esercito suo che in Puglia ei guida
Tutte potrebbe sollevar le genti
Se in Roma ei regna. A noi serbar conviene
Gli ordini nostri: e Federigoin tanto
Pericolo di coseaver potrebbe
Maggior fiducia nel roman senato.
Che nel prefetto da gran tempo avvezzo
A pontificia servitù. Migliori
Darà consigli il tempoe in questa guerra
Milano vincerà. Se voi col senno
Libero stato ora serbar potete
Certo avverrà che almen sia Roma il capo
Dell'italiche gentie un patto unisca
Le sue città. Se non avvieneindarno
Si sparse il sanguee questa gloria è breve.
Si oblierà che la crudel procella
Che i lieti fior della speranza uccide
Nel giardino d'Europaognor movea
Dal germanico cielo. Ahi la sua gente
Come una rupe che quei campi opprime
Su cui ruinae poi vi sfida i venti
Immobile e crudelenon si posi
Sul dolce pian d'Italiae la condanni
Con lurido marito a nozze eterne.
GIORDANO
Suona la tromba del castel.
SCENA IV.
UN VASSALLO DI GIORDANOE DETTI.
GIORDANO
Che rechi?
A tumulto commove i suoi fedeli
L'ostinato Adrian?
VASSALLO
Chiede l'ingresso
Un messaggero suo.
GIORDANO
Venga… Che vada
Macchinando costui?
ARNALDO
Non si paventi.
GIORDANO
Ma cauti siam.
SCENA V.
UN ARALDO DEL PAPAE DETTI.
GIORDANO
Il tuo messaggio esponi.
ARALDO
Spera il nostro signor che a parlamento
Venga con lui…
GIORDANO
Chi di noi brama?
ARALDO
Arnaldo.
ARNALDO
Io di stupor son pieno.
GIORDANO
Io di sospetto.
ARALDO
E la sua fede impegna a far sicuro
D'ogni offesa il suo capo.
ARNALDO
Udrai fra poco
La mia risposta.
SCENA VI.
GIORDANOARNALDO.
GIORDANO
Che risolvi? Ah pensa
Ch'eretico ti credeeteco usato
Santo divien l'inganno.
ARNALDO
A tanta altezza
Adriano giungeach'ei non potrebbe
All'insidie piegar l'animo altero.
Con intrepido zelo al suo cospetto
Presentarmi saprò: regno nel mondo
Cristo non vollee nel Vangel favella
Apertamente.
GIORDANO
Ma le sue parole
Interpreta costui.
ARNALDO
Di Pier le chiavi
Ora tiene Adriano in sua balía
E riverente al lor potere io deggio
Tentar ch'ei le ritorni ai primi onori;
Non faccia d'oro e più di colpe acquisto:
Il mondo guidinol possieda: e sia
Disgiunta alfin dal pastoral la spada.
A liberarci dal servaggio antico
Gesù moriva in questi giorni. Ah parli
Del pontefice al cor la sua dottrina!
GIORDANO
I Farisei novelli a quella croce
Ov'ei pendea morendohan l'uom confitto.
ARNALDO
Trarnel saprà quei che risorsee vinse.
GIORDANO
Cristo risorsee libertà non puote
Franger la pietra del sepolcro antico
Chè vi è sopra l'altar… Vanne… rimosso
Esser non può da così grande impresa
Un magnanimo core: ah! ch'io non deggia
Piangere sull'amicoe vendicarlo.
Ma patrizio di Romai senatori
Adunerò sul Campidoglioe cinti
Noi sarem di quell'armi in cui m'affido.
SCENA VII.
GIORDANO.
Misero Arnaldo! a libertà fatali
Preveggio i giorni del dolor di Cristo.
Dalle cattedre infide ove confessa
Ora sul volgo il sacerdote astuto
Regnae nei ciechi petti estingue o crea
Mille rimorsie ad espïar li spinge
Col delitto il delitto. In Adriano
Quanto è vano sperar! nacque Britanno;
Onde l'Italia aborree vuol nel fango
Il popolo di Roma. Quell'orgoglio
Solitario e crudel che dalle mute
Tenebre del cenobio or qui l'inalza
Gran tempo è che fugò dal petto austero
Ogni dolcezza degli affetti umani.
SCENA VIII.
Stanze del Vaticano.
ADRIANOARNALDO.
ADRIANO
Cadi a' miei pièli baciae poi la fronte
Umilia sì ch'ella s'affigga al suolo
Ch'io calpestava. Arnaldoa me si parla
Siccome a Dio: prostrati. Io non dovrei
Un empio udir… ma la speranza aduno
Del pentimento suo… Pria che gastighi
Le tue carni il cilizioe cener vile
Su cui morraiti copra il crin canuto
Parlar mi puoima dalla polve.
ARNALDO
I piedi
Ai discepoli suoi baciò l'umile
Che rappresenti in terra: or dal tuo labbro
Le voci ascolto del primier superbo.
Pentitio Pierche lo rinneghie sei
Vicino al tempioma lontan da Dio.
ADRIANO
Tuche dall'Alpi ruinando a Roma
Col vano suon dei non intesi nomi
L'eco svegliasti delle sue ruine
Ritorna al chiostro: hai le città divise
Monaco errantee colle tue dottrine
Agiti il mondo che lasciar giurasti.
ARNALDO
Tuche dal fango al pontificio trono
Come serpe salistie schiavo abietto
Ai monaci che spregiin Santalbano
La lor mensa nutria dei suoi rilievi
Princìpi umili a me ricordi? e tanto
Discese oblio dalla fatal tïara
Sull'ignobile capo?… Or viagli oltraggi
Taccian fra noi: non parliam d'avi: alfine
Pensa quel sangue che ci fece uguali.
Sei ponteficeo re? l'ultimo nome
Mai non si udiva in Roma; e se di Cristo
Il vicario tu seisaper dovresti
Che sol di spine fu la sua corona.
ADRIANO
Ei della terra mi donò l'impero
Quando il gran manto mi vestiroe scelto
Al maggior seggio della Chiesa io fui.
La parola di Dio creava il mondo
La mia lo guida. Tu vorresti al corpo
L'anima serva! Libertà favelli
E fai guerra a colui che solo in terra
Può star fra l'uomo e i suoi tiranni? Arnaldo
Fa senno… il credi… ogni tuo detto è vano
Strepito che qui muoreo si disperde
Nei deserti di Roma: io sol dir posso
Quelle parole che ripete il mondo.
ARNALDO
Esse non fur mai libertade: e posta
Fra i popoli e i tiranniè ognor la Chiesa
Coi deboli crudelee vil coi forti();
E soffogato dai crudeli amplessi
Che i Cesari si danno e i sacerdoti
L'uom rimase finora. O pastor sommi
Farsi ludibrio delle sorti umane
I re mirate; e voi sopra i crudeli
Dritti del ferrosulle colpe istesse
Che non osò la tirannia pagana
Il gran manto spiegate; e tutto è notte.
Alla figlia del sangue e del dolore
Che gli altari innalzò sopra le tombe
Di chi per lei morivainver fatale
Fu chi diè l'oroe nella manche solo
Deve alle preci alzarsiil ferro ha posto:
Bevve l'oblìo delle virtudi antiche
Dentro i calici auratie sulla terra
Non fu l'eco di Dioma dei tiranni.
Dai sette colli ove la sede ha posto
Più il Golgota non vedeil primo altare.
ADRIANO
Tu ne calunni: ebber per noi gli oppressi
E difesa ed aitae Roma ha vinti
I vincitori suoi. Ruina e tomba
Era a sè stessae il Barbaro col ferro
Le sue ruine misurar vedea.
Dimmichi fu colui che pellegrino
Or fa tornarlo ov'ei giungea nemico?
Non degli eroid'un pescator la tomba
A lui mostravae gli gridò: - Ti prostra. -
E il Barbaro ubbidì… Roma sorgea
Dalle ruine che salvò la croce
E il palpito fecondo al cor sentia
D'una vita novellae della fede
I trionfi mirò: questa divenne
Del Campidoglio suo l'immobil pietra.
Eterna alfine è Roma: il suo pastore
Disprezza i regni dove son confini
Chè divenne signor dell'infinito.
ARNALDO
Perchè qui cerchi imperoe poco in Cielo
Molto stai sulla terra? Ahi mal si grida
Nelle vostre preghiere: - Il core in alto: -
Siete sempre quaggiù. Perchè la spada
Al pastorale unisciove sia tanta
L'onnipotenza delle tue parole?
Cristo non volle che alla sua difesa
Il ferro si snudasse; e tu di Pietro
Solo quest'oprach'ei dannavaimiti:
Che dico! il gregge a te commesso uccidi
Dei Barbari col ferroe poi ti chiami
Puro di questo sangue. Ah sei nell'opre
Tanto discordi dal tuo dirche vero
Fai la menzognae poi menzogna il vero.
Servo dei servi ognor ti chiamie sei
Dei tiranni il tirannoe t'accompagna
Dei secoli a traverso un sol pensiero.
Tu vuoi milizia i sacerdotie regni
Col terror delle mistiche parole
Umilmente superbo; e re combatti
E sacerdote imprechie mai non duri
Sacerdote nè re; chè ognor t'assidi
Vinto sull'arae vincitor sul trono.
ADRIANO
Empie parole ascolto. Omai diviso
Sei dalla Chiesa: l'anatèma eterno
Di tenebre ti cingee in te favella
Il rio Demon che ti possiede.
ARNALDO
Invano
Atterrirmi presumi: io ben conosco
Quell'alta legge a cui servir dovresti
E nel volume suo non si cancella.
A te sol non ragiono: omai tu segui
Antichissimi esempie sta sepolto
L'Evangelo di Dio sotto i Decreti
Dei romani pastori: ed essi in cima
Della crudel grandezza onde si preme
Tutto quaggiùlasciano il gregge umano
Nella valle agitarsi; e se li turba
D'esso il cieco tumultoe il sanguinoso
Vello ricusa alle lor mani ingorde
Barbari lupi nell'ausonia terra
Che tanto sangue bagna e non feconda
Chiaman dall'Alpi. Or perchè invidi a Roma
Le sue ragioni antiche?
ADRIANO
Italia accoglie
Dall'antica virtù genti lontane
Più della plebe tua.
ARNALDO
La plebe è veltro
Che feroce si fa nelle catene.
A libertà fai guerra; e allor ti è forza
Temer lo schiavo che i suoi ceppi infrange:
Poi le sue colpe gli rampognied osi
Chieder virtùdove non son diritti.
Sacerdoti crudelia voi diletta
Soffrir le colpe per crear rimorsi
Che padri sono di crudel ricchezza
Onde gemono i figlie voi godete
A donar poco e a rapir molto avvezzi.
Traffico di paure e di menzogne
Per voi si fa: tutti v'impingua un cieco
Volgo che corre dai delitti all'are
E dall'are ai delitti: e poi gridate
Se da penuria stimolato ei viene
A turbar gli ozi che vi fece Iddio.
Ma di Roma si taccia: or se tu brami
La tua possanza esercitarreprimi
Dei vescovi i delitti()e si vergogni
D'esser la Chiesa ai poveri matrigna.
Nelle città lombarde ogni pastore
Divien tirannoe con perfidia accorta
Per la Chiesa parteggia o per l'Impero.
Han molli cibisplendidi apparati
Gioie lascive; ed i suoi freddi altari
Copre la polvedove sta la mitra
Dimenticata dalla fronte altera
Che ricopre il cimiero; e non s'abbassa
Nel tempio ormai deserto in faccia a Dio
Ma nei campi di stragi ancor fumanti
Sul caduto nemicoe i colpi accerta
Al sacrilego brandoed all'estreme
Preghiere insulta con rampogne atroci;
Poi nel petto del vinto ei si fa strada
E v'insanguina l'unghie al suo destriero.
Quando v'ha breve infida pacee stanco
Fra le stragi si asside il sacerdote
Son gli ozi suoi delittoe alle rapine
La mollezza succede: entra furtivo
Ei nell'ovil: ciò che bramò nel giorno
Fra le tenebre ardiscee son gli stupri
L'imen permesso ai sacerdoti. Invero
Come Roma speròda lor deposta
Fu la vil soma degli affetti umani!
Hanno ingrata libidine di belve
Che oblia la madree non conosce i figli.
Non di preci sonarma di latrati
Odi le selvein cui si aggira e regna
Pastor lombardoe al poverel digiuno
Quel pan rifiuta ond'è sì largo ai cani:
E l'empie guerre con crudel tributo
Nutre l'iniquo; e sull'altar di Cristo
Ch'è principe di pace e di perdono()
La vendetta si giura; e quelle faci
Che getta in sen delle cittadiaccende
Nelle lampade ardenti innanzi a Dio. -
Diventa re dei sacrifici; ascendi
La montagna di Dio; su quei perversi
I tuoi fulmini vibra; e più temuto
E più grande sarai. DimmiAdriano:
Non devi un peso sostener che grave
Agli Angeli sarebbe? A che la morte
Brami unir colla vitae far mendace
La parola di Dio che disse: In terra
Il regno mio non è? Di Cristoe Roma
Segui l'esempio: piacque ad essa e a Dio
Premer gli alterisollevar gl'imbelli…
Bacio il tuo pièse i re calpesta.
ADRIANO
Arnaldo
Io non parteggio; impero: e fatto in terra
Qual Dio nel Cieloil giudice di tutti
E nessuno di meveglioe dispenso
E speranza e terrori e premi e pene
Ai popoli ed ai re. Principio e fonte
Son della vitache possente ed una
Fa la Chiesa di Dio; che genti e troni
Agitarsi mirò tra le frementi
Onde del tempoe nell'immobil scoglio
Ov'ella siede infrante; e perchè certo
Uno spirto la reggenon delira
Per mobili dottrinee serba eterna
Grandezza nel volere e nel disegno.
ARNALDO
Se rompe fede alla parola eterna
Più la Chiesa non è. Quando il mortale
Nella notte giacea d'antico errore
Un Cesare pagano esser potea
E sacerdote e re: ma quella notte
Illuminò Colui che più del sole
Empie il mondo di vita e di pensiero.
Coll'eterna dottrina egli divise
Ciò che tu brami unir. Ti fai diritto
La calunnia giudea: ma se si legge
Nel volume di Diotrova ribelli
Colui che usurpae allor si viene al sangue;
E si versa per voi che siete eterno
Rossor di Cristo. Egli serrar volea
Il tempio della guerrae voi l'apriste.
ADRIANO
Col peccato si pugnae a far sicura
Di Sïonne la rôcca; e quindi i rei
Ci fanno guerrae pur gli stolti. Arnaldo
Tu mi muovi a pietade: invan riscaldi
Col petto tuo queste rovinee guati
Nei sepolcri di Roma: ossa non trovi
Cui possi dir: «Sorgete.» Ahnon vi resta
D'un solo eroe la polve! E vuoi che torni
Coi nomi antichi la virtù degli avi!
Ma tribunisenatoordine equestre
Tu puoiRomabramar! Gloria maggiore
Fia il pontefice tuoche non difende
I dritti incerti d'una plebe insana;
Ma tribuno del mondo ei siede in Roma
E ai popoli ed ai re qui grida: - Io vieto. -
Ripeterti degg'ioche più dell'empio
Poter che indarno rinnovar si tenta
Qui fe' morendo il Pescator di Giuda.
Col sangue suo quasi una patria ei fece
A popoli diversie questo loco
Ch'era cittàdivenne un mondo: è tolto
Dalla legge di Cristo ogni confine
Che i popoli divise: è questo il regno
Che la preghiera sua richiese al Padre.
La Chiesa ha figli in ogni gente: impero
Io re non vistoe da per tutto è Roma.
ARNALDO
Tu t'inganniAdrian. Langue il terrore
Dei fulmini di Romae la ragione
Scote le fasce che vorresti eterne.
Le romperà: non bene ancora è desta.
Già l'umano pensiero è tal ribelle
Che non basti a domar: Cristo gli grida
Siccome all'egro un dì: «Sorgi e cammina.»
Ti calcheràse nol precedi: il mondo
Ha un altro vero che non sta fra l'are
Nè un tempio vuol che gli nasconda il Cielo.
Fosti pastordiventa padre: è stanca
La stirpe umana di chiamarsi gregge:
Assaidal vostro pastoral percossa
Timida s'arretrò nella sua via.
Perchè in nome del Ciel l'uomo calpesti
Ultimo figlio del pensier di Dio?
ADRIANO
Abelardo rivive; e qui mi parla
Sul labbro tuo. Quando alla fede opponi
La superba ragionee vuoi regina
Questa ancella di Diosei nell'abisso
Che un altro abisso invoca; e luce e vero
E riposo non v'ha sulla tua via.
ARNALDO
Tu compreso non m'hai.
ADRIANO
Se il tuo maestro
Nel pentimento imitie credie speri
Ciò che intender non puoi; perchè la Chiesa
Turbi con altri errori()e persüadi
Le cieche genti alla più gran rapina
Che far si possae tra gli altari ignudi
Vuoi la sposa di Dio mendica e schiava?
V'ha libertà senza giustizia? Ed io
Fra lo squallor di povertà derisa
In una terra che a' miei piè ruini
La ponderosa sostener potrei
Mole di Cristoe vigilare il mondo
Se per me tremo?… Alla dottrina ingiusta
Rinunzi Arnaldoesca da Roma; e poi
Quando sia tempole città lombarde
Con libertà che non offenda il clero
Sante faràpur ch'egli sia la mano
Dell'intelletto mio. Con questi patti
Rendo il figlio alla madre; e tu pentito
Del pio Bernardo le speranze avveri;
Torni con Pietro a militar: ma prima
I cardinali interrogar mi piace
Su questo avviso mio.
ARNALDO
Di lor che parli?
Eco son essi inanimata e vile
Che i detti tuoi ripete. Io ti rispondo…
Vana speranza accogli; io son fedele
A Romae a Dio.
ADRIANO
Pensa al gastigoArnaldo
Che ti sovrasta!
ARNALDO
Il mio disegno è santo.
Coi supplizi atterrirmi invan presumi:
Non ti ricordi che la Croce ha vinto?
ADRIANO
Spento sarai… non ora… Olà… vassallo
A quel castelloond'ei qui venneArnaldo
Riconduciproteggie sieno ammessi
Al mio cospetto i cardinali.
SCENA IX.
ADRIANO
È tempo
Che la clemenza cessie s'entri alfine
Sulla via del rigor. M'è forza omai
Come Cristo insegnòporre all'aratro
Con santo ardir mani animose e pronte
Nè rivolgermi indietroio pur dovessi
Quel solco che aprirò bagnar di sangue.
Non avverrà… ma col sudor sul volto
Coll'affanno nel cor giungere io spero
All'eretico sterpo…. e lo commovo
E lo svelloe lo atterroe non mi frena
Rispetto alcun. Chi più del ferro è pio
Che lacera la terrae la feconda
E tronca spine il cui veleno è morte?
SCENA X.
CARDINALIADRIANO.
UN CARDINALE
Signorche tardi? Al Lateran si vada:
Consacrarti dobbiam().
ADRIANO
Non fia.
UN CARDINALE
Che dici?
ADRIANO
Voi mel chiedete? Costantin quel tempio
Edificava a Diopoichè a Silvestro
Diè la gran dote(). Ivi da noi si prende
Il possesso di Romae sorge il trono
Di Pietro al successore. Ditefratelli
Or qui comando? Incoronar lo schiavo
Schiavi ancor voipotete?
UN CARDINALE
Il nostro padre
Tu sei… Che brami?
ADRIANO
Nell'esiglio Arnaldo
Che ridurre alla Chiesa invan tentai:
Ai senatoriai consolia' tribuni
Tolto ogni dritto che si usurpa a Pietro.
Io qui dell'empia libertà pagana
Il nome stesso tollerar non deggio.
Eresia la dichiaroe render voglio
Il Campidoglio a Cristo.
UN CARDINALE
All'opra santa
Signorqual armi ora ci dai?
ADRIANO
La Croce…
Vincitrice del mondo: e tu l'impugna
Guido fedele; annunzia a quei ribelli
Il mio voleree t'accompagni il clero.
(Volgendosi agli altri cardinalidai quali accompagnato egliparte.)
Voisenato di Diomeco venite
Di Pier nel tempio a supplicar l'Eterno.
SCENA XI.
GUIDO.
Come dell'Eritreo l'acque divise
Dalla man di Mosèpossa alla Croce
E ad un mio cenno rispettosa aprirsi
Questa plebe crudel che ondeggia e freme
E il mite agnello trionfar del lupo
Ch'entrò d'un salto nell'ovil di Cristo.
Ma invan si spera; ed Adrian nel santo
Impeto dello zel pose in oblio
Quanto caro alla plebe e a noi fatale
il Campidoglio sia. Quivi al Senato
Lucio fe' guerrae gli piombò la morte
Sull'adorato capo: ugual destino
Sarei lieto incontrarchè del martiro
Bella è la palma che disserra i Cieli;
Ma ben deggio vietar che in mezzo all'ira
Si profani di Pietro il gran vessillo
Ch'è la gloria maggior del Paradiso.
Meco verrà Leone in sua difesa.
SCENA XII.
Piazza sul Campidoglio.
SENATORI che discorrono fra loro;
GIORDANO in disparte.
GIORDANO
Già dalla rôcca che afforzar gli piacque
Il Senato discendee la risposta
Che il superbo Adrian diede ad Arnaldo
Or traggon tutte per udir le genti.
Speme non ho: qui spento almen cadessi!
Bello è il morir sul Campidoglioe pura
Una luce lo veste: in cima ai templi
Stanno le pigre nubi ov'è mistero.
Dehcelateli a noi: vien dagli altari
Quel terror che ci prostrae rende eterna
La nostra servitù. Su questo monte
È un arcano poter che fa presenti
I secoli che furo; e qui risorgere
Sembran le gloriedove sta la morte
A chi nacque Romanoe poi ripiomba
Nella miseria di superbie piena
Com'uom che videe si ricordae freme.
UN ARALDO DEL SENATO
Al seggio tuo vanneo Giordan.
GIORDANO
Chi giunge?
SCENA XIII.
POPOLOARNALDOE DETTI.
POPOLO
Evviva Arnaldo.
UNO DEL POPOLO
Ei non temea la morte
Per la santa Repubblica.
UN ALTRO DEL POPOLO
Fidarsi
D'un pontefice osò.
UN ALTRO DEL POPOLO
Monacoe Inglese!
GIORDANO
Silenzioamici: e tusignorche sei
D'anni maggiorciò che dal papa ottenne
Chiedi ad Arnaldo.
UN SOLDATO
All'armi!
POPOLO
Oh qual tumulto!
UNO DEL POPOLO
Giunto è il Tedesco.
ARNALDO
E che? tremate?
UNO DEL POPOLO
Io veggo
L'aquila nell'insegna.
UN ALTRO DEL POPOLO
È Guido.
POPOLO
È Guido.
ARNALDO
Popoloaccorrie lo respingi. Ascende
Il sacro montee il tuo Senato ei vuole
Scacciar dal Campidoglio.
UN VECCHIO SENATORE
A pace ei viene
Con esercito pio: non vedi? il clero
Umilemente a passi gravi e lenti
Verso di noi procedee qui s'innalza
Degl'inni santi l'armonia soave.
Pensate ai giorni in cui noi siam.
GIORDANO
Ma Guido
Non lo ricorda: di Leon le squadre
Ai sacerdoti ha misteancor ch'ei venga
Cinto di faciaddolorato e scalzo.
Presso il vessillo suo monaci astuti
Van d'un flagello armatie si tormentano
Con insana pietà le spalle ignude.
Un pallido furor colora il volto
Della stolida plebe: urli feroci
Succedere udiraibestemmie ed onte
Agl'inni lor. Seguitemivolate
A soccorso dei miei: non si profani
Da questi vili il Campidoglio.
POPOLO
È tardi:
Guido giungea.
SCENA XIV.
GUIDO CARDINALEcolla croce innanziseguitatodalla parte più abietta del volgodai MONACIdal CLERO e daLEONE FRANGIPANI colla sua masnadaE DETTI.
GUIDO
Popoloascolta. Io parlo
Del Pontefice in nome: egli non vuole
Nella reggia di Dioch'è Laterano
Premer quel trono che s'innalza a Pietro…
ARNALDO
Ben fa: quel trono in polvee allor menzogna
Più non sarà ch'egli succeda a Pietro.
GUIDO
Taccia l'eresiarca. A voifedeli
Certo dorrà che non s'adempia il rito()
Onde il sommo Pastor qui si consacra
Nè ancor gli offriamo riverenti e proni
Le sante chiavi di color diverso
Onnipotenti al premio ed alla pena.
Ah nella pompa della sua corona
Splenda in cima del tempioe a voi prostrati
La man benigna abbassie verso il Cielo
Poi la sollevie benedica il mondo!
GIORDANO
L'uficio suo perchè non compie?
GUIDO
Arnaldo
Prima da Roma in bandoe poi…
ARNALDO
Proseguo…
La sua tïara diverrà corona
E regnerà. Se vuol costui ch'io torni
Sulle vie dell'esiglioa voi prometta
Con sacramento mantener del nuovo
Stato le leggi.
GUIDO
Ove ciò a lui piacesse
Non lo potrebbe: ha qui ragioni antiche
La Chiesae siete suoi.
ARNALDO
Neppur di Dio;
Chè libero ei fe' l'uomo.
LEONE
A Cesar torna
Questa cittàquando sia tolta a Pietro.
ARNALDO
Cesare fu tirannoe i re Tedeschi
Hanno il suo nome: la città di Bruto
Roma si chiami.
(Applausi.)
GUIDO
Siete voi pagani
Che plausi date a chi ricorda un empio
E in questi dì? Poichè s'aborre il soglio
Quanto l'altareil mio signorche padre
Chiamano i regi…
ARNALDO
Da quel dì non sono
Più i popoli suoi figli.
GUIDO
In Laterano
Verrà fra l'armi della pia Lamagna.
ARNALDO
Tinte del sangue dell'Italia.
GUIDO
E sacro
Da noi fatto Adrianporrà sul capo
La corona del mondo a Federigo
Senza che fede ei giurie dia tributo
Alla vostra città.
POPOLO
Lanciam le pietre.
ALCUNI DEL POPOLO
Volin gli strali.
(Guido riman ferito.)
ARNALDO
Oh Dio! che feste?
LEONE
All'armi!
GIORDANO
Voi purfedeli.
SOLDATO
Si frenò lo sdegno
A rallegrarlo di maggior vendetta.
(Zuffa fra popolo e plebesoldati e soldati. Imonaci e i preti secolari si danno alla fuga: rimane presso al feritocardinale il vessillifero con altri chericie pianta sulla terra ilgonfalone del papa per assistere Guido moribondo.)
SCENA XV
GUIDOIL CROCIFEROI CHERICIED alcuniSECOLARI
GUIDO
Chierco fedelnelle tue mani è salvo
Il gran vessillo che ha di Pier l'insegna.
È all'ombra sua dolce il morir… Chi veggo?
Cinta ha di luce l'immortal tïara
E lieve lieve giù dal Ciel discende
Sopra limpide nubie mi appresenta
Dei martiri la palma; e suoni e voci
D'Angioli ascolto… O Lucioal Ciel mi guida
Per la tua via.
(Guido muore.)
CHERICO
Spirava il santo… Amici
Non vi rincresca di gravar le spalle
Del cadavere sacroe venga esposto
Sul limitar del maggior tempio. Affretti
Ognun di voifidi ministriil piede
Nell'opra santa che impedir potrebbe
L'empio Giordano.
UN ALTRO CHERICO
E ad Adrian si dica
Che pei cenni d'Arnaldo in sen di Guido
Gli empi strali fur volti.
UN SECOLARE
O sacerdote
Oseresti giurarlo?
IL CHERICO
Io chiamo Arnaldo
Ogni delitto. Han tollerato assai
I vicari di Diopopol ribelle:
Or punirlo la Chiesa alfin dovrebbe
E con quell'armi che han la tempra eterna.
SCENA XVI.
Piazza di San Pietro.
I CHERICI depongono sulla gradinata della chiesa ilcadavere del cardinal Guidoche hanno portato sulle spalle. Vi siaffollano molti del Popoloe non poche DONNEe fraqueste ADELASIA.
UN CHERICO
Qui posatelo… quichè il giusto è morto
Per la causa di Pietro; e nel suo tempio
Pria che sepolcro egli abbiae sorga un'ara
A chi farà portentisollevate
Quel manto che lo copree si riveli
L'opra d'Arnaldo… Lo vedete?… I fianchi
Aspro cilizio preme… Ah voi piangete!
DONNE
Siam le sue penitenti.
UN CHERICO
Il seno aperto
Ha di cinque ferite: a sè conforme
Farlo Gesù volea nei dì solenni
Ch'egli per noi soffrì… Donne pietose
Mentre Guido spirògli occhi sereni
Già vedean dalla terra il Paradiso;
Non gli ha chiusi la mortee vi è la gioia
Di quella speme che divien certezza.
DONNE
Laceriam le sue vesti.
ALCUNI DEL POPOLO
È santo.
ALTRI DEL POPOLO
È santo.
DONNE
E reliquie saranno.
POPOLO
Apresi il tempio.
ALCUNI DEL POPOLO
Chi giunge?
ALTRI DEL POPOLO
Un cardinal.
SCENA XVII.
UN CARDINALE sulle soglie del tempioquindi ADRIANOE DETTI.
CARDINALE
Questo ferètro
Celi il corpo di Guidoe sia locato
Presso l'ara maggior.
(Così dice ad alcuni servi che mettono ilcardinale nel catafalco. S'aprono le porte della chiesae il popolovorrebbe entrarvi.)
POPOLO E DONNE
Non ti rincresca
Che lo seguiam.
ADRIANO
(Non visto.)
Lungi.
DONNE
Qual voce è questa?
Il ponteficeoh Dio!
(Adriano si mostra con maestà minacciosa sullaporta della chiesa.)
ADRIANO
Fu sparso in Roma
D'un cardinale il sangue.
POPOLO
Avrà vendetta.
ADRIANO
Qui regna Arnaldo. Ognun di voi la Chiesa
Dal grembo suo respingee queste soglie
Io varcar v'interdico.
CARDINALI
Indietro.
ALTRI CARDINALI
Indietro.
POPOLO
Questa è insolita pena.
ALCUNI DEL POPOLO
Entriam nel tempio.
DONNE
Chi l'oserà dopo il divieto?
POPOLO
Oh vili!
La chiesa è nostra: essa è di Dio la casa
Del Padre nostro che a nessun la serra.
UNO DEL POPOLO
(Vorrebbe entrarvi.)
Io non ardisco.
DONNA
Io tremo.
POPOLO
Al santo cenno
Sopra i cardini suoi ruggee si chiude
Ferreo cancelloe ne respinge.
(Si chiude solamente il cancello della chiesaondeè concesso vedere quello che dentro vi si fa.)
ADELASIA
Amiche
Sul limitar prostriamoci: si gridi:
(Tutte te donne gridano come Adelasia.)
Adrianopietà; gittar ne lascia
Ai santi piedi.
POPOLO
Ah forsennatee vili!
Come fango ei vi calchi.
ADELASIA
Ai cardinali
Mormora nell'orecchioe poi sparisce
Fra tenebre improvvise: ahi che prepara?
Ma di pallidi ceri al lume incerto
Ricompar fra gli altari: egli si posa
Sul gran seggio di Pietro. Oh qual tremenda
Maestà sul suo Volto!
POPOLO
Alfin tacete;
Qui move un sacerdote.
DONNE
Oh Cielche reca?
ADELASIA
(Il discorso di Adelasia è accompagnato da gemitie gridi di donne devote.)
TuSignorehai nella stola
Il color della viola
Qual dei giorni del perdono
Si richiede ai santi riti.
Oh! mercè dei rei pentiti!
SACERDOTE
Nunzio qui dell'ira io sono
Di Gesù da voi conquiso…()
DONNE
Oh da noi che mai s'ascolta!
SACERDOTE
Crocifisso un'altra volta
In quel pio che giace ucciso
Ei vi chiude il Paradiso.
DONNE
Dei sacri bronzi il suono!
Misere noiche fia?
(Suona la campana dell'agonia.)
UNA DONNA
Annunzia l'agonia.
ADELASIA
Propizia all'infelice
Di Dio la Genitrice
Preghiamoamiche; e tuRoman Pastore
Coi tuoi voti soccorri a quei che muore.
La moglieo il suo consorte
Combatte colla morte.
Poichè sentì sul ciglio
Le lacrime d'un figlio
Lo spirto ignudo e solo
S'alza a temuto volo.
SACERDOTE
Questo suon che vi reca paura
Non annunzia privata sventura:
Tutti avvolge la stessa ruina…
Siete morti alla grazia divina.
Or se alcuno avvien che pera
Sacerdote nol consola;
Per lui tace la preghiera
Ed è morta la parola
Che lassù rapida ascende
Sicchè Iddio tosto discende.
È muto il suon degli organi devoti
E fra gl'ignudi altari è luce tetra;
Stanno in mesto silenzio i sacerdoti
Abbandonati sulla fredda pietra.
DONNE
Pietà di noi!
ALCUNE DONNE
Pietà di tuttio Padre.
UNA DONNA
Io son moglie; infelice!
UN'ALTRA DONNA
Ed io son madre!
IL PAPA COI CARDINALI DENTRO LA CHIESA
Di Cristo le immagini
Velateo fratelli
Ed ogni reliquia
Nascondan gli avelli.
Costoro delirano
Per vanti feroci!
Prostratevi agl'idoli
Si atterrin le croci.
Pierdi tue glorie il Tebro
Omai più non ragiona:
Qual dalla fronte all'ebro
Cade una vil corona
Roma così dimentica
Ciò che in lei fece Iddio;
Venne di molti secoli
Come d'un dìl'oblio.
Quando Attila volea fino alla polvere
L'altezza umilïar delle tue mura
E che tu fossi vasta solitudine
Senza un'orma di gloria e di sventura;
Non pei derisi fulmini dell'aquila
I pensieri agitò della paura
Ma poichè a Paolo e a Pierdi Cristo eroi
Mirò la spada che vuoi tôrre a noi.
Al vicario di Cristo il suo diritto
Negava Arnaldoe sciolse agli empi il freno
E cieca di furor corse al delitto
Romache inebriò del suo veleno:
Nè basta il sangue di quel pio trafitto
Che ha di cinque ferite aperto il seno;
Arsi egli vuol col tempio i sacerdoti
E senza altare il mondoe senza voti().
UN CARDINALE
E qui l'empio trionfa? Ahi Roma ingrata!
La paura e l'ignominia
Sian corona alle tue mura
Nelle vie la solitudine
Sulle porte la sventura.
IL PAPA
(Inginocchiandosi.)
A Dio quest'alma il gemito
Invia del suo dolore;
Deh sorgi alfinee giudica
La causa tuaSignore!
I CARDINALI
Come nube che il vento persegua
Come fumo che in Ciel si dilegua
E che appena guatatonon è;
Spariranno i nemici di te.
IL PAPA
Il nome tuo dai perfidi
Oggi a temer s'impari;
Non regnin fra le ceneri
Dei dissipati altari.
I lor giorni sian brevi ed incerti
E raminghi in sentieri deserti
Li sgomenti ogni fronda che trema.
CARDINALI
Anatèmaanatèmaanatèma.
IL PAPA
Di lor case alle gelide soglie
Poi s'assida la vedova moglie
Col figliuolo che accanto le gema.
CARDINALI
Anatèmaanatèmaanatèma.
IL PAPA
Questi nato al furore di Dio
Erri lungi dal tetto natio
Nel terrore dell'ora suprema.
CARDINALI
Anatèmaanatèmaanatèma.
IL PAPA
Vada alle case d'oppressor straniero
Ch'empian le spoglie dei fratelli uccisi
Di donne che svenò nel vitupero;
E là con detti ignotioppur derisi
A porte inesorabili prostrato
Un pan dimandi.
CARDINALI
Che gli sia negato.
IL PAPA
Odo l'empio che grida: Io dal Signore
M'involerò sopra veloci antenne…
Nell'Oceàn mi segue il suo furore…
Fuggo al deserto… oh chi mi dà le penne?
In tenebroso orror chi mi conduce?
Ahi per l'occhio di Dio la notte è luce!
Fratellisi adempiano
I riti severi
Al suolo si gettino
Gli squallidi ceri
E s'estingua la gioiae in Dio l'amore
Nel cor di queste genti a Pietro ingrate
Come la luce che qui cade e more
In queste faci che col piè calcate.
ATTO TERZO.
Luogo deserto nella Campagna di Roma presso il mare.
SCENA I.
ARNALDO
L'onda del volgo che levommi in alto
Fuggì fremendoe m'haqual nave infranta
Sopra squallide arene abbandonato:
Ed io vi movo affaticate ed arse
L'ignude piante… Arido è il labbroe poca
Acqua non trovo che la sete estingua…
Arbor non v'hamuta ogni valle; all'onda
Che impoverì nell'arenoso letto
Più la vita non mormora. - Coraggio
Alma cristiana! a te conviene un pio
Soffrir tranquillo! Non hai tu promesso
Fede alla crocee sollevarti a Dio
Fuor del mondo e dei sensi? A questa polve
La vita è ugualche sempre il suo cammino
Segnasi con dolor… l'orme d'un piede
Un altro piè cancellae tutti un vano
Simulacro qui siamche appar per poco
E soffree muore… - Io non combatta invano
Figlio di Diocoll'immortal parola
Quel tiranno del tempo e dell'eterno
Che usurpa in terra il loco tuoche i piedi
Tien negli abissie fra le nubi il capo
E coi fulmini grida: - Il mondo è mio!
Leggivirtudi e libertà tentai
Rendertio Roma… Ahi sol dov'è la morte
Abita la tua gloriae ben l'alloro
Qui fra i sepolcri nasce e le ruine! -
Su colonna atterrata il fianco infermo
Posar mi giovi. Ah più di lei giacete
Alme latineed alla prima altezza
Chi tornarvi potrà? - Mi sento oppresso
Dal grave duol delle speranze altere
Sempre deluse nell'Italiae trovo
Dentro l'anima mia maggior deserto
Che questo ove di già l'aër s'imbruna
E m'annunzia la sera un suon di squilla
Da lontano cenobio: udir nol posso
Senza un desio che tremae in cor mi desta
Una memoria che divien rimorso…
Ahi presto in noi languio ragioneavvezza
Fin dall'età primiera a tanti oltraggi…
Conosci i chiostrie giovinetto entrasti
Nel sepolcro dei viviov'è la guerra…
Ricorda e fremi… Questo crin canuto
M'agita il vento… al mar son presso… oh notte
Più silenzi non hai! Dolce all'orecchio
Giunge dei flutti il mormorio lontano
In un vasto desertoe più non sono
Le tenebre un confine… Or meno oscuro
Il ciel si fa che minacciò procelle
L'aër men pigro ed insalubree tremula
Luce di stelle fra le nubi appare.
Oh sia lode al Signor! sento l'eterna
Armonia del creato; e se un'incerta
Luce qui sol mostra paludi e tombe
L'alma dal peso che quaggiù la grava
Non è vinta cosìche pur sia tolta
La libertà del volo ai suoi pensieri…
M'alzo a scopo maggior: dell'uom le tende
Sono quaggiùma la città nel Cielo.
Or non dubito più: terror di chiostro
Più non m'assal: perchè in Italia io volli
Libertade e virtùfarà ritorno
A Dio lo spirtoe andrà di stella in stella
Eterno peregrin dell'infinito.
Oh Cielchi giunge? io di cavalli ascolto
Un calpestìo… Fosse Giordan!… Non volli
Ch'egli Roma lasciasse a trar l'amico
Fuor di periglio: assicurar coll'armi
Dee prima il Campidoglioe poi raggiunga
Me devoto alla morte.
SCENA II.
GIORDANO con soldati ARNALDO.
GIORDANO
ArnaldoArnaldo!
ARNALDO
Oh cara voce!
GIORDANO
O generoso! ahi quanto
Pel tuo capo tremava… Ah mai sì grave
Non mi fu l'ubbidirti.
ARNALDO
Il Campidoglio
È nostro? e Roma mi richiama?
GIORDANO
Il clero
Al sacro monte ove fu Guido ucciso
Appressarsi non osa.
ARNALDO
E tolto il papa
Ha l'interdettoe son le chiese aperte?…
GIORDANO
Come la nebbia che le valli inonda
Folta la gente vi si addensae suonano
Di femineo ululato.
ARNALDO
E in ogni labbro
Vola il mio nome abbominato?
GIORDANO
Arnaldo
Mal celarlo potrei: non sai ch'è breve
Nella plebe l'amordura lo sdegno
Nei sacerdoti eterno? A lor gli ufici
Adriano divise; e chi fra loro
I pergami salìspaventae regna
Con ardenti parole impetüose:
È fra l'are tumulto; alle preghiere
Il fremito succedee in mezzo ai pianti
L'ira si destae dei percossi petti
Al suon s'alterna un maledir feroce.
Ma nelle chieseov'è silenzio e notte
I più astuti del clero a udir son posti
Gli altrui peccati; e le sommessearcane
Parole mormorate ai proni orecchi
Sono alla nostra libertà fatali
Più d'ogni voce che nei templi assorda;
Perchè nuda e tremante al lor cospetto
Ogni alma è tratta dalle sue latèbre
E assoluto non è chi si confessa
Se gli altri non accusa.
ARNALDO
Ah soffriamico
Ch'io torni a Romae vi combatta ancora
Per la causa di Dio; che non s'oltraggi
Cristo più lungamentee ai suoi nemici
La larva io strappi che li fa tremendi.
GIORDANO
All'ire brevi del più vil torrente
Resister non si può: sdegnano i grandi
Un sepolcro nel fango. Allor che scorsi
Saran quei giorni in cui la Chiesa è forte
Per le memorie d'immortal dolore
udrai che intepidì lo zel feroce
Nei più devoti petti. Or ch'è disciolto
Dell'anatèma il nodoancor nel clero
Avvi taluno che Adrian condanna
Che ferire il suo gregge osava il primo
Con insolita penaavverso a Roma
Come stranier: già gli s'invidia il grave
Manto ch'ei portae in ogni cor superbo
Sparisce il sacerdotee l'uom ritorna.
Ma da cura maggior che lo tormenta
L'anima è vinta del Roman Pastore;
E quell'armi a frenar che Federigo
Qui volge col furor della tempesta
Già ricovra in Viterboe i cardinali
Ei manda a lui come a nemico.
ARNALDO
E tosto
A quel tumido Svevo i suoi legati
Roma non invïava?
GIORDANO
Al suo cospetto
Saran pria di costoro. E voglio anch'io
Farmi a Cesare incontro; e tu mi segui
Se hai cor!
ARNALDO
La morte io non pavento: è vita
A chi Cristo seguì. Ma qual consiglio
Giordanoè il tuo?
GIORDANO
Toglier tu brami al clero
Oropossanzae nel suo cor lo stesso
Federigo desia. Si parla invano
Colla stolida plebe: è un'arme il vero
Da porsi in man dei requalor tu brami
Spegner gli antichi errori.
ARNALDO
A quel tiranno
Tu vuoi che Arnaldo s'appresentie schiuda
Tra ludibri e minacce a vil parola
Pallide labbraadulator tremante;
E lo consigli che al Tedesco avaro
Doni quei beni che la Chiesa usurpa
Ai popoli d'Italia? A lor li renda
La casta sposa dell'Agnel celeste
Tardi pentita delle sue ricchezze
Sacrilegio e rapina: alfin ritorni
Santo l'altaree saran polve i troni.
GIORDANO
Invan lo sperie d'un poter concorde
Ai nostri danniostia sarai.
ARNALDO
Ma pura. -
Secoliche tacer mai non potrete
Le sventure di Romaancor serbate
Memoria eterna di quel dì solenne
Ch'io del quarto Adrian giunto al cospetto
Nella smarrita via ridur tentai
Quell'errante Pastor che si fa duce.
GIORDANO
Misero Arnaldoinvan parlasti a Pietro!
Ei qui Cristo rinnegae mai non piange.
ARNALDO
Compii l'uficio mio.
GIORDANO
Tu aver potresti
Di Cesare il favor: per calle obliquo
Se non giungi alla metainfamia e morte
Pendon sul capo tuo.
ARNALDO
Reo sulla terra
Martire in Ciel. - Ma qui speranza alcuna
Di libertà non resta: or di'; che avvenne
Dei prodi Elvezi ch'io condussi a Roma?
GIORDANO
Parton.
ARNALDO
Che ascolto! e la cagion?
GIORDANO
Tu puoi
Chiederla a lor… non li ravvisi? in traccia
Muovon di te.
SCENA III.
SVIZZERI DI ZURIGO coi loro DUCIE DETTI.
ARNALDO
Guerrierie voi potete
In sì grand'uopo abbandonarci?… è questa
La fè che mi giuraste?
UN CAPITANO SVIZZERO
A noi giungea
Dello Svevo un araldo: egli c'impone
Lasciar l'Italiao dall'Impero avremo
Il bando dei ribelli. Or viaci segui
Ed a Zurigo ritornar potrai
Fra le schiere confuso.
GIORDANO
Itene. Arnaldo
So che fra noi rimane.
(Gli Svizzeri si traggono in disparte.)
ARNALDO
Al sen mi stringi;
Tu mi comprendie m'ami. Or vanne al campo
Del superbo Tedesco: ei dal tuo labbro
Parole ascolterà degne di Roma.
GIORDANO
Ripeterò le tue. Ma nei perigli
Senza difesa abbandonar l'amico
Viltà sarebbe. Io sul destin vegliai
Del tuo capo diletto; e pronto asilo.
Dal fido Ostasioche t'aspettaavrai
E dai nemici tuoi sarai difeso.
Con intrepido affetto: e ben ricordi
Poichè in Roma ei t'udivaa te l'hai tratto
Colle sante paroleed or possiedi
Sul puro cor del giovinetto ardente
Autorità di padre e di maestro.
ARNALDO
Gli è consorte Adelasiae non potei
Farla sicura nella mia dottrina
Ed in calma ripor quel procelloso
Spirto che passa dall'amore all'ira
E dall'ira all'amor; chè dei miei detti
Atterrita mi parnon persüasa.
GIORDANO
Ora da Ostasio è lungi: il suo castello
Non è lontano; e senza rischio alcuno
Andar vi puoichè i miei vassalli io posi
In ogni lato a custodir la via.
(Giordano parte da un latoe Arnaldo da un altro.)
SCENA IV.
UN CAPITANO SVIZZEROvedendo partire Arnaldovorrebbe impedirglielo.
Che fai?… ci segui… ancor n'hai tempoArnaldo.
Magnanimo rifiuto! ammiroe piango!…
Da quell'inerme che sul mondo impera
Roma fu vinta. Alta follia sarebbe
La possanza affrontar di Federigo
Per una plebe che s'affolla e piange
In ogni tempio: e se noi qui restiamo
Potria Lamagnache ci freme intorno
Arder le nostre casee sterminarci
I genitorile consortii figli;
Nè qui pugnar potremmo: ogni vigore
Già ci abbandona; e pesoe non difesa
Nell'armi avremse più divampa il sole.
Ahi questo cielo sorridendo uccide
Pur colui che vi nacque: e ben si fugge
Dai vôti campi ove ha la notte orrori
E non riposoe ti minaccia a gara
E la natura e l'uom. - Qui che vedeste?
CORO DI SVIZZERI
(che partono)
Orgoglio di nomiludibri di sorte;
In vasti deserti silenzio di morte
O in lande nebbiose vaganti fiammelle
Muggito di bove che al giogo è ribelle;
Per l'ampio sentiero cavalli fuggenti
Con orridi criniludibrio dei venti.
Non canto d'augellinon lieto romore;
Ma eterni custodi di antico dolore
E tombe e ruine che metton sgomento
Al suono dei pini commossi dal vento.
Han tenebre i boschi d'insidie ripiene;
Non vigili fontima squallide arene
O in letto profondo un rivo ch'è muto
Con livido flutto ed irresoluto:
Nè ha margin che lieto sia d'erba o di fiore
Ma in sterili sabbie s'asconde e vi more.
Quai spettri custodi di antichi castelli
Da case che sono macerie ed avelli
E pallidi e nudida febbre riarsi
Tu vedi cultori repente affacciarsi
Con livide faccecon sguardo feroce
Se suono li desta d'insolita voce.
Qui gravi le nubi sul capo mi stanno;
Qui pallida è l'erbail sole un tiranno.
UNO SVIZZERO.
Un indomito amor del suol natio
Di qui ne traggea riveder ci guida
Le mura eterne che vi fece Iddio.
Sopra l'aride vie di terra infida
Mi dà tormento la soave immago
Del dolce rio che al mio tugurio è guida.
Oh ch'io mi posi ove sorride il lago
Ch'ascolti il suon delle note parole
E sul margine suo romito e vago
Io dormae sogni la diletta prole!
SCENA V.
GALGANO e FERONDOsoldati di Giordano
in altra parte della campagna di Roma.
GALGANO.
Perchè mesto così!
FERONDO
Galganoudisti
Come dispregian Roma? e pur vi furo
Largamente nutriti: a quella gente
Ch'è devota d'Arnaldoogni dottrina
Quel monaco insegnòfuor che il digiuno.
Tornino alle lor tane; e noi si torni
Alla santa Cittàchè assai mi grava
Aspettar qui l'eresiarca.
GALGANO
Affrena
L'audace lingua.
FERONDO
E morir vuoi per questo
Abbominato? Alfin tornava il senno
Al popolo romanoe per Arnaldo
Si chiama in colpae si percote il petto
Ai piè dei sacerdoti… A dirti il vero
Ho l'alma grave di molti peccati;
E un monaco cercaima di quei santi
Che stanno dove Roma è più deserta
Desideroso di cadergli ai piedi
E il peso allevïar che mi tormenta.
Alle porte ei battea del monastero
Quando mi feci innanzi al suo cospetto
Con atto riverentee dissi: O Padre
Confessar mi vorrei. Bieco rispose:
Tu sei vassallo di Giordanoe pugni
A favor d'un eretico: va lungi
E non toccarmi; il tuo peccato è tale
Che assolver non si puote. - In quel s'aperse
Del monaster la portae in faccia mia
Impetüoso come fosse il vento
Quel monaco la chiusee in cupo suono
Che nell'orecchie mie vive e rimbomba. -
Se dalle rôcche nel mio sen si volge
Arco nemicoe fa volar la morte
Ahi povero Ferondo! - E tu che godi
Fra i nemici lanciartie la tua vita
Poni a rischio maggiorGalganopensa
Pensa all'anima tua. San Pietro è aperto.
Se mutiam parte (e ce ne dan l'esempio
I baroni di Roma)e al suo destino
Si lascia Arnaldo e chi con lui delira
Pur lo stesso Adrian sopra la fronte
Quel possente crocion farci potrebbe
Che di volo ci manda in Paradiso!
Il gran peccato è l'eresia! chè gli altri
Pesan men d'una piumae se ne vanno
Con un segno di croce.
GALGANO
In verFerondo.
Tu sei stolto cosìche dallo sdegno
Il disprezzo ti salvae lascia impune
La viltà che consiglia al tradimento.
Fede ai miseri io serbo: ho con Arnaldo
Comun la patria.
FERONDO
Ebbe da Brescia esiglio.
GALGANO
(Sdegnato)
Dal popol nodai sacerdoti.
FERONDO
Amico
Non t'adirar.
GALGANO
Se vuoi ch'io non m'adiri
Non chiamarmi così.
FERONDO
Veggo che sei
Tu d'Arnaldo un discepolonè credi
Che le porte del Ciel chiuder ti possa
Il successor di Pietro.
GALGANO
Ancor ch'uom d'armi
Io siaFerondonel Vangelo ho letto
Quelle parole che ripete Arnaldo:
«Posseder non dovete argento ed oro.»
Nelle umane ricchezze il suo desio
Ha posto il cleroed è così crudele
Che agli eredi le toglie: ei pure è lieto
Del pianto mio.
FERONDO
Tu dunque aver potevi
Sostanze ed agi? Ahi la milizia è dura!
GALGANO
Cara è per me: col mio stipendio io posso
La madre antica sostentar: morrebbe
Di fame priach'ella seder dovesse
Sul limitar del tempioove dispensa
Superbamente i luridi rilievi
D'un pan che le rapìla gente iniqua
Che sterminar vorrei. - Ferondoascolta
Se posso amarli. Era la madre mia
Caduta in povertàma la soccorse
Un suo ricco fratello: avea costumi
Innocenti cosìche quell'austera
Dottrina egli seguía che sparse Arnaldo
Nel suo loco natio: poco a sè stesso
Molto ai poveri davae nulla al clero.
Ei cadde infermo; allor nelle sue case
Un monaco calòsiccome un corvo
A cui nel ciel per lungo tratto arrivi
Aura maligna d'insepolte morti.
Mesto negli atticon voce soave
Presso l'egro s'assise a confortarlo.
Ma un dì che lungi era la sua sorella
Vi ritornò di furtoe il capo infermo
Sì gli empiè di rimorsi e di spaventi
Che un demone credea gli stesse ai crini
Per afferrarlo: il monaco ribaldo
Gioía delle sue frodie quei terrori
Moltiplicava con parole insane;
Mentre la madre mia tentava indarno
Di ricondurre la ragion smarrita
Nel misero fratello. A lei fu chiusa
Ed a mela sua casa… Ancor mi sembra
Quel monaco veder: le membra avea
Per pinguedine tardee mai sul ciglio
Una lagrima pia: sol era il grave
Anelito del petto il suo sospiro.
FERONDO
Credi che basti a far d'Arnaldo un santo
Ch'ei mangi appena e bevaabbia le membra
Aride pel digiunoe gli occhi ardenti
Nella pallida fronte? È fatto macro
Dai vigili rimorsie ben s'impingua
Nella grazia di Dio… Ma dimmiin fuga
Il demonio fu posto?
GALGANO
Egli sparia
Quando vestito delle sacre lane
Il moribondo zio fu persüaso
Da quell'astuto di lasciar gli averi
Onde privò gli eredia quel convento
In cui vive l'iniquoe poltroneggia.
FERONDO
Ma il tuo parente è in Ciel.
GALGANO
Sta dell'abisso
Nel più profondo che ti fe' soldato.
FERONDO
S'io la causa di Cristo esser pensassi
Quella d'Arnaldoal par di te saprei
Ogni rischio affrontar.
GALGANO
Tu seiFerondo
Di sì povero corche delle tue
Armi hai paura; e splende invan la luna
Chè al suol le getti d'ogni fronda al moto.
Tu da questa milizia uscir potresti
Ai servigi del chiostroe in quella pace
Farti lieto di cibo e di bevande.
FERONDO
Generoso non sei: tu prendi ardire
D'offendermi cosìperch'io mi trovo
In peccato mortal.
GALGANO
Ritorna a Roma.
Milita con Leone: allor sarai
D'ogni colpa assoluto. Io son fedele
A Giordano ed Arnaldoe loco avrai
Di venir meco al paragon dell'armi.
FERONDO
Che teco io pugni? L'eresiache muta
Il cibo in vermie imputridir fa l'acqua
Rende le spade ottuseoppur le frange.
Facil vittoria avrei di te: sarebbe
L'ucciderti viltadee poi rimorso.
Dei Frangipani alla progenie altera
Servir non bramo: conculcar fu vista
I vicari di Dio. Se qui la Chiesa
Armi non haso che le son fedeli
Della Germania i vescoviche seco
Tragge l'imperatore: esser vorrei
Fra i lor soldati accolto; e tu vedresti
Nel dì della battaglia il pio Ferondo
Avventarsi assoluto e benedetto
Ov'è la mischia…
GALGANO
Io sul mio labbro avea
Fremito d'irae tu lo cangi in riso.
Pari a Ferondo i suoi nemici avesse
Questa misera Italiae non sarebbe
Desolata così!
FERONDO
Del nuovo stato
Se oblíi per poco le follie superbe
Conoscerai che sono i pii guerrieri
Che regge il senno di pastor mitrato
Più felici di noiche fra le lunghe
Tenebre stiamo del piovoso inverno
A guardia delle torri; e udiam sul capo
L'upupa rotearcia cui fu pasto
Un appeso compagno; e il can ramingo
Presso il livido fosso andar latrando
Quando la luna velano le nubi
Che son gravi del gel che ci flagella:
E se del fresco venticel notturno
Quando regna l'estatea breve sonno
Ci persüade la fatal dolcezza
Della febbre che corre in ogni vena
Il ribrezzo ci desta.
GALGANO
Ah giunge Arnaldo.
Se un detto solo irriverente ardisci
Volger su luit'uccido.
SCENA VI.
ARNALDOE DETTI.
ARNALDO
Aita!… all'armi!…
GALGANO
Che t'avvennesignor?
ARNALDO
Di questa selva
Ove scorta mi sieteun cupo udii
Fremito alzarsi fra le frondi immote
Per silenzio di ventie un improvviso
Balenar d'armi mi ferì lo sguardo:
Erano armati sgherrie in mezzo all'armi
Tinte di sangue biancheggiar mirai
Un monaco crudel… qui giunge.
SCENA VII.
MONACO con SOLDATIE DETTI.
MONACO
Un pio
Zelo mi guida a ricercar l'errante
Che nel cenobio un dì la via promise
Della regola mia. Dolce fratello
Scoti al fin dalla mente il grave errore
Che a Dio ti fa ribelle: il capo umìle
Se rendi al giogo che ti fu soave
Freme l'inferno e si rallegra il Cielo.
ARNALDO
O vipera crudelea insidie nuove
Nella mia via ti celi? ancor ti resta
Vita e veleno?
MONACO
Tu deliriArnaldo!
Son questi i frutti del saper profano
Onde potesti disprezzar la nostra
Filosofia divina? A lei nemico
L'abito suo rivesti? e non ritorna
L'immagine del chiostro al tuo pensiero
Quando ti piacque insanguinar flagelli
Sulla carne ribellee coll'aurora
Sorgevi il primo a salutar la sposa
A cui fai guerra? O sventurato Arnaldo
Fosti la matutina aura soave
Che desta i fiori del giardino eterno;
E nella notte era la tua preghiera
Gemito di colomba che riposa
Sul nido l'ali che stancò nel cielo:
Ed or fatto sei tu vento superbo
Che le torri sublimi invan percote
Alla casa di Dio; l'aquila altera
A cui piace la via delle tempeste.
Muta pensierie vita: a Dio ti lega
Voto solenne.
ARNALDO
Dove l'odio alberga
Cristo non è: per seguir luimi sono
Da voi divisoe ritornai nel mondo.
Non tra profonde valli e in mezzo all'ombre
Ma sulle cime eccelsee nell'aperta
Luce del sole risonar dovea
Sul mio labbro fedel quella parola
Che dal servaggio liberò col vero.
Quai sieno i chiostri è noto(): invan vi cerchi
Pietàdottrinaamordacchè si vende
Ciò che Cristo donava; e un'empia gente
Che il mondo impoverì colle preghiere
In delizie mutato ha le spelonche
Che abitò la sventura ed il rimorso.
Empie i cenobi chi celar la vita
Brama in ozi superbie vi ritrova
Più di quel ch'ei lasciava: ogni convento
Ha scandalirapinee frodie risse
E perenni menzogne; e vi s'ascolta
Sol nell'ebrezza dei conviti un vero
Che inorridir ti fa. Se i rei costumi
Cerchi frenar coi detti e coll'esempio
Ti persegue il crudel che signoreggia;
E un breve indugioun mormorio sommesso
Che l'ubbidir ritardie manifesti
Un modesto desiovolge in delitto.
Però l'iniqua abbandonar mi piacque
Ignava genteche riman sicura
Nel pubblico terroree mai non ebbe
Per l'Italia una lacrima…
MONACO
Mentisci
E i monaci calunni. Onde partisti
Volontario ritorna; o Dio mi grida
Che ad entrar ti costringa.
ARNALDO
E del Vangelo
Abusar puoi così?
MONACO
La sua dottrina
Interpretar saprà chi d'Abelardo
Difese l'eresia?
ARNALDO
Tu lo ricordi?
Tremar dovresti al nome suo! Non senti
Rimorso alcunoe nel delitto esulti?
Lo svelerò se tu non partie questi
Sgherri crudeliin cui t'affidiavranno
Orror di te.
MONACO
Mio prigionier divenga
E più non s'apra alle menzogne audaci
Il suo labbro profano.
ARNALDO
Uditee l'armi
Voi che trattateal cocollato mostro
Ubbidir sdegnerete(). In ermo loco
All'odio dei mortali ed all'amore
Il misero Abelardo invan s'ascose
Chè più splende la luce ov'è deserto.
Ma poi che al fonte della sua dottrina
Ognun si dissetòpresso Nogento
Fu dai monaci eletto ai primi onori
Nel chiostro di San Gildoe desolata
Pace sperò dopo sì lunga guerra.
Vano sperar! Poi che tentò quei molli
Ridurre al freno delle leggi austere
Scritte dal grande che fondò Cassino
Ad essi increbbe. Allor questo crudele
Artefice di colpe in Francia venne
Com'egli avesse di saper vaghezza;
E sugli scritti impallidir volea
Che Abelardo vergò nel suo convento.
V'entrò l'iniquo a nutrir gli odi atroci
Nell'anime codarde: il buon maestro
Soggiacque al peso di calunnie antiche
E dall'errore liberar la Chiesa
Ognun giurò. Colla novella aurora
Il rigido Abelardo offriva a Dio
E da povero altarl'ostia di pace.
Nel giorno stabilito al gran delitto
Dal duro letto egli le membra inferme
Sollevar non potevae atteso invano
Era nel tempio dal converso umíle
Unico amico. Ognun nel sonno immerso
E nel vino giacea: malvagio e stolto
Pur dormiva costuiche persüase
Santo ogni mezzo che conduce al fine
E il sacrilegio preparato avea
Che m'udrete narrarse la parola
Non morrà sul mio labbro inorridito.
Meco veniva a consolar l'afflitto
Da cenobio vicino un giovinetto
Monaco: matutini entriam nel tempio:
L'alba era incerta ancornè si vedea
Pel sol vicino impallidir le stelle.
La luce che splendea sull'ara umile
Apparecchiata al sacrifizio augusto
Ci guida: io chieggo d'Abelardo… Ei langue;
Replicò sospirando il pio converso
A cui negli occhi era disceso il pianto
Prima che il labbro ad un sorriso aprisse
Ravvisando del misero gli amici.
Sull'altar d'Abelardo al mio compagno
È celebrar permesso: umile ei viene
All'alto uficioe pregae geme: un santo
Amor lo accendee brilla il Paradiso
Nella letizia delle sue pupille.
Alzando l'ostia ove discende Iddio.
Ma degli Angioli al Pane univa appena
Il suo licorche manda un gridoe muore.
Ahi nel sangue di Cristo era il veleno
Per Abelardo: i monaci crudeli
Chiusi nella cocollae la crudele
Ipocrisia del lor silenzioio vidi
Mover siccome spettri ad uno ad uno
Verso l'altaree contemplar l'estinto
Senza un sospiro. Nel comun delitto
Costui fuggìch'era il più vile.
MONACO
All'empia
Fola credete? La inventò costui()
Che nega fede al sacrifizio arcano
In cui vittima è Dio: spera alle genti
Porlo in odio così.
ARNALDO
Mentisci.
MONACO
Io teco
Troppo garrìi: d'un cardinale ai santi
Cenni ubbidisco. Or quel che impone udite. -
(Si trae un foglio dal senoe lo legge.)
«A te nel nome d'Adrian commetto
Arnaldo imprigionar: nel chiostro ei torni:
Si penta e vivachè dal sangue aborre
Il Vicario di Dio…» Mite gastigo
Non dubitarnel mio cenobio avrai
Abitator della romita cella
Ove in pace si va().
ARNALDO
Non cessi ancora
Dalle tue frodi? Atroce pena ei vela
Con benigne parole.
MONACO
Or che si tarda?
Datemi Arnaldo.
FERONDO
S'abbandoni.
GALGANO
Io resto
E snudo il brando.
MONACO
Dalla folle impresa
Cessi costui.
GALGANO
Non sarà vostro Arnaldo
Fin ch'io respiro.
(I soldati del monacomalgrado la resistenza diGalganos'impadroniscono d'Arnaldo.)
MONACO
In mio poter cadea:
Di qui si tragga().
SCENA VIII.
OSTASIO con i suoi vassalli E DETTI.
OSTASIO
A liberar l'amico
Giungo opportuno.
(Incomincia la zuffa fra i vassalli di Ostasio e isoldati del monaco; il qualevedendo che i suoi erano per cederedicele seguenti parole:)
MONACO
Cedono le schiere
Ch'io qui guidava… Or la pietà sarebbe
Un delitto per noi. Mirar vogliamo
Il trionfo dell'empio? Ognor la Chiesa
Benchè madre benignaa Dio richiede
Che i suoi nemici esterminar si degni.
S'uccida Arnaldo.
GALGANO
Tu morrai primiero.
(Galganouscendo dalla zuffasta per ferire ilmonacoe Arnaldo glielo impedisce.)
ARNALDO
Fermati.
GALGANO
Ei fugge invano: i miei compagni
Raggiungerlo sapranno.
ARNALDO
Il cieco affrena
Impeto dei soldati.
OSTASIO
Un sì gran reo
Impunito sarà?
ARNALDO
Solo si lasci;
La sua pena incomincia: in quel deserto
Il rimorso lo segue; a Dio potrebbe
Tornar col pentimento: or si compianga;
Il misero non ama.
OSTASIO
Iddio favella
Sopra il tuo labbro. - S'ubbidisca Arnaldo;
Qual profeta s'adori.
ARNALDO
Ah no! sorgete;
E sia gloria a colui che la soave
Legge di Dioche Carità s'appella
Primo insegnò. Qual esser dee vedrete
Da ciò ch'ei narra; e ai sacerdoti antichi
Come somigli il Fariseo novello.
CORO
Ignudo e semivivo
Su questa via che a Gerico conduce
Sacerdote crudelmi vedi e passi?
Ed il tuo sguardo invano
Nel mio s'incontrae invan gli erranti lumi
Su cui la morte ora distende un velo
In atto di pietà rivolgo al cielo? -
Così l'ignoto pellegrin dicea:
E ben colui che scrisse
«La mia legge è compita allor che s'ama»
Il suo nome ci tacqueed uom lo chiama.
Poi gli mancò la vocee i lumi ei chiuse
E in quel gelido corpo abbandonato
E la vita e la morte eran confuse. -
Ma chi giunge? un levita… Oh dalle bende
Libera il capo: diverran più sacre
Se le converti in fascee tosto al sangue
Nell'aperte ferite
Chiudi le vie colla pietosa mano.
Ah se più tardi!… qui giungesti in vano. -
Questa voce parea dal muto aspetto
Sorger del moribondo; e del levita
Che a lui s'avvicinòsorgea nel core
Un consiglio d'amore:
Quando spuntar dalla soggetta valle
Mirò quel sacerdotee ben s'accorse
Dalla via che tenea
Che visto ei pur quel derelitto avea;
Onde l'esempio imita
Del Fariseo crudele anche il levita.
Già su colui che langue
Pendea l'ora fatale
E dal purpureo sangue
L'alma spiegava l'ale
Mentre al Giudeo s'appressa
Un figlio di Samaria… A me ridici
Aura del divo ardore
Quali parole ei ragionò nel core. -
Perchè coll'anatèma
A noi serrar presume
Che un altro rito abbiamo
Gerusalem crudele il sen d'Abramo
Alla pietà di quel ferito e nudo
Il mio cor sarà chiuso? Avrei bramato
Che qui m'abbandonasse il pellegrino
Se in questa via trovava il suo destino?
Ambo siam figli d'Eva: or quei che meco
Ha comune il dolor dirò straniero?
Dell'agil mio destriero
Il procelloso piè non m'assicura:
È più rapido il vol della sventura.
Ma quel trafitto io non conosco! È reo
Forse perciò? Se noto egli mi fosse
Più gli sarei pietoso… Ah mentre io parlo
Altri piange su lui… Consorte e figli
Quell'infelice ha forse!… Allor sentia
Tutto di pianto inumidirsi il ciglio
Questo pietoso di Samariae vero
Era quel che vedea col suo pensiero.
Ch'è già nascoso il sol nell'occidente
La mesta donna dal balcon rimira;
Vi pende immotae nulla vede e sente;
Onde parla così mentre sospira:
Il mio diletto nella polve ardente
I passi ha stanchio in altra via s'aggira
Che dall'insidie di ladroni ascosi
Un asilo gli dia che lo riposi?
Madreil figlio soggiungeei mai non suole
Mutar sentieroed ha veloce il piede.
Ti rivedrò pria che tramonti il sole
Il genitor mi dissee ancor non riede?
Io mi ricordo delle sue parole
E ch'egli un bacio nel partir mi diede. -
Piange la sventurata e non risponde
E nei suoi dubbi tremae si confonde.
Quel pio frattantosiccom uom che prega
Sta sul trafittoe colla mano esperta
Tratta soavemente ed unge e lega
Ogni ferita nel suo petto aperta:
Mentre il contempla e sopra lui si piega.
Trepido il volto d'una gioia incerta
Qual cui tema e speranza il cor divide
Apre gli occhi l'infermoe gli sorride.
Quel di Samaria con pietosa cura
Sul destrier suo lo guida ad umil tetto;
Gli risana le piaghee lo assicura
Colle parole di gentile affetto:
Questo amico fedel della sventura
Poi che molto vegliò presso il suo letto
Alla moglie il tornòche allor si pose
Sul nero crin di Gerico le rose.
Fra l'opre tue fu questa
Superno Amorche sei
Raggio d'un sole che non teme ecclisse.
Tempo non v'era e loco
Quando dal sen di tua sostanza eterna
Come scintilla a cui fu padre il foco
Folgorò l'universo()e si diffuse
Nel mar dell'infinito il tuo pensiero
Nè più star ti piacea dentro il tuo velo
Re solitario senza terra e cielo.
O cagion di te stessoo senza prima
E senza poipresenteeternoimmenso;
Tu sei qual fosti ognorae la tua vita
Penetra tuttoe splende in ogni guisa
E sempre una rimaneed indivisa:
È face che rischiara e manda ardori
Un arbor lieto di perpetui fiori.
Necessità nel cielo
Libertà sulla terra è la soave
Fiamma di Dioche Carità si chiama():
Oh beato colui che vuoleed ama!
Dal peccato e la morte
L'odio nascea. Nell'immortal suo velo
Come una stella in cielo
Stava l'anima prima: ora del corpo
È fatta ancellae n'ha gravezza e notte.
Pur si vede tuttor com'arde un riso
Negli occhi del mortal quando è benigno:
L'anima sua risale
All'origine eternae si fa bella.
Tanto la prima ugualità prevale
Che vera ed una in tutti è la favella:
Il volto che in silenzio ha mille accenti
Si volge a lui che sa riporre in calma
Le tempeste dell'alma.
Così nel mar turbato
L'onda che s'avventò nel suo furore
Se poi riede placato
Bacia pentita il lidoe sente amore.
ATTO QUARTO()
SCENA I
Luogo presso a Sutrichiamato Campo Grasso.
ABITANTI DI TORTONAD'ASTIDI CHIERIDI TRECATEDIGAGLIATEscampati da quelle città e terre distrutte da FedericoBarbarossa.
CORO
Il Tedescoch'è stolido e fero
Arde a un tempo i tuguri e le ville:
In quel fumo che sorge più nero
Tu non vedi volar le faville?
Tu non odi fra suon di ruine
Strida alzarsi di figli innocenti?
Delle donne ch'ei tragge pel crine
Non ti giungon sull'aure i lamenti?
SEMICORO I.
Dalla valle sollevasi un nembo.
SEMICORO II.
È la polve che sveglian destrieri.
SEMICORO I.
Quella luce che splende nel grembo?
SEMICORO II.
Sventurati! son aste e cimieri.
CORO
Come l'onda sospinta nel mare
Freme l'osteed in men d'un baleno
Tante lance s'abbassanche pare
Tremar sotto i cavalli il terreno.
DONNE
Ah si fugga.
ALCUNE DONNE
Si fugga.
UN VECCHIO
Io del cammino
Al disagio non reggo; affaticate
Le ginocchia mi tremanodechinano
Le membra al suoinè sollevarmi io posso.
Miseranda vecchiezza! ah tu non sai
Nè pugnarnè fuggir!
UN FANCIULLO
Coll'avo io resto;
Chè con passo ineguale invan m'affretto
Madresull'orme tue.
LA MADRE
Ch'io t'abbandon
O creatura mia? saprò le spalle
Gravar di te.
IL FANCIULLO
Ma il mio minor fratello
Che nutrisce il tuo senoallor potrai
Fra le braccia recar? vediei riposa!
Non destarlo per me.
LA MADRE
Povero figlio!
SCENA II.
UN MESSAGGEROE DETTI.
IL MESSAGGERO
Qui rimaner potete; ora nei campi
Che il terrore fa suoimiete col brando
Il Tedesco la messee ne fa pasto
Ai corridor fumantie poi sul suolo
Ai vasti corpiaffaticati e domi
Dalla polve e dal Sollungo riposo
Certamente ei darà.
UN ABITANTE DI GAGLIATE
Chieder dobbiamo
Nella santa Città pietoso asilo
Al Romano pontefice. Discordi
Son le nostre città: Pavia le parti
Tien dell'Imperoe fu per noi crudele
Più dei Tedeschi. Poichè al buon Gherardo
La magione atterròci niega asilo
Milano ingrata: or più non dice il fumo
Ove sorgea la nostra patriae l'erba
Lieta di sanguele ruine ascose.
UN ABITANTE DI TRECATE
In Gagliate nascesti? e patria a noi
Trecate fu().
UN ABITANTE DI CHIERI
Di Chieri mia cadeste
Torri superbe! e poi la fiamma ostile
Le divorò.
UN ABITANTE D'ASTI
Nè un giorno sol difesa
Dai suoi timidi figliAsti divenne
Una ruina vil(). Barbaro armento
Calpestie Borea vincitor disperda
Un cener senza sangue. Ahi sulle mura
Io veggo assisi a contemplar la fuga
Dell'italico greggee alfin discesi
Nella vôta cittàfra i santi avelli
L'oro scoprirnee farla preda al foco
Prima avari i Tedeschie poi crudeli.
UN ABITANTE DI TORTONA
Pugnò Tortonae allor d'Italia i brandi
Bebber sangue alemanno(); e farci vili
Col supplizio dei servi invan sperava
Il teutonico orgoglio. Ancor si piange
Per Cadolo in Bavierae quell'altero
Sassone vinto in singolar conflitto
Ci fe' lieti di gloria e di vendetta.
Non son fati plebei: lacrime illustri
Bagnan volti superbi: invan le schiere
Cercano i duci lor. Di quanto sangue
Vermiglia non spumò l'acqua difesa
Dai nostri prodi! e pur da noi si bevve
Per cadaveri putre; alfin la rese
Sì coi bitumi Federigo amara
Che ci domò la sete: in questo modo
Vinse il tirannoe ancor Tortona è polve!
UN ALTRO ABITANTE DI TORTONA
Ma i figli suoi Milan ricovra: io solo
E d'anni gravee a mendicar costretto
Tardi vi giunsied era chiusa.
UN ITALIANO
Iddio
Dona e toglie il valore. Almen fratelli
La sventura ci rendae non si parli
Più di gloria fra noichè questo affetto
È pei felici. Or qui risuoni un canto
Qual di madre che piange unico figlio.
GLI ABITANTI DI TRECATE E GAGLIATE
Strage ingombra le tue strade
Del barbarico furore
Come il fien che molto cade
Dietro il tergo al mietitore
UN ABITANTE DI TRECATE
Figli non honè amici:
Ogni mio ben fuggì;
Periro i dì felici
La patria mia perì.
UNA DONNA DI GAGLIATE
Ahi quel diletto albergo ove fui madre
La barbarica fiamma consumò;
(Volgendosi al figlio.)
Eri tu lunginè vedesti il padre
Che morendo le soglie insanguinò.
UNA DONNA DI TRECATE AD UN'ALTRA DELLA MEDESIMA TERRA
Nelle case fumanti ahi mal cercasti
Miserai figlie l'ossa lor trovasti!
CORO
Così colombaa cui fra le segrete
Frondi la prole divorò il serpente
Della garrula casa la quïete
Tornando ammirae sta coll'ali intente
Finchè sparso di sangue il noto abete
Ravvisae cade l'esca alla dolente
Che riconosce con un flebil grido
Le piume erranti nel disperso nido.
UN ABITANTE D'ASTI
I miseri io vidi
Con pianticon stridi
Oh colpaoh sventura!
Uscir dalle mura
Di vôta città.
Il passo era tardo;
Indietro lo sguardo
Guatavanguatavano
E poi sospiravano:
Deh quanta pietà!
Le misere madri
Gli squallidi padri
I vecchi languenti
I figli innocenti. -
Nel campo nemico
Chi veggo? oh furor!
Con sè Federico
Ha d'Asti il Pastor.
Tu santotu padre
All'orride squadre
Dài nome d'amici
Con man benedici
Che inalzi al Signor?
CORO
Ohimè! sta nella polve
L'anima nostraed alla dura terra
Si mescee si confonde il nostro volto
A celarvi il dolore e la vergogna:
E come d'uom che sogna
Sono i nostri pensieriora che fatti
Siamo obbrobrio alle gentie vile esempio
D'ogni sventura. Il barbaro Tedesco
Scote sull'onte nostre il capo altero
E l'alte torri delle vane mura
Con lenti sguardi il derisor misura.
E chi di noi dimentico
O Re del Cielti fe' ?
Perchè gli empi dimandano:
Il loro Dio dov'è?
Fra le barbare genti
Vuoi che dispersi andiamoe del tuo gregge
Siam la pecora vile
Che per esca rifiuta
L'ultimo dei mortali; e se ne offende
Ai lupi s'abbandonae non si vende?
Vedi Italia che sospira
Come l'egro che s'aggira
Nel suo letto di dolore.
Tutte su lei passarono
L'onde del tuo furore.
Sul campo suo distrutto
Fu spento anche il cultore;
In servitù ridutto
L'armento è col pastore.
Tutte su noi passarono
L'onde del tuo furore.
UN ABITANTE DI GAGLIATE
Qui vien!…
UN ABITANTE DI TRECATE
Chi miro?
UN ABITANTE DI TORTONA
I sacerdoti istessi
Più sicuri non sono. - Onde movesti
Se ciò lice saper?
SCENA III.
UN SACERDOTE DI SPOLETOE DETTI
SACERDOTE
Strusser le fiamme
La chiesa mia presso Spoleto(). È cinta
Già dai nemici la città superba:
Tardi pentitasulle mura inalza
Il vessillo di Pietroe a lui vassalla
Invan si chiama: del crudel Tedesco
È nel sangue la viachè a niun perdona
Quella gente inumana;
Nè v'ha fra l'are asiloe già risuona
Nei templi desolati eco profana.
UN ABITANTE DI TORTONA
Invïolata dall'ostil furore
Roma sarà?
SACERDOTE
Quando fia spento Arnaldo
Quel feroce lion che la minaccia
L'agnello bacerà: giustizia e pace
Abbracciarsi vedremoe avrà riposo
Sotto l'ali di Dio la sua cittade.
Non possedea l'indomita
Nel braccio suo la terra:
Era il Signor che i popoli
A lei prostrava in guerra.
Nello spazio interminato
Quando prima risonò
La parola ch'era fato
La parola che creò;
Ragionava col Figlioe gli dicea
Che fatto avrebbe un dì romano il mondo
Perchè fosse di lui; che dato avrebbe
All'eterna Cittade un doppio impero;
Il tuo braccioo Signoree il tuo pensiero.
Al pontefice io vado.
UN ABITANTE D'ASTI
Esserci guida
Potresti?
SACERDOTE
Voi siete Lombardi: ancora
Non decise Adrian l'alta querela
Che coll'Impero avete: il papa è fonte
D'ogni giustiziae i suoi decreti aspetto.
(Parte.)
UN ABITANTE DI TORTONA
Quanto è vile costui!
UN ABITANTE DI CHIERI
L'odio ai Tedeschi
Cresca cosìche il sacerdote istesso
Cittadino divenga!
UN ABITANTE DI TRECATE
Abbiam speranza
Solo in Milano.
UN ABITANTE DI GAGLIATE
A lei conceda Iddio
Che come arma le mani un ferro istesso
Un'alma sola in mille petti alberghi.
CORO
Del feroce Enobarbo
Il disegno interrompie fa che pera
La superba speranza; e la sua possa
In cui tanto confidaugual divenga
Ad impeto di fiume
Che solo per brev'ora i campi inonda
E che poi li abbandona e li feconda.
Ognun pendente dalle patrie mura
Esorti la consorte a' bei perigli
E a chi si volge per fatal paura
Rimproveri la fugae mostri i figli.
Credete questa gente e la futura
Seco insieme vi preghie vi consigli
A morir pria che di tedesche some
Lasciar gravarsie perder patria e nome.
MESSAGGERO
Qui assai posammo. Ora maggior dai monti
L'ombra discendee allo spirar del vento
Che il Tedesco accarezza e lo ricrea
Langue nel Sol che ne farà vendetta
La fervida potenza: i cavalieri
Gravan d'elmo le frontie il dorso premono
Al destrier che nitrisce… E ancor si tarda?
Or di mente v'uscì ch'è vil diletto
A quei crudeli premere le stanche
Orme dei fuggitivie calpestarli?
(Partono.)
SCENA IV.
CORO DI SOLDATI TEDESCHI che sopraggiungono.
Se i fuggitivi di ferir disprezzi
Teutone lanciain van di sangue hai sete:
Coi nostri brandi a mille pugne avvezzi
Or qui la messe pel destrier si miete.
Langue il ferocee in suolo arso riposa
Le membra che un sudor vile gli solve
Chè più trombe non odee procellosa
Sotto i piè non gli nasce onda di polve.
Oh mollissima gente in dolce loco
Sol vi difende la virtù del sole!
Nelle case che strugge il nostro foco
Come poteste abbandonar la prole
Se pur timido augelloil qual non ebbe
Forza di rostro e di rapaci artigli
Coll'ali aperte onde fuggir potrebbe
Pugna sul nidoe vi difende i figli?
UN CAPITANO TEDESCO
O vedovate da perpetuo gelo.
Terree d'incerto dì mesto sorriso
Addio per sempre: questo petto anelo
Scosse di gioia un palpito improvviso
Quando il Tiranno splendido del Cielo
Mi rivelò d'Italia il paradiso
Ove l'occhio alle piante or non fa muto
Coi suoi rigidi veli il verno acuto.
(Volgendosi ai soldati.)
Presto al grappol pendente
Dalla materna vite
Ognun di voi placar potrà l'ardente
Sete delle sue fauci inaridite.
Sotto il platano ombroso
Pria che l'uva nereggi
Or noi sediamo; e il prigionier tremante
Ci mesca il vino annoso
Che alla gioia serbò dei suoi conviti
Nei vasi d'oro che gli abbiam rapiti.
SCENA V.
FEDERIGO coll'esercito tedescoe con OTTONE vescovodi FrisingaOTTONE Palatino conte di BavieraROBERTO Principedi CapuaSERGIO Duca di Napoligli AMMIRAGLI PISANIedaltri PRINCIPI E VESCOVI TEDESCHI.
SOLDATI
Viva il re di Lamagna!
PRINCIPI
È suo retaggio
Tutta l'Italia.
SOLDATI
E di punir si giura
Chi vi resistee chi v'usurpa.
PRINCIPI
A Roma!
SOLDATI
È tua. Si affretti il successor di Pietro
A coronarti imperator: già fosti
Dai nostri prenci eletto.
PRINCIPI PUGLIESI
E allor potrai
Rendere a noi la patria.
FEDERIGO
Esuli illustri
Principi della Pugliaor qui mi trasse
Il dolor vostro e la mia gloria. Invano
Non cadeste ai miei pièquando in Vusburgo
L'armi invocaste dell'Impero. È sua
Quella provincia che usurpò Guiscardo. -
Sergio e Robertoognun di voi nel regno
Entri coi suoi vassallie lo sollevi
Ai danni del tiranno; allor che splenda
Su questa fronte la maggior corona
Che doni il mondoad accertar l'impresa
Cesare viene. -
(Sergio e Roberto partono. Federigo
rivolge le sue parole agli Ammiragli Pisani.)
O del romano impero
Possanza ed armie la sua causa avvezzi
Sempre a seguirnon la fortunaabbiate
A perpetuo retaggio il mar Tirreno
Pisane genti(). Oro e navigli indarno
A Genova richiesi: i suoi tributi
Eran delizie d'Orïentee deggio
Pascer di molta carne i suoi leoni
Re del deserto; e fur la sola preda
Che lietamente mi donò l'avara.
S'armi Pisa fedelee tosto sparga
Sopra le vie dei suoi trionfi antichi
Le belligere navi: i miei vassalli
Rechin nella Siciliae in feudo a voi
Io darò Siracusa.
AMMIRAGLI PISANI
A quanto brami
Siam preparati: già d'armate navi
Son pieni i lidi; ognun fremeognun chiede
Che si spieghin le insegnee venga meno
All'infida città ch'è a noi rivale
Cesareil tuo favore.
FEDERIGO
Invitti duci
Del marittimo stuoloio vel prometto
E a voi pegno ne sia questa possente
Mia destragià per fede e per valore
Famosa al mondo… -
(Gli ammiragli Pisani partono.)
A più sublime altezza
Spero tornar l'Imperoe qui discesi
Vendicator dei dritti suoi. Volete
Prodi Alemanniche tra voi rinasca
Il destino di Romaesser del mondo
Il popolo primieroe sotto i piedi
Vedervi quanto l'Ocean circonda
Ed illumina il Sol? Fate retaggio
La corona ch'io porto()e qui s'impari
Quai siano i frutti d'un voler discorde.
Mobile Italiache obbedir non vuoi
E reggerti non saipace non trovi
Nè libertà. Ma pria compor si deve
I vani moti suoi: librar potrete
Il mio disegno allor che corsa avremo
Questa provincia di Germaniae il mare
Dell'opposta Sicilia ai piè s'infranga
Del tedesco corsieroe dir si possa
Siccome Autari un dì(): Questi confini
Sol ci diè la naturae pel Tedesco
Non vi son l'Alpi… Italia è sua.
(Ottone Palatino a un cenno dell'imperatore
dice le seguenti parole:)
OTTONE PALATINO
Soldati
Ite alle vostre tende; e voifedeli
Snudate il brando a custodir l'ingresso
Del regio padiglione.
SCENA VI
Padiglione di Federigo
FEDERIGOPRINCIPI E VESCOVI TEDESCHI
FEDERIGO
O nomi illustri
Del teutonico regnoe che tremendi
Fa la mitra e la spadai miei consigli
Con voi mi giovi il conferire. Ottone
Di Frisinga Pastordegno fratello
Di quel Corrado ch'educommi al regno()
Ed in mezzo alla morte al proprio figlio
Preferirmi sapevae persüase
Della Germania i prenci al mio consiglio
Fidar la mole di cotanto impero
Apri al nipote il cor: so che vi premi
Alto dolorbenchè sereno il volto
Simuli le speranze.
OTTONE DI FRISINGA
A noi fatale
Sarà la Puglia(): pria domar conviene
La ribelle Milano.
FEDERIGO
A quei protervi
Che stanno a guardia delle torri altere
Spettacol feci arsi castelli; e vide
La superba cittadea certo esempio
Del destin ch'io le serboentrar le donne
Di Tortona distruttae in ogni via
Unite dal dolorei bianchi veli
Colle tenere man strapparsie il seno
Che già i figli nutrìbagnar di pianto.
Nè l'ira nostra vedovò col brando
Quelle infelici: era Pavia; Lamagna
Lascio all'Italia vendicar. Non temo
Le stolte genti a mutar parte avvezze
Ad ogni istante. Qui non siam stranieri;
Venni aspettato: e dei trionfi miei
Tu lo vedestiin sul Ticin fu gioia
E sull'Olona si piangea(). Quel breve
Spazio di terra che città divide
Sì vicine fra lorvolse in deserto
Di popoli che fece Iddio fratelli
La scellerata insania. E noi siam detti
Barbari da costor? Prima ch'io vinca
Abbian la libertà che qui si brama
S'uccidano fra loro…. E ti figuri
Concorde Italiae che vietar ci possa
Del ritorno la via? Come è mutato
Il tuo consiglio? Io ti vedea sul Reno
Reduce dall'Italiae della stolta
Deridendo le rissee le romane
Reliquie ricordandoa me dicesti:
«Sono dei suoi destini esempio eterno
Le mura che bagnò sangue fraterno.»()
OTTONE DI FRISINGA
Vincerci puòbenchè divisa: e vedi
Che l'esercito tuo sfidar non teme
Una sola cittàbenchè la freni
Reverenza all'Impero()e in cor le gridi
Un segreto pensier ch'essa è ribelle;
E s'alcun spirto di pietà vi resta
Non può credersi giusta. E dritto avea
A strugger Lodi()e in servitù ridurre
Ogni uom che al ferro ed alle fiamme avanza
E vietargli abitar fra le ruine
Dell'amata cittàquasi potesse
Spegner la patria che vivea nel core?
Fu retaggio d'amore e di vendetta
La sua memoria ai figli; e li mirasti
Con quella croce che pietà c'insegna
La via fra i prenci di Lamagna aprirsi
E del nostro linguaggio a lor mal noto
Colle parole che non fur derise
Chieder mercè; ma più ci disse il pianto.
Quei due canuti nella mente ho fissi
E dai laceri manti ancor li veggo
Di quella patriaove abitar fanciulli
Il cener trarsi che posò sul core
A te gridando: Eccoti Lodi! E valse
Il tuo fermo voleree dell'Impero
L'autoritàperchè Milan rendesse
E mura e leggi agl'infelici? Il mondo
Sa quali oltraggi vi soffrì Sichero;
Come in oblio ponesti il santo editto
Svelto dalle sue manie fatto in brani
Con fremito concordee poi nel fango
Dai più vili confitto; e colle pietre
Dell'araldoche sacra ha la persona
Vïolate le membrae alfin deriso
Il suo timor che gli diè l'ali ai piedi
Rapidi sì ch'era la fuga un volo.
L'ira della pietà parole altere
Ti dettò forsee parve grave offesa
A chi di legge e d'ogni freno è schivo
La rigida giustizia. Al nostro impero
Si sottragga Milan: breve io predico
La libertà d'una cittade ingiusta.
Ora che il suo terror la fa discorde
Perchè ti piace differir l'impresa
Già preparatae per l'esempio ardite
Rendi d'Italia le città ribelli?
Una favilla che col piede estingui
Può crescere ad incendio.
FEDERIGO
Mi conosci
Nobile zio: fin dai primi anni avvezzo
Fui della guerra ai rischie fortemente
L'ingiurie io sentoe i benefizi. L'onta
Che il mio nunzio ha soffertoè tal pensiero
Che nella mente ognor mi vegliae freme.
Sospiro il dì che pareggiar la pena
Col misfatto potrò: vincere io sdegno
Senza colpo di spada e suon di tromba
Città divisae a vendicar su pochi
Il delitto di tutti esser costretto.
Lieve pena s'oblia: d'Italia al freno
Sedermi io voglio qual del mio destriero
Che sul dorso m'invitae pugne anela
Col nitrito magnanimo. Resista
E m'oltraggi Milan! senz'essa ai patti
Scender vedrei Piacenzae Bresciae Crema.
Nei deboli la rabbia è men superba.
Ma le pene che diedi a' miei ribelli
Son primizie di stragi. Avaroil vedi
Son di sangue tedescoe i fanti adopro
Che ne manda PaviaCremonae Como
E chi per noi parteggia: ognor li pongo
Primi alla pugnaed ultimi alle prede;
E pietà non ne sentoe non li ammiro
Chè madre del valore è la vendetta
Negl'italici petti: usarla io spero
Ai danni di Milanoe colle stragi
Di chi ubbidir non sa nè ai suoi perdona
Io colmerò le fosse ond'ella è cinta.
Monti all'assalto delle sue bastite
Sopra i capi d'Italia il piè tedesco
E sian mal vivie più da lui si calchi
Chi spirando dirà: Perchè mi premi?
Nè pago il voto ch'io giurai nell'ira
Ancor sarà: se a queste mani io reco
L'empia cittàvoglio adeguarla al suolo
Sicchè divenga una ruina umile
Quanto ha d'altezza; e col tedesco aratro
Alla superba lacerar la terra
Ov'ella fu()sull'infecondo solco
A testimon d'una condanna eterna
Spargere il sal. Questa fia l'opra sola
Che a segno di dominio a' miei Tedeschi
Concederò: chè di mirar son certo
D'ogni città fedele al nostro impero
I guerrieri alleatial mio cospetto
Nell'ebrezza dell'ira e del trionfo
Alzar le scuried agitar le faci
Di Milano all'eccidio; e s'io parlassi
Di clemenza pei vintio se nel volto
Un lieve segno di pietà fingessi
Tu li vedresti abbandonar l'insegne
E alla Germania divenir ribelli
Per esser crudi ai suoi… Ma duceio deggio
Vietar tumultinè trovar potrei
Fra l'altre genti accolte al mio vessillo
Un furor più sollecito di mani
Sterminatrici: ivi seder potremo
Noi siccome a spettacolo; e da Roma
Reduciallora alla rampogna eterna
Che l'Italia ci faquando Milano
E col ferro e col foco avran distrutta
Risponder si potrà: Son qui maggiori
Le fumanti ruinee voi le feste.
OTTONE DI FRISINGA
Signorse vuoi che la fortuna avveri
Ciò che l'ira pensòriedi a Pavia
Quando sul crine la corona avrai
Di quell'Impero a cui Lamagna elegge
Ma vien da Dio: dal successor di Piero
Altro sperar non puoi.
FEDERIGO
Quanto promisi
Al terzo Eugenioora da me s'adempie
Verso il quarto Adrian: sempre all'Impero
I Romani Pastor chieggon ribelli
Contro i ribelli aitae al loro giogo
Romach'è miarender degg'io. Ma poco
D'essa mi cal: più di Corrado io sprezzo
L'offerte sue. Stolta città superba
Io non t'invidio al Pastor sommo: insulti
Alla polve dei numi e dei tiranni
Col santo pièma del mio ferro all'ombra.
Or dee pur Adrian serbarmi i patti
In Vusburgo giurati: in mio soccorso
Esser promiseonde all'Impero io renda
I dritti antichi.
OTTONE DI FRISINGA
Crede sua la Puglia
Il vicario di Cristoe n'ha tributi
Da lungo tempo.
FEDERIGO
Accarezzar m'è forza
La matrigna dei re!
OTTONE DI FRISINGA
Servi alla Chiesa
Di cui sei figlioe non ripor speranze
Nella romana Curia: ha con Guglielmo
Un'ira brevee di più lungo amore
Pegno sarà. Tu dominar la Puglia
Qual tuanon puoi: brami al Roman Pastore
Farti vassallo? scenderesti in vano
A cotanta viltà. Roma non vuole
Sì possente vicinoe quindi oppose
Ai Tedeschi i Normandi. Ahnell'estrema
Parte d'Italia che Guiscardo ottenne
Coll'inganno e la forzaa te non venga
Il crudele desío d'avere un regno()
Quando sarai lieto d'un figlio; e cresca
Sotto gelido Ciel la pianta augusta
Che su terra d'incanti e di menzogne
Brevi radici avrebbe; e l'anatèma
Folgor che dorme fra le nubi arcane
Onde il soglio di Piero ha velo eterno
Da sonnoo finto o brevein cui mal fidi
Con più grand'ira allor fia che si desti.
Quel sacro foco a depredar non scenda
L'arbor diletta a cui sarai radice:
Egli corre pei fiori e per le frondi
E non sente pietà del tronco ignudo.
FEDERIGO
Io riverente agli anni e ai tuoi consigli
Benchè quel che mi dai credere io deggia
Timido figlio dell'età senile
Non ti dirò: Nel chiostroOttonritorna;
Qui mal t'assidi a profetar sventure
Al comun sangue: tu scevrar sapesti
Dalla Curia la Chiesae pur voi tutti
Cui circonda le chiome onor di mitra
Non servima fratelli esser dovete
Al successor di Pietro. A lui promisi
Render l'antico onornè voglio in Roma
E consolie tribunie quanti nomi
Dimenticò di cancellarvi il brando
Degli avi nostri. Inalzerò la croce
Sull'antiche ruineove allo stolto
Popol rampogna la viltà presente
Un monaco ribellee da gran tempo
Fuor del sen della Chiesa; in sua balia
L'eretico porròch'esser promisi
Io della fede il difensor: ma sacra
È pur la mia giustiziae ognun che vuole
Sottrarsi a leiquesto Adrian promise
D'anatèma ferir. Chiaro fra poco
A noi sarà come n'attenga i patti
Chi pio vien dettoe ai suoi princìpi umili
Se l'indole abbia pario più superbo
Sia d'Ildebrando che nascea men vile.
Se l'orme sue ricalcar credee quando
Poste in sua mano avrò le briglie erranti
Sopra il collo di Romaegli protegge
I ribelli Lombardio fatto ingrato
A Cesare lontanchiamare osasse
Quella corona che mi vien da Dio
Un benefizio suo…()
OTTONE PALATINO
La Curia astuta
Nella dolcezza degli scritti umili
Come l'angue tra i fioriocculta e mesce
La dottrina fatal: dove si trovi
Chi la rechi in Lamagnae vi difenda
Fra i principi adunati al tuo cospetto
Un'antica menzognaio colla spada
(Pon mano alla spada
e tutti i principi fremono di sdegno.)
Che tu mi desti a vendicar l'impero
Fosse legato e cardinal…
FEDERIGO
Saprei
Vietar quel sacrilegio. - Or modo all'ire.
UN PRINCIPE
Signor del mondo è il nostro re.
UN ALTRO PRINCIPE
Lamagna
È l'erede di Roma.
UN ALTRO PRINCIPE
In te la legge
Viveed è legge il tuo voler().
VESCOVI
Tu dei
Della Germania liberar la Chiesa
Dalle romane arpied'un giogo antico
Toglierci all'ignominia: escan d'Egitto
I figli d'Israel.()
FEDERIGO
Se meco siete
Principi dell'Imperoio della Chiesa
Come ai tempi di Carloogni diritto
Di ristorar m'affido; e allor di Roma
Se l'armi impugnaai piedi miei deriso
L'anatèma cadrà. Certo nel gregge
Che all'errante pastor sta più d'appresso
Ogni pecora è astuta()e delle sante
Ire si ride della fragil verga
Che un dì coll'ombra sgomentò le genti;
E nella sua virtù poco si fida
Costui che invoca il brando mio…
OTTONE DI FRISINGA
Signore
L'ire sopite ridestar non dei
Fra l'Impero e la Chiesa(); o coi ribelli
Fatte vessillomilitar vedrai
Pur le chiavi di Pietro. Io dissüasi
L'impresa della Pugliae in sensi brevi
L'alta ragion del mio consiglio esposi:
Aggiungerò non esser lungi il tempo
Che al piè fatale d'Orïone armato
Arda stella crudele il Can Celeste().
Fuggì la rabbia suache asciuga i fiumi
E fende i campie le infocate e pigre
Nubi sospendeonde a noi vien la morte.
OTTONE PALATINO
Fuggir?… Che dici? uso dei chiostri all'ombra
Il Sol paventi? Onde il guerrier non abbia
Dalle mefiti del roman deserto
Ignobil mortee soggiogar tu possa
Spoleto nei tributi infida e tarda()
E che prigion ritiene un tuo fedele;
Roma lasciando all'Appenninsi prema
Presso alla Nera il dorsoe un'altra via
Colà ci guidiove la Puglia è lieta
E l'aer pieno di salutee molte
Son le ricchezze che rapì Guiscardo
A gente molle nella sua rozzezza.
Solo temer si può che in dolce terra
Paradiso dei vilii tuoi guerrieri
L'ozio non vinca: ti faran contrasto
Pochi Normandi: dei Pugliesi al fianco
Pende inutile il brando()ed han veloci
Sol nella fuga i piè. Tu mal dai Greci
Chiedesti aita per domar Guglielmo
In odio ai duci suoi… Cesare voli
Alla vendetta del Germanderiso
Da gente in cui viltà sempre è loquace;
Non fia che il suon delle tue trombe aspetti
E fra la polve folgorar le spade
Del Teutone guerrier: pria che librato
Morrà lo strale nella mano imbelle.
FEDERIGO
Nell'ora che la mente è più tranquilla
Dentro tacita stanzaov'io non oda
Fremito d'armi che alle pugne invita
Eleggerò: sapete esser nemiche
Al buon consiglio la prestezza e l'ira.
Mi è sospetto Adrian: qui presso a Sutri
Com'ei promiseancor non giunge… Ascolto
Lieto clamor… fosse costui…
SCENA VII.()
UN ARALDOE DETTI.
ARALDO
Da Nepi
Il pontefice è giunto.
FEDERIGO
Io qui l'aspetto;
Prencimovete ad incontrarlo.
ARALDO
Il clero
In sacre vesti lo precedee molta
Plebe sull'orme sue s'aduna e cresce:
Chieggon l'ingresso i cardinali.
FEDERIGO
Ammessi
Sieno costorma lungi il volgoe questa
Gioia insolente si reprima…
(I vescovi e i principi partono coll'araldo.)
VOCI AL DI FUORI
Evviva
Il successor di Pietro!
ALTRE VOCI
Ei tien di Cristo
Le veci in terra.
VOCI
Il Signor nostro evviva!
SCENA VIII.
FEDERIGO
Ai popoliod a me farsi nemico
Adriano dovrà? Tien quel potere
Che grande fa sempre voler lo stesso:
Se tu gli lasci dominar le genti
Dirà libero il mondo; e se gli vieti
D'esser tirannoegli si chiama oppresso.
SCENA IX.
Il CARDINALE DE' SS. GIOVANNI E PAOLOil CARDINALEDI S. MARIA IN PORTICOil CARDINALE OTTAVIANO DI S. CECILIAEFEDERIGO.
IL CARDINALE DE' SS. GIOVANNI E PAOLO
Il Padre dei Fedeliappien sicuro
Che rechi pacee del Signor nel nome
Tu venisti fra noit'invia salute.
Sul capo tuo fatto più sacro avrai
L'ambito onor della corona augusta
Da quella man che ai Cieli apre le porte.
FEDERIGO
Iddio le chiude a chi quaggiù non serve
Alla possanza che da lui mi viene.
Ma di ciò basti: ad Adrian riserbo
Io più gravi parole: alla mia fede
Erano i suoi timori un lungo oltraggio.
Non scema ad ambo reverenza e fede
E le speranze dei nimici accresce
Questo alternar di patti e giuramenti?
IL CARDINALE DI S. MARIA IN PORTICO
Scusa al terror sono i perigli; e tanta
Onda affatica di civil procella
La santa nave al successor di Pietro
Che al governo vegliar della sua prora
E ogni vento dovea creder nemico
Sol per la fretta della tua venuta.
Ponga in oblio le andate cosee muova
Riverente e pietoso incontro al padre
Il maggior dei suoi figli.
IL CARDINALE DI S. CECILIA
Ove seguisse
Il vicario di Cristo i miei consigli
L'onta del dubbioonde a ragion t'adiri
Non avresti sofferto; e alfin concordi
Cesare e Pietroun sulla via del mondo
L'altro su quella che conduce a Dio
Guiderebber tranquilli il gregge umano
Coll'ombra della verga e della spada.
IL CARDINALE DI S. MARIA IN PORTICO
Muovi stolte parole e irriverenti
Al signor nostro: eri da lui respinto
E ribelle al poter del suo divieto
Qui presentarti osavi.
OTTAVIANO CARDINALE DI S. CECILIA
Abbi rispetto
A chi t'è parie dove sei ricorda
E chi t'ascolta.
FEDERIGO
Dall'altar gridate: -
Sia pace al mondo; - e tra voi pure è guerra.
I CARDINALI DE' SS. GIOVANNI E PAOLOE DI S. MARIA INPORTICO
Se a lui tu credinoi partiam.
FEDERIGO
Restate;
Le vostre liti a giudicar non venni.
(sommessamente al cardinale Ottaviano.)
Ceder non ti rincresca: hai da quest'ora
In Cesare un amicoe tu gli sembri
Degno della tiara()… Or io m'accorgo
Che v'udii troppoe d'ascoltarmi è degno
Solo Adrian: Vadasi a lui.
(I cardinali licenziati partono. Ottaviano primaegli altri dopo.)
SCENA X.
Luogo non molto lungi da quello ove era il padiglionedi FEDERIGO: questi smonta dal suo cavalloe dice le seguentiparole:
Ti lascio
O compagno fedel de' miei perigli
Generoso destrieroe sulla terra
Che nel tuo corso rimbombar dovea
Coll'umil piè muti vestigi io segno…
Ma che rimiro? verso noi procede
Dei servi il Servo con tranquillo orgoglio
Sopra un bianco destrierdocile al freno
Com'ei vorrebbe i re. Per quel sentiero
Su cui move Adrianguerrierie volgo
Ambo i sessiogni etadea ossequio cieco
Si premonsi confondonos'atterrano
O l'un sull'altro cade; e l'uomche Iddio
Fece i cieli a mirarquasi divenne
Pavimento al superbo. A chi morisse
Da quel corsieroove t'assidioppresso
Esser diresti il Paradiso aperto.
Meco diviso or tu non hai l'impero;
Solo possiedi il mondo. In me non volge
A cenno di saluto il capo altero
Cinto dalla tiarae tutto ei vede
Sotto di sèsiccome Iddio: sommessi
Preghio silenzio… ei benedicee passa.
Qual maraviglia se toccar la terra
Non si degna costui col piè superbo?
L'offre ai baci dei re: prostrar mi deggio
All'atto vile anch'io.
SCENA XI.
ADRIANOavendo indarno aspettato che FEDERIGO siaddestrasse al frenoe gli reggesse la staffa nello scendere dacavallosmonta coll'aiuto dei suoi ministrie prima di sedere sulfaldistoroche gli vien preparatocosì dice ai CARDINALI:
ADRIANO
Non piùfratelli:
Qui scenderòchè omai sperar non posso
Da quel tumido Svevo il noto omaggio
Che i Cesarise a Dio non son ribelli
Con antica pietà finora han reso
Ai romani pontefici. M'assido
Sul faldistoro mio: sappia l'eletto
Re di Germaniae imperator futuro
Ch'io qui starò.
(Partono i cardinali per annunziar ciò a Federigo.)
Svevo liongustasti
D'Italia il sanguee nelle fauci ardenti
Ti crescerà la sete: orride guerre
Ancor nel tempio(): ma il trionfo è certo.
Poichè Cristo morìpiù non vacilla
Di Pier la fede; or ei con piè sicuro
Calca l'umide vie della procella.
SCENA XII.
FEDERIGO s'inoltra verso ADRIANOeguardandolo dice:
FEDERIGO
Nel volto di costui leggo l'orgoglio
Velato d'umiltade…
(Federigo si appressa al papagli bacia i piediepoi vorrebbe il bacio di pace che Adriano gli nega.)
Al Ciel sollevi
La fronte austerae mi respingie taci
E freme il labbro che offerir non vuoi
Al bacio della pace? il tuo rifiuto
Ti palesa nemico.
ADRIANO
A Dio volgea
Taciti preghi: ira pietosa è questa;
Minaccio il figlio che punir dovrei.
FEDERIGO
In Canossa non siam; nè in mezzo ai geli
Tremante e solo io quel perdono aspetto
Che mal richiesee peggio ottenne Arrigo().
Non varcai l'Alpi fuggitivo: è noto
Ond'io discesie quai vestigi io lasci
Insino a tesulla mia via; nè gelido
Per sofferte pruine il piè vacilla
Uso a calcar delle città ribelli
Le fervide ruine.
ADRIANO
In Ciel t'ascolta
Quei che nomar non osi: i suoi portenti
Ricordae trema().
FEDERIGO
Oprarli invan si spera
In questa età. Scriva il maggior la Chiesa
Nei fasti suoichè Cesare più all'imo
Scender non puònè tanto Pietro alzarsi.
Si sa com'ei perdonae mai sì vile
Non sarà nei monarchi il pentimento.
Or non è dato insanguinar Lamagna;
Fe' senno omai(): ciò che fu gloria ai padri
È dei figli rossor; nè da giurata
Fede può sciorli del Roman Pastore
La man che s'alza a benedir delitti.
ADRIANO
Empio chiamarti or io dovrei; ma spero
Che in te l'ira favelli: ai ciechi affetti
Perdona Iddio l'impeto primo. Accheta
I tumulti dell'alma: umili e miti
Cristo ne vuol.
FEDERIGO
So come a lui somigli.
ADRIANO
Rendimi onore.
FEDERIGO.
E che più brami? accolsi
Con ossequio di figlio i tuoi legati
Nè mi fu grave rinnovar la fede
Che ti giurai: poscia a Viterbo invio
Di Cologna i pastori e di Ravenna
A stabilir quel giorno in cui ti piaccia
Cesare incoronarmi: a lor t'involi
Come fosser nemicie poi ti chiudi
Nella città che dai Castelli ha nome
Per l'indugio temendo e pel ritorno
Di quei superbi che ti son fratelli.
Dove giace Viterbo ai piè del monte
Io delle aquile mie trattengo il volo.
Non ti appaghio signorche nel cospetto
Dell'adunate schiereun lor campione
Conservarti gli averi e la persona
Giuramento facea sugli Evangeli?()
Pronto a tradirmise così diffida
Creder deggio Adrian! Stolto consiglio
Chieder soccorso a chi si teme: e quando
Muovo genti a punir fatte ribelli
Alla Chiesa e all'Imperoin ardue rôcche
Celarti a schermoqual tu fossi il reo!
ADRIANO
Sai quai perigli ho corso?…
FEDERIGO
Ove tu fossi
Di Cesare l'amicoera il tuo loco
Nel campo suo: male or vi giungie tardi.
ADRIANO
T'apri la via colle ruinee lasci
Orme di sanguevincitor crudele;
E s'io sento il terror che ti precede
Tu ti sdegni con me!
FEDERIGO
So che non tremi;
Nè lo vorrei: tu spettator sicuro
Fingi pauree rampognarmi ardisci
Ciò che vietar dovevi… Ah mal si spera
Che insegniate a ubbidir! Cesare è nome
Che nel libro di Dio più non si legge.
La spada ch'ei non volle in man di Pietro
Dall'orecchio d'un servo alzare osaste
Fino al capo dei re. Ma tu che credi
Sacra la mia ragionee ognun che osasse
Sottrarsi a lei nei patti tuoi giurasti
D'anatèma ferirla tua promessa
Perchè sciolta non hai?() Deggio in Milano
Io sopportar ciò che ai tuoi preghi io mossi
A distruggere in Roma? I miei diritti
Son più certi de' tuoi; chè fu l'Impero
Pria della Chiesao ciò che suo non era
Donato ad essa Costantino avrebbe().
Chiedi il sangue d'Arnaldoe il fulmin sacro
Nell'eterna Città primo vibrasti
E armi per me non hai? Vi son ribelli
Solo colà dove io regnar ti lascio?
ADRIANO
Mi lasci? eterno peregrin vorresti
Il successor di Pietro? E non avrebbe
Nella valle del pianto ove s'accampi
Quella milizia che trionfa in Cielo?
O fuggitivio servi i suoi Pastori
Roma pur or mirava…
FEDERIGO
E templi aperti
Da lor coll'armie fra gli altari il sangue
E libertà sul Campidoglio(); e l'Alpi
Per questa larva che vi dà terrore
Noi chiamati a varcar: lurida figlia
È dei vostri peccati… Or quali foste
Liberi o schiavinell'esiglio o in trono
Perchè a cercar mi sforzi? Ha lance incerta
Il giudicio mortalchè sulla terra
Gridano i vizie le virtù son mute.
Dirti il ver tenterò: calunniao lode
Stia sul labbro dei servi… Erate uguali
Al mal seme d'Adamoonde la colpa
Crebbe in terra così che il Ciel dischiuse
L'acque vendicatricie l'uom divenne
Pentimento di Dio. La Chiesa ei solo
Reggea dal Paradisoe vôto in terra
Erao Cristoil tuo loco. Otton coll'armi
Sulla via del Signor vi ricondusse
E l'austera Germania illustri esempi
Diè sul soglio di Pier(). Voi poscia osaste
Di sottrarvi all'Impero: è noto al mondo
Come grato gli fu quel pio Satanno()
Chedei Cesari schiavo e poi ribelle
Giudice lor si fecee tutti i troni
Coll'ara oppressi ardì gridar - Son uno
Siccome Iddio. - Lavò col sangue il fango:
E nel discorde mondo arse una guerra
Scellerata cosìch'eran funeste
Più le nuove virtù che i vizi antichi.
Siete ludibrioo pianto.
ADRIANO
Io non dovea
Chiamarti in mio soccorso: ecco l'omaggio
Che al pontefice rendi!
FEDERIGO
Ed egli osava
Accogliermi così? Cesare offeso
Cadde ai tuoi piedie tu negargli osasti
Quel bacio che Gesù rendeva a Giuda!
Pace rifiutie vuoi la guerra.
ADRIANO
A Dio
Già nemico tu sei: gioia all'Inferno
Eran l'empie parolee se giungesse
Da mute insidie o da nemici aperti
Per te l'ora di morteal Re del Cielo
Ti volgeresti invan: dall'anatèma
Son tronche l'ali della tua preghiera().
Pietà mi faichè da principio antico
L'impeto nasce che vi fa ribelli
Al volere di Dio. Benchè lontano
Dall'origine suaritiene il fiume
L'acqua del fonte che gli diè la vita.
Figli del sangue che redense il mondo
I pontefici son: nacque l'Impero
Dai delitti dell'uom.()
FEDERIGO
Più non t'ascolto.
(Fa cenno di partire.)
ADRIANO
Vati risposi: finchè all'uom parlasti
Potei tacer; nel sacerdozio è Cristo
Ch'io vendicar dovea: nel calle eterno
Mostra dove cademmoe abbiam le pure
Acque turbato ove si specchia Iddio!
Se nella via dove il consiglio è muto
Dell'aura ispiratriceil piè vacilla
Sotto il carco d'Adamoe ci ravvolse
Fra le tenebre sue l'affetto umano
Nuovo è il nostro fallir: dei re le colpe
Cominciano col mondo.
FEDERIGO
Ahi mal ripeti
D'Ildebrando i blasfemie qui baleni
Con i folgori suoi: del quarto Arrigo
Non sai che il sangue a quel di Svevia è misto?()
Perchè sprigioni dalle tue caverne
Vento superbo a dissipar la polve
D'un cenere mendacee sveli il foco
Che vi giacea nascoso?… Allor ch'io fui
Dai prenci eletto a dominar Lamagna
Cui l'Italia è retaggioi casi io lessi
Del monarca infelice: ira e vergogna
M'empiean cosìche col pugnal trafissi
Le carte infamie vi correan di rabbia
Lacrime ardenti a divorar lo scritto.
Ma di quell'empia istoria il fine atroce
Ogni baldanza m'avvallò sul ciglio()
Un attonito orror vinse gli affetti
Nell'anima frementie al suol cadea
Il volume fatal; ma nella mente
Restò fisso ogni eventoe mai più saldo
Non si scrisse nel marmo. Or ne' miei sogni
Il delitto rivivee sempre io veggo
Alle ginocchia ruinar del figlio
Grave d'anni e catene il re canuto
Ed abbracciarle invano; e poi ramingo
Da tutti abbandonatoentrar nel tempio
Ch'egli fondavae dimandar mendico
Un pan che gli è negato; e l'infelice
Morir di duoloe non trovar riposo
Pur nella tomba; e gran tempo giacersi
Sull'ignudo terren di cella angusta
Livida salmaimperator tradito
Dissepolto dal figlio. Oh se cotanto
Ardiscee può la tua crudel tiara
Cessin dei re le nozze! a noi potrebbe
Nascer spergiuro e parricida un figlio:
Benedetto da voitogliere al padre
Regnovitasepolcro.
ADRIANO
A che d'antichi
Casi favelli?
FEDERIGO
Del presente io parlo.
Se il mio poter sacro non crediè sciolto
Ogni patto fra noi: quanto l'orgoglio
Delirò d'Ildebrando esser dottrina
Soffrir potrei? Ritemprerò col sangue
Quella corona onde spogliossi Arrigo;
E l'orma sparirà del piede altero
Che tutti i re cavalca.
ADRIANO
Odi tranquillo
Liberi detti. La regal possanza
Consacrata da noi perde la colpa
Dell'origin profanae i suoi diritti
Vengon difesi dal pensier di Cristo
Che vive in noi: ci unisca ai piè dell'ara
L'antico pattoe stabil sede in Roma
Or m'assicura. Io veglierò sul mondo
Come l'occhio di Dio: se siam congiunti
Chi può star contro noi? Quel dì che a Cristo
Gli Apostoli gridaro: Ecco due spade-
«Non più» rispose; e al Sacerdozio unito
Era così l'Impero(). Ognun risplenda
Nel seggio suo: come la luna avrebbe
Nei deserti del ciel silenzio eterno
Se vi tacesse la virtù del sole…
FEDERIGO
In pianeta minore! e non risplendo
Che per la luce tua!
ADRIANO
Viene da Cristo
In chi tien le sue veci. Io sono il vero
Tu sei la forza; e se da me ti parti
Cieco rimanied io divengo inerme.
Siamo uno alfine; e il paragon si taccia
Che all'ira ti destò. Cesare e Pietro
Sono i monti di Dio: l'uom dalla terra
Con terror li contemplie mai non cerchi
Qual di due più sospinga al ciel la cima;
O ritirarsi la virtù divina
Si vedrà dal creatoe farsi avverse
Alle genti le gentied ogni altezza
Quaggiù spariree tutto valle e polve
Vil ludibrio dei ventiinfin che venga
Dio sulle nubi a giudicar la terra.
Fa senno alfinee dall'esempio apprendi
Dell'empio Arnaldoesser nemico al trono
Chi fa guerra all'altar.
FEDERIGO
Nelle tue mani
So ch'egli venne: il giudicò la Chiesa
A me spetta il punirlo.
ADRIANO
Invan lo speri.
FEDERIGO
Come!
ADRIANO
Tolto ei mi fu.
FEDERIGO
Senza un mio cenno
Chi tanto osò?
ADRIANO
S'ignora.
FEDERIGO
In forza mia
L'eretico verrà: con morte infame
Farò punirlo.
ADRIANO
Un santo zel t'infiamma
Nella causa di Dio.
FEDERIGO
Perchè fra tanti
Casi Adrian lungi da me si tenne?
Più pronta dei perigli era l'aita
Ch'io potea darglied ei cercava asilo
Nelle infide città! Torniamo amici.
ADRIANO
Di pace il bacio io ti darò.
FEDERIGO
Che tardi?
ADRIANO
Offeso m'hai.
FEDERIGO
Chi a ciò mi spinse? Or tutto
Poni in oblio tu che il perdono insegni.
Qui niun ci udiva; io son pentitoe basta.
ADRIANO
Se al cospetto del mondo alfin mi rendi
Ciò che mi deviio sarò pago; e reo
Non ti diròse ti confessi ignaro…
FEDERIGO
Come!
ADRIANO
All'Impero or non ha guari eletto
Per senno e per valorpuoi gli usi antichi
Dell'alto uficio che ti fu commesso
Ignorar senza biasmo?
FEDERIGO
E che? qual uso?
ADRIANO
Pel breve tratto che misura un sasso
Lanciato dalla mandovevi al freno
Addestrare Adrian.
FEDERIGO
Per Dio! che ascolto?
ADRIANO
E al regio padiglione il mio destriero
Guidar dovevie a me tener la staffa
Quand'io scendea; nè il faldistoro avrei
Opposto al tronoe con un lieto affetto
Il santo bacio in ambedue le gote
Ti dava il padre.
FEDERIGO
E tu da me sperasti
Tanta viltà? Son dunque tuo scudiero?
ADRIANO
Omaggio antico è questo: al tuo rifiuto
Or più scuse non hai.
FEDERIGO
Che qui l'Inferno
S'apra sotto i miei pièpria ch'io li mova
A tanto disonor… Suonin le trombe
I miei guerrieri a richiamar nel vallo
E in me non sia per atto vile offesa
La maestà del sangue e dell'Impero:
Mostriam che Italia e Roma è mia.
ADRIANO
Che tenti?
Nelle tue man cadrò; ma tu potere
Non hai su me: pur di catene avvinto
Sempre il tuo re sareich'io solo impero
Sullo spirto dell'uom.
FEDERIGO
L'inanimate
Salme poi lasci per ludibrio ai regi.
Ma perchè tremi? empio non sonoe stolto.
Qui la canizie del tuo capo augusto
Dai popoli adoratoerger tu puoi
Con sicura baldanza: io che ti nego
Un vile ossequiovendicar saprei
Con questa spada anche il più lieve oltraggio
Fatto al gran sacerdote. Or volgo indietro
Le schiere miechè dei Lombardi appieno
Trionfato non honè qui mi sei
Alleato fedele: altro sul labbro
Altro sta nel tuo core: esser dicesti
Tu dai Normandi oppressoe in tuo segreto
Forse gl'invochi. Differir l'impresa
Di Puglia io bramo; e tolga il Ciel ch'io cinga
Quella corona che tu m'hai promesso
Se a prezzo di viltà comprarla io deggio.
È un vano rito il tuo. Cesare io sono
Per voler di Lamagnae tu l'Impero
Non daima lo confermi: e che lo dica
Tuo benefizioe poi mi chiami ingrato
Aspettarmi potrei… Sempre fatale
Era Roma per noi: starvi sepolta
Nella polve dei secoli dovea
La corona fatal dell'Occidente
Che dalla mano di Leone imposta
Con tristo augurio ella rivide il cielo
Sulla fronte di Carlo. Ahi parve omaggio
E insidia fu! rimase il re prostrato
E il sacerdote in alto. Allor l'Impero
Che dato al Grande avea la spada e Dio
Fu dono vostroe di Bisanzio astuta
Lo schiavo abietto divenir potea
Il maggiore dei re. Carlo previde
Il vostro orgoglioe si pentì: chiamava
Nel tempio d'Aquisgrana il suo senato()
E la corona dell'antico Impero
Per darla al figlio sull'altar depose
E a lui gridò: Colla tua man la prendi
T'incorona da te: solo da Dio
Tu ricevi il potere. - Anch'io sull'ara
Se dell'Italia vincitor qui torno
Prenderò la coronae sul mio capo
La calcherò col brando: a questo rito
Chi vuol gl'imperatori a palafreno
Assistere potrà.
SCENA XIII.
OTTONE DI FRISINGAE DETTI.
ADRIANO
Giungi opportuno
O Pastor di Frisinga; e poi che indarno
Furon le mie parolee sei tu pure
Maestro in Israeleal santo omaggio
Persüadi il tuo re. Vive l'esempio
Di Lotario fra noi: quello di Carlo
Travolse il tempo nella sua rapina.
Seco io ti lascio; ed a colui che tiene
Nelle sue man d'ogni monarca il core
Volgerà la preghiera il servo indegno.
(Il pontefice parte.)
SCENA XIV.
OTTONE DI FRISINGAFEDERIGO.
FEDERIGO
Ottonda me che brami? Un vil consiglio
Darmi oserai?
OTTONE DI FRISINGA
Mi guida al tuo cospetto
Zelo fedel.
FEDERIGO
Vuoi ch'io Lotario imiti
Che ai pontefici schiavoe vil nemico
Del padre mioseppe rapirgli il trono
Con bassi accorgimenti?() E tu non pensi
Che se costuiche andò di chiostro in chiostro
Mendicando la vitae fu davvero
Allor dei servi il servoaddestro al freno
Frenar non posso in sulla via superba
Romache già converte in suo diritto
La viltà di Lotario? Il nuovo esempio
Sarà dottrina; e il nostro antico Impero
Ch'io dalla Chiesa liberar vorrei
Feudo papal; dei suoi vassalli il primo
Il Cesare Alemanno.
OTTONE DI FRISINGA
Al santo loco
Ove Pietro sedeaquel da Splimberga
Grato fu troppo: ma pietoso o vile
Fosse costuiche primo a tanto omaggio
Scender potea dalla suprema altezza
Periglio or t'è non imitarlo. Il mondo
Dirà che vieni a rinnovar la guerra
Onde si piange ancora; e benchè scorra
In te dei Guelfi e degli Arrighi il sangue
Preferito ad Alfordio hai Ghibellinga().
Federigo ti chiami: è nel tuo nome
Un augurio di pace(): or le mortali
Ferite antiche riaprir vorrai
Nel dolce seno della tua Lamagna?
Nel pontefice il Ciel dietti un compagno
Necessario e tremendo; e se speranza
Esser vi può che torni al nostro freno
Questa ribelle Italiaor si presenta
Che libertà conosce a sè fatale
L'antico re dei sacerdoti. Afferra
L'occasïon che fuggee l'empio Arnaldo
Una vittima sia che coll'Impero
Riconcilii la Chiesa.
FEDERIGO
Oh dove andaste
Giorni della mia gloria? O fortunati
Monarchi d'Orïente()ove nel campo
Dell'esercito l'onde aduna e regge
Assoluto comandoe basta un guardo
Ad annunziar la mortee col sorriso
La speranza vi mandie la fortuna!
Qui sul trono è servaggio: io son costretto
A divenir scudieroe ai miei compagni
Pari in età sarò ludibrio.
OTTONE DI FRISINGA
Oh questo
Impeto giovanil che ti trasporta
Raffrenaimperator…. Duci son molti
Nell'esercito tuo che nella Puglia
Seguian Lotarioed han qui sparso il sangue
D'Innocenzo a difesa; e se or ti pieghi
A quell'ossequio che da lor fu visto
Non puoi vile parer. Deh solo ambisci
Dei canuti il suffragio: un senno antico
Mostrasti in Aquisgrana.
FEDERIGO
E i santi dritti
Dell'Imperoch'io tengoandrannoOttone
Conculcati per sempre?
OTTONE DI FRISINGA
In me riposa.
Provvidi a tutto: tengo anch'io per fede
Che sol da Dio vien la corona(): il modo
Onde l'omaggio che così ti grava
Maestà non le scemiio nella mente
Ho già dispostoe tel farò palese.
Sappia Adrian che tu sei pronto…
FEDERIGO
Ottone
A che mi sforzi?
OTTONE DI FRISINGA
Onde così rimani
Fieramente ostinato? Or viadeh cedi
A quell'autorità che vien dagli anni:
Pensa che per amor padre ti sono.
SCENA XV.
Campo di Federigo appresso Nepi
e accanto un lago.
FEDERIGO
E OTTONE DI FRISINGA in disparte.
FEDERIGO
Pago non sei? Duce alle schiere è fatto
Il monaco Adrian; per lui di Sutri
Il dolce pian lasciavae presso a Nepi
Io m'accampo a viltà! Ma questo lago
Come si chiama?
OTTONE DI FRISINGA
Giaula.
FEDERIGO
Io possa il nome
Obliarne per sempre! Inver mi piace
Ch'egli squallido sia: sulle sue rive
Quando agli omaggi io piegherò la fronte
Non sarà specchio della mia vergogna.
Prendio scudierspadacorona ed elmo:
Ah l'elmo no! chè il mio rossor nasconde.
OTTONE DI FRISINGA
Calmati omaifa senno…
(A un cenno di Ottone di Frisinga si avvicinano iduci più antichi dell'esercito tedescoai quali egli dice le seguentiparole:)
O duci antichi
Del teutonico stuoloa cui palese
Feci l'ossequio che Adrian richiede
Al vostro imperatordirgli vi piaccia:
Nel cospetto d'ognuncon atto uguale
Il pio Lotarioche voi qui seguiste
Onor non rese ad Innocenzo?
DUCI
È vero:
Noi lo vedemmo.
OTTONE DI FRISINGA
E ciò su questa Croce
Non siete pronti di giurar?
DUCI
Giuriamo.
(Si allontananofatto il giuramento.)
OTTONE DI FRISINGA
Vedigià schiusa è d'Adrian la tenda
Gli si appresta il destrier: perchè qui tardi?
FEDERIGO
Apostolo superbo!
OTTONE DI FRISINGA
Andar dovrai
Alla presenza sua con fretta ignobile
Se tardi più: deh quello a cui la dura
Necessità ti sforzaor lieto adempi
Qual se tu lo volessi.
SCENA XVI.
I SOLDATI E I PRINCIPI onde si compone l'esercitodi Federigovedendolo assistere al servigio del cavallo sul quale èpapa Adrianoprorompono nelle seguenti parole:
ALCUNI SOLDATI
Oh vile!
ALTRI SOLDATI
Oh pio!
UN PRINCIPE GIOVANE
Consiglio fu di età senile; e questa
Loda il passatoe l'avvenir paventa.
Pria che l'Alpi varcasseogni vegliardo
Ai monaciche pasto avran più largo
Lasciò gran parte dei malnati averi
A rimedio dell'alma.
UN ALTRO PRINCIPE
Io non credea
Federigo sì vile! E abbiam l'Impero
Dato a costui?
UN ALTRO PRINCIPE
Porre io volea sul trono
Il figlio di Corrado.
UN ALTRO PRINCIPE
I miei castelli
Divori il fuocoma non sia retaggio
La corona fra noi.
UN ALTRO PRINCIPE
Roma trionfa
Nel pontefice suoma quella stolta
A lui fa guerra.
UN SOLDATO GIOVINETTO
Se del papa al freno
Stassi l'imperatordove il tuo loco
Saràmisera plebe?
UN PRINCIPE
O giovinetto
Se monaco ti rendiesser potrebbe
Sopra il soglio di Pierchè più mendico
Fu Adriano di te.
UN SOLDATO DI ZURIGO
Vieni in disparte:
Siam di Zurigo; e benchè qui raccolti
Di Cesare alle insegneil suol natio
E le dottrine che vi sparse Arnaldo
Non possiamo obliar. Tu che m'avanzi
Negli anni e nel saperche temio speri
Da spettacolo tale?
ALTRO SOLDATO DI ZURIGO
Io veggo un lupo
Che dà mano alla volpe: ha patti brevi
Coll'inganno la forza: ora d'Arnaldo
Saran scritti col sangue.
SCENA XVII.
ADRIANO smontato da cavallo
FEDERIGOE DETTI.
ADRIANO
In ver tu sei
Destro e pronto scudieroe m'hai tenuta
Fortemente la staffa: abbitio figlio
Il bacio della pace: i tuoi doveri
Ben adempito or hai.
FEDERIGO
Non tuttio Padre. -
(A un cenno dell'imperatore si aduna tuttol'esercitoed egli grida:)
Ducie soldatiudite: ho reso omaggio
A Pietroe non a lui.()
ALCUNI SOLDATI
Cesare viva!
ALTRI SOLDATI
Viva Germania!
ADRIANO
(Fra la maraviglial'ira e la paura
trattosi in disparte dice:)
Oh basilisco astuto!
Deh venga l'ora in cui tu giaccia umile
Ai piè del Santoe queste voci altere
Se un'altra volta a mormorar t'inalzi
Ti prema il capo trionfatoe gridi:
A Pietroe a me…() Dissimular conviene
Il dolor dell'offesa.
(Si ravvicina a Federigo.)
SCENA XVIII.
UN ARALDOADRIANOE FEDERIGO.
ARALDO
Or qui son giunti
I Legati di Roma: al tuo cospetto
Vuoi che sian tosto ammessi?
ADRIANO
Or più non deggio
Teco restar: qual nelle fiamme il vento
Saràper l'ira che t'accende il petto
L'audace vol delle parole insane
Dal lor labbro superbo. A te s'addice
Minaccia e pena; a me silenzio e pianto
Su quegli erranti a cui fu chiuso il Cielo.
Quando all'ira di Dio farai vendetta
Col brando dell'Imperoil guardo altrove
Rivolgeròchè questa gloria è tua.
FEDERIGO
Basta; compresi… Se anche a me ribelli
Non fossero i Romaniil lor gastigo
Chiesto mi avresti indarno: i re non sono
Un carnefice vil che mova il brando
Dei sacerdoti al cenno… A che rinnovo
Questa lite fra noi? T'affidao Padre
Nella giustizia mia: tu sei Britanno
Ed io nacqui Tedesco; abbiam comune
L'odio di Roma. A Cristo e a noi fan guerra
Gl'idoli suoi paganie il più tremendo
L'antica libertà; chè il suo veleno
Per l'Italia è diffusoe nomie leggi
E tumulti destò. L'opra compisci
Dei pontefici antichie di superbi
Marmi s'accresca ogni cenobio umile:
Fa che possano tutte in Vaticano
Le memorie perir del Campidoglio;
Lo adegua al suol: quella città superba
Un sepolcro divengain cui si prostri
Il Romano pentitoe chiegga a Dio
Perdono della gloria e dei delitti.
SCENA XIX.
LEGATI ROMANI in disparte
e fra questi GIORDANO.
UN LEGATO
In ogni terra i cardinali astuti
Ci han posto insidiee per più lunga via
Tardi siam giunti a Federigo. Aita
Dal papa ei spera a ricomporre il freno
Scosso in Milano; e quindi a lui promise
Farlo signor di Romae a vile omaggio
Curvo la frontemeditò catene
Alla misera Italia. Ancor gli duole
L'onta sofferta: or fieramente avverso
A noi saràchè più crudel divampa
L'ira della vergogna in cor superbo.
GIORDANO
Lungi viltà dai nostri detti: e resti
Salvo l'onorse libertà ci è tolta.
SCENA XX.()
FEDERIGO sale sul tronoE DETTI.
FEDERIGO
S'ascoltino i Romani.
UN LEGATO
A noi concedi
Libertà di parola? in mezzo all'armi
N'assicuri?
FEDERIGO
Parlate.
LEGATO
O di Lamagna
Possente rema della santa ed alma
Donna del mondo imperator futuro
Se Dio l'assente()con benigno orecchio
E con mente serena udir ti piaccia
Ciò che Roma ti dice. Al tuo cospetto
Un popolo c'invia che scosse il vile
Giogo dei sacerdotie da gran tempo
E t'aspetta e t'invoca. Ospite breve
Perchè vieni fra noi? qui tornae siedi
Se Cesare vuoi dirti(). Allor straniero
Più non saraima cittadino: il freno
Riprendi qui dell'universoe regna
Dall'eterna Città. Pensa che ai vinti
Partecipar le sue virtù le piacque;
Grandili fe' servire a Romae n'ebbero
Leggivaloredisciplinaed armi
E impero alfin: tutto riabbiae torni
L'aquila al nido abbandonatoe rendi
Al fulmine dell'ali il volo antico:
Oltre i gioghi del Tauro e dell'Imano
Muova dall'Alpi…
FEDERIGO
Nell'Italia nato
Osi nomarle? e di salir presumi
Quegli ardui montionde non ha difesa
La patria tua? Perchè da noi si scenda
Li fece Iddio. Stolto romore ascolto
Di tumide parole; ognun conosce
Le vostre glorie antichee se perita
Fosse la lor memoriain voi sarebbe
L'onta minore: le virtù degli avi
Ricorda sempre chi da lor traligna
E chiama suo quel ch'ei non fece. Ah cessi
Questo vano garrir. Folle Romano
Deh pensa alfine a ciò che sei: di molti
Secoli di servaggio omai riposa
Notte perenne sulle moli altere
Sudor di genti oppressee dove ai tuoi
Barbari veri fu dell'uom la morte
Spettacolo graditoil sol momento
Che avessero di gioia. A punir Roma
Di sì lungo delitto elesse Iddio
D'Arminio i figli; e perchè in lei vivesse
Alta memoria delle sue vendette
Non fu conversa in polveed ha ruine.
Qual è la sprezzoe ciò che fu detesto;
E ammirar non si dee. Sale ogni gente
A quell'altezza che le fu prescritta
Coll'impeto fatal d'un moto arcano
Che fugge al suo voleree poi si volta
Per scendere alla morte: ed empia e stolta
Fu la città che osò chiamarsi eterna
Dimenticando come Iddio le sorti
Ad ogni gente alternie una veloce
Necessità tutto comprenda e regga.
Sopra le rive del fatale Eusino
Nuova Roma sorgea: l'antica emunse
Il Greco sìche divorato il mondo
L'avida lupa allor moria di fame.
Poscia il Barbaro vennee tu giacesti
Schiava obliata in doloroso letto
Per lunga etànè osasti il capo antico
Dalla polve inalzar del tuo deserto:
E allor che vi sorgea nube di guerra
Pallida gente a ricovrar si venne
Sotto il gran manto del Roman Pastore;
Come fanciul che alle materne vesti
Ratto s'apprende in ogni suo periglio.
Popolo ingratoe voi ribelli e stolti
Che libertà gridateite a prostrarvi
Dove Pietro morì: dannato avrebbe
La città dei trionfi a pianto eterno
Senza quel sangue Iddio; chè Carlomagno
Qui soccorse la Chiesae mal sorgea
Allor quell'ombra del cesareo trono
Che superbi vi fa. Perchè l'Impero
Che Germania gli dièchiamò Romano?
Il Longobardoche da lui fu vinto
Pel più abietto dei servi invan cercava
Un'ingiuria peggior del vostro nome().
LEGATO
Grembo del mondo Italiae son di Roma
Tutte le genti alunne; e se tiranna
Non maestra la credie lodi i figli
Che uccisero la madreead essa ingrato
Pur le sventure sue cangi in delitto
Perchè parli di Carloe a noi richiedi
La corona di Augusto? Or questa usurpi
Se da Roma non l'hai: pegni di fede
Dati abbiamo all'imperoe il freno istesso
Che alle sue mani Costantin già tenne
E poi Giustinïanfu ricomposto.
Pace tu speri dalla curia infida
Prode Lamagnae nel tuo sen non guati
Grave di guerra: è il tuo peggior nemico
Questo perenne venditor di Cristo…
Favor ne speri a racquistar la Puglia
Se dell'Impero le ragioni usurpa
E a feudo suo la tien: già col Normando
Cui diè nome di recorser tre lustri
Aprì novello traffico di sangue
Il secondo Innocenzo. Invan quest'onta
Udì Corrado a cui succedi. Adempi
Il suo difettoe la vergogna emendi
Se tu soccorri alla città che piange
Per grave giogoe fra noi siedied osi
Togliere all'empia Babilonia avara
Gli ampi tesori che le dà l'Inferno
E il Cristo suoSatanno: un dì punita
Sarà l'ingorda: ha sete d'oro; e l'oro
L'affogherà.
FEDERIGO
Taci…. d'Arnaldo ascolto
L'empie dottrine.
UN ALTRO LEGATO
Almeno espor ci lascia
Ciò che si fe' pel sacro Impero. Abbiamo
Prese dei tuoi nemicio a terra sparse
Le torri altere()nè temer vi puoi
Gente che ti resistae vi parteggi
Pel Siculo che rende ai papi omaggio.
Il Milvio pontech'è sì presso a Roma
Già ruinato per negar l'ingresso
Alle schiere alemannein breve tempo
Sorgea di nuovo con ardir felice;
E di mura e di pietre è sì munito
Da render vano ogni crudel disegno
Dai pontefici ordito e i Pierleoni
Che congiunti al Normando avean prefisso
Colle baliste fulminar la morte
Dall'ardua cima del fatal castello
Cui dà l'Angiolo il nome. E tu nemici
Creder ne puoi? Questo Adrian superbo
I Frangipandi Pierleone i figli
Tranne Giordan che ci è fedelee vedi
Al tuo cospetto riverente e muto
Fra Roma e te porranno guerra: e molta
Già sussurrò nelle regali orecchie
Aura sinistra di calunnie astute.
FEDERIGO
Vanti e menzogne udii. Fede all'Impero
Roma serbò: ma dove è il mio prefetto?
Consolisenatoriordine equestre
E magistratinomi solo ed ombre
In città di sepolcrior voi credete
Da un monaco invocati esser risorti?
A quel passato che non può giammai
Rendervi l'avvenirvi riconduce
L'inutil volo del pensiero audace
Queruli schiavie vi riarde i petti
Fremito di memorie e di speranze.
LEGATO
Soffrir tu dei quanto permise Augusto;
E Romatua mercedeaver potrebbe
Impero e libertà.
FEDERIGO
Qual nome osate
Voi proferir? so che per lei vaneggia
Questa italica gentee non l'Impero
Ma i consoli desia. Qui venne Arnaldo
Colla speranza di trovar nel gelido
Cenere del passato una favilla
Cui gran fiamma secondi. Io l'ho col sangue
In tre cittadi estintae simil pena
Se ancor non diedi a voi superbi e stolti
Questo gregge ringrazii il suo pastore.
Roma è sacra per noi dacchè divenne
Città di Dio. Ma perchè qui raccolta
Non è Italia ad udirmi? or io favello
Qual se vi fosse. Omai provincia è fatta
E retaggio a Germaniae il re le impone
Che elegge a sè; retro al suo carro è tratta
Con eterno trionfo. Otton le pose
Una catena che talor s'allunga
Ma frangersi non può(): perchè risuona
Liberi vi credete? io questo inganno
Farò che cessie saran muti i ceppi
Dal brando mio rifissi. Italia spera
Ai Tedeschi sottrarsi? Aver non puote
Nulla di suoneppur tiranni; e pensi
Ai suoi destini antichi. Alzarla a regno
Berengario tentavae vinto e schiavo
Incanutì fra noi; diede pur l'ossa
Prigioniere a Lamagna(). Alla sua tomba
I maggiori trarrò dei miei ribelli
Incatenati; e poi sepolcro ai vivi
Le carceri saranno… A voiRomani
Or io mi volgo. Che l'augel di Dio
Torni al suo nidopoi che l'ali ei volse
Dell'Orïente alla Città Regina
Sognar potete? Siamo noi gli eredi
Dell'antica virtù. Guardate intorno:
Questo è il vostro senatoe qui vi sono
Consolicavalierie tende e valli
Disciplinavalor: qui nei conflitti
Un'indomita audaciae intemerata:
Qui repubblica verae quanto aveste
Nostro divennee seguitò l'Impero:
Non venne ignudo in nostra man; traea
Tutte le glorie del poter latino
E una memoria che vi dà tormento
Sol vi lasciò… Dirmi straniero osate?
Siete Romani voi? Parola insana
Certo è ad udir ch'io qui da voi sia fatto
E cittadino e rese Roma è mia.
Voi senza corsenz'armie pria derisi
E spenti poitimide belveimmonde
A cui tombe e ruine eran covile
Nati alla fugae a sollevar la polve
In antico desertoe sol difesi
Dalle preghiere del sovran Pastore
Fatti ribelli a luisperar potete
La signoria del mondoe già sognate
Affacciarvi dall'Alpi? Al proprio impero
Carlo l'Italia unì; porvi la sede
Mai non pensòperchè da lunga etade
Quella superba che sdegnò confini
Cerchioe non centroera provincia ai Greci
Ludibrio ai Longobardi. A noi si volse
E l'armi ne implorò. Teutoni e Franchi
Siamo un popolo istesso: in me pervenne
La possanza di Carlo: io son di Roma
Legittimo signor. Chi puòrapisca
Ad Ercole la clava… A me s'aspetta
Reggervi col consiglioed ogni oltraggio
Respingere da voi. Saprà Guglielmo
Se da stragi lombarde è fatto ottuso
Il teutonico ferroe certa prova
Nel suo petto n'avrà qualunque ardisca
Resistermi… Non diede a voi l'Impero
Verun'autorità: sol vi consente
A prefetto un Romanperchè si degna
Eleggerlo a vassalloe in lui trasfonde
Il supremo poter(): basti all'onore
Della città. - Selve d'Ardennae pure
Onde del Renoio vi abbandonie sieda
Nella squallida Romae vi contristi
Per la vaghezza di memorie antiche
Gli occhi nel fangoe chiami biondo il Tebro?
LEGATO
Patria a Cesare è Roma; ella risponde
Con questo nome che da voi s'usurpa
Al teutonico orgoglio: il seggio antico
Fingi sprezzarma te ne senti indegno.
Una voce segreta al cor ti dice
Che della sua grandezza appena un'ombra
Ritrar tu puoi(): ma ciò che fu si taccia…
Usanze e leggi custodite e sante
Per gli Alemanniche tenean l'Impero
Prima di tegiurar tu devi()e Roma
Assicurar che da tedesca rabbia
Vïolata non resti: a quelli che hanno
Uficio in Campidoglioed acclamarti
Debbono imperatorquella moneta
Di cui largo alla plebe esser tu devi
Prometterai con sacramentoe fermi
Saranno ancor dalla tua mano i patti.
FEDERIGO
Voi siete folli… in me ragione i moti
Contien dell'ira che si fa disprezzo
Quand'io vi guardo… Alla dimanda iniqua
Segue il rifiutoe ciò ch'è giusto io debbo
Perchè lo voglioe nulla io fo costretto.
E patti imporree giuramenti ardisce
Serva plebe al suo re? La mia parola
Basta per tuttie ciò ch'io dico è sacro.
Son magnanimi i fortie invan temete
Che in Roma un sol de' miei ferir si degni
Col nobil ferro che la Dania ha vinto()
Gente sì vilche di morire è degna
Prima che nasca. Ora cercate indarno
Vendermi ciò ch'è mio: vorrò coll'oro
Comprar gli onori che acquistò la spada
Del teutone guerriero? io son del mondo
L'imperatoree sull'aver di tutti
E sulle vite ho drittoe solo è vostro
Ciò che a me piace di lasciarvi: e quanto
Suole nell'arche custodir l'avaro
Nelle viscere sue la terra asconde
A Cesare appartien: vale segnato
Dell'immagine mia l'argento e l'oro:
Ciò vi gridi ch'è nostro… Io d'ogni gente
Vidi i legati ai piedi miei prostrarsi;
Da terre ignote ho nuovi doni: e a vile
Avido volgoe in povertà superbo
Qual debito pagar dovrei moneta
Pattüita da luicome s'io fossi
Un debitor che il carcere sostiene?
Tanta viltà da me speraste? Io fremo
Solo in pensarvi. Al vostro re dar legge
Infingardi malvagi!… E dirmi avaro
TuRomanon potrai; chè i miei fedeli
Quel vil metallo che da me richiedi
Getteran nella faccia ai pochi e squallidi
Abitatori delle tue ruine
In sozzi panni avvoltionde io li vegga
Fra lo scherno de' miei cader nel fango
E ravvolgersi in essoe disputarvi
Con fronte insanguinata il mio tributo.
GIORDANO
Arrossisco per te. Le leggi infrangi
La dignità calpesti. A tanti oltraggi
Sola risposta è il ferroe questa in Roma
Spetta al popolo il darti: e noi morire
Sappiamo ancor; vincer saprà Milano.
Non senza sangue una corona avrai
Che poi cadrà nel sangue: e mi conforta
Questo lieto avvenir che già combatte
Per divenir presente: e qui di Roma
Le calunniate glorie e le sventure
Gioia della Germaniaor io difendo.
Quando il Sol cadeancor dei colli umili
L'ombra si fa maggiore: e così quando
Dechinò Roma dalla sua grandezza
Ogni popolo crebbe; e sorto appena
Dal suo fango natiomostrò le vili
Ire del servo che divien tiranno.
Patria infelicequel che sei condanna
Chi mai non fu! Quandoo Tedeschiin mille
Stolidi sogni che creò l'ebrezza
Sognar potete un avvenir che vinca
Le memorie di Roma? il suo vessillo
Non si usurpi da voi. L'aquila vostra
Nacque fra i ceppi e l'ombree sol discese
Sui cadaveri nostri a certa preda;
Ma non osa tentar le vie del cielo
Coll'occhio infermo che paventa il sole.
Che di Germania parli? Ai nostri danni
Congiurava ogni gentee sempre indarno
Sino al giorno fatal chevinto il mondo
Roma uccidea sè stessa. In voi non era
Pensier di gloria e di vendetta: il vento
V'agitava dell'Asia()e allora i dolci
Campi d'Italia ad inondar scendeste
Lurida nube che non tuona e fugge.
Non lacrime di re tratti in catene
Non lunga polve di trionfie l'onda
Di plebe che gridò: «Cesare giunge:»
Fu sulla Sacra Via; ma la percosse
Di barbari corsieri il piè sonante:
Poi la gente avidissima si sparse
A cercar l'oro nelle tombe; e il sole
Che non vide città maggior di Roma
A mirar condannò l'ossa dei forti
Dissipate nel suolo; e con insana
Rabbia impotente d'atterrar tentaste
Le moli antiche; e dalla rea fatica
Stanchi e prostratie nella polve ascose
Quelle ruine che vi dier terrore
Non osaste sederbarbari vili
Sul sepolcro di Roma… E tutto aveste
In lei distrutto: rimanean le sante
Leggi che diede il vincitor benigno
Ai popoli volentie un dolce impero
Tutti li unì. Del gran consorzio umano
Voi sempre indegnie non vi muta il Cielo.
Nell'Italia ai Tedeschi è fato invitto
Divenir mollie rimaner crudeli.
SOLDATI
Morte a costui: s'uccida.
(L'esercito tedescogridando Mortevorrebbe uccidere Giordano: Federigo lo impedisce stendendo Io scettro.)
FEDERIGO
E l'ira vostra
Scenderà così basso? egli è Giudeo
D'Anacleto germandegno Legato
Della nuova repubblica: vedete
In chi risorge la virtù romana! -
Quanto cadea la vostra gloria in fondo
Saper non voglio da macerie e sassi;
Nei vostri aspetti io lo contemploe voi
Siete di Roma la maggior ruina.
I LEGATI
Nunzi qui siam; ci rivedrai nemici.
FEDERIGO
Fuggitedileguatevivolate
Chè fremono le schiere: io più non posso
Da loro assicurarvi.
I LEGATI
A fronte avrete
Roma e i Normandi.
SCENA XXI.
ADRIANO in compagnia del cardinale OTTAVIANOEDETTI.
FEDERIGO
(Al papa che giunge in quello che i legatiproferiscono l'ultime parole.)
Udisti?
ADRIANO
Udii… Conosci
(Gli dà la bolla della scomunica.)
Se fedele ti son: leggi. Vibrato
Ho sui Normandi l'anatèma() e lungi
Muovon da Romaove il valore antico
Spento non è: spirti superbiastuti
E vïolenti ha la sua plebe; aborre
Sacerdoti e Tedeschi. Eleggi il fiore
Dei cavalieri: essi occupar di Pietro
Denno la chiesae la città che il nome
Ha da Leone: a guardia i miei fedeli
Io vi ho lasciatoe schiuderan le porte
Se a lor fia noto il mio voler… T'appressa
Ottavïan… so che ti è caroe tosto
La grazia mia gli ho reso.
FEDERIGO
O Padreun vero
Alleato mi sei: che un altro amplesso…
SOLDATI
Viva Cesaree Pietro!
ADRIANO
Ai prodi eletti
Tu sarai guidao cardinale…() Avranno
Degno e fedel compagno; in sen gli scorre
Antico sangue… Or dei la schiera eletta
A quel loco affrettar che le destino
Onde non vista penetrar vi possa
Col favor della nottee ci preceda
Nella santa Cittade: al dì novello
Poi l'esercito tuo guidiamo insieme;
E spettator di tua grandezzail sole
Dentro il tempio di Pier fia che risplenda
Sopra il sacro tuo capoincoronato
Dal vicario di Cristo.
L'ESERCITO
A Roma! a Roma!
ATTO QUINTO.
SCENA I.
Stanze nel Vaticano.
ADRIANO.
Sull'umil servo d'abbassar degnasti
Il tuo sguardoo Signore; e al mite agnello
Serve il leoneed ha comun l'albergo.
Più lo Svevo non è fulmin di guerra
E dell'Italia orror: tutti ha deposti
Gli spirti suoi ferocie mi difende
Con zelo ardente; e son fra noi parole
Qual fra tenero padre e figlio pio.
Riverenza ed amore in ordin lieto
Ora il mio clero uniscee non confonde
Coi duci suoi. Quei che in me spira e parla
Con fiamma eguale i nostri petti avviva
In un voler concorde; e muove il mondo
Sulle vie del Signorperch'io precedo
E Cesare mi segue. Il tempo alfine
Ubbidisce all'Eterno… Io Federigo
Guidava a Romae quando a piè la vide
Tutta giacersi ove dechina il monte
Che tien dal gaudio il nome()a lui di Pietro
Mostrai la Chiesa: egli balzò d'un salto
Dal suo destrieroe nella polve ei volle
Adorarla da lungi. Ai lieti gridi
Che sorgean dalle schiereallor successe
Un subito silenzioe reverenti
Seguian del re l'esempio: a me nascea
Tacita gioia dentro il cor paterno…
Come ordinatorapidotremendo
È l'esercito suo! Traeva il sole
Dall'armi i lampie ne splendeano i monti.
Dall'intrepido volto i suoi Tedeschi
Spirano ardir: la signoria del mondo
Sta nel Settentrion: d'esservi nato
Or sento orgoglio anch'io… Nacque all'omaggio
La semplice Germania; è pei suoi regi
Prodiga della vita… Oh zelo uguale
Pei pontefici avesse: ella potrebbe
Dirsi il braccio di Dio! Quanto è diverso
Questo volgo latin: ci fugae chiama;
Ci adorae calca; ci spaventae trema;
Ci uccidee piange: che da lui derivi
Crede il nostro poteree che soggetto
Sia Cristo a Roma come allor ch'ei nacque.
Salvo è il pastorma si è da lui diviso
Il gregge suo ribelle: e quel profano
Fiume del Tebro che da me lo parte
Crede che parli di trionfi antichi;
Ma fra tombe e ruine in suon di pianto
Grida: Tutto perì… sol io qui resto
Onda che fugge!… Ah certo io son che sparsa
Fia di sangue romanquando s'ardisca
I Tedeschi assalir… figgon le tende
A quelle mura ove per l'aurea porta
S'entra nella città: qui presso al tempio
Solitudine e morteed oltre al Tebro
Fremito e vita. Ahi scellerato Arnaldo
Nemico del Signorper te non posso
Qui regnar senza stragie tu condanni
Pastor Britanno ad ignominia eterna!
Dalla vigna di Dio la volpe astuta
Pur fuggiva tremandoe alfin cadea
Nei lacci ch'io le tesi: or quell'empio
Che osò di liberarlae l'ha nascosa
Rivelamio Signor.
SCENA II.
CAMERIERE segreto del papaADRIANO.
CAMERIERE
Chiede l'ingresso
Forsennata una donna: ha sparsi i crini
Sulle pallide gotee il capo insano
Va roteando con stridor di denti:
Or volge gli occhi in giroed or li tiene
Orribilmente immoti. Entrò nel tempio
La dolorosa; ma varcate appena
Ne avea le soglieella s'arresta e grida:
Anatèmaanatèma; io son respinta
Da un angiolo di Dio! - Volean scacciarla
I tuoi fedeli: ella m'abbraccia i piedi
E li bagna di piantoe poi mi prega
Ch'io la scorga a colui che solo in terra
Assolvere la puote; ed io promisi
(Tanta pietà dalla sua vista uscia)
Aprirti il suo desio.
ADRIANO
Costei t'è nota?
CAMERIERE
Forse io mai non la vidio il suo dolore
Trasfigurolle il voltoe lo difende
Dall'occhio indagator: l'abito vile
Che veste il pentimentoad essa aggrava
Le delicate membra; eppur non doma
Quanto è d'altero in leichè modi onesti
Serba nel suo furoree vi traluce
Nella notte crudel dell'intelletto
La chiarezza del sangue.
ADRIANO
Innanzi a Dio
Siam polve ugual: render salute all'egra
Forse ei vorrà: querce superba abbatte
Umil canna sollevae tu ben festi…
A me ratto la guida.
SCENA III.()
ADRIANOpoi ADELASIA.
ADRIANO
Oh se qui fosse
Il dito del Signor! Misera donna
Con terror disperato i passi affretta!
ADELASIA
Padrepietà! tosto m'assolvi; è sopra
Il capo mio la mortee già l'Inferno
S'apre ai miei piè.
ADRIANO
Chi ti minaccia?
ADELASIA
Iddio….
A te ricorro.
ADRIANO
È la tua colpa enorme
Se lavarla io sol posso. E che facesti?
ADELASIA
Son rea.
ADRIANO
Ma come? egra mi sembrio forse
Il nemico dell'uom la tua possiede
Anima afflitta.
ADELASIA
Ahi che dicestio Padre!
Tu mi cresci terror.
ADRIANO
Mira la croce
E chi per noi moriva.
ADELASIA
Oh Dio! lo veggo!
Egli si muovegià la man trafitta
Liberata è dai chiodie n'esce il sangue
E s'alza a maledirmi…. il suol vacilla.
ADRIANO
M'afferri il mantoe vi nascondi il volto…
Tu vaneggiinfelice!… un rio di pianto
Or dagli occhi ti scorre… Ogni peccato
Rimesso vienquando il dolore abonda….
Fa cor; chi sei palesa.
ADELASIA
Ahi forse udisti
Tu d'Adelasia il nome!
ADRIANO
Io son straniero
E or non ha guari in Roma…() Avvinta sei
Di nodo maritale?
ADELASIA
Oh Dio! pur troppo.
ADRIANO
Impallidiscitremi? Al tuo consorte
Fosti infedeleo da maggior delitto
Nasce il terror che sì t'ingombra? Ah parla….
Ucciso l'hai?
ADELASIA
Forse il dovea.
ADRIANO
Che dici?
ADELASIA
Voglio odiarloe non posso.
ADRIANO
In lui qual colpa?
ADELASIA
La più orribil di tutte.
ADRIANO
E ancor t'è caro?
ADELASIA
L'amo sìl'amobench'ei sia diverso
Da quel di pria: cinge una nube oscura
Quel volto un di sì belloe sotto i piedi
Fatti deformiinaridisce il fiore.
S'io vegli o dormaignoro; e quel ch'io miro
Dir non saprei se visïone o sogno
Tutto è tremendo: e più dal falso il vero
Distinguere non so; chè s'io ragiono
Temo peccar: fuggo dal dolce letto
Ove madre divennie poi vi torno
Nell'orror della notte: al mio consorte
Grave di un sonno che mi dà terrore
Se batta il cor che della vita è fonte
Interrogando con la man tremante
Gli do gelido un bacioe poi l'abbraccio
Con una gioia paurosae fuggo
Chè gli amplessi ne temo: e in quelle stanze
Precipitando ov'hanno i figli albergo
Coi gemiti li destoe poi li traggo
Ad una antica portentosa immago
Della Donna del Cieloa cui sacrai
Lampade ardenti con vigilie eterne.
Piangon prostrati i pargoletti ignudi
Sopra la dura terrae ognun ripete
Il nome di Maria ch'io sempre invoco;
E giurerei ch'ella li guarda e piange.
Allora io grido: Abbi pietà dei figli;
Tu fosti madree gl'innocenti al reo
Ottengano perdono. -
ADRIANO
Il tuo consorte
È un seguace d'Arnaldo: e reo lo credo
Più che detto non m'hai: tutto mi svela….
Nol sai? pesa il maggior degli anatèmi
Sopra quell'empio che sottrasse Arnaldo
Alla possanza mia… S'ei t'è consorte…
Creder non l'oso… era periglio e colpa
Al suo letto appressarsie ber potevi
Il furore di Dio nell'acqua istessa
Dal labbro suo contaminata….
ADELASIA
Ahi lassa!
Pur troppo il so! lungo digiun sostenni:
Temei quei cibi che gustasse il padre
Fatali ai figlie li nutrii non vista
Di ciò che sazia e nocee quei gentili
Crudelmente pietosa ho reso infermi.
ADRIANO
Benchè la grazia onde natura è vinta
Risplenda in ted'ogni terreno affetto
Liberata non sei… paventi Iddio
Non l'ami ancor… moglie rimani e madre.
Se nel nido profanoonde fuggisti
Atterrita colombaognor dimora
La tua prole dilettaa questo volo
So qual angue t'ha spinto… invan lo celi…
Io ti leggo nel volto… Arnaldo ottenne
Nelle tue caseahi sventurata! asilo.
ADELASIA
È verma lo detestoe orror mi crebbe
Placar tentando con parole accorte
Del mio core i tumulti… Alfin m'assolvi.
ADRIANO
Nol posso… ignori che accusar si denno
Gli eretici alla Chiesa? a me tacesti
Del tuo consorte il nome! È ognun soggetto
Alla legge di Cristo: io pongo a lieve
Prova la tua virtùquand'io ti chieggo
Ciò che ognuno può dirmi.
ADELASIA
Egli d'Arnaldo
È difensor palese: Ostasio è detto.
ADRIANO
Non basta: il grado…
ADELASIA
È d'alto sanguee conte
Della Campagna.
ADRIANO
E v'ha castelli?
ADELASIA
Assai.
ADRIANO
E li tien?
ADELASIA
Dall'Impero.
ADRIANO
In qual si cela
Or l'eretica belvail fero Arnaldo?…
Taci?… perigli ha la dimorae pensa
Che madre sei… non rade volte Iddio
Nell'ira avvolge della sua vendetta
Gl'innocenti col reo.
ADELASIA
Dirò… ma prima
Prometti a Ostasio perdonar: dall'empio
Se fia divisoil riconduco a Dio
Sulla via dell'amore… io già lo stringo
Fra queste braccia; antica fiamma e santa
Nelle vene gli corre… ei sul mio seno
Palpitae giura alla fatal dottrina
Un eterno abominio… io dei negati
Abbracciamenti lo fo lietoe stendono
L'ali tremanti sul pudico letto
Gli angioli del Signoree in Ciel si crea
Un'anima per me.
ADRIANO
La moglie oblia
Ch'io qui l'ascolto?
ADELASIA
Ardoardo io sì… perdona.
Veglierò fra gli altarie tutta io voglio
Nella dolcezza inebriar del pianto
L'anima consolata… Oh quanta gioia
Per quello spirto che sarà converso
Nel regno degli eletti!… allorao Padre
Quando l'ostia innocente al ciel sollevi
Ricordati di Ostasioe lo confermi
L'onnipotenza delle tue preghiere
Sul novello cammin… D'oro e di gemme
Il mio signorein cui dovizia abonda
I templi arricchirà: così palese
Al mondo fia quanto ei detesti Arnaldo
E gli empi errori.
ADRIANO
Ove costui si trova
Scoprimi alfin: perdono al tuo consorte
Per quanto io posso.
ADELASIA
Ah lieta io son! puoi tutto
Sulla terra e nel cielo. Arnaldo è chiuso
Nella rôcca d'Astura.
ADRIANO
Al suol ti prostra….
T'assolvoe parti.
ADELASIA
E perchè mai?
ADRIANO
S'appressa
L'imperator.
ADELASIA
Qui rimanermi io voglio.
È feroce lo Svevoe dentro il core
Sorge un dubbio tremendo.
SCENA IV.
FEDERIGOE DETTI.
ADRIANO
(Alzando gli occhi al cielo.)
O Re del Cielo
Come occulte le vie dei tuoi consigli
Sono all'occhio mortale! Egli sospinse
La mesta che rimane al tuo cospetto
A scoprirmi…
FEDERIGO
Che mai? Ti brilla in volto
Un'insolita gioia!
ADRIANO
Alfin di Pietro
La gran causa trionfa: e tuche sei
Difensor della Chiesail suo nemico
Affrettati a punire; e tosto Arnaldo
In Astura sia preso.
FEDERIGO
Olà; scudiero
Chiama i fedeli miei… Conoscio Padre
Chi d'Astura è signore?
ADRIANO
Il reo consorte
Di questa pia… della Campagna un conte.
FEDERIGO
Come si chiama?
ADRIANO
Ostasio.
FEDERIGO
Io questo nome
Obliar non potea: fra i miei nemici
È il più superbo: nel Roman Senato
Sceglier costui l'imperator volea():
Egli è più reo d'Arnaldo… A mortee tosto
A morte infamee prigionieri i figli
In Lamagna sian tratti.
ADELASIA
Oh Dioche feci!
Pietà d'Ostasio.
(Si getta ai piedi di Federigo.)
Al giovinetto ardente
Perdona un sogno della mente audace
Tuche vago di gloria ancor nel petto
Gl'impeti senti dell'età primiera.
E i pargoletti che rapir mi vuoi
In che son rei?… Questo crudel superbo
Sdegna guardarmi… egli sta fermo e muto
Com'aspra rupe al di cui piede immoto
Mormora un rivo umíle in suon di pianto().
(Vedendo che Federigo non si muove per le suepreghieresi alza.)
AdrianoAdriannon mi soccorri?…
Pur dianzi a me non hai promesso i figli
E il consorte salvar? Tu che sapesti
Con sì lunghe parole il mio segreto
Trarmi dal pettoor qui tranquillo e chiuso
Stai davanti al monarcae un solo accento
A pregarlo non muovi? Ah se di Cristo
Il vicario tu seicadi ai suoi piedi;
Rendivi i baci ch'ei vi diè; li abbraccia;.
Di lacrime li bagnae mai più sante
Lacrime sparse non avrai… Che tardi?
Pregalo; piangio più non sia nel mondo
Chi doni a voi titol di padre.
ADRIANO
Ignoto
M'era che tanto il tuo consorte osasse:
O romana superbia! egli è tal reo
Che fia vano il pregar.
ADELASIA
Che fai? mi segui:
(Afferra il papa per il manto.)
Quiqui ti prostra.
ADRIANO
Ella delira!
ADELASIA
(Cade novamente ai piedi dell'imperatore.)
Abbraccio
Le tue ginocchia un'altra voltae spero…
Ingannata non m'hai… Comprendo adesso
Io l'arti di costui… Quando fu certo
Che vassallo all'Impero è il mio consorte
Quel perdono che a lui dar non potea
Prometter finse. - O sacerdoteè questa
La tua pietade?… Ora il dolor mi rende
La perduta ragioneed io mi sveglio
Sull'orlo di un abisso; e a questo iniquo
Cade la larva che celògli il volto
E in un'orrenda nudità si mostra
Alla luce del ver.
ADRIANO
Se puoiSignore.
Ad Ostasio perdona.
FEDERIGO
Io son custode
Di sacre leggie a chi succede io deggio
Renderle illeseo vendicate.
ADELASIA
Aborro
Pontefici e monarchi.
ADRIANO
In te ritorna;
Ti abbandonò la Fede: in quanto io posso
Di giovarti cercaima non ottenni
Che la giustizia alla pietà cedesse.
Forse nol vuole Iddio: talora in fretta
Anche la spada di lassù ferisce. -
Ah tu vedio Signorcome ogni pena
Che l'anatèma imprecaora s'adempie
Nella sua prole….
ADELASIA
Barbaronon vedi
Che t'ascolta una madre?
ADRIANO
Or viariprendi
Le tue sante virtù: colpa è il pentirsi
Di quel consiglio che dal Ciel ti venne.
Cristo diceva: I genitori stessi
Odia per me.
ADELASIA
Quando a una madre ei disse:
Odia i tuoi figli? io li ho traditi. Ahi lassa!
Qui resto invan: pietà di me non hanno
I due mostri del mondo. Oh Dio! si fugga…
Prestopresto un destriero… a chi lo chieggo?
(Vedendo i soldati di Federigo.)
Del tiranno ai soldati? Ah se nel Cielo
V'è un Dio che i preghi delle madri ascolti
Angioli del Signoreal mio castello
Recatemi sull'ali.
SCENA V
SOLDATIFEDERIGOADRIANO.
FEDERIGO
Ite ad Astura
Che s'arrenda intimate; e se lo nega
S'espugnie s'arda. Cederàlo spero;
E allor gravi di ceppi i due ribelli
Ostasio e Arnaldonelle man traete
Del prefetto di Roma: ei m'è fedele
E a nostra sicurezza ha quel castello
Che dall'Angiolo è detto.
SCENA VI.
FEDERIGOADRIANO.
FEDERIGO
Ho dell'insana
Dimenticato i figli: Iddio protegga
Quegl'innocenti: intenerir mi sento
Benchè padre io non sia.
ADRIANO
Signortu piangi!
FEDERIGO
Cristo piangea!
ADRIANO
Quando soffrì: non posso
Or ch'ei trionfa lacrimar: nel chiostro
Fanciullo appresi a dominar gli affetti.
Tu lo impara sul trono; ed or ch'io deggio
Cesare incoronartia Dio richiedi
Ch'ei ti cinga di forza.
FEDERIGO
A ciò non basta
La spada mia?
ADRIANO
Se dall'altar la prendi
Ucciderai senza rimorso.
FEDERIGO
Io temo
Chefatta sacrainsanguinarla io deggia
Nel gregge tuo.
ADRIANO
Quando per me combatti
Non può profana divenir: ma forse
D'uopo non fia: qual nella polve il vento
Il tuo brando sarà sol ch'ei baleni;
I tuoi nemici cerchie non li trovi…
Tutto al gran rito io preparai.
FEDERIGO
Ti seguo.
SCENA VII.
Sala nel Campidoglio.
Adunanza di SENATORItra i quali tiene ilprimo luogo GIORDANO patrizio di Roma.
GIORDANO
Fu sempre avvezzo di giurar gli onori
Della santa Cittade()e assicurarla
Dai barbarici oltraggi il re Tedesco
Chenell'Italia scesoottien da Roma
La gran corona onde fu cinto Augusto.
Solo conforto del perduto impero
In questo dritto abbiamo: esso fu posto
A custodia di Dio nel Laterano
E lo attestano i carmi. All'adunata
Plebe io li esposie li ripetee freme
Sollevando lo Sguardo a quel dipinto
Ov'è l'immago di Lotario espressa
Che da Innocenzo ha la corona. E voi
Chè cinque lustri non son corsi ancora()
O senatorii giuramenti udiste
Che fece il re prima ch'entrasse in Roma.
D'essa gran parte ora occupò di furto
Questo perfido Svevoe i patti antichi
Serbar non volle; nè darà tributo
All'eterna Cittàch'egli derise
Con quell'ingiurie che vi son palesi.
UN SENATORE
Non è degno costui che gli risponda
Neppur la polve che col piè si calca
Dove la madre di cotanti imperi
La maestà delle sventure antiche
Quasi regina che cadea dal trono
In vasta solitudine nascose.
Qui l'atroce Germania ognuno aborre
Che memoria di pianto e di catene
Fin dal giorno lasciò che il terzo Ottone
La mole a cui poi diè Crescenzio il nome()
Astutamente misurò coi truci
Occhi ceruleie vi si aprì la via
Colla lancia di Giudae poscia ei spense
Quel grande a cui promessa avea la vita.
Più d'un secolo è scorsoe sempre aspersa
Fu di sangue roman quella corona
Che un Cesare Alemanno usurpae cinge
Nella santa Cittade Ad esso incresce
Per un lieve tumultoe noi vorrebbe
Come le belve che Lamagna invia
Stupidamente mute: ordine ei chiama
La servitù che durae un dritto estima
Ciò che la forza alla paura ha tolto.
UN ALTRO SENATORE
Roma infelice! ora al tuo scempio uniti
Due barbari vedesti: uno è Tedesco
L'altro è Britanno: ha nell'ovil condotti
Questo pastore i lupi.
GIORDANO
Or di querele
Più non è tempo: stabilir col senno
L'opre conviene. Poichè omaggio al papa
E non a Roma Federigo ha reso
Non ha qui dritto alcuno: è sciolto il nodo
Che a lui ci lega: la tïara è rea
Non men della coronae a dritto alziamo
Il nostro capoche fu sì costretto
Dai due pesi del mondoal Sol novello
Di libertà che nell'Italia è sorto.
Perchè segua vendetta al gran rifiuto
Che lo Svevo ne fecealfin da tutti
La repubblica è chiestae Roma insieme
Con rapido tumulto si restringe:
Si fremesi congiurae ognun nell'armi
S'apparecchia a pugnar. Quando la plebe
Splender vedrà la sua corona in fronte
All'empio re che le negò tributo
Del Tebro i lidi rimbombar s'udranno
D'un fremito tremendoe l'empio Osanna
Sulle labbra morrà dei sacerdoti
Che cingono il tiranno: allor vedrete
Sgominarsi nel ponte ogni ritegno
Per l'irrompente volgoe farsi rabbia
Il romano dolor: la disciplina
Dell'ordinate schiere accresca e regga
Quegl'impeti sublimie non si stanchi
Il nostro ferro a trucidar Tedeschi.
UN SENATORE
Ma dov'è Arnaldo? ei più che suon di tromba
Coi feri detti le battaglie accende.
GIORDANO
So che Ostasio partì dal suo castello
Che signoreggia Asturae i suoi vassalli
Sparsi in torri diverse il prode aduna.
Ei tosto in Romapoichè fian raccolti
Con Arnaldo verrà: nè ciò nascosi
Al suo popol diletto; e pur gli è noto
Gavazzare i Tedeschied esser gravi
Delle spoglie d'Italia. Io le speranze
Aggiunsi all'ira: vincere si brami
Nè si tema morir. Darà la squilla
Quando fia tempoalla battaglia il cenno
Dal Campidoglio… se il valor latino
Fra noi rinacquee la vittoria è nostra
Più d'ogni bronzo che alle preci inviti
Sacrao squillasarai. - Sciolto è il Senato.
SCENA VIII.
Carcere nel Castello di Sant'Angelo.
ARNALDOpoi CARCERIERE.
ARNALDO
Sulle ruine della tua ragione
Forsennata Adelasiail suo vessillo
Quest'empio clero alzò. Me sol credesti
Porre in man dei nemicie i propri figli
O miseratradivi: or prigionieri
Gemon qui gl'innocenti. Oh se risvegli
Nel cor dell'egra la scintilla eterna
Oltraggiata naturaalla infelice
Madre farai dono funesto e breve!
Più tremendo furor vien dal rimorso
Che segue all'opre onde il pentirsi è vano.
Provvide Iddio che nel castello avito
Non fosse Ostasio: dalle torri altere
Arder non vegga l'espugnata Astura
E sia degno di Romae vi combatta
Per la sua libertà: pianger gli è forza
Sulla sua prolee la fatal consorte.
Ma prema il duolo: a lui per me non chieggo
Una stilla di pianto: il mio destino
Non può mutarsichè da due tiranni
Vittima chiesta io son.. Chi giunge…
CARCERIERE
Arnaldo
Il prefetto di Roma.
SCENA IX.
PIETRO prefetto di RomaARNALDO.
PREFETTO
Io qui non sono
Giudice tuoma ordinator di pena
Che ti fu stabilita. Al pentimento
Quel breve tempo che quaggiù t'avanza
Usar ti piacciae del presente angusto
Sul tremendo confin l'anima rea
Dai sogni dell'errore alfin si desti
E si lavi nel pianto e nel perdono
Prima che morte le disciolga il volo
Alla giustizia eterna.
ARNALDO
Io col pensiero
Vissi ognor nell'eterno: il tuo signore
Ha sì fisso nel tempo il suo desire
Che sol mira alla terra.
PREFETTO
E mai d'Arnaldo
L'orgoglio cesserà?
ARNALDO
Mi credi altero
Perchè libero sono.
PREFETTO
Io qui non venni
A garrir teco: vuoi morir confesso?
Abiura l'eresia.
ARNALDO
Maifredo osava
Notarmi d'eresia(): ma non ottenne
Dal concilio adunato in Laterano
Fede la sua calunniae si ripete
Da chi sa di mentirda quei superbi
Che sonRoma infeliceil tuo senato.
PREFETTO
Al pontefice io credo; e dalla Chiesa
Che milita nel mondo ei t'ha diviso.
ARNALDO
Ma non da quella che trionfa in Cielo
Ov'è giudice Iddio(): la mia sentenza
Sta negli abissi del consiglio eterno
Come quella di lui che mi condanna.
Tempo verrà ch'ei lo ricordie tremi.
PREFETTO
Non ti rimorde che la tua dottrina
Guerre fruttavae ch'or di nuovo al sangue
Roma verrà?
ARNALDO
Figlio del sangue il vero.
PREFETTO
Cangia consiglio: solo a questo patto
Un ministro del Ciel dai tuoi peccati
Scioglier ti puote: ei qui t'aspetta.
ARNALDO
È reo
Ogni figlio d'Adamoio più di tutti;
Ma eretico non sono: e s'io lo fossi
Il maggior dei rei sceglier nel clero
Può l'uom che lo confessi; e a me si nega?
PREFETTO
Vuolsi così da quei che puote; ed io
Deggio in tutto ubbidirgli. Ho qui compito
L'uficio mio: fra brevi istanti udrai
Della tua pena il modo: il Sol novello
Non ti vedrà.
SCENA X.
ARNALDO
Dicestio Re del Cielo
Che tu nel mondo oro non vuoi nè regno:
E potrà dalla Chiesa esser diviso
Chi serba fede all'immortal parola
Luce dell'alma?… A rimaner nel vero
È forza omai ch'io solo a te confessi
I miei peccatio Sacerdote eterno.
Nel cor mi leggi; e quel ch'io posso appena
Significartu vedi. Un gran mistero
È l'uomo a sè; la coscïenzaabisso
In cui tu sol discendi… e vi è procella
D'impeti rei… perdona al tuo ribelle.
Nella mente dell'uomo il mal germoglia
Come in proprio terrendal dì che Adamo
Il gran dono abusava a farsi reo…
E s'opra divenisse ogni pensiero
Chi sarebbe innocente?… Io già difesi
La causa d'Abelardoe al gran decreto
Che silenzio gl'imposeanche io mi tacqui():
Qual colpa è in me?… Bernardo invan sospinse
I monarchi d'Europa alla difesa
Del sepolcro di Dio: l'uomche gli è tempio
Io liberar cercava; e sulla terra
Volli a trionfo dell'amor divino
E vitae motoe libertà. Fu questa
La mia dottrina; e solo Iddio conosce
Cheil regno ad ottener sull'intelletto
La ragion con la fede in me combatte…
PerdonamiSignor: sembrano in guerra
I due fiumi del Cielfinchè non tornino
All'origine eternaed uno il vero
Si vegga in tenè Dio contrario a Dio…
E tu che sei?… Perchè lo cerco? adesso
Pregar dovrei… Se di te pensoio prego.
Come la sua sostanza in tre persone
Che son fra loro ugualiuna rimane?()
Comprenderti non possoe in te prescrivo
Limiti all'infinitoe nomi umani!
Padre del mondociò che qui riveli
È forse un sol dei tuoi pensieri; o questo
Mobile veloche quaggiù riveste
Tutto il creatoè una menzogna eterna
Che ci nasconde Iddio!… Dove si posi
L'intelletto non ha!… palpita incerto
Fra tenebre infinitee meglio ei nega
Di quel che affermi… Onnipossente Iddio
Ciò che sei non conoscoo s'io t'intendo
Definirti potrei? non ha parole
La lingua che soccombe al mio pensiero
O t'oltraggio in pensarti… Andrò fra breve
Io dall'ultimo dubbio al primo vero.
Ahi che dicesti? l'intelletto accheta
Nella fede di Cristoe in lei riposa
Come nel grembo di pietosa madre
Il figlio suo… Quello che cerchiArnaldo
Con tormento infecondo il tuo maestro
Cercollo invanoe della Croce ai piedi
La sua stanca ragione alfin cadea.
Seguasi il grand'esempioe qui col pianto
Laviam le colpe.
(Abbracciando la croce)
SCENA XI.
CARCERIEREARNALDO.
CARCERIERE
Sventurato Arnaldo
Quanta pietà mi desti! a un'altra croce
Esser tu devi appeso().
ARNALDO
Ella mi sia
Pegno del Cielo. O Paracleto eterno
Qui guidasti il tuo servo: ara migliore
Aver potea della Cittade eterna
Ov'io perissi in olocausto a Dio?
CARCERIERE
Senza voce che preghie ti conforti
Nell'ora della morteal fianco avrai
Il carnefice solo.
ARNALDO
Io qui l'aspetto
Liberator dell'alma.
SCENA XII.
ARNALDO
Eco fedele
Io fui dell'Evangelo: in quest'idea
L'anima s'erga. E tuSignordifendi
La causa tua: ch'ella risorgae vinca
Pur col mio sangue i ciechi errorie mora
Menzogna antica ai piè del vero eterno…
Ma qui frutti non dà prima che il tempo
Lo fecondi coll'ali; e nella speme
Che li credea viciniio forse errai…
Meglio errar che fermarsi… Or io d'appresso
Ho la morte cosìch'ella mi desta
Care e acerbe memoriee anch'io ritorno
Cogli ultimi pensieri al suol natio
Che abbandonar dovei… Brescia diletta
Ti perdono l'esiglio… il tuo pastore
Sol ne fu reo. Tu dolce nido ai giusti
E ai magnanimi sei(): saprai l'esempio
Imitar di Milanoe avrai gran parte
Nelle glorie d'Italia. Io sul Benaco
Che serve a tedeh quante volte errai
Nella mia giovinezza; e pien di Dio
Siccome l'onde del tuo lago avea
Alma fremente e pura… Ah non oblia
Bresciail misero figlioe alcun gentile
Spirto conforti nell'età futura
La fama mia(). Certo avverrà che giaccia
Per colpi che le diè la Curia avara
Meretrice dei re: la terra è loco
Di calunnia e d'oblio… Ma farmi io sento
Di me stesso maggioree in questo petto
Entra già l'avveniree lo affatica.
Mi fa profeta Iddio. Veggo concordi
Fede giurarsi i popoli Lombardi()
E di venti cittadi al ciel s'inalza
Tra le ceneri e il sangue un sol vessillo:
il drappel della morte al suol si prostra
Supplicando l'Eterno: è giunto al Cielo
Dell'intrepide labbra il giuramento
Ch'è pallor del tiranno: a sè d'intorno
Dissiparsi le schiere; e il suo stendardo
Sparir rapito dalla man dei forti
Quel superbo rimira; e sulla terra
Già via dei suoi trionfiegli precipita
Vinto all'impeto primoe si nasconde
Fra la strage dei suoi: veggo i Tedeschi
Oltre l'Alpi fuggirtratta nel fango
L'aquila ingordae un popolo redento
Farsi ludibrio della lor corona…
Ma il carnefice è qui. CoraggioArnaldo.
Dalle misere carni a cui fu sposa
All'eterno imeneo l'anima voli():
Conducetela a Dio per l'infinito
Ali dell'intelletto e dell'amore.
SCENA XIII.
Ponte sul Tevere davanti al Castel Sant'Angelo.
POPOLO E SOLDATI ROMANI da una parteESERCITOTEDESCO dall'altra.
CORO DI ROMANI
All'armiRomani! fra queste ruine
Udite la voce dell'alme latine
CheSorgiti gridao Popolo Re!
L'eterna Cittade non muore alla gloria:
Mirate quel tempio che avea la Vittoria;
Il cener dei forti vil polve non è.
I nostri sepolcri son pieni di fati:
Vi fremono l'ombre degli avi sdegnati
Di lungo servaggio col vile dolor.
Un Barbaro usurpa di Cesare il nome
E mano straniera gli pon sulle chiome
La nostra coronadel mondo terror.
Qui grida il Tedesco ch'è spento il coraggio:
La spada romana risponda all'oltraggio
E contro il furore combatta virtù.
Ritorni al suo nidoritorni alla prole;
Dal dì che non segue la strada del sole
Ha l'aquila appresa la vil servitù.
Il ferro divori i lurchi Alemanni:
Voliamo a quell'Alpi che mandan tiranni
Si chiuda col petto l'infausto sentier.
Il nobile esempio ci diede Milano;
Ognunofratellisi chiami Italiano
Uguale sia il nomeconcorde il voler.
Ma lunge il Britanno Pastor senza legge.
Che i lupi chiamava sul misero gregge;
Per gire sul tronocalpesta l'altar.
Vi sacra il crudele la spada omicida
Aspersa di sanguedi sangue che grida:
O nave di Pietroè questo il tuo mar?
Ed hai sul vessillo il nome di pace!
Il mondo ingannastiparola mendace
E il Santo nel Cielo per gli empi arrossì.
O tuche soffristi per tutti i mortali
Che liberi hai fattofratellied uguali
Col sangue che i ceppi dell'uomo abolì
Percoti l'errante che il mondo ha diviso.
Col nome di Rege tu fosti deriso
Ed ei questo nome dimanda per sè.
Lo chiede al tiranno che uccise i tuoi figli;
Al mostro tedesco consacra gli artigli…
L'Italia nel Cielo sol abbia il suo re.
CORO DI TEDESCHI
Ognor s'avvallano queste ruine
Che del teutonico valor son fede:
Più giace il popolo che le possiede.
Invan richiamasi quel ch'è passato;
Nè torna all'apice chi al fondo cade:
Roma è lo scheletro d'un'altra etade.
Non ha quel popolo seconda vita:
Da polve gravida di sangue e pianto
Nol desta magica forza di canto.
UN PRINCIPE TEDESCO
Salmi e non fremiti sono per voi
Figli degeneri di antichi eroi:
La stola vestasinon la lorica
E il ferro Italia mi benedica.
CORO DI TEDESCHI
La Chiesa li atterrali calca l'Impero:
Han l'alma prostrata dal Re del pensiero.
Correte alla gloria di squallide mura
Correte a celarvi la doppia paura
Che il petto vi scote con palpito alterno;
Sul collo il Tedescoai piedi l'Inferno.
A voi natura diè la messe d'oro
Ed il tenero fior di primavera;
A noi diletta il sanguinoso alloro
Di bellico furor la gloria altera.
Se ci fanno le nubi eterno velo
Più possente la vita è sotto il gelo.
A noi tra i boschi il fremito dei venti
E del mar nella notte il gran ruggito
Mostra i tumulti delle pugne ardenti
E suon di trombee di corsier nitrito:
Qui l'aura geme siccom'uom che prega
Mormora sulla rosae non la piega.
CORO DI ROMANI
Di tedesca natura
Sono verace immago
Acque stagnanti in lurida pianura
Che mai non sorge a collee resta umile
Come bassezza di pensier servile.
La terra sconsolata
Un lutto par dell'universo; e l'alma
Vedova desolata
Piange lacrime sue: ritrova il mesto
Occhio un vile confine
Anche in livide spinee la deserta
Landa sparisce fra le nebbie: il sole
Sdegna mirarvichè dei corpi inerti
Nella mole tranquilla
Poca è la vita della sua favilla.
SCENA XIV.
GIORDANO coi suoi VASSALLIE DETTI.
GIORDANO
Spemevalorsilenzioe col nemico
Più non si venga al paragon dei carmi:
Quel dell'armi si appressa. Ognun qui sia
Pronto a ferir: preparino gli arcieri
Sugli archi tesi alle saette il volo;
La lancia in restao cavalierma sia
La tua fiducia nella spada: i prodi
Trasteverini dall'opposto lato
Crescer vedretee ad assalir verranno
I Tedeschi nel fianco e nelle spalle.
Vero sangue romansanno dappresso
Col barbaro affrontarsie sottentrargli
Mentre alza il ferroe abbatterlo alla terra
Con amplessi ferocie aprir le vaste
Gole dei lurchiin cui gorgoglia il vino
Col temuto pugnal che mai non erra…
Ma giunge Ostasio e il suo drappello eletto
Che ha tranquillo valornè suono ascolti
D'inutili minacce.
POPOLO
Ostasio evviva!
SCENA XV.
OSTASIO con i suoi SOLDATIE DETTI.
POPOLO
Arnaldo ov'è?
OSTASIO
Lo chieggo a voi: sperai
Ch'ei pria di me qui fosse: egli promise
Che l'armi nostre a benedir verrebbe
Nel cimento vicin.
POPOLO
Crebbe nel chiostro…
OSTASIO
Morir saprà: nessun di voi l'oltraggi.
SCENA XVI.
ADELASIAE DETTI.
UNA PARTE DEL POPOLO
Chi s'inoltra?
ALTRA PARTE DEL POPOLO
Una donna.
(Adelasia si appressae il marito la riconosce.)
OSTASIO
A che venisti
Sventurata Adelasia?
ADELASIA
È salvo… è salvo…
Oh portento di Dio! fra le sue braccia
Si corra… Empiatu l'osi?
OSTASIO
Ognor delira!
Sul suo destin piangete.
ADELASIA
Ah sì piangete…
Ma non deliro… il mio consortei figli
Lassaio tradii… la tua fortezza è presa.
OSTASIO
(Ponendosi la mano sul petto.)
La mia fortezza è qui().
ADELASIA
Pur cadde Arnaldo
In poter dei nemici.
OSTASIO
Oh Dio! che ascolto!
UNA PARTE DEL POPOLO
Oh sventura!
ALTRA PARTE DEL POPOLO
Oh dolor!
ADELASIA
Che gli era asilo
La tua rôcca in Astura io fea palese
Al perfido Adrian: porre io credea
In balia della Chiesa il suo nemico;
Non la prolenon te.
OSTASIO
Stoltacrudele
Tardi conosci i sacerdoti: io sento
(Fa un movimento di collera che tosto reprime.)
Nel cor quell'ira che c'invita al sangue…
ADELASIA
M'uccidi per pietà!
OSTASIO
Sapessi almeno
Dove Arnaldo fu tratto!
ADELASIA
È coi tuoi figli
Nel Castel di Sant'Angelo.
OSTASIO
Si voli
Ad espugnarlo: rimirar volete
Da questo ponteove noi siam prigioni
Il martirio d'Arnaldo? a lui ci guidi
Libera via dai nostri brandi aperta
Fra le schiere tedesche.
UN CAPITANO DI ROMA
Ah pria conviene
Vincerlesterminarleo quell'assalto
Può tornarci funestoe sulla fronte
A noi cader nembo di strali e pietre
E sulle spallefulmine seguace
Il teutonico brando.
GIORDANO
Ho nel castello
Pratiche occulte: non ancor si tiene
Per lo Svevo monarcae sol v'impera
Il prefetto di Roma. Alcun de' miei
Entrò di furto col favor dell'ombre
Nel mal guardato locoe m'ha promesso
Aprirmi un varco. Di qui lungeil fiume
Con pochi forti io guaderò non visto:
E se m'arride il Cieloallor coi prodi
Trasteveriniche ci son fedeli
Occuperò la rôcca; e Arnaldo io spero
Sottrarre a morteed al servaggio i figli
Del generoso Ostasio.
ADELASIA
Io ti precedo
Nè senza loro io tornerò.
UNA PARTE DEL POPOLO
L'insana
Non si lasci partir…
ALTRA PARTE DEL POPOLO
Fuggiva… i passi
Il dolore le affrettae si dilegua
Dagli occhi nostri.
OSTASIO
Abbi pietàGiordano
Della povera madree i figli miei
Non obliar: ma pria si salvi Arnaldo.
Dalla Città Leoninaove sta l'esercito tedesco
si ascolta dal Clero cantar l'inno che segue:
Cristo vincee Cristo impera
Nostra speme e tua vittoria():
Tu non devi a plebe altera
Questa insegna della gloria.
Il pontefice Adriano
La ponea sulla tua chioma
Nè di strepito profano
Risonâr le vie di Roma.
Sol nel tempio il pio guerriero
Ripetea preghiere e voti
E diviso hai qui l'impero
Con il re dei sacerdoti.
SOLDATI TEDESCHI
Viva Adriano!
CLERO
Federigo evviva!
E lunghi anni e trionfi il Ciel conceda
All'esercito suo: fama e possanza
Nel Teutone guerrier().
Dalla parte opposta.
OSTASIO
Romaniudiste?
Come prima ci oltraggiae poi ci oblia
Quest'empio clero!
POPOLO
Ed a pugnar si tarda?
OSTASIO
Statevi… ancor tempo non è… Che veggo?
O Repubblica santail tuo vessillo
Nel castel di Crescenzio all'aura ondeggia!
POPOLO
Viva il prode Giordano!
OSTASIO
Alfin risuoni
Squilla del Campidoglio! All'armi! all'armi!
Combattimento generale fra Romani e Tedeschi.
SCENA XVII.
Luogo deserto di Roma.
OSTASIO con un drappello de' suoi.
OSTASIO
Tu cadio Solee Roma è vinta!… Amici
Si pugnò lungamenteed or si geme
Miserima non vili(): è bello il pianto
Su quelle gote ove non fu rossore.
Qual procella di stralie di percosse
Armi fragore sul confin del ponte
Ove la pugna ardea con stragi alterne!
Popol degno di Roma! oh s'egli avesse
Al suo valor la disciplina uguale
Sol porterebbe il Tebro al mar Tirreno
Cadaveri tedeschi: or li travolge
Con ben mille de' nostri. Ah troppo avanti
Procedean gli animosi; e allor giungea
Stuolo di cavalierie ai nostri fanti
Che solo il brando arma ed affidai petti
Dalle teutoni lance eran percossi;
E la rabbia alemanna alfin prevalse
Alla virtù latina. Ah tardi io giunsi
Al soccorso de' miei! cadean trafitti
Nel loro sanguee a trucidar quei prodi
Semivivi nel suol scendea la dura
Prole d'Arminio dal corsier fumante.
UN CAPITANO ROMANO
Barbari vili! nel nemico inerme
Immergendo le spade ognun dicea
Derisore crudel: «Questo è il tributo
Che Cesare ti dona: oro chiedesti
Eccoti ferro; la mercede ottieni
Della corona tua: così l'Impero
Da noi si compra.» E le crudeli orecchie
Allor che gli fería l'ultimo strido
Del trafitto Romancrescea lo scherno
Dell'atroci parole()e in suon di rabbia
Gridar si udiva: «In simil guisa Augusto
Vuol che tu acclami ai suoi trionfi; e questi
Patti con voi fa la Germaniae segna
I giuramentiche d'imporle osaste
Col vostro sangue: anime reev'aspetta
Già nell'Inferno Arnaldo.»
OSTASIO
Oh Dio? Giordano
Che non giungesse a tempo?… ah no… si speri:
In quel castelloche su lui si chiuse
Il vessillo di Roma ognun vedea
Subitamente dispiegarsi ai venti!
UN CAPITANO ROMANO
Ma sparì nella pugna: e se Giordano
Certo dominio in quella mole avea
Con pietre enormiche rotar dall'alto
Si ponno agevolmenteoppresso avrebbe
L'esercito soggettoe dei Tedeschi
L'esterminio era certo.
OSTASIO
Alcun qui giunge.
SOLDATO
Vadasi…
OSTASIO
Rimanete: io ben ravviso
Fra le tenebre prime il noto aspetto
Del magnanimo amico.
SCENA XVIII.
GIORDANOE DETTI.
OSTASIO
Al sen ti stringo
Fedel Giordano… Arnaldo ov'è?
GIORDANO
Nel Cielo.
OSTASIO
Almen sepolcro a lui si diede?
GIORDANO
Il Tebro.
OSTASIO
Il cadavere suo ci renda il fiume.
GIORDANO
Nol può.
OSTASIO
Ma come?
GIORDANO
Ogni sembianza umana
In lui tosto periva: arso dal fuoco
Cener divennee neppur questo avanza
Chè si perdè fra l'onde.
OSTASIO
È seco estinta
La libertà di Roma!
GIORDANO
È viva ancora:
Ci resta il Campidoglio. Or nel guerriero
Dell'atroce Germania alfin cessava
Dell'uccider la rabbia: invan la fronte
Liberava dall'elmoe il petto oppresso
Dall'ardente corazza: un grave e lungo
Anelar lo affaticae lo tormenta
Questa fervida polvein cui disteso
Quel vin spumante che rapìtracanna
Con fauci aride ognora: il nostro cielo
Gli domerà.
OSTASIO
Questa speranza è vile.
GIORDANO
Ma non sarà delusa.
OSTASIO
Aver potea
Roma dal ferro suo miglior vendetta
Se quel castello che occupar sapesti
Restava in forza tua.
GIORDANO
Per pochi istanti
Ritenerlo io potea: crebbe la piena
Dei nemici cosìch'io fui costretto
D'abbandonarlo. Ora che più si tarda?
Nell'indugio è periglio: al sacro monte
Ov'è la rôcca che munito abbiamo
Per consiglio d'Arnaldoil piè s'affretti
Col favor della notte: io là potea
Salvartio prodee la consorte e i fìgli.
SCENA XIX.
Stanze del Vaticano.
ADRIANO E FEDERIGO.
ADRIANO
Signorvincesti.
FEDERIGO
Un pueril trastullo
Fu questa pugna; ed io d'un volgo insano
La facil pena annoverar non voglio
Fra le vittorie mie.
ADRIANO
Provido senno
Fu nel prefetto tuo: col rogo e l'onde
Da nuovi errori custodì la Fede.
Con un culto segreto il volgo ignaro
L'ossa d'Arnaldo venerar potea:
Del nemico di Dio non resta in Roma
Che una memoria infame.
FEDERIGO
Util consiglio
Era ancora per mechè l'empia avrebbe
Libertà dell'Italia il suo profeta.
ADRIANO
Vendicasti la Chiesa: ed io ponea
Con affetto di padre i sommi onori
Sul tuo capo regalperchè di zelo
Non dubbie prove in questo dì facesti.
Mase liceo signordai tuoi guerrieri
Per la causa di Cristo o dell'Impero
Qui si pugnò?
FEDERIGO
Perchè così mi dici?
Onde un tal dubbio in te?
ADRIANO
Quando le mani
Che avean compito il sacrifizio augusto
Alzai dall'ara a benedir le schiere
Vincitrici di Romain lor non vidi
E baldanza di gloria e fronti altere;
Ma languide cadean le braccia invitte
Nel sangue esercitatee avean sul volto
Il pallor del rimorso.
FEDERIGO
Il sole ardente
Scema ad essi vigor.
ADRIANO
Qual grido ascolto!
SOLDATI TEDESCHI
(Al di fuori.)
AdrianoAdrian!
FEDERIGO
Padreche temi?
I Teutoni son miei: fra lor non sorge
Mai tumulto ribelle. Ora al cospetto
D'esercito fedel moviamo insieme
Dal Vaticanoe rivestiam le pompe
Che abbiam deposte; ed alla tua tiara
E alla corona mia vedrai le fronti
Al suol prostrarsi con ossequio uguale.
SCENA XX.
Piazza davanti San Pietro.
ADRIANO E FEDERIGO sui gradini del tempioSOLDATI TEDESCHI al di sotto di essomesti e riverenticon dugentoprigionieri Romani.
SOLDATI
La tua pietà s'implora… assolvio padre
I figli rei.
ADRIANO
Di che? parlate.
SOLDATI
Ah troppo
Sangue si sparsee incrudelito abbiamo
Nel gregge tuoperchè la spada e l'ire
Trattener non potemmo…
ADRIANO
Udir non voglio
Della battaglia i casi: io sol vi chieggo
Se vïolaste i templi.
SOLDATI
A Dio rispetto
E a Cesare s'avea: noi lo giuriamo.
ADRIANO
Basta; non più… Ma della vinta plebe
Ben dugento soldati or qui traete
Che han grave il collo di servil catena.
Voi pugnaste per me; dunque costoro
Son prigionieri miei.
FEDERIGO
Deh non oblia
Che pur son miei ribelli.
ADRIANO
Odi.
(Sommessamente all'imperatore.)
Saranno
Posti in man del prefetto.
FEDERICO
Ognun s'appressi
Il pontefice a udir: faccia tesoro
Delle parole sue.
ADRIANO
Quei che difende
La ragion della Chiesa e dell'Impero
Se da crudel necessità costretto
Fu la spada a macchiar nel sangue umano
Non può dirsi omicida(): in questa guerra
È meritonon colpa. Io vi dichiaro
Puri d'ogni reatoe vi apro il Cielo
Colle chiavi di Pietroe qui v'assolvo
Come dall'ara; ed i miei figli abbraccio
Nel loro imperator.
(Abbracciando Federigo.)
SOLDATI
Viva Adriano!
FEDERIGO
Udiste? Ognun torni nel campoe pace
E gioia in voi.
(I soldati Tedeschi partono allegramente; i Romanisono posti nelle mani dei fedeli di Adriano.)
SCENA ULTIMA
ADRIANO E FEDERIGO.
ADRIANO
Sei pago? or più ti diedi
Che la corona: il tuo poter sacrai
Colle parole mie. Concordi alfine
Sian la Chiesa e l'Imperoe il nodo arcano
Che lega in tre personee non confonde
Una sostanzai dueche sono in terra
Immagine di leiregnar vi faccia
Nell'unità che li assomiglia a Dio.
DOCUMENTI STORICI.
S. bernardi Opera. - Venetiis 1736. Vol. I.
epistola 189.
Procedit Golias procero corporenobili illo suo bellicoapparatu circummunitusantecedente quoque ipsum ejus armigero Arnaldo deBrixia. Squama squamae conjungituret nec spiraculum incedit per eas. Siquidemsibilavit apis quae erat in Franciâapis de Italiâ; et venenum in unumadversus Dominumet adversus Christum ejus. Intenderunt arcumparaveruntsagittas suas in pharetrâut sagittent in obscuro rectos corde. In victu autemet habitu habentes formam pietatis sed virtutem ejus abneganteseo decipiuntpluresquo transfigurant se in angelos luciscum sint satanae. Stans ergoGolias una cum armigero suo inter utrasque aciesclamat adversus phalangasIsraelexprobratque agminibus sanctorumeo nimirum audaciusquo sentit Davidnon adesse. Denique in suggilationem doctorum Ecclesiae magnis effert laudibusphilosophos; adinventiones illorum et suas novitates catholicorum Patrumdoctrinae et fidei praefert: et cum omnes fugiant a facie ejusmeomniumminimumexpetit ad singulare certamen.
epistola 195
Ad Episcopum Constantiensem.
âet Galliâpulsumet jam apud ipsum delitescentem expellataut potiusad cavendamajora damnavinctum teneat.Monet ut Arnaldum de Brixia Itali
Si sciretpaterfamilias qua hor
âfur veniretvigilaret utiqueet non sineret perfodi domum suam. Scitis quiafur de nocte irruperit domumnon vestram sed Dominivobis tamen commissam? Seddubium esse non potestscire vos quod apud vos fitquando id usque ad nosutique tam remotospotuit pervenire. Nec mirum si non horam praevidereautnocturnum furis ingressum observare quivistis. Mirum autemsi deprehensum jamnon agnoscitisnon tenetisnon prohibetis exportare spolia vestrae; immopretiosissimas Christi exuviasanimas videlicetquas sua imagine presignavitsuo cruore redemit. Adhuc forsan haeretiset miramini quemnam dicere velim.Arnaldum loquor de Brixiâqui utinam tam sanae esset doctrinaequam districtae est vitae! Et si vultisscirehomo est neque manducansneque bibenssolo cum diabolo esuriens etsitiens sanguinem animarum. Unus de numero illorumquos apostolica vigilantianotathabentes formam pietatisvirtutem illius penitus abnegantes; et ipseDominus: venient inquiensad vos in vestimentis oviumintrinsecusautem sunt lupi rapaces. Is ergo usque ad hanc aetatemubicumqueconversatus esttam foeda post seet tam saeva reliquit vestigiaut ubi semelfixerit pedemilluc ultra redire omnino non audeat. Denique ipsamin qua natusestvalde atrociter commovit terramet conturbavit eam. Unde et accusatus apuddominum papam schismate pessimonatali solo pulsus est: etiam et abjurarecompulsus reversionemnisi ad ipsius apostolici permissionem. Pro simili deindecausâet a regno Francorum exturbatus est schismaticus insignis; execratus quippe aPetro apostoloadhaeserat Petro Abaelardo: cujus omnes erroresab Ecclesiâjam deprehensos atque damnatoscum illo etiam et prae illo defendere acriter etpertinaciter conabatur.Et in his omnibus non est aversus furor ejussed adhuc manusejus extenta. Nam etiam ita vagus et profugus super terramquod jam non licetinter suosnon cessat apud alienostamquam leo rugienscircumiens et quaerensquem devoret. Et nunc apud vossicut accepimusoperatur iniquitatemetdevorat plebem vestramsicut escam panis. Cujus maledictione et amaritudine osplenum estveloces pedes ejus ad effundendum sanguinem. Contritio etinfelicitas in viis ejuset viam pacis non cognovit. Inimicus crucis Christiseminator discordiaefabricator schismatumturbator pacisunitatis divisor:cujus dentes arma et sagittaeet lingua ejus gladius acutus. Moliti suntsermones ejus super oleumet ipsi sunt jacula. Unde et solet sibi allicereblandis sermonibus et simulatione virtutum divites et potentesjuxta illud: Sedetin insidiis cum divitibus in occultis ut interficiat innocentem.Demum cum fuerit de illorum captat
âbenevolentiâet familiaritate securusvidebitis hominem aperte insurgere in clerumfretumtyrannide militariinsurgere in ipsos episcopos et in omnem passimecclesiasticum ordinem desaevire. Hoc scientesnescio an melius salubriusve intanto discrimine rerum agere valeatisquamjuxta Apostoli monitumauferremalum ex vobis. Quamquam amicus Sponsi ligare potiusquam fugare curabitnejam discurrereet eo nocere plus possit. Hoc enim et dominus papadum adhucesset apud nosob mala quae de illo audiebatfieri scribendo mandavit; sed nonfuit qui faceret bonum. Denique si capi vulpes pusillas demolientes vineamScriptura salubriter monetnon multo magis lupus magnus et ferus religandusestne Christi irrumpat oviliaoves mactet et perdat?
epistola 196.
Ad Guidonem Legatum.
Cavendam ei familiaritatem Arnaldi de Brixi
âne sub ejus auctoritatesecurius errores suos disseminet.
Arnaldus de Brixi
âcujus conversatio melet doctrina venenum; cui caput columbaecauda scorpionisest; quem Brixia evomuitRoma exhorruitFrancia repulitGermania abominaturItalia non vult reciperefertur esse vobiscum. Videtequaesone vestrâauctoritate plus noceat. Nam cum et artem habeat et voluntatem nocendisiaccesserit favor vestererit funiculus triplexqui difficile rumpitursupramodum (ut vereor) nociturus. Et unum existimo de duobus (si tamen verum est quodvobiscum hominem habeatis)aut minus scilicet notum vobis esse illumaut vos(quod est credibilius) de ejus correctione confidere. Et utinam id non frustra!Quis det de lapide hoc suscitare filium Abrahae? Quam gratum munus susciperetmater Ecclesia de manibus vestrisvas in honoremquod tamdiu passa est incontumeliam? Licet tentare: sed vir prudens cautus erit non transgredipraefinitum numerum ab Apostoloqui ait: haereticum hominem post unam etsecundam correctionem devitasciens quia subversus estqui ejusmodi estetdelinquit proprio judicio condemnatus. Alioquin familiarem habereet frequenteradmittere ad colloquendumne dicam ad convivandumsuspicio favoris estetinimici hominis fortis armatura. Secure annuntiabit et facile persuadebit quaevolet domesticus et contubernalis legati apostolicae sedis. Quis enim a lateredomini papae mali quippiam suspicetur? Sed etsi in manifesto perversa loquiturquis se facile opponere audeatvestro collaterali?Deinde videtis qualia post seubicumque habitavitreliquitvestigia. Non sine causa vigor apostolicus hominem in Itali
âortum transalpinare coegitripatriare non patitur. Quis vero extraneorum adquos ejectus estnon eum omnimodis cuperet suis reddidisse ?Et certe sic se habere ad omnesut omnibus odio habeaturapprobatio judicii est quod portat: ne quis dicat subreptum fuisse domino papae.Quale eat ergo summi pontificis suggillare sententiamet illam sententiamcujus rectitudinem ejus ipsius in quem data estetsi lingua dissimulatvitaclamat? Itaque favere huicdomino papae contradicere estetiam et Domino Deo.
Per quemcumque enim justa sententia juste deturab illocertum est processissequi loquitur in propheta: Ego qui loquor justitiam.Confido autem de vestr
âprudentiâet honestatequia visis his literis de veritate certusnon abducemini amodoquippiam adsentire in hac renisi quod vos deceatet Ecclesiae Dei expediatpro qua legatione fungimini. Diligimus voset ad vestrum obsequium paratisumus.MuratoriScrip. etc. T. vipag. 662. Med.1725. - Octonis Fris. de gestis Frid. Imp. Lib. iCap. xxvii e xxviii.
Quomodo instinctu ArnoldiRomani adversus suum pontificemconcitanturet senatoriam dignitatem instaurare moliuntur.
His diebus Arnoldus quidamreligionis habitum habenssedcum minimeut ex doctrin
âejus patuitservansex Ecclesiastici honoris invidia urbem Romam ingrediturac senatoriam dignitatemequestremque ordinem renovare ad instar antiquorumvolenstotam pene urbemac praecipue populumadversus pontificem suumconcitavit. Unde et ad eorundem temeritatisvel potius fatuitatiscorroborationemab eis ad principem destinatum tale scriptum invenitur.Epistola Romanorum ad regem.
Excellentissimo atque praeclaro Urbis et orbis totiusDomino ConradoDei gratiaRomanorum Regi semper AugustoSenatus PopulusqueRomanus salutemet Romani Imperii felicem et inclytam gubernationem.
“Regali Excellentiaeper plurima jam scriptanostra factaet negotia diligenter exposuimus: quomodo in vestra fidelitate permaneamusacpro vestra Imperiali coron
âexaltandâet omni modo augendâquotidie decertamus. Ad quae quia regalis industriaut postulavimusrescriberedignata non fuitplane tamquam filii et fideles de Domino et Patre satismiramur. Nos enim quidquid agimuspro vestrâfidelitate et honore facimus. Et quidem regnum et imperium Romanorumvestro aDeo regimini concessumexaltare atque amplificare cupientesin cum statum quofuit tempore Constantini et Justinianiqui totum orbem vigore Senatus et PopuliRomani suis tenuere manibusreducereSenatu pro his omnibus Dei gratiarestitutoet eis qui vestro imperio semper rebelles erantquique tantumhonorem Rom. Imperio subripuerantmagna ex parte conculcatisquatenus ea quaeCaesari et Imperio deberenturper omnia et in omnibus obtineatisvehementeratque unanimiter satagimusatque studemus. Et ob hujus rei effectumbonumprincipium ac fundamentum fecimus. Nam pacem et justitiam omnibus eam volentibusobservamus; fortitudinesidest turres et domos potentum Urbisqui vestroimperio una cum Siculo et papâresistere parabantcepimus; et quasdam in vestra fidelitate tenemusquasdamvero subvertentes solo coaequavimus. Sed pro his omnibus quae vestrtaedilectionis fidelitate facimuspapaFrangipaneset filii Petri Leonishomines et amici Siculi (excepto Jordano nostro fidelitate in vestra vexilliferoet adjutore)Tolomeus quoqueet alii plures undique nos impugnantne libereut decetimperialem regio capiti valeamus imponere coronam. At nosquoniamamanti nullus labor gravis estlicet inde plurima damna sustineamuspro vestroamore et honore gratanter patimur. Scimus namque nos a vobis proinde praemiumsicut a patreaccepturosvosque in eos sicut in Imperii hostes vindictamdaturos. Cum tanta igitur nostra in vobis fidelitas sittanque pro vobissustineamusprecamur ne spes ista nobis deficiatne regia dignitas vosvestros fideles et filios despiciat. Neque si in regalibus auribus aura sinistrade senatu et nobis flaveritin eam intendat aut respiciat; quia qui de nobisvestrae altitudini mala suggeruntet de vestra et nostraquod absitdissensione laetari voluntet utrosqueut soliti suntcallide opprimeremoliuntur. Sed circa haec ne fiatregalis prudentiaut decetsollicita sit etprovida: reminiscaturque vestrâsolertiâquot et quanta mala Papalis Curiaet dicti quondam cives nostri imperatorisqui fuerunt ante vosfecerintet nunc deteriora vobis cum Siculo faceretentaverunt: sed nos Christi gratiâin vestrâfidelitate viriliter eis resistimusac plures ex illis ab Urbesicut pessimoshostes Imperiiut suntpepulimus. Appropinquet itaque nobis imperialisceleriter vigorquoniam quidquid vultis in urbe obtinere poteritis; et utbreviter ac succincte loquamurpotenter in Urbequae caput mundi estutoptamushabitareet toti Italiae ac regno Teutonicoomni clericorum remotoobstaculoliberiuset melius quam omnes fere antecessores vestridominarivalebitis. Sine morâergo precamur ut veniatiset interim de statu vestroquem semper consideramussatubrem et prosperumde his regalibus literis ac nunciis nos laetificaredignemini: sumus enim per omnia vestrae voluntati semper obtemperare parati.Sciatis praetereaquia pontem Milvium extra Urbem parum longe per tempora multapro imperatorum contrario destructumnosut exercitus vester per eum transirequeatne Petrileones per Castellum Sancti Angeli vobis nocere possintutstatuerant cum papâet Siculomagno conamine restauramuset in parvi temporis spatio murofortissimo et silicibusjuvante Deocomplebitur. Concordiam autem interSiculum et papam hujusmodi esse accepimus. Papa concessit Siculo virgam etanulumdalmaticam et mitramatque sandaliaet ne ullum mittat in terram suamlegatum nisi quem Siculus petierit: et Siculus dedit et multam pecuniam prodetrimento vestro et Romani Imperiiquod Dei gratiâvestrum existit. Haec omnia sollicite vestra animadvertatoptime Rexprudentia.Rex valeatquidquid cupit obtineat super hostes
Imperium teneatRomae sedeatregat orbem
Princeps terrarumceu fecit Justinianus.
Caesaris accipiat Caesar quae suntsua Praesul;
Ut Christus jussitPetro solvente tributum.
Nos de caetero legatos nostros precamur ut benignerecipiatiset quod vobis dixerint credatisquia scribere cuncta nequivimus:sunt enim nobiles viriGuido senatorJacobus filius Sixti procuratorisetNicolaus eorum socius.”
At Christianissimus principes hujusmodi verbis sive naeniispraebere aures abnuit. Quinimo venientes ad se ex parte Romanae Ecclesiae virosmagnos et clarosquorum unusGuido Pisanusejusdem Curiae Cardinalis etcancellarius eratrenovationemque antiquorum privilegiorum suorum postulanteshonorifice suscepitet honeste dimisit.
<***>
MuratoriRerum Italicarum Scriptores Tom. vi. - OctonisFrising. Lib. iipag. 718.
cap. xxi.
Peract
âvictoriârex a Papiensibus ad ipsorum civitatem triumphum sibi exhibituris invitaturibiqueeâdominicâquâJubilate canitur in ecclesia sancti Michaëlisubi antiquum regumLongobardorum palatium fuitcum multo civium tripudio coronatur. Deductis ibicum magnâcivitatis laetitiâet impensâtribus diebusinde per Placentiam transiensjuxta Bononiam Pentecostencelebratac ibidem trascenso Apenninociteriorem Italiamquae modo Tusciavocari soletperlustrat. Illic Pisanos virosin insulis et transmariniscivitatibus potentesobvios habuit: eisque ut naves contra Guilhelmum Siculumarmarent in mandatis dedit. Circa idem tempus Anselmus Havelburgensis episcopusa Graeciâreversusravennatensem archiepiscopatum per cleri et populi electionemsimulet ejusdem provinciae Exarchatumlaboris sui magnificam recompensationem aprincipe accepit. Igitur rex ad Urbem tendenscirca Viterbium castrametatur.Quo Romanus antistes Adrianus cum cardinalibus suis veniensex debito officiisui honorifice suscipiturgravique adversus populum suum conquestione utensreverenter auditus est. Praedictus enim populusex quo senatorum ordinemrenovare studuitmultis malis pontifices suos affligere temeritatis ausu nonformidavit.Accessit ad hujus seditiosi facinoris argumentumquodArnoldus quidam Brixiensisde quo supra dictum estsub typo religioniset utEvangelicis verbis utarsub ovin
âpelle lupum gerens. Urbem ingressusad factionem istam rudis populi animispraemolli dogmate ad animositatem accensisinnumeram post se duxitimoseduxitmoltitudinem. Arnoldus iste ex Italiâcivitate Brixiâoriundusejusdemque Ecclesiae clericusac tantum Lector ordinatusPetrumAbailardum olim praeceptorem habuerat. Vir quidem naturae non hebetisplustamen verborum profluvioquam sententiarum pondere copiosus. Singularitatisamatornovitatis cupidus: cujusmodi hominum ingenia ad fabricandas haeresesschismatumque perturbationes sunt prona. Is a studio a Gallis in Italiamrevertensreligiosum habitumquo amplius decipere possetinduitomnialaceransomnia rodensnemici parcens. Clericorum ac episcoporum derogatormonacorum persecutorlaicis tantum adulans. Dicebat enim nec clericosproprietatemnec episcopos regalianec monacos possessiones habentesaliquaratione salvari possi. Cuncta haec principis esseab ejusque beneficentiâin usum tantum laicorum cedere oportere. Praeter haecde Sacramento AltarisBaptismo parvulorum non sane dicitur sensisse. His aliisque modisquos longumest enumeraredum Brixiensem Ecclesiam perturbaretlaicisque terrae filiusprurientes erga clerum aures habentibusecclesiasticas malitiose exponeretpaginas()in magno Concilio Romae sub Innocentio habitoab episcopo civitatisilliusvirisque religiosisaccusatur. Romanus ergo pontifexne perniciosumdogma ad plures serperetimponendum viro silentium decernit; sicque factum est.Ita homo illede Italiâ fugiensad transalpina se contulit: ibique in oppidoAlemanniae Turego officium doctoris assumensperniciosum dogma aliquot diebusseminavit. Compertâ vero morte Innocentiicirca principia pontificatus EugeniiUrbem ingressuscum eam contra pontificem suum in seditionem excitataminvenissetviri sapientis haud sectatus consiliumde hujusmodi dicentis: Nein ejus ignem ligna struas amplius eam in seditionem excitavitproponens antiquorum Romanorum exemplaqui ex senatus maturitatis consultoetex juvenum animorum fortitudinis ordine et integritate totum orbem terrae suumfecerint. Quare reaedificandum Capitoliumrenovandam dignitatem senatoriamreformandum equestrem ordinem docuit. Nihil in dispositione Urbis ad Romanumspectare pontificem; sufficere sibi ecclesiasticum judicium debere. In tantumvero hujus venenosae doctrinae coepit invalescere malumut non solum nobiliumRomanorumseu cardinalium dirueruntur domusdomus et splendida palatiaverumetiam de cardinalibus reverendae personae inhonestaesauciatis quibusdamafurenti plebe tractarentur. Haec et his similia cum multis diebusidest a morteCoelestini usque ad haecab eo incessanter et irreverenter agerenturtempora;cumque sententia pastorum juste in eum et canonice prolataejus judiciotamquam omnino auctoritatis vacuacontemneretur; tandem in manus quorundamincidensin Tusciae finibus captusprincipis examini reservatus estet adultimum a praefecto Urbis ligno adactusac rogo in pulverem funere redactonea stolidâ plebe corpus ejus venerationi habereturin Tyberim sparsus.Sedut ad id unde digressus est stylus redeatjunctis sibiin comitatu rerum apicibusac per aliquot dies una precedentibusquasi interspiritalem patrem et filium dulcia miscentur colloquiaet tamquam ex duabusprincipalibus Curiis una republica effectaecclesiastica simul et saeculariatractantur negotia.
cap. xxii.
De legatis Romanorumet eorum legationeet qualeresponsum a principe acceperint. Item qualiterhortatu summi pontificisLeoninam urbem et ecclesiam Sancti Petri princeps occupari fecerit.
At Romanorum cives de principis adventu cognoscentespraetentandum ipsius animum legatione adjudicarunt. Ordinatis ergo legatisindustriis et literatisqui eum inter Sutrium et Romam adirentaccepto priusde securitate viaticosicque praesentatis regalis excellentiae consistorioviristaliter adorsi sunt:
“Urbis legati nosUrbis non parvum momentumRex optimead tuam a senatu populoque romano destinati sumus excellentiam. Audi serenâmentebenignis auribusquae tibi ab almâ orbis dominâ deferentur urbecujusin proximoadjuvante Deofuturus es princepsimperatoret dominus. Pacificussi venistiimmo quiaut arbitrorvenistigaudeo. Orbis imperium affectascoronam praebitura gratanter assurgojocanter occurro. Cur enim suumvisitaturus populum non pacifice adveniret; non gloriosâ munificentiârespiceretqui indebitum clericorum excussurus jugumipsius magnâ ac diutinâexpectatione praestolatus est adventum? Revertanturoptopristina tempora;redeantrogoinclitae Urbis privilegiaorbis Urbs sub hoc principe recipiatgubernacularefraenetur hoc imperatoreac ad Urbis reducatur monarchiam orbisinsolentia. Tali rector Augusti sicut nominesic induatur et gloriâ. Scis quodurbs Roma ex senatoriae dignitatis sapientiâac equestris ordinis virtute etdisciplinâa mari usque ad mare palmites extendensnon solum ad terminosorbis dilatavit; quin etiam insulas extra orbem positas orbi adjiciensprincipatus illic propagines propagavit. Non illos procellosi fluctus aequorumnon hos scopulosae et inaccessibiles rupes Alpium tueri poterant: romana virtusindomita cuncta perdomuit. Sed exigentibus peccatislonge positis a nobisprincipibus nostrisnobili illo antiquitatis insignitsenatum loquorexinerti quorundam desidiâ neglectui datodormitante prudentiâvires quoqueminui necesse fuit. Assurrexi tuae ac divae reipublicae profuturum gloriaeadsacrumsanctum Urbis senatumequestremque ordinem instaurandumquatenus hujusconsiliisillius armisromano Imperiotuaeque personae antiqua redeatmagnificentia. Nunquid hoc placere non debebit tuae nobilitati? Nonne etiamremunerabile judicabitur tam insigne facinustamque tuae competens auctoritati?Andi ergoPrincepspatienter et clementer pauca de tuâ ac de meâ justitiaprius tamen de tuâ quam de meâ. Etenim:
Ab Jove principium etc.
“Hospes erascivem feci. Advena fuisti ex transalpinispartibusprincipem constitui. Quod meum jure fuittibi dedi. Debes itaqueprimo ad observandas meas bonas consuetudineslegesque antiquasmihi abantecessoribus tuis imperatoribus idoneis instrumentis firmatasne barbarorumviolentur rabiesecuritatem praebere; officialibus meisa quibus tibi inCapitolio adclamandum eritusque ad quinque millia librarum expensam dare;injuriam a republicâ etiam usque ad effusionem sanguinis propellere: et haecomnia privilegis muniresacramentique interpositione() propriâ manuconfirmare.”
Ad haec rextam superbo quam inusitato orationis tenorejustâ indignatione inflammatuscursum verborum illorum de suae reipublicae acimperii justitiâmore italicolongâ continuationeperiodorumque circuitibussermonem producturum interrupitet cum corporis modestiâorisque venustateregalem servans animumex improvviso non improvvise respondit:
“Multa de Romanorum sapientiâseu fortitudine hactenusaudivimusmagis tamen de sapientiâ. Quare satis mirari non possumusquodverba vestra plus arrogantiae tumore insipidaquam sale sapientiae conditasentimus. Antiquam tuae proponis urbis nobilitatemdivae tuae reipublicaeveterem statum ad sydera sustollis. Agnoscoagnoscout et tui scriptorisverbis utar: fuitfuit quondam in hac republica virtus. Quondam dicoatque ohutinam tam veraciter quam libenter nunc dicere possemus! Sensit Roma tuaimo etnostravicissitudines rerum. Sola evadere non potuit aeterna lege ab Auctoreomnium sancitam cunctis sub lunari globo degentibus sortem. Quid dicam? Clarumest qualiter primo nobilitatis tuae robur ab hac nostrâ urbe traslatum sit adOrientis urbem regiamet per annorum carricula ubera delitiarum tuarumGraeculus esuriens suxerit. Supervenit Francusvere nomine et re nobiliseamquequae adhuc in te residua fuitingenuitatem fortiter eripuit. Viscognoscere antiquam tuae Romae gloriamsenatoriae dignitatis gravitatemtabernaculorum dispositionemequestris ordinis virtutem et disciplinamadconflictum procedentis intemeratam ac indomitam audaciam? Nostram intuererempublicam. Penes nos cuncta haec sunt. Ad nos simul omnia haec simul cumImperio dimanarunt. Non cessit nobis nudum Imperium: virtute suâ amictum venitornamenta sua secum traxit. Penes nos sunt consules tui: penes nos est senatustuus: penes nos est miles tuus. Proceres Francorum ipsi te consilio regereequites Francorum ipsi tuam ferro injuriam propellere debebunt. Gloriaris me perte vocatum esseme per te primo civempost principem factumquod tuum erat ate suscepisse. Quae dicti novitas quam ratione absonaquam veritate vacua sitaestimationi tuaeprudentumque relinquatur arbitrio. Revolvamus modernorumimperatorum gestasi non divi nostri principesCarolus et Ottonulliusbeneficio traditamsed virtute expugnatamGraecis seu Longobardis Urbem cumItalia eripuerintFrancorumque apposuerint terminis. Docent haec Desiderius etBerengariustyranni tuiin quibus gloriabarisquibus tamquam principibusinnitebaris. Eos a Francis nostris non solum subactos et captos fuissesed etin servitute ipsorum consenuissevitam finisse verâ relatione didicimus.Cineres ipsorum apud nos reconditievidentissimum hujus rei repraesentantindicium. Sed dicis: vocatione meâ venisti. Fateorvocatus fui. Redde causamquare vocatus fuerim. Ab hostibuis pulsabarisnec propriâ manu Graecorum emollitie liberari poteras. Francorun virtus invitatione adscita est.Implorationem potius quam vocationem hanc dixerim. Implorasti misera felicemdebilis forteminvalida validumanxia securum. Eo tenore vocatussi vocatiodicenda estveni. Principem tuum militem meum feciteque deinceps usque inpraesentiarum in meam ditionem transfudi. Legitimus possessor sum. Eripiat quissi potestclavam de manu Herculis. Siculusin quo confidisforte haec faciet?Ad priora respiciat exempla. Nondum facta est Francorumsive Teutonicorum manusinvalida. Deo largientevitâque comiteet ipse temeritatis suae quandoquecapere poterit experimenta. Justitiam tuamquam tibi debeamexquiris. Taccoquod principem populonon populum principi leges praescribere oporteat.Praetermitto quod quilibet possessor possessionem suam ingressurusnullumconditionis praejudicium pati debeat. Ratione contendamus. Proponisut mihivideturtrium sacramentorum exactionem. De singulis respondeo. Dicis me deberejurareut leges antecessorum meorum imperatorumeorum privilegiis tibifirmataset bonas consuetudines tuas observem. Apponis etiam quod patriae usquead periculum capitis tuitionem jurem. Ad ista duo simul respondeo. Ea quaepostulasaut justa suntaut injusta. Si injusta suntnec tuum erit postularenec meum concedere: si justarecognosco me haec et debendo velleet volendodebere. Quare superfluum erit voluntario debitoet debitae voluntatisacramentum apponere. Quomodo enim tibi tuam justitiam infringeremquiquibuslibetinfimis etiamquod suum est servare cupio? Quomodo patriametpraecipue imperii mei sedemusque ad periculum capitis non defenderemqui etipsius terminosnon sine ejusdem periculi aestimationequantum est in merestaurare cogitaverim? Experta est hoc Dania nuper subactaromanoque redditaorbi; et fortasse plures provinciae pluraque sensissent regnasi praesensnegotium non impedisset. Ad tertium venio capitulum. Affimas pro pecuniâ quadamjuramentum praeberi a meâ deberi personâ. Proh nefas! A tuoRomaexigisprincipe quod quilibet lixa potius petere deberet ab institore. A captivis haecpene non exiguntur. Num in captivitate detineor? Num vinculis hostium urgeor?Nonne multo et forti stipatus milite inclytus sedeo? Cogetur princeps romanuscontra suam voluntatem cujuslibet praebitor essenon largitor? Regaliter etmagnifice hactenus mea cui libuitet quantum decuitet praecipue bene de memeritisdare consuevi. Sicut enim a minoribus debitum rite expetitur obsequiumsic a majoribus meritum juste rependitur beneficium: huncquem alibi a divisparentibus meis acceptum servavimorem civibus cur negarem? Urbemque meointroitu laetam non facerem? Sed merito non justa injuste petenticuncta justenegantur.”
Haec dicenset non sine condignâ mentis indignationeorationem terminansconticuit. Porro quibusdam ex circumstantibus inquirentibusab his qui missi fuerantan plura dicere vellentpaulisper deliberantesindolo responderunt: se prius ea quae audierant concivibus suis referreet tuncdemum ex consilio ad principem redire velle. Sic accepto commeatua curiâegredientesad Urbem eum festinatione revertuntur. Rex dolum praesentiensconsulendum super hoc negotio patrem suum romanum pontificem decernit. Cui ille:“Romanae plebisfiliadhuc melius experieris versutiam. Cognosces enim indolo eos venisseet in dolo redisse. Sed Dei nos adjuvante clementiâdicentis: Comprehendam sapientes in astutiâ suâ praevenire eorumpoterimus versutas insidias. Maturato igitur praemittantur fortes et gnari deexercitu juvenesqui ecclesiam Beati PetriLeoninumque occupent castrum. Inpraesidiis equites nostri ibi suntqui eoscognitâ voluntate nostrâstatimadmittent. Praeterea Octavianum cardinalem Praesbyterumqui de nobilissimoRomanorum discendit sanguinefidelissimum tuumeis adjungemus.”
Sicque factum est. Eliguntur proximâ nocte pene usque admille armatorum equitum lectissimi juvenessummoque diluculo Leoninam intrantesurbemecclesiam Beati Petrivestibulum et gradus occupaturiobservant.Redeunt ad castra nuncii haec laeta reportantes.
cap. xxiii.
Quamodo rex in eâdem ecclesiâ Sancti Petri coronam Imperii acceperit: etde excursu Romanorumet clade ac victoriâ Imperatoris.
Sole ortotransactâ jam prima horâpraecedente cumcardinalibus et clericis summo pontifice Adrianoejusque adventum in gradibuspraestolanterex castra movensarmatus cum suis per declivum montis Gaudiidescendenseâ porta quam auream vocantLeoninam urbemin quâ Beati PetriEcclesiâ sita nosciturintravit. Videres militem tam armorum splendorefulgentemtam ordinis integritate decenter incedentemut recte de illo diciposset: Terribilis ut castrorum acies ordinata (Cant. 6); et illudMachabeorum: Refulsit sol in clypeos aureos et aereosetresplenderunt montes ab eis (1. Mac. 6.). Mox princeps ad gradus ecclesiaeBeati Petri veniensa summo pontifice honorifice susceptusac usque adconfessionem Beati Petri deductus est. Dehinc celebratis ad ipso papâ missarumsolemnibusarmato stipatus rex militecum benedictione debitâ Imperii Coronamaccepitanno regni sui ivmense Junioxiv kalen. Juliicunctis qui aderantcum magnâ laetitiâ acclamantibusDeumque super tam glorioso factoglorificantibus. Interim a suis ponsqui juxta castrum Crescentii ab urbeLeoninâ usque ad ingressum ipsius extenditur Urbisne a furente populocelebritatis hujus jucunditas interrumpi possetservabatur. Peractis omnibusimperator cum coronâsolusequum phaleratum insidenscaeteris pedeseuntibusper eandemquâ introieratportam ad tabernacula quae ipsis murisadhaerebant revertiturromano pontifice in palatioquod juxta ecclesiamhabebatremanente.
Dum haec agerenturromanus populus cum senatoribus suis inCapitolio convenerant. Audientes autem imperatorem sine suâ adstipulationecoronam Imperii accepissein furorem versicum impetu magno Tyberim transeuntac juxta ecclesiam Beati Petri procurrentesquosdam ex stratoribusquiremanserantin ipsâ sacrosantâ ecclesiâ necare non timuerunt. Clamorattollitur. Audiens haec imperatormilitem ex aestus magnitudinesitisque aclaboris defatigatione recreari cupientemarmari jubet. Festinabat eo ampliusquo timebat furentem plebem in romanum pontificem cardinalesque irruisse. Pugnaconseritur ex unâ parte juxta castrum Crescentii cum Romanisex altero laterejuxta piscinam cum Transtyberinis. Videres nunc hos istos versus castrapropellerenunc hos illos ad pontem usque repellere
().Adjuvabantur nostri quod a castro Crescentii saxorum ictibusseu jaculorum nonlaedebantur spiculis. Mulieribus etiamquae in spectaculis stabantsuos (utajunt) adhortantibusne propter inertis plebis temeritatem tam ordinatumequitum decusab his qui in arce erantpraedictis modis sauciaretur. Dubiâitaque sorte dum diu ab utrisque decertareturRomani tandem atrocitatemnostrorum non ferentescoguntur cedere. Cerneres nostros tam immaniter quamaudacter Romanos caedendo sterneresternendo caedereac si dicerent: AccipenuncRomapro auro arabico teutonicum ferrum. Haec est pecunia quam tibiprinceps tuus pro tuâoffert coronâ.Sic emitur a Francis Imperium. Talia tibi a principe tuo redduntur commerciatalia tibi praestantur juramenta. - Praelium hoc a decimâpene dici horâusque ad noctem protractum est. Caesi fuerunt ibivel in Tyberi mersipenemillecapti ferme ducentisauciati innumericaeteri in fugam versiunotantum ex nostris (mirum dictu) occisouno capto. Plus enim nostros intemperiescoeliaestusque illo in tempore maxime circa Urbem immoderatiorquam Romanorumlaedere poterant arma.
<***>
Veterum scriptorumqui Caesarum et imperatorum Germanicorumres aliquot saecula gestasliteris mandarunt. Tom. iFranc. 1584. - Gunt.LiguriniLib. iii e ivp. 323 a 336.
Inde caput mundi Romam petitatque Viterbum
Contigitexcelsa non longius urbe remotum
Quam quantum biduo tardus valet ire viator.
Sedis apostolicae praesul summusque sacerdos
Tunc Adrianus erat: qui famâ laetus eâdem
Protinuseximiâ cleri stipante coronâ
Occurritmagnasque virotristesque querelas
Multaque facta suae crudelia pertulit urbis:
Contemni sese referenspopulique furentis
Jurgiaprobraminasrisusconviciarixas
Saepe paticlerumque suumceu vindice nullo
Expositum probriscrebras perferre rapinas
Pulsari grassante manuferrove lacessi.
Sic pater invalidusnato post longa reverso
Temporaseu castrisseu de regione remotâ
Quem penes et rerum jus estet tota regendae
Cura domusnoxas et facta proterva suorum
Contemptusque suoset quos absente labores
Pertuliteversamque domumnumerosaque damna
Commemoratmultumque minas ultoris acerbat.
Cujus origo malitantaeque voraginis auctor
Extitit Arnoldusquem Brixia protulit ortu
Pestiferotenui nutrivit Gallia sumptu
Edocuitque diu: tandem natalibus oris
Redditusassumptâ sapientis frontediserto
Fallebat sermone rudesclerumque procaci
Insectans odiomonachorum acerrimus hostis
Plebis adulatorgaudens popularibus auris
Pontificesipsumque gravi corrodere linguâ
Audebat papamscelerataque dogmata vulgo
Diffundensvariis implebat vocibus aures.
Nil proprium clerifundos et praedia nullo
Jure sequi monachosnulli fiscalia jura
Pontificumnulli curae popularis honorem
Abbatumsacras referens concedere leges:
Omnia principibus terrenis subditatantum
Committenda viris popularibusatque regenda;
Illis primitiaset quae devotio plebis
Offeratet decimas castos in corporis usus
Non ad luxuriamsive oblectamina carnis
Concedensmollesque ciboscultusque nitorem
Illicitosque jocoslascivaque gaudia cleri.
Pontificum fastusabbatum denique laxos
Damnabat penitus moresmonarchosque superbos;
Veraque multa quidemnisi tempora nostra fideles
Respuerent monitusfalsis admixtamonebat.
Et fateorpulchram fallendi noverat artem
Veris falsa probansquia tantum falsa loquendo
Fallere nemo potest: veri sub imagine falsum
Influitet furtim deceptas occupat aures.
Articulos etiam Fidei certumque tenorem
Non satis exactâ stolidus pietate fovebat
Impia mellifluis admiscens toxica verbis.
Ille suam vecorsin clerumpontificemque
Atque alias plures adeo commoverat urbes
Ut jam ludibrio sacerextremoque pudori
Clerus haberetur; quod adhuc (ni fallor) in illâ
Gente nocetmultumque sacro detruncat honori.
Mox in concilio Romae damnatus ab illo
Praesulequinumeros vetitum contingere nostros
Nomen ab innocuâ ducit laudabile vitâ
Territus et miserae confusus imagine culpae
Fugit ab urbe suâTransalpinisque receptus
Quâ sibi vicinas Alemanniâ suspicit Alpes
Nomen ab Alpino ducensut famaLemanno
Nobile Turregumdoctoris nomine falso
Insedittotamque brevi sub tempore terram
Perfidus impuri foedavit dogmatis aurâ:
Unde venenato dudum corrupta sapore
Et nimium falsi doctrinae vatis inhaerens
Servat adhuc uvae gustum gens illa paternae.
Ast ubide medio sublato praesule summo
Eugenius sacrae suscepit jura cathedrae
Ille Petri solidam cupiens convellere petram
Ut caput infirmum per caetera membra dolorem
DiffunditRomana petit temerarius ausu
Moenia sacrilegototamque nefarius urbem
Inficit impuri corruptam semine verbi;
Et populi tantas in clerum concitat iras
Ut penitus nullum summo deferret honorem
Pontificiclerumque odio vexaret iniquo.
Et si quiscui mens aequi et reverentior esset
Et meliora pio flagrarent viscera voto
Forte refragariseu dissuadere furorem
Ausus eratseseque novis opponere monstris
Omnibus ereptissubversâ funditus aede
Corporis afflictuseu tandem sanguine fuso
Clericusaut etiam popularisfacta luebat.
Quin etiam titulos Urbis renovare vetustos
Patricios recreare virospriscosque Quirites
Nomine plebeio secernere nomen equestre;
Jura tribunorumsanctum reparare senatum
Et senio fessasmutasque reponere leges
Lapsa ruinosiset adhuc pendentia muris
Reddere primaevo Capitolia prisca nitori
Consiliisarmisquesuae moderamina summae
Arbitrio tractare suonil juris in hac re
Pontifici summomodicum concedere regi
Suadebat populo: sic laesâ stultus utraque
Majestatereum geminae se fecerat aulae.
Unde etiam tandem (neque enim reor esse silendum)
Nec de funesto repetatur postea sermo
Judicio clerinostro sub principe victus
Adpensusque cruciflammâque cremante solutus
In cineresTyberinetuas est sparsus in undas
Ne stolidae plebisquem feceratimprobus error
Martyris ossa novocineresve foveret honore.
Jamque Ravennatis defuncto praesule sedis
Hanc res Anshelmograecâ de gente reverso
Contulitemeriti ceu praemia grata laboris
Curia saepe suos cathedrae transmittit alumnos.
Sic gemini proceresveluti duo maxima mundi
Luminaconjunctis aliquanto tempore castris
Hinc paterinde patris devotus filius almi
Ille sacerdotum celeberrimusille regentum
Hic regni gladio metuendusat ille superno
Dulcia colloquii tandem consortia nacti
Insatiata pio carpebant gaudia voto.
Cumquepetens RomamSutrii jam moenia rector
Parva reliquissetmagnaeque accederet urbi
Occurrêre viri patriae mandata ferentes
Conspicuo sermone quidem phaleratased astu
Et tacitus perplexa dolis: nec protinus ausi
Ni prius indulto regalis foedere pacis
Ut liceat quaecumque ferantimpune profari.
Tunc itacompositis ficto moderamine verbis
Praemeditata diu molimina protulit unus.
Ducit in adventu felicia gaudiaprinceps
Roma potensinvictetuodevotaque pandit
Moeniamaternosque sinus aperire potenti
Quem sibi rectorem delegitgaudet amico
Imperiumque tibiatque Augusti nominis ultro
Quo nihil in terris majuspromittit honorem:
Si modo pace venissi pristina jura fideli
Ac bene promeritae conservas integra matri.
Adspice quae fuerit priscis sub regibus Urbis
Gloriaquae populi libertasquanta senatus
Majestaspraetoris honoset consul uterque
Annuuset gemini plebis tutela tribuni
Gratia quae morumcastarum sanctio legum
Pace tenor jurisjustis audacia bellis
Quantus amor laudispatientia quanta laboris:
Haec sunt quae nostram longis proventibus urbem
Ex illâ tenui nascentis origine fati
Ex laribus parviset primi regis asylo
Stramineisque casiset sparso sanguine sulco
Ad celebres tituloset tanti culmen honoris
Extulerantubi nilnisi sydera solasuper se
Cerneret; his gaudens populosregesque per orbem
Consiliisvalidisque sibi subjecerat armis.
Tunc populus regi belli mandata domique
Non populo rex illa dabatpassuraque nullum
Urbs erat haec regemnisi quem regnare juberet
Ut patriae mitisnon aegre visa ferendo
Jussa daret populiset magnae regibus urbis.
Tunc hujus populi mandataminasque timebat
Ortuset occiduo tellus subcincta profundo.
Et Notuset gelidi Boreas sub cardine mundi.
Ast ubifortunae vitiopopulique paventis
Desidiâprisci perierunt signa decoris
Justitiaeque silent longo jam tempore leges
Suppressae; tanto retrocessit Roma relapsu
Ut vix ad decimum lapidemfinesque propinquos
Audeat ipsa sui protendere nominis umbram.
Vilis apud gentesin se male firma nec ullo
Robore fulta sui; quam seditione frequenti
Atque intestinis lacerat discordia bellis.
Nullus amor jurisnulla est reverentia morum
Nec jam libertasnec libertatis imago.
Nusquam patriciinusquam sacer ordo senatus
Nusquam cum gemino consulpraetorve tribuno
Cumque ruinosis procumbunt moenia muris:
Majorem morum patimurquerimurque ruinam.
Hoc ideo nobis usu venitoptime princeps
Hic disponendi populus moderamina regni
Et totum priscis fraenandi legibus orbem
Non habet arbitrium: majestas regia dudum
Abstulitet priscum populi mutilavit honorem
Ex quo teutonicos admisit Roma tyrannos.
Tu procul a nobis absenset in orbe remoto
Rarus in Italiâsed in hac rarissimus urbe
Esse soleset regemeo mihi notior hospes.
Sic neque nos nobisnec tu satisinclyte rector
Consuliset curâ miseri fraudamur utraque
Expositi cunctis nullo sub vindice fatis.
Respice nos animo tandemvultuque benigno
Atque ipsam deflere puta tibi talia Romam;
Si te cura mei tangatsi gratia matris
Ulla movetsi teutonicâ de gente vocatum
Imperii summâ gaudens in sede locavi
Redde vicem meritiset dignos gratus honores.
Longos pelle situsantiqua refloreat aetas
Prisca vetustorum redeant insignia morum:
Patricioscivespriscos arcesse Quirites
Nomine plebeio secedat nobilis ordo:
Da libertatemsanctumque repone senatum:
Jam redeat seniorredeat cum consule praetor
Et redeant gemini cum dictatore tribuni:
Curia respiretCapitolia lapsa resurgant
Pulchra vetustorum redeant insignia morum:
Gaude quod tanti dudum sit gloria facti
Temporibus servata tuis: felicior illo
Adveniascujus pariter nomenque locumque
SuscipisAugusto; Trajano mitior adsis;
Quaeque alii reges jurando foedera mecum
Tempus ad usque tuum pepegerunttu quoque jura;
Ne concessa mihipriscorum munere regum
Vel resecare vetisvel tollere; neve salutis
Pro me quoque meâ fugias discrimina plebe
Largaque Romanae persolvas munera plebi
Ut tibi festivum celebret devota triumphum.
Dixit: at ille dolosinfectaque verba veneno
Comperitet contra regali concitus irâ
Dissimulare gravem contemnens voce dolorem:
Quantum Roma meonon Romased incola Romae
Gaudeat adventusecretae consona menti
Verba satis fecere palam: commercia certe
Non satis aequa mihi faciuntdum vendere nobis
Nostra voluntveluti plenis cum follibus emptum
Adveniamprecioque novos sumpturus honores
Quos sibi jam proprios effecit Francona virtus.
Non emimus fascesnonsi credamus emendos
Praeter virtutem preciumquod deturhanbemus.
Hoc mihi vel nullo venient commercia pacto:
Non turget loculis inferta pecunia nostris
Nec multis opibussed laude venimus onusti.
Non est teutonico cumulata pecunia cordi
Nec sibi quaerit opessed pulcrae laudis honores:
Non habet ille suumsed habentibus imperat aurum.
Quanto Romanus studio cupidissimus aera
Congeritet magno vigilans incumbit acervo;
Tanto Teutonicus vel adhuc majoreparatas
Fundit opesnitidasque manus erugine turpi
Foedari scelus esse putatdignumque pudore.
Invigilent opibus cupidimihi sola potestas
Sufficitet cunctis dare jura potentia terris.
Quo mihi divitiascui servit gloria mundi
Quem possessor opum cum paupere dives adorat?
Quidquid habet locuplesquidquid custodit avarus
Quidquid in occultis abscondit terra cavernis
Jure quidem nostrumpopulo concedimus usum:
Rege figuratamregis patet esse monetam
Caesariset domino sub Caesare fulget imago.
Quo mihi divitiascui quaeque potissima reges
Ac populi crebris non cessant mittere donis?
Semper habet veteressemper videt aula recentes
Undique legatoset ab omni principe missos
Semper ab ignotis veniunt nova munera terris.
Ergo pudetpopulo quasi debita cogar avaro
Solverecui magni solvunt indebita reges.
Miror ab antiquo famosam moribus urbem
Tam foedum sperasse nefasut rege coacto
Erueret preciumveluti jam carcere vasto
Inclusum duris adstrinxerit illa catenis.
Ergo neRomatuo legem vis ponere regi
Cum potius regem deceat te subdere legi?
Millia quinque tibi librarum debita poscis:
Poscenti debere nego: largitio reges
Non extorta decet: captivos ista reosque
Sors premitextortis redimant sua tempora nummis;
Munera magnorum laeta atque ultronea regum
Esse voluntut dans plus gaudeat accipiente.
Hoc est gratuitumquod possum dicere solum
Quo plus ille datoquam gaudeat iste recepto.
Hunc mihi munifici morem liquêre parentes
Hunc retinere libet: nec plebem munere largo
Laetificare tuam renuosed pacta recuso.
Nil nisi gratuito manus haec dare novitet ultro.
Juramenta petis? regem jurare minori
Turpe reor; nudo jus et reverentia verbo
Regis inesse solet; quovis juramine major
Non decet in labiis versari lubrica regis
Non decet ore sacro mendacia cudere regem:
Sancta et plena suo sunt regia pondere verba;
Dicta semel nullum patiuntur jure recursum.
Ergo quod instigas jurandojuve pacisci
Pone metum curaevel non juratus habebo.
Adde quod hoc ipsum nostris est utile rebus
Quod petiset nobis nullo suadente gerendum.
Jura vetusta ferampotius supplere paratus
Quam minuisse bonis aliquid de moribus urbis.
Te mihi vel summo non conservabo periclo:
Dum mea non essessummo discrimine jussi
Esse meam; nunccum mea sis jam factarelinquam?
Namque quod ImperiumteRomavocantereceptum
Adseriset meriti peragis praeconia tanti
Non magni reputare libet: venisse vocatum
Confiteorsed quae fuerit tibi caussa vocandi
Ne multum te forte putes meruissevidendum est.
Hostibus infestiset belli pressa tumultu
Undiquenec propriis ultra tutandanec illis
Quas tibi tentarasprecibus consciscere vires
Desperata diucunctisque relicta jacebas.
Nunc ubiRomatuae vires? ubi perfidus ille
Graeculus? et Siculae vindex tuus arbiter aulae
Quem tibi tutorem timeas? licet ore fateri
Mente tamen tractasfortassis sentiet ille
Romatuus vindex: veniant modo congrua rerum
TemporaTeutonici vires et pondera regni
Tandem consilio sicut patet usa salubri:
Francorum viresinvictaque signa rogasti;
Affluit immensi domitor fortissimus orbis
Caroluset magna miseram virtute redemit
Ereptumque manu mediis ex hostibus in se
Transtulit imperiumbellique tenore recepta
Haec tua Francorum sociavit moenia regno.
Nunc age collatos nobistua munerafasces
Et quasi gratuita primum bonitate vocatos
Magnifico sermone refer: sed verius illud
Implorare fuit: sic pauper ad ostia clausa
Saepius imploransquerulo vocat ore potentem.
Namque Beringerum Desideriumque tyrannos
Romatuosquibus attonitum cervice subacta
Subdideras miseranda caputquis nesciat armis
Francorum victoscaptosqueaeternaque passos
Exiliain nostro per tempora plurima regno
Victori servisse suotardaque senecta
Tandem servili pressisse cadavere terram?
Illa dies uno tua pristina jura triumpho
Si qua tibi Grajae fortuna reliquerat urbis
Transtulit in Francosnon sunt extinctased extant
Imperium comitata suumquod debita secum
Ornamenta trahensnudum vacuumque decoris
Non poterat transire sui: mea respice castra
Omniaquae dudum quereris sublatavidebis
Nomine mutatosub eadem vivere forma.
Hic equeshic praetorhic consulis atque tribuni
Imperiosus honoset publica cura senatus:
Adspice teutonicos proceresequitumque catervas;
Hos tu patricioshos tu cognosce Quirites
Hunc tibi perpetuo dominantem jure senatum:
Hi teRomasuis (nolis licet) ipsa gubernant
Legibushi pacis bellique negocia tractant.
Sed libertatis titulos antiquaque legum
Tempora commemoras: quas legesimprobapraeter
Teutonicasaut quaepraeter meajura requiris?
Quae tibi libertas poterit contingere major
Quam regi servire tuo? Sic faturet aeres
Ingenuo vultu regaliter excitat iras.
Audierantstupidoque metu praecordia pressi
Obticuere virimultisque rogantibusan ne
Plura loqui vellent! nihil ultra vocibus ausos
Addere praemissistantum dixisse pigebat.
Tantus eis tristes irato principe vultus
Cernere terror erat: mallent siluissenec unquam
Suscepisse suae peragenda negocia Romae
Securosque petunt in moenia tuta regressus
Orsa relaturi metuendi principis urbi.
At rex colloquium solo cum praesule miscens
Principibusque virisquod nunc sibi restet agendum
Quamve dolo plebis versutae providus artem
Apposuisse queatsolerti consulit astu
Et simul interna fervens exaestuat ira.
Cui pater eximius laesae solatia menti
Addere blanda volens: Non estaitoptime fili
Hac in genta novumnec res miranda videtur
Fraudibus occultis blande palpare potentes
Principibusque suis argutam ostendere vulpem:
Hoc vitium gentile tenetsic vivitur istic:
Jam partim sensisse doles; sed verius illud
Amodo concipieset adhuc majora videbis.
Me quoque non longo residentem tempore multis
Est aggressa dolisindignaque multa relatu
Tam mihi quam sacro plebs intulit improba clero.
Verum contemptus minor est injuria nostri
Quos manus imbellisnulloque armata potestas
Sanguinesed tantum divino fulta timore
Spernendos impune viris exponit iniquis.
Te quem terreni metuenda potentia regni
Quem scelerum vindex gladius facit esse verendum
Romanis qui fronte dolis ambire laboret
Mirandum satis est: sed justo parce dolori
Et nobis (auctore Deo) gens improba justas
Et tibi maturo persolvet tempore poenas.
Tu modo belligero delectos agmine fortes
Instructos telisinstructos omnibus armis
Occulto praemitte graduqui sacra beati
Corripiant posita formidine limina Petri
Atque Leoninae munimina fortiter urbis.
Sunt tibi praesidii caussa sub nomine nostro
Praestantes animi juvenesqui moenia tradent
Admittentque tuos; aderit qui moenia tradi
Imperetegregius romanae stirpis alumnus
Sedis apostolicae comeseximiusque sacerdos
Et tibi prae cunctis Octavius iste fidelis.
Desierat presul: placuit laudabile cunctis
Consiliumsincera fideset plena voluntas.
Mittuntur properequasi millia quinque virorum
Nocte fere mediaquo tempore lumina Titan
Opposito praebenssi fas est crederemundo
Ex aequo medium noctis discriminat arcum
Haud mora festinant jussiportasque patentes
Ingressi tacitesancti munimina Petri
His prius eductis qui limina prima tenebant
Atque Leoninam rapiunt hostiliter urbem.
Nuncius ad proceresredienscompendia facti;
Edocetet totis hilarescunt agmina castris.
Jamque soporiferae decurso limite noctis
Aureus occulto sublatam lampada coelo
Coeperat in nostrum traducere Phoebus Olympum.
Tempore non alio nitidos magis extulit ortus
Purgavitque poloset nubila tota removit:
Exoritur felixet cunctis pene diebus
Candidiorprimos tibi collaturus honores
ImperiiFridericediesradiisque serenis
Publica per totum diffundens gaudia mundum.
Jamque per oppositi princeps declivia montis
Adveniensclaramquam nondum videraturbem
Adspicit: huic populi festivum gaudia nomen
Imposuere loco: siquidem qui moenia clara
Illâ parte petuntex illo vertice primum
Urbem conspiciuntet tesacra Romasatulant.
Prima Leoninam gaudens admisit in urbem
Aurea porta ducem; mox limina sacra petentem
Sedis apostolicaedivmis rite peractis
Obsequiissacrâ redimitus veste sacerdos
Summusad alta sacri ducens altaria Petri
Innexum digitismundi totius honorem
Imposuitpressitque sacro diademate crines
Sacraque missarum peragens solemnia rite
Nobile coelesti munivit foedere factum
Omnibus egregie laetistotaque catervâ
Acclamante virofaustum feliciter omen;
Hic favor armatusturbaeque hic plausus equestris
Dulcius Augusti mulcebat principis aures
Quam venalis honorconductaque gaudia vulgi.
Hic siquidem sincerus amorgaudensque fideli
Obsequiodevota fides; ibi gloria tantum
Mendaci fucata dolopreciosaque pompa.
Nos quoque carminibusni mens angusta negaret
Acclamare tuofortissime; Caesarhonori
Et fasces celebrare tuosrerumque nitorem
Eloquionumerisque suis implere decebat;
Sed vereor ne plura loquensmultumque laborans
Inveniar dixisse minusmagnique reatus
Arguar eximiis indocuens nubila rebus.
Atque ideo carptimnon singula quaequesed ipsam
Gestarum propero rerum percurrere summam:
Immo etiam facti compendia vera secutus
Hoc ipsum satis esse reor; namque illa serenae
Tempora laeticiaetantique insigna plausus
Non longas habuere moraspopulique furentis
Insidias strepitumque timensarmatus ubique
Adstat equestemplique fores et limina servat
Crescentisque domumpontisque angusta propinqui
Obsidetet totas densâ statione plateas.
Hos regi tituloshoc clari nomen honoris
Quartus ab ingressu regnorum contulit annus
Plusque fere medio juvenum se mensis agebat
Et quarto decimo prodiret Julius ortu
Postea gemmiferam laetâ cervice coronam
Ipse ferensinsedit equoquem purpura totum
ambitet intextis velamina picta figuris
Aurea mirifico radiantibus ordine gemmis
Sella nitenspicto regem complectitur arcu.
Aurea nexilibus fastidit fraena catenis
Gemmatosque luposet fulvum masticat aurum:
Lucidus e mediâ dependet fronte pyropus
Lucida multisonis pharetrantur pectora bullis.
Ipse feroxincerta vago vestigia gressu
Multiplicattensusque interdum calcibus auras
Verberatet tanto sonipes vectore superbit.
Hoc invectus equoturbâ comitante pedestri
Gaudet habere viros utrinque ad fraena potentes
Sanguine conspicuos; et mundi jura regentes.
Tunc ita productusplausu resonante suorum
Proxima turrigeris repetit tentoria muris.
Ipse sed eximiusdimisso principepraesul
Urbe Leoninâ propriâque in sede remansit.
Cumque siti fervens et multo temporis aestu
Languidusoptatâ castrorum fusus in umbrâ
Corpora fessa cibo miles recreare pararet
Ecce repentinus vicinâ clamor ab urbe
Insonatet subiti feralia signa tumultus.
Jamque furens populusprisco sibi jure negato
Injussuque suo sumptos a principe fasces
Indignansrapidotransmisso pontetumultu
Irrueratpaucosque viros ex agmine nostro
Securos nimiumnulloque pavore relictos
Fuderat: ast alii celeresurgente periclo
Castra petuntsocios atque ipsum nomine regem
Cujus erat cunctis virtus bene notavocantes.
Horruit irarum stimulisjustoque furore
Caesaret ingratum socios iterare laborem
Compellittotis educens agmina castris;
Hoc magis acceleransquod eum metus acer agebat
Ne quid in eximium crudeliter impia patrem
Auderetsolito plebes grassata furore:
Distulit ira ciboshostili sanguine malunt
Dilatam satiare famemfremituque leonum
Terribiles urbem repetuntet in arma feruntur.
Nec cedunt hostessed pectore praelia firmo
Excipiunt; missis bellum committitur hastis
Et levibus jaculisetquas pluit aurasagittis.
At simul incaluit stimulis gravioribus ira
Conseruere manusadmotaque cominus arma
Non jam missilibus telisferroque volanti
Sed gladiis pugnare libet: tinnire sonoros
Ictus audires galeasincussaque telis
Arma graviclypeosque leves mugire fragore;
Cernere palantes passimrursumque resumptis
Viribus instantesalterna sorte licebat.
Maxima conflictus moles in limite pontis
Ante domum Crescentis erat: facilique rotatu
Obruta saxorumseu missis desuper hastis
Regia pars certae poterat succumbere cladi
Ni quae spectandi caussa pinnacula turris
Servabant matresvalidaepulchraeque cohorti
Parcerenon stolidae plebi sociare furorem
Orarent juvenes jam mittere tela parantes.
Sic parti nostrae castarum gratia matrum
Profuitinnocuas prohibens a sanguine dextras.
Hic furora decimâ spaciosus et integer horâ
Perstitit ad primas merso jam sole tenebras.
Nec quisquamquamvis jejunia longa tulisset
Totam quippe diem miles jejunus agebat:
Jam poterat sentire famempondusve laboris
Immemor ipse suitantoque nocentior hosti:
Tantus in ultores fundendi sanguinis ardor
Inciditet justam satiandi caede furorem.
Atque aliquis gaudens in tantâ strage reorum
Insultare malis: haec sint sibiRomavetusti
Praemia jurisait: merces a principe justo
Redditur ista tibi: sic nobis regna parantur
Sic emimus fascessic acclamare triumphis
Te jubet ille suis: ac tecum foedera Caesar
Percutitatque tuo juramina sanguine firmat.
Vix tandem miseros sero jam vespere cives
Afflictosque diu bellofuganoxque removit
Claraque justitiae patuerunt signa supernae
Ex rerum merito varios prodentia casus;
Namque uno tantum nostrâ de parte perempto
Mille vel immersos Tyberi periisse vel armis
Hostili de plebe quidemcaptiva ducentos
Supposuisse ferunt injectis colla catenis.
Mox cum laude Dei repetunt tentoria laeti
Victoresgratoque cibodulcique sopore
Membra foventtutis carpentes otia castris.
Vix erat orta diessuspectâ Caesar ab urbe
Regia signa movet (neque enim commercia rerum
Indigus afflicto sperabat miles ab hoste)
Pulchraque fecundis fixit tentoria campis.
Inde secus montemquo quondam saeva tyranni
Jussa timensnondum teConstantinerenato
Sylvester latuitSoracten nomine dicunt.
Teplacido transmisso vadovetus Albulatransit
Albulacujus aquis Tyberinus nomina fecit;
Primaque castra locat vicina ad moenia Romae
Inter et argoas famosi Tyburis arces.
Hosut famalaresGrajâ de gente profecti
Tres posuere viri; Coras cum fratre Catillo
Argolicae stirpis juveneset major utroque
Tyburtuscujus sumptum de nomine nomen
Nobile Tybur habetperhibent si vera poetae.
Jamque aderat veneranda diesquae clara triumpho
Fulget apostolico totum festiva per orbem
Illa quidemsed Romuleae specialiter urbi
Cujus sacra suo lustrarunt moenia patres
Martyriosaevi dum spernunt sceptra Neronis.
Illam quo poterat populus castrensis honore
Suscepere diemdevotas praesule summo
Missarum celebrante preceset Caesare sanctam
Imperii cervice piâ gestante coronam.
Illâ quippe die sacris altaribus adstans
Omnemqui justo sub principe bella gerendo
Cinxerat ultorem Romanis caedibus ensem
Clavibus aethereis et Petri fretus honore
Solvit et indultum purgavit papa reatum:
Et ratione quidem; nam quisquis jura tuetur
Ecclesiaeregnive decussi forte cruorem
Fuderit humanumnon est homicidased ultor.
Hoc siquidem bellumquod juris amore coacto
Milite suscipiturmeritumnon culpa vocatur.
<***>
MuratoriRer. Italic. Script. Tom. iiipag. 441. - VitaAdriani papae iv ex Card. Aragonio. De Adriano papa ivqui coepit anno mcliv.
Adrianus ivnatione Anglicusde castro Sancti AlbaniquiNicolaus Albanensis episcopus sedit annis ivmensibus viiidiebus vi. Hicnamque pubertatis suae temporeut in literarum studiis proficeretegrediens deterrâ et de cognatione suâ pervenit Arelatemubi dum in scholis vacaretaDomino factum estut ad ecclesiam Beati Ruffi accederetet in eâ religionishabitumfactâ canonicâ professionesusciperet. Proficiscens ergoDeoauctorede bono semper in meliusprioratum in ipsa domo prius obtinuitetpostmodum ad Abbatiae apicem de communi voluntate fratrum conscendit. Acciditautemut pro incumbentibus Ecclesiae sibi commissae negotiis ad ApostolicamSedem veniretet peractis omnibus causis pro quibus veneratcum redire adpropria velletbeatae memoriae papa Eugenius eum secum retinuitet de communifratrum suorum consilio in Albanensem episcopum consecravit. Processu veromodici temporis cognita ipsius honestate ac prudentiâde latere suo eum adpartes Norvegiae legatum Sedis Apostolicae destinavitquatenus verbum vitae inipsâ provinciâ praedicaretet ad faciendum Omnipotenti Deo animarum lucrumstuderet. Ipse vero tamquam minister Christiet fidelis ac prudens dispensatormysteriorum Dei gentem illam barbaram et rudem in lege Christianâ diligenterinstruxitet ecclesiasticis eruditionibus informavit. Divinâ itaquedispensatione apostolatus sui diem praeveniensdefuncto papâ EugenioetAnastasio in loco ejus ordinato ad matrem suam sacrosanctam romanam Ecclesiamductore Dominoremeavitrelinquens pacem regnislegem barbarisquietemmonasteriisEcclesiis ordinemClericis disciplinamet Deo populumacceptabilem sectatorem bonorum operum. Transeunte autem modico temporisintervalloobiit Anastasius papaet in secundâ die convenientibus in unum proeligendo sibi pastore cunctis episcopis et cardinalibus apud ecclesiam BeatiPetrinon sine divini dispositione consilii factum est ut in ejus personamunanimiter concordarentet papam Adrianum electum() tam clerici quam laicipariter conclamanteseum invitum et renitentem in sede Beati PetriinthronizarentDeo auctoreDominicae Incarnationis anno mclivIndictione iii.Erat enim vir valde benignusmitis et patiensin anglicâ et latinâ linguâperitusin sermone facundusin eloquentiâ politusin cantilenâ praecipuuset praedicator egregiusad irascendum tardusad ignoscendum veloxhilarisdatorin eleemosynis larguset in omni morum compositione praeclarus.
In diebus illis Arnaldus Brixiensis haereticus Urbem intrarepraesumpseratet erroris sui venena disseminansmentes simplicium a viâveritatis subvertere conabatur. Pro cujus expulsione supradicti Eugenius etAnastasiusromani pontificesplurimum jam laboraverunt; sed favore etpotentiâ quorumdam perversorum civiumet maxime senatorumqui tunc ad regimencivitatis a populo fuerant institutiantedictus haereticus munitus et tutuscontra prohibitionem Adriani papae in eâdem civitate procaciter morabaturetsibi ac fratribus suis insidiari coeperatet publice atque atrociter adversari.Venerabilem namque virum magistrum D. . . .presbyterum cardinalem tituloSanctae Potentianaead praesentiam ipsius pontificis euntemquidam ex ipsishaereticis ausu nefario in Viâ Sacrâ invadere praesumpseruntet ad interitumvulneraverunt. Quapropter pontifex ipse civitatem romanam interdicto supposuitet usque ad quartam feriam majoris hebdomade universa civitas a divinis cessavitofficiis. Tunc vero praedicti senatores compulsi a clero et populo romanoaccesserunt ad presentiam ejusdem pontificiset ad ipsius mandatum super sanctaDei Evangelia juraveruntquod saepe dictum haereticum et reliquos ipsiussectatores de totâ urbe romanâ et ejus finibus sine morâ expellerentnisi admandatum et obedientiam ipsius papae redirent. Sic itaque ipsis ejectisetcivitate ab interdicto absolutârepleti sunt omnes gaudio magnolaudantespariter et benedicentes Dominum. In crastinum autemvideliect die CoenaeDominiconcurrente undique de more ad annuae remissionis gratiam et gloriosamfestivitatem maximâ populorum multitudineidem benignus pontifex cum fratribussuis episcopis et cardinalibusatque immensâ procerum et civium turbâdecivitate Leoninâubi a tempore ordinationis suae fuerat commoratuscumhonorificentiâ magnâ exivitet transiens per mediam Urbemuniverso sibipopulo congaudentead Lateranense Patriarchium cum jucunditate pervenitibiquedie ipso et sequente sextâ feriâet Sabato sanctoPaschâ quoqueacsecundâtertiâ et quartâ feriâ divina Mysteria solemniter celebravitatquein lateranensi palatiosecundum Ecclesiae antiquam consuetudinempascha cumdiscipulis suis festive comedit. Celebrato itaque cum laetitiâ festosinguliad propria cum gaudio redierunt.
Eodem tempore Wilhelmus rex Siciliae contra matrem ac dominamsuam sacrosanctam romanam Ecclesiam procaciter cornua erexitet congregatoexercitu terram Beati Petri hostiliter fecit invadi: Beneventanam itaquecivitatem aliquandiu exercitus ejus obseditet burgos ejus incendit. Deindefines Campaniae violenter ingrediensvillam Ceperam() et castrum Babucum()atque alia immunita loca nihilominus concremavit. Pro iis ergo et aliis offensispraedictus Adrianus papaPetri gladium exerens()ipsum regem excomunicationisgladio percussit. Interea Fridericus Teutonicorum rex cum magno exercituLombardiam intravitet civitatem Terdonam diu obsedit; quâ devictâet sibisubactâceleriter properabat ad Urbem in tantâ festinantiâ ut merito crediposset magis hostis accederequam patronus. Hoc igitur cognitoAdrianus papaqui eo tempore Viterbium residebatdeliberato cum fratribus suiset PetroUrbis praefectoatque Oddone Frangepane() consiliomisit ei obviam Johannemtitulo Sanctorum Johannis et Pauliet G. titulo Sanctae Pudentianaepresbyterosatque G. diaconum Sanctae Mariae in Porticucardinalesquibus etcaetera capitula deditac modum et formam praefixitqualiter cum ipso proEcclesiâ deberent componere. Quiaccepto mandatocum festinantiaproficiscentes cum apud S. Quiricum inveneruntet accedentes ad ipsumhonorifice recepti sunt et in tentorium deducti. Post salutationem vero literasei apostolicas porrexeruntet domni papae exposuerunt mandatum. In quibuscontinebatur inter caeteraut redderet eisdem cardinalibus Arnaldum()haereticumquem vicecomites de Campaniâ abstulerant magistro O. diacono sanctiNicolai apud Briculas()ubi cum ceperatquem tamquam prophetam in terrâ suâcum honore hahebant. Rex veroauditis domini papae mandatiscontinuo missisapparitoribuscepit unum de vicecomitibus() illisqui valde perterritus eumdemhaereticum in manibus cardinalium statim restituit. Caeterum ante adventumipsorum cardinalium idem rex praemiserat Arnulfum Coloniensemet AnselmumRavennatem archiepiscopos ad praesentiam saepe dicti pontificisut de ipsiuscoronatione cum eo tractarentet de aliis insimul convenirent; ideoqueresponsum cardinalibus dare non poteratnisi prius archiepiscopos ipsosreciperet. Pontifex autemqui propter nimium suspectum imperatoris adventum adUrbevetanam civitatem transireet illuc imperatorem disposuerat expectareprorepentino et inopinato illorum adventu in majorem dubitationem cecidit. Sed cumad locum illum tutissimum jam secure non posset transiread CivitatemCastellanam festinanter ascenditubi si de personâ ejus rex male cogitassetiram illius secure declinareet iniquos cogitatus ipsius facile posset elidere.Archiepiscopi vero secuti sunt eumexponentes bonam regis voluntatemquam ergaeum et totam romanam Ecclesiam habebatet aliaquae sibi erant impositanihilominus ostendentes. Quibus pontifex de consilio fratrum suorum dixit: Nisiprius recepero fratres meos cardinalesquos ad regem delegavinullum vobisresponsum dabo. Cardinales itaque a regeet archiepiscopi a pontifice infectonegotio redeuntesobviaverunt sibi dicentes ad invicemquod propter eorumabsentiam responsum ab utraque parte dilatum fuerat. Ideoquehabito inter sesalubriori consilioinsimul venerunt ad presentiam regis in campo viterbensiubi castra posuerat. Venerat autem ad eum Octavianus titulo S. Caeciliaepresbyter cardinalisnon missus a pontificesed dimissusjam spiransseditionem ex schismaticis. Postquam vero praedicti cardinales intraverunt adregemet haberetur() consilium super eorum legatione de satisfacendo mandatoromani pontificisidem Octavianusquod hauseratvirus evomere coepitetpacem turbare; sed in brevi et ratione validâ repressus est a fratribus suiscardinalibuset sicut dignus eratmulta confusione respersus. Tandemadversario confutatoet salubri consilio comprobatorex omnium procerum etmilitum suorum Curiam maximam congregavitet in presentia eorumdem cardinaliumallata sunt sacra pignoraCrux et Evangeliasuper quae nobilis quidam miles decaeteris electuset conjuratusatque tertio jurare jussusin animâ suâ etejusdem regis juravitvitam et membra non auferresed conservare papae Adrianoet cardinalibus ejusnec malam capitonem facerehonorem et bona sua eis nonauferrenec auferri permitteresed et si quis auferre velletomnimodeprohibereet contradicere. Post illatam vero injuriam pro posse suo etvindicari faceretet emendariatque concordiamjampridem per principales()personas utriusque Curiae factaminviolatam de caetero conservare.
Hoc itaque juramentosicut dictum estet a rege praestitoet a cardinalibus ipsis cum alacritate receptocontinuo acceptâ licentiâconcito gradu cardinales reversi sunt ad summum pontificemuniversaquaefecerantsibi et fratribus suis cum diligentiâ referentes. Placuit ergopontifici et ejus collateralibusquod talis securitas eis a rege dataet perconsilium principum suorum firmiter roborata est; ideoque omni malâ suspicionesublatâ de medioregiae petitioni de imponenda sibi coronâ imperii benigneannuitet ut ad invicem sese viderentlocus congruus et dies certus abutrâque parte statutus est. Processit igitur rex cum exercitu suo interritorium Sutrinumet castrametatus est in Campo Grasso. Pontifex autem adcivitatem Nepesinam descenditet in secunda dieoccurrentibus multisTeutonicorum principibus cum plurimâ clericorum et laicorum multitudineadpraesentiam saepe dicti regis cum episcopis et cardinalibus suis usque ad ipsiustentorium cum jucunditate deductus est. Cum autem rex de more officium stratoriseidem papae non exhiberetcardinalesqui cum eo veneruntturbatiet valdeperterriti abierunt retrorsumet in praedicta Civitate Castellanâ sereceperuntrelicto pontifice ad tentorium regis. Quo circa domnus papa nimiostupore turbatuset quod sibi foret agendum incertuslicet tristis descenditet in praeparato sibi faldistorio sedit. Tunc rex ad ejus vestigia prociditetdeosculatis pedibus ad pacis osculum accedere voluit. Cui protinus idem pontifexlocutus est in haec verba: “Quandoquidem tu illum mihi consuetum ac debitumhonorem subtraxistiquem praedecessores tui orthodoxi imperatores proapostolorum Petri et Pauli reverentiâ praedecessoribus nostris romanispontificibus exhibere usque ad haec tempora consueveruntdonec mihisatisfaciasego te ad pacis osculum non recipiam.” Rex autem respondit etdixitse hoc facere non debere. Ea propter remanente ibidem exercitutotussequens dies sub istius rei variâ collatione decurrit. Tandem requisitisantiquioribus princibuset illis praecipuequi cum rege Lotario ad Innocentiumpapam venerantet priscâ consuetudine diligenter investigatâex relationeillorum et veteribus monumentisjudicio principum decretum estet comunifavore totius regalis Curiae roboratumquod idem rex pro beatorum Apostolorumreverentiâ praedicto papae Adriano exhiberet stratoris officiumet ejusstreugam teneret. Aliâ itaque dieregis mota sunt castraet in territorionepesinojuxta lacum qui dicitur Jaulafuerunt translata. Ibiquesicut aprincipibus fuerat ordinatumrex Fridericus processit aliquantulumetappropinquante domni papae tentorioper aliam viam transiens descendit de equoet occurrens ei quantum jactus est lapidisin conspectu exercitus officiumstratoris cum jucunditate implevitet streugam fortiter tenuit. Tum veropontifex eumdem regem ad pacis osculum primo recepit. Post haec autem versusUrbem insimul procedentespro eo quod ab eis romanus populus discordabatlicetbeati Petri munitionem in potestate suâ pontifex detineretplacuit tamen ut inmanu validâ civitatem Leonianam rex introiret. Positis igitur exterius castriset deliberato festinanter consilioatque dispositis quae ad coronationemspectabanteâdem die ante horam tertiam rex ad gradus Beati Petri armatorummaximâ multitudine stipatus accessit; ibique depositis vestibus quas gerebatsolemniori se habitu induitet ad ecclesiam Beatae Mariae in Turriin quâ eumante altare pontifex expectabatascendensgenua sua fixit() coram eoet manussuas inter ipsius pontificis manus imponensconsuetam professionemetplenariam securitatemsecundum quod in ordine contineturpublice exibuit sibi.Relicto autem ibidem regepontifex ad altare Beati Petri adscenditcujusvestigia rex cum processione subsequens ad portas argenteasorationem infraecclesiam in rotâ super eumdem regem alius ex episcopis nostris dedit.Orationem vero tertiam et unctionem tertius episcopus ante confessionem BeatiPetri eidem regi nihilominus contulit. Missâ itaque incoeptâet Graduali postEpistolam decantatorex adpontificem coronandus accessitet praesentatisimperialibus signisgladium et sceptrum atque Imperii coronam de manibusejusdem pontificis suscepit. Statim tamen vehemens et fortis Teutonicorum voxconclamantium in vocem laudis et laetitiae concrepuitut horribile tonitruumcrederetur de coelis subito cecidisse.
His igitur ante horam nonam in pace et tranquillitateperactispopulus romanusqui clausis portis apud Castrum Crescentii residebatarmatusignorans quae facta fuerantsine consilio et deliberatione majorumadcivitatem Leonianam paulatim ascenditet eorumqui in porticu remanserantspoliis violenter direptisomnes quos reperitusque ad imperatoris castrapersequendo fugavit. Invalescentibus autem clamoribuset undique resonanteinopinate tumultuTeutonicorum exercitus ad arma velociter convolavitstrictisque mucronibus ab utrâque parte acriter dimicatur. Quid plura? Caesisunt multiet plurimi capti. Tandem populus ipse non sine multo suorumdiscrimine infra portas ipsius castri se ipsum recepit. Pontifex autemsicutbenignissimus pastor et pius patersuper tanto excessu valde turbatus eteffectus tristiseidem populotamquam suo gregidebitâ charitate compassusest. Cujus casum relevare desideranspro liberatione suarum ovium apud ejusdemimperatoris clementiam diutius laboravitet affectuosas preces instanterfundere non cessavitdonec universos Urbis captivos de manibus Teutonicorumereptos in potestate Petri Urbis praefecti restitui fecit. De caetero autemimperator simul ac pontifex exeuntes de finibus urbisper campestria juxtaTiberimprocesserunt usque ad vadum de Mallianoibique fluvium ipsum cum totoexercitu transeuntesintraverunt sabinensem comitatumet per Farsam atqueCastrum de Poli transitum facientesin vigiliâ Beati Petri pervenerunt adPontem Lucanumin quo nimirum loco pro tam gloriosae solemnitatis celebritatemoram facere decreverunt; et ut Ecclesia Dei et Imperium ampliori decoreclarescerentcommuni deliberatione statutum fuitut ad laudem Dei etexaltationem christiani populi praefatus romanus pontifex et Augustus admissarum solemnia in die illâ pariter coronati procederent. Dignum namque satiseratut illorum duorum Principum Apostolorum solemnia duo summi Urbis principesin laetitiâ et magno gaudio celebrarentquisusceptâ potestate a Dominoligandi atque solvendi portas Coeli clauduntet aperiunt quibus volunt.
<***>
Martene et durand amplissimacollectio veterum scriptorum etmonumentorum historicorumdogmaticorummoralium. Parisiis 1724.Epist. 384p. 554
wetzel ad Fridericum imperatorem
Instat ut excusso summi pontificis jugoimperium asenatu populoque romano recipiat. - An. 1152.
Carissimo Dei gratiâ F. Wetzel ad summa animae et corporislaeta undique proficere.
Immensâ laetitiâquod gens vestra vos sibi in regemelegeritmoveor.
Ceterumquod consilio clericorum et monachorumquorumdoctrinâ divina et humana confusa suntsacrosanctam urbemdominam mundicreatricem et matrem omnium imperatorumsuper hocsicut deberetisnonconsuluistiset ejus confirmationemper quam omneset sine quâ nulli unquamprincipum imperaveruntnon requisistisnec ei sicut filiussi tamen filius etminister ejus esse proposuistisnon scripsistisvehementer doleo. Quis enimstabili ordine proficere valeatnisi quem Rebecca dilexit et promovit? licetquippe pater Isaac vellet et niteretur Esau benedictionem praeferreJacobmatre ipsum vocanteet consilium quasi insulsum ipso Jacob timentequia Esaumoram in venando fecitbenedictionem et dominiumalio illo dolenteobtinuit.Et ut ad rem perveniamipsamque vobis plenius exponamquod dico diligentiusattendatis. Vocatio vestrorum olim praedecessorumet vestra adhuca caecisidest a Julianistishaereticis dico et apostatis clericis et falsis monachissuum ordinem praevaricantibuset contra evangelicaapostolica et canonicastatuta dominantibuset legibus tam divinis quam humanis reclamantibusEcclesiam Dei et saecularia disturbantibusfacta est. Quod autem tales sintostendit beatus Petruscujus vicarios se esse mentiunturdicens Fugientesejusquae in mundo estconcupiscentiae corruptionemministrale in fidevirtutem in virtute scientiamin scientiâ abstinentiamin abstinentiâpatientiamin patientiâ pietatemin pietate amorem fraternitatisin amorefraternitatis charitatem. Haec vobis super..... Cui enim haec praesto suntcaecus est et manu tentans. De quibus rursus idem Apostolus dicet: Eruntmagistri mendacisqui in avaritiâ de vobis negotiabunturdeliciisaffluentes in convitiis suis luxuriantes vobiscumoculos habentes plenosadulterioper quos via veritatis blasphemabiturhi sunt fontes sine aquâ.Tales quomodo cum Petro dicere possunt: Ecce nos reliquimus omniaet saeculisumus? Et iterum: Argentum et aurum non est mihi? Quomodo a Dominoaudiunt: Vos estis lux mundivos estis sal terrae? Quibus quod sequiturnimirum convenit: Quod si sal evanueritin quo salietur? ad nihilum valetultranisi quod conculcetur ab hominibus vel a porcis. Unde Johannes: Quidicit se credere in Christumdebetsicut ille ambulavitet ipse ambulare. Item:Qui dicit se nosse Deumet mandata ejus non custoditmendax estet veritasin eo non est. Petro et vicariis Petri a Domino dicitur: Sicut misit mepateret ego mitto vos. Sed qualiter ipse a patre missus fueritexprimitdicens: Si non fecero opera patrisnolite credere mihi. Si Christoquipeccatum non fecitsine operibus credendum non fuitquomodo istis non solummalesed etiam mala publice agentibus est credendum? unde dicitur: Quomodopotestis bona loquicum sitis mali? Non solum vero loqui non possunt bonased nec crederesicut ipse Dominus ait: Quomodo potestis crederegloriam adinvicem quaerentesnam Fides sine operibus mortua est? Quomodo enim istiquibuslibet divitiis inhiantes(sed qui divitiasquae toti mundo salutaresextiteruntper quarum utique usum pax tanta et talis per universum orbem fuitquod Filium Dei de sinu patris in sinum matris deposuitsuâ falsâ doctrinâluxuriose vivendo destruxerunt) possunt primum illud evangelicae doctrinaemandatorum audirebeati pauperes spiritu cum ipsi nec effectunecaffectu sint pauperes? Hinc beatus Hyeronynus: Clericum negotiatoremvel exinopi divitemvel ex ignobili gloriosumquasi pestem fuge. Quomodo istinegotiis saecularibus incumbentesprimum omnium decretorum romanorum pontificuma beato Clemente in epistolâ suâ primâ inductumsed a beato Petro apostolopromulgatum surdi auditores adimplent? Inter caetera quidemubi PetrusClementem ordinavitei injunxit dicens: Te quidem oportet irreprehensibilemvivere: et summo studio nitiut omnes hujus vitae occupationes abjiciasnefideijussor existasne advocatus litium fiasneve in aliquâoccupatione mundialis negotii prorsus inveniaris perplexus. Neque enim judicemneque saecularium cognitorem negotiorum hodie te jussit ordinari Christusnepraefocatus hominum praesentibus curis non possis verbo Dei vacare. Haecquaeminus tibi congruere diximusexhibeant sibi invicem laiciet te nemo occupetab his studiis sollicitudines saeculares suscipereita unicuique laicorumpeccatum essenisi invicem sibi etiam in his quae ad communis usum vitaepertinentopera fideliter dederint; te vero securum facere ex hisquibus nondebes instareomnes communiter elaborent. Quod si forte a semetipsis hoc laicinon intelliguntper diacones docendi suntet tibi solius Ecclesiaesollecitudines relinquantur. Si enim mundialibus curis fueris occupatuset teipsum decipis et eos qui te audiunt. Non enim poteris quae ad salutem pertinentplenius distinguereet ex eo fitut tu deponariset discipuli per ignorantiampereantidcirco tuquoad hoc solum vocatus esut sine intermissione doceasverbum Dei. Mendacium vero illud et fabulahaereticain quâ referturConstantinum Sylvestro imperialia simoniacae concessisse in Urbeita detectaestut etiam mercenarii et mulierculae quoslibet etiam doctissimos super hocconcludantet dictus apostolicus cum suis cardinalibus in civitate prae pudoreapparere non audeant. Siquidem sanctus Melchiadessancti Sylvestripraedecessorin decretis suis Constantinum esse baptizatum dicens: Cum interturbines mundi succresceret Ecclesiaadeousque pervenitut romani principes adfidem Christi et baptismi sacramenta concurrerentde quibus vir religiosissimusConstantinus primus fidem veritatis est adeptus. Tripartita etiam historiacumantequam unquam ipse imperator Urbem intraveritChristianum fuissetestatur. Quae loquor attendite. Esau non domi vacanselementa matris etconsilia ignoranssilvestria petensa caeco vocatususque nunc caretpromissis. Jacob vero matri obedienscolli et manus nuda domesticodisciplinarum tegmine tegens eaquae caecus silvestri promisitdivino nutusubripuit. Imperatorem non silvestremsed legum peritum debere esse testaturIulianus imperator in primo omnium legum edictodicens: Imperatoriammajestatem non solum armis decoratamsed etiam legibus decet esse armatamututrumque tempus et bellorum et pacis recte possit gubernari. Itidem etiamunde princeps romanus imperare et leges condere habeatpaulo post ostendit: sedet quod principi placuitlegis habeat vigorem; et quaresubinferteum populusei et in eum omne suum imperium et potestatem concessit. Sed cum imperium etomnis reipublicae dignitas sit Romanorumet dum imperator sit Romanorum nonRomani imperatorisquod sequitur considerantibus quae lexquae ratio senatumpopulumque prohibet creare imperatorem. Comitem Rodulphum de Ramesberchetcomitem Udalricum de Lencenburchet alios idoneosscilicet Eberhardum deBodemenqui assumptis peritis legumqui de jure imperii sciant et audeanttractareRomam quantocius poteritis mittere non dubitetiset ne aliquid noviibi contra vos surgatpraevenire curate.
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Epist. 385pag. 557. Anno 1152.
Concordia inter Eugenium papam et Fridericum imperatorem.
In nomine Domini amen. Haec est forma concordiae etconventionis inter dominum papam Eugenium et dominum regem Romanorum Fridericumconstitutamediantibus cardinalibus Gregorio Sanctae Mariae trans TyberimUbaldo Sanctae PraxedisBernardo Sancti ClementisOct. Sanctae CaeciliaeRollando Sancti MarciGregorio Sancti AngeliGuidone Sanctae Mariae inPorticuabbate Brunone() de Claravalle ex parte domini papae: AnselmoHavelsbergensiHermanno ConstantiensiepiscopisUthelrico de LenceburchGuidone Werra Widone Blandratensecomitibusex parte domini regis. Dominussiquidem rex jurare faciet unum de ministerialibus suis in animam regiset ipseidemmanu propriâ datâ fide in manu legati domini papaepromittetquod ipsenec treguam nec pacem faciet cum Romanisnec cum Rogerio Siciliaesine liberoconsensu et voluntate romanae Ecclesiae et domini papae Eugeniivel successorumejusqui tenorem subscriptae concordiae tenere cum rege Friderico voluerintetpro viribus regni laborabit Romanos subjugare domino papae et romanae Ecclesiaesicut unquam fuerunt a centum annis et retro. Honorem papatuset regalia BeatiPetrisicut devotus et spiritualis advocatus sanctae romanae Ecclesiae contrahomines pro posse suo conservabitet defendetquae nunc habet. Quae vero nuncnon habetrecuperare pro posse juvabitet recuperata defendet Graecorum quoqueregi nullam terram ex istâ parte maris concedet. Quod si ille forte invaseritpro viribus regniquantocius poterit ipsum ejicere curabit; haec omnia facietet observabit sine fraude et malo ingenio. Dominus vero papa apostolicaeauctoritatis verbo una cum praedictis cardinalibus in praesentiâ praescriptorumlegatorum domini regis promisitet observabitquod eum sicut carissimum filiumBeati Petri honorabitet venientem pro plenitudine coronae suae sinedifficultate et contradictionequantum in ipso estimperatorem coronabitetad manutenendum atque augendumac dilatandum honorem regni pro debito officiisui juvabit; et quicumque justitiam et honorem regni conculcare aut subvertereausu temerario praesumpserintdominus papa a regiae dignitatis dilectionepraemunituscanonice ad satisfactionem eos commonebit. Quod si regi adapostolicam admonitionem de jure et honore regio justitiam exiberecontempserintexcommunicationis sententia innodentur. Regi autem Graecorum existâ parte maris terram non concedet; quod si ille invadere praesumpseritdominus papa viribus Beati Petri eum ejicere curabit. Haec omnia ex utrâqueparte sine fraudeet sine malo ingenio servabunturnisi forte libero et comuniconsensu utriusque immutentur.()
FINE