Readme.it in English  home page
Readme.it in Italiano  pagina iniziale
readme.it by logo SoftwareHouse.it

Yoga Roma Parioli Pony Express Raccomandate Roma

Ebook in formato Kindle (mobi) - Kindle File Ebook (mobi)

Formato per Iphone, Ipad e Ebook (epub) - Ipad, Iphone and Ebook reader format (epub)

Versione ebook di Readme.it powered by Softwarehouse.it


ARNALDO DA BRESCIA

 

 

TRAGEDIA

 

DI

 

GIO. BATISTA NICCOLINI

 

 

CORREDATA DELLA VITA D'ARNALDO

E DI NOTE E DOCUMENTI STORICI

 

 

 

 

 

 

 

...............................................non anterevellar

Examinem quam te complectarRomatumque

NomenLibertaset inanem presequar umbram.

Luc. Phars. Lib.II

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edizione eseguita sulla seconda di Firenze.

 

 

 

 

 

LOSANNA

 

A SPESE DELL'EDITORE

1848

 

 

L'AUTORE A CHI LEGGE.

 

(Avvertimento premesso alla prima Edizione 1843.)

 

 

 

Quando alla materia non si danno quelle forme ch'essa aricevere è dispostale opere non possono mai corrispondere alle intenzionidell'arte: però ho creduto dover trattare in questo modo il fatto ch'argomentodella mia Tragediae ad agevolarne l'intelligenza io l'ho corredata di copiosenote. Ho posto in fine del Libro tutto quello che intorno ad Arnaldo da Bresciaè dato raccogliere dagli scrittori del suo tempo: ma pochi di essi e brevementene parlanoe quei pochi sono monaci e stranieri. In un secolo nel qualel'Italia potèquantunque divisadistruggere per sette volte gli eserciti diFederigo Barbarossae finalmente trionfarne a Legnanomancò fra noi chisolamente il nome ricordasse di questo martire che ebbe la Libertàbenchè purle ceneri ne fossero temutee fatte sommergere nel Tebro da un PonteficeInglese e da un Imperatore Tedesco.

La memoria di tant'uomopercossa dagli anatemi della CuriaRomanae da calunnie antiche ripetute in tutte le storiegiacevanell'abominiofinchè sul terminare del secolo scorso non venne a ristorarla edifenderla il sacerdote Giovan-Battista Guadagnini Brescianomossodall'amore del vero e dalla carità del loco natio. - Ho premesso al mio lavorola vita che d'Arnaldo scrisse questo dotto e piissimo Parrocoil quale fu dellasua nobil patria singolare ornamento.

 

Vita d'Arnaldo.*

 

Arnaldo fu Bresciano non sol di domicilioma ancora dinascita. Non si può tuttavolta ben accertare s'egli nascesse in città oin alcun luogo del contado non trovandosi ciò scritto; ma è piùprobabile che fosse cittadino. Alcuno de' nostri scrittori ha detto ch'ei funobilissimo()ma non ci dice d'onde abbia presa questa notizia; ed è notoche un secoloprima gli scrittori lavoravano francamente di fantasia. L'essere però Arnaldostato mandato sino in Francia agli studidimostra che la sua famiglia non erapovera di facoltà.

In qual anno egli nascesse è difficilel'indovinarlo; io conghietturo ch'egli nascesse circa l'anno 1105. Eccone ilfondamento. Egli morì in Roma nell'anno 1155assai verisimilmente nell'annocinquantesimo dell'età sua; perchè non veggo che alcuni de' suoi avversari lorimproveri o di furor giovanile o di aver delirato in vecchiezzanell'opporsi in Roma con tanta costanza al formidabile partito papale. La figurach'ei fece in Brescia nella fazione de' Bresciani contra il vescovo Maifredonell'anno 1138e nel Concilio di Sens in Francia nel 1140dimostrach'ei non doveva esser minore d'età di trenta e più anni quando figurò inBresciae di vicino a' quaranta quando figurò in Francia. Ponghiamo che quandoegli era in Roma avesse quarantacinque anni; dal 1150 sino al 1155 incui morì corrono cinque anniche aggiunti a quarantacinque fanno inpunto gli anni cinquanta.

Abbracciò Arnaldo da giovinetto lo stato ecclesiastico ericevette i primi due ordini minori. Ciò apparentemente deve essere succedutoin Bresciae il suo vescovo ordinatore esser dovette il nostro vescovo Villanoche di coadiutore divenne vescovo nel 1116 per la deposizione del suopredecessore il cardinale Arimannoseguita quell'anno nel Concilio Romano();alla qual disgrazia soggiacque di poi nel 1132 anche il medesimo Villano chefu discacciato dal vescovado di Brescia da papa Innocenzio().

Aveva Arnaldo sortito uno straordinario talento eduna veemente inclinazione agli studi. Questo fece che i suoi maggiorideterminarono di mandarlo a tal fine in Francia alla scuola del celebre PietroAbailardo()la cui fama tirava in quel regno il fiore della nobiltà italiana. Ebbe iviin conseguenza per condiscepoli molti giovani illustri d'Italia espezialmente di Roma; poichè nella Romana Corte per questo appunto vantavaPietro Abailardo molti suoi scolari divenuti prelati e cardinali()tra quali il cardinal Guido di Castello illustre per e sueLegazioni onorato dalle lettere di san Bernardoe divenuto papa colnome di Celestino II().

Guntero ci dice che Arnaldo stette alla scuola d'Abailardoper lungo tempo()ma non ci dice quanti anni.

Ci dice bene()che colà visse con poca spesa. Questo potrebbe mostrare che le facoltàd'Arnaldo non fossero molto copiose nè molto illustre la sua famiglia oche i suoi maggiori gli fossero avari di uno splendido trattamento convenientealla sua nascita e al patrimonio. Ma potrebbe essere ancora che il giovaneArnaldoapplicato tutto agli studinon si curasse delle vane comparse chepiacere sogliono alla gioventù lontana dagli occhi de' suoi maggiori. Quel chepenso essere ancor più probabile si è che il giovane Arnaldoabbracciasse colà l'istituto degli altri scolari di Pietro Abailardo. Perchèecco ciò che di loro racconta Natale Alessandro().L'Abailardo dopo la sua conversionefecesi monaco in San Dionigi. Nontrovò in quel monistero pace nessuna. La disapprovazione libera ch'ei facevadella vita secolaresca di que' monacie l'aver voluto sostenere la sentenza delvenerabile Beda che il san Dionigi di Francia non era stato l'Areopagitagli tirò addosso una fiera persecuzione. Sottrattosene colla fugaal fine colconsenso del recon licenza dell'abate e per la liberalità d'alcunepersone si formò un nido di quiete in una terra del contado di Troyesdonatagliin un luogo amenissimo dove si formò la sua capanna edun oratorio di canne e di paglia. Inteso ciò dagli scolaridiceNatale Alessandrocominciarono a concorrere da tutte le partiedabbandonate le città e le castellaabitare nella solitudine: invece di casecostruirsi delle capanne: invece di cibi delicativivere delle erbe dellacampagnae di pane plebeo: invece di letti molliprocacciarsi paglia e strame:e invece di menseergere delle zolle di terra. Assai probabilmente ilgiovane Arnaldo fu di questo numeroe questo verisimilmente ha voluto indicareGunteroquando scrisse: Tenui nutrivit Gallia sumptu.

Era molto naturale che questa vita da monaco fervorosoispirasse al giovane Arnaldo l'amore alla vita monastica. Di fattitornato inpatria dopo il termine de' suoi studisi fece monaco in uno dei nostrimonasterima non si trova in quale di essi venisse ricevuto. Generalmenteparlandoquesto è verisimile indizio che la disciplina monastica nonfosse tanto scaduta ne' bresciani monasteri o almeno che il penitentegiovane alcuno ne trovasse acconcio a' suoi pii disegni. Il che a me sembratanto più verisimilequanto cheessendo stato lungamente alla scuola diPietro Abailardoavea potuto coll'esperienza del maestroche non trovò quietenè al monastero di San Dioniginè in quel di Ruysimparare con qualcircospezione dovesse scegliere il monastero in cui destinava di menar la suavita.

Il suo fervore non fu passeggero; nè la vita sì pocoregolata del gran numero de' monaci di quel tempo lo potè raffreddare. Sembraanzi che andasse crescendo; perchè nell'anno 1140 san Bernardo attesta che lasua vita era austerae che i suoi digiuni erano taliche pareva non mangiassenè beesse: il suo discorso era pieno di unzionela sua conversazionedolcissimail suo esteriore tutto spirante pietà().

Si può ben credere che ad un religioso di questo caratterefosse di somma afflizione lo stato compassionevole della Chiesa Cattolica dique' tempi. Innondava allora la simoniadi cui la fonte principale era l'imperialcorte di Germania dove facevasi traffico notorio de' vescovadi e delleabbazie. Questi prelati simoniaci naturalmente volevano rimborsarsi della spesafatta nel comperarsi il benefizio; e così vendevano anch'essi gli ordini e ibenefizi a persone che si studiavano anch'esse pure di risarcirsi colla venditadelle orazioni e de' Sagramenti. Da somiglianti prelati non poteva aspettarsigran sollecitudine nella scelta de' ministri del santo Altare. I canoni cheversano sopra una materia sì gelosanon erano in alcuna considerazione. Non siguardava all'etàperchè il nostro vescovo Ulderico ordinò prete e parroco diSan Giovanni BattistaArdiccio degli Aimoni ancora fanciullo di solidodici anni().Non si guardava a' costumi perchè quelli del nostro clero d'allora nonpotevano essere più corrotti. Non si guardava nè meno alla scienza dicui in quel tempo non apparisce vestigio: il solo interesse dell'ordinatoresuppliva a tutto.

In tanta disattenzione de' prelatinon potevano noninnondare tutti i vizi nel clero. Tanti cherici entrati nella casa del granPadre di famiglia non per la portama per le finestresenza vocazionesenzaspirito ecclesiasticosenza letteresenza alcun freno de' loro prelatinonpotevano non abbandonarsi all'oziopadre de' vizied approfittarsi dellaricchezza delle loro prebende per fomentarli. Il lusso della mensadelle vestidegli addobbi divenne eccessivo. L'esempio de' prelati cheaffettavano la temporale signoria e perciò mantenevano un trenoprincipesconon pur metteva tutto il clero inferiore al sicuro da ogni lororiprensione o gastigoma lo assicurava della loro approvazione e della lorograzia. Da questa vita molle era naturale che sboccasse con empitol'incontinenza. E di fattibenchè Dio ne conservasse alla sua Chiesa alcuniillibativenne tempo in cui non era disdetto a chi di loro il volesse ilmantenere pubblicamente una concubinaed il generarne ed allevarne in palese ifigliuoli. E tanto d'ardire presero gl'incontinenti che a dispetto de'canoni anche recentie di tanti Concili allora celebrati per metter argine asì torbido torrente le concubine menavansi francamente a casa comespose legittimee le dame più illustri non facevano difficoltà di sposarsi adun prete().

La necessità di mantenere non solo un treno magnificoeduna copiosa e splendida mensama ancora la moglie e i figliuolie di dare aquesti un congruo statogenerò altri disordini. Si perdette la memoria delladivisione che dee farsi delle ecclesiastiche rendite da ogni benefiziatoritenendo per sè sol quanto basti al sostentamento frugale della sua personaedispensando il restante alle chiese ed a' poveri. Tutto applicavano a sè edalla propria famiglia. Anzinon contenti di ciòprocacciavansi il maggiornumero di benefizi ecclesiastici che potevano; e di qui nacque l'abusolagrimevole della pluralità de' benefizi ancora aggravati di cura d'animeequindi la non residenza. Più: dove non giungevano le rendite a supplire ai lorobisogni o alle loro cupiditàalienavano i fondi stessi disponendone adarbitrio come di cosa propriae con vendite e con infeudazioni e con donazionie in ogni altro modo che occorresse; nel che i prelati diedero ad essi unesempio scandaloso.

Per giustificare abusi di tanto scandalo si passò adun altro maggiore che fu d'insegnare che i beni ecclesiastici erano propride' benefiziatich'essi n'erano padronie non semplici amministratori edispensatori; e perciò era loro lecito e di consumarne tuttesenza detrazioned'alcunale entratee di convertire a proprio uso i frutti e il capitalestesso dei fondi.

A tutti questi mali s'aggiunse la fiera e lunga discordia tral'Impero e il Sacerdoziocon tanti scismi guerre e rivoluzioni chefinirono di mandare a fondo ogni residuo di disciplina. In questi tempi diturbolenzela via certa di salire alle prelature più cospicue era quella dimostrarsi zelante dell'uno o dell'altro partitosecondo che le circostanzefacevano comparire più probabile la speranza del proprio avanzamento. Quando laparte imperiale era la più potente era facile il trovare una quantitàd'ecclesiastici nobili che si riscaldavano a favore di Cesare entrando agara in tutti i complotti anche iniquisenza eccettuarne gli stessi scismi.Dove al contrario pendesse la bilancia del partito papalevedevansi altrettantizelare la causa del papae colorire la propria cupidità col finto zelo dellareligioneed eccitare per divozione i principi ed i popoli alla ribellionecontro l'imperadore. Di questo numero fu il nostro vescovo Arimannoche per unsomigliante zelo fu creato cardinale (dignità allora più rara fuori di Roma) ecostituito Legato Apostolico in Lombardia. Fu impresa di questo Cardinal-Legatolo spuntare con tutta forzache la nostra cittàallora suddita dell'Imperosi ribellasse al suo signoree s'ergesse in repubblica().E da qui può vedersiche gli ecclesiastici delle altre città Lombarde etoscane furono gli autori principali di simili ribellioni delle città loro.

Da questo nuovo disordine ne nacque un altroe fu che ivescovi delle città lombarde siccome erano stati i capi dellaribellionecosì vollero essere i capi delle nate repubbliche; il cheespressamente raccontasi del pure or detto cardinale nostro vescovo Arimanno().Egli stabilì per patto della concertata ribellioneche il vescovo sempre fosseil capo e il signore di Brescia superiore al generale Consiglio ed aiconsoli. Così fecesi una nuova piaga mortale alla pur troppo già piagatadisciplinatrasfigurando i vescovidi pastori delle animepadri de' povericonciliatori della pacemaestri dell'umiltà della mansuetudine dellafrugalità del disprezzo d'ogni terrena grandezza e d'ogni terrenotesoro: in principi del secolooppressori de' deboli conciliatori diguerre ed alleanzeed esempio d'alterigiadi doppiezzadi ferocia edi mondana magnificenza.

Questo loro temporale governo non poteva non esser funestoallo Stato ed alla Chiesa. Alla Chiesaperchè oltre allo sconcertar del tuttol'idea del vescovato distraeva i prelati in tutto dalle cure pastoralied avviliva in appresso l'idea dello spirituale ministero lasciato in tutto alclero più bassoquasi impiego servilee da gente plebea; spargea nel clerospezialmente nobileuno spirito di terrena grandezza; autorizzava il lusso e lecure secolari e il mal uso delle ecclesiastiche rendite; e ciò ancorache più montagl'interessi del principato erano quasi sempre in contrasto conquei della Chiesaconvenendo al vescovo-principe spesso il promuovere non laconcordiama la disunione; non la pacema la guerra; non la riforma de'disordinima la tolleranzaed anche l'aumento de' medesimi. Lo scialacquamentoimmenso delle decime e di varie regalie della Mensa episcopale di Brescia nacqueda vescovi somigliantiche per istabilire la loro temporale grandezzaledivisero in feudo tra' potenti della città e del territorioche restarono conciò costituiti vassalli del vescovoed obbligati a portar l'armi a sua difesa().I poveri e le chiese rimasero interamente privi della porzione spettante a loronelle entrate della Chiesa; le qualibenchè solite a sopravanzare almantenimento del pastorepiù nemmeno bastavano al mantenimento del principeil quale trovavasi obbligato a procacciare il mancante colle annate de' benefizivacanti co' pesi annui imposti alle chiesee fin colla vendita delleindulgenzee talora degli ordini e de' benefizi().

Riuscì funesto ancora allo Stato. Dioche ha istituite ledue podestà regia e sacerdotalele aveva ancora divise. Non era sperabilech'egli spargesse le sue larghe benedizioni sopra il governo di chi per umanacupidità aveva voluto riunirle insieme contra l'ordinazione divinae per viesì poco legittime. Perciò il governo d'Arimanno fu alla nostra città funesto.Il popoloche aveva cominciato a bramare di godersela intera ed adiminuire l'autorità temporale del vescovoil vescovo fermo a ritenerlaeccitò dissidii tra il popoloche abortirono ad una guerra civile chedopo avere sparso un fiume di sangue cittadinoe desolate le nostre fertilicampagnefinì alla peggio di luiche fu bandito per tre anni lungi cinquantamiglia da' confini bresciani().

L'autorità temporale del vescovo da quel tempo si ridusse apocoe già si pensava a ridurla a niente().Arimanno nel 1116 fu deposto dal vescovatonel Concilio di Romada Pasquale II.Non si sa il perchèma sì può senza gran pericolo d'errore pensare chequesto vescovopieno di spirito mondano vedendo abbassata da' Brescianila sua temporale autorità sopra di essipensasse di riacquistarla col gettarsial partito dell'imperatore Arrigo Vche allora preponderava in Italia contra ilpapa Pasquale.

Villanosuo coadiutoretentò anch'egli invano di rialzarela signoria vescovile al tempo ch'ei reggeva la nostra chiesa in assenza delbandito vescovo Arimanno. Divenuto poscia vescovoforse fece nuovi attentati;ma non dovette riuscire con felicitàperchè nel 1132 il pontefice InnocenzioIIvenuto a Brescia in personalo cacciò dal vescovato: il che dimostraacreder mio che anch'egli come Arimanno impaziente divedersi col solo pastorale senza lo scettro si buttasse al partitodell'antipapa Anacleto che disputava il papato ad Innocenzioed avevain Italia il partito più forteed il favore di Corrado re d'Italia.

Al vescovo Villano venne dunque sostituito Maifredoche eragià suo coadiutore da undici anni e fu sospettato che co' suoi ufficipresso al papa Innocenzio avesse promosso la deposizione di Villanocomeaccerta l'abate Biemmi nella sua Continuazione della Storia di Brescia manoscritta;il quale fa ancora osservareche siccome Arimanno aveva per coadiutore Villanoe fu deposto nel 1116 e Villano avea per coadiutore Maifredoe fuparimente deposto nel 1132e il loro posto fu immantinente occupato da queiloro coadiutori si può ben credereche ciò bastantemente insegnasse a'vescovi che seguironoa non servirsi più di sì fatta coadiutoriaperchè daqui innanzi non veggonsi più nominati questi vescovi coadiutori. Maifredopertanto con non minore ardenza dei suoi predecessoridiedesi arialzare il prostrato edifizio della temporale signoria episcopale: e si puòcredere che a ristabilirla molto contribuisse il papa Innocenzioche alloratrovavasi in Brescia; perchè è assai credibile che Maifredo promettesse alpapa un inviolabile attaccamento a luied un efficace studio per mantenergliattaccata la cittàdi che il papa aveva estremo bisogno in quel tempo.Racconta lo stesso abate Biemmi nella citata continuazione della suaStoria ms. di Bresciaun fatto che ci può dare molto lume tra le tenebre ditanta antichità e in tanto disperdimento delle antiche carte. Doveva ilpapa Innocenzio aver deplorata la decadenza della disciplina ecclesiastica dellanostra cittàla quale aveva avuto l'infortunio d'essere stata governatasuccessivamente da quattro vescovi scismaticie morti scomunicatie poi dalvescovo-cardinal Arimannoe da Villanoche entrambisolleciti solo deltemporal principato non solo non si erano curati di ristabilire ladisciplinama l'avevano più che mai precipitata colle guerre e discordie chedestarono per conservarselo. Quindi non meno in Bresciache nelle altre cittàspecialmente di Lombardia regnava nel clero la simonia e l'incontinenzacogli altri abusi che ne sono la sequela. È assai verisimile che il papazelante raccomandasse a Maifredo vescovo-coadiutore di procurare vigorosamentela riforma; e che Maifredobramoso di salire sulla cattedra episcopalese nemostrasse non meno zelante del papaaccusasse Villano d'aver trascurato unaffare sì rilevantee promettesse al papache se fosse egli fatto vescovoradunerebbe un Sinodo diocesanoin cui la riforma sarebbe fatta nelle forme. Difattisalito sulla cattedra di Brescia e dato buon sesto alle cose sueper tutto l'anno seguente 1133radunò l'anno dipoi il Sinodoper quantoafferma l'ab. Biemmiin cui co' voti concordi del clero si vietò la simonia eil concubinatoe si fecero altri utili decreti. Può servir questo di gloria alclero Brescianoperchè si vede che tutto non era corrotto anzi lamaggior parte di esso detestava gli abusi e ne procurava l'estirpazione.

L'abate Biemmi ne attribuisce specialmente il merito aiparrochi di campagnae nominatamente ad Ambrogio parroco di Gardone inValtrompiae a Tostando parroco di Vestone in Valsabbia. Ma oquesta notizia non deriva da pure fontio almeno dee dirsi che Ambrogio fosseparroco della pieve d'Inzinoe non di Gardone; perchè Gardone èparrocchia nuovaassai di fresco smembrata dalla pieve d'Inzino. Per altro ècerto che nella città il disordine del concubinato pubblicoe portato finoalla sfacciataggine di palliarlo col nome di matrimonioera familiare specialmentealla nobiltà di quel tempo. Se i parrochi ancora concorsero nel Sinodo acondannare la simonia e l'incontinenzapuò ben presumersi che pensasserotrattarsi da Maifredo per cerimonia questo negozioe che non verrebbe mai dalleparole ai fatti per dare esecuzione ai decretipoichè non gli tornava a contol'irritare contro di sè le persone potenti di cui abbisognava per mantenersisul trono.

Ma il popolo bramava ardentemente la tanto necessaria riformadel cleroe perciò i consoli di quel tempo sollecitavano fortemente il vescovoMaifredo a dar esecuzione ai decreti del Sinodoe costringere i concubinarii adallontanar le concubine e i simoniaci a rinunziare le sagrilegamenteoccupate prebendeusando le pene canoniche ove non fruttassero le ammonizioni.Fosse pio zelo del vescovo Maifredofosse brama di mantenersi nella protezionedel papa Innocenziofosse paura di disgustare il popoloe di perdere non solla signoriama ancora il vescovatocom'era accaduto ai due suoi immediatipredecessoris'arrese alte istanze de' consolicon patto che l'assistesseronell'impresa colla forza dell'autorità civile che stava non men nelleloro che nelle sue mani.

Siccome per una parte il cancro del clero era invecchiatoedall'altra in que' tempi i vescovi non si curavano d'usare nè i rimedii dolcidella predicazione nè la forza piacevole dell'esempio d'una illibataosservanza dei santi canonima davan di mano subito ai rimedii acri dellecensure e della privazione dei benefizii (come abbiam veduto praticarsi daArimanno e da Villano col canonico Morando nel 1110();e forse nemmeno procedevasi colla debita esattezza dell'ordine e del processocome in quel caso appunto procedettero senza ordine alcuno que' due prelati); ilrimedio non solo fu inutilema rovinoso. I cherici dissolutich'esser dovevanoi più potenti della cittàdestarono una fiera sollevazione contra il vescovoe contra i consolideclamandocom'è credibileche il vescovo ed i consoliprocedessero tirannicamente; che violassero gli usi immemorabilmente tolleratinon solo in Brescia ma in tutta la Lombardia anzi in tutta laCristianità; che operassero non per vero zelo della disciplinapoichè ilvescovo era salito sulla cattedra per vie poco plausibili ma questi perfarsi merito a Roma a loro costoe quelli per avvilire e mortificare lanobiltà odiata dal popolo. Pertanto fu loro facile il tirare al lor partito nonsolo tutti i parenti loro e delle pretese lor moglima ancora i loro vassalliarimanni e dipendentie cacciare a furia dalla città e il vescovo e i consoli;come seguì secondo l'ab. Biemmi nell'anno susseguente 1135erilevasi dal Cronico Bresciano mandato da Bolognadove a quest'anno si nota: Consulesprimi ejecti sunt().

Il papa Innocenzio prese a cuore di ristabilir Maifredo eda questo effetto mandò a Brescia suo legato il cardinal Oberto in via lata;per mezzo del qualericomposte le cosefu dalla città spedito a Maifredoil conte Goizone da Martinengo per ricondurlo alla sua cattedra. Non si sa qualifossero gli articoli di questo accordo; ma sembrami assai verisimile che ledifficoltà incontrate dal vescovo Maifredo nel disgustare i nobili col tentarela riformaconsigliassero a lui di non più insistere su tal negoziomaabbandonando i dissoluticome incurabilialla propria coscienzaprocurarsiper tutte le vie la benevolenza de' grandi col favorire il loro partito. Iopenso che verisimilmente si spargessero allora i semi di quelle eterne discordietra la nobiltà e il popolo di Bresciache poi lacerarono funestamente labresciana repubblica; e che il vescovo Maifredoper istabilirsi nel principatodella cittàs'abbandonasse fin d'allora al partito dei nobili.

Tanto più acremente dunque il popolo che bramava lariforma del cleroopponevasi all'autorità temporale del vescovo Maifredo; e sipuò credere che nell'elezione de' nuovi consoli nei quali era ripostala somma della pubblica autoritàil popolo si studiasse di sollevare a quelposto quei due soggetti cui vedesse più ardentemente desiderare e ilristabilimento della disciplinae la perfetta libertà della patria; e che taliappunto fossero i due consoli Ribaldo e Persicoi quali si trovavano consolinell'anno 1139.

Arnaldoche ardeva di desiderio di veder riformata la Chiesadi Dioe ben conosceva quanto fosse contrario allo spiritoalle leggi edall'utilità della Chiesa questo principato che il vescovo Maifredo ambiva permezzi sì poco plausibilie in circostanze nelle quali l'estrema necessitàdella riforma esigeva un prelato libero da tutte le mondane occupazioni edinteressi per applicarvisi con tutto lo spirito e con tutte le forzeespecialmente che presentasse nella propria persona un modello compiutodell'osservanza dei santi canoni; disapprovò pubblicamente l'impresa delvescovo ed animò i consoli a resistervi. Il sentimento d'un uomo giàmontato in gran credito di dottrina e di pietàconfortò i due consoli nellaloro impresa. Essi lo confortarono a vicenda a farsi merito presso a Dio diprendervi parte con calore e colle sue prediche al popolo tirarlo tuttoal buon partito. Arnaldo non fu punto restio. Colle Scritture e coi canoni allamanomostrava al popolo che i vescovisiccome descritti in capo alla miliziadi Dionon debbono impacciarsi nè intrigarsi in faccende secolaresche; checome successori degli Apostoli debbono esserne gl'imitatorie direcomedicevano gli Apostolia chi li voglia aggravare di mondane sollecitudini: Nonè giusto che noi abbandoniamo la parola di Dio per servire alle mensecioèper procurare al popolo i temporali vantaggi: eleggete tra voi degli uominicapaci di tale ufizioe noi ci applicheremo con istanza alle funzioni santeedal ministero della parola divina. Siccome Arnaldo era eloquenteperconfessione de' suoi medesimi avversariied era in reputazione d'uomo erudito edi santa vitagran parte del popolo entrò ne' suoi sentimentie così ilpartito dell'opposizione contra il vescovo Maifredo divenne assai potente.

Non istette Maifredo colle mani alla cintola. Seppe stringerea sè più che mai i nobilicosì ecclesiastici come secolarimostrando adessi che il vescovado di Brescia era un benefizio destinato ai nobilieche passando da una in altra famiglia col tempo ad una ad una leillustrava tutte collo splendore non solamente della mitra episcopale maancora dello scettro; che si toglieva in conseguenza all'ordine nobile quantotoglievasi al vescovo. Seppe rappresentareche il vescovo principe della suacittà avrebbe sempre favorito i nobili dell'impiego delle cariche dellarepubblica e della Chiesaed esclusone i plebei: laddove trionfando in questoaffare la plebenemica naturalmente de' nobiliessi verrebbero villanamentesprezzatie ributtati da tutti gl'impieghi civili ed ecclesiastici. Fece ancheapprender loro che la plebeabbandonata ai consigli d'Arnaldo uomo diseveri costumi e uno zelo indiscretoavrebbe dimandata ad alta voce la generaleriforma di tutto il clero per lo che una gran parte de' benefiziatisarebbero stati privati de' loro benefizii col pretesto della simonia odell'incontinenzae ridotti colle loro famiglie all'obbrobrio ed allamendicità; e che quei medesimi che rimanessero in possesso delle loro chieseverrebbero ridotti a contentarsi d'una porzione assai tenue delle lororendite assegnate pel loro sostentamento ristretto alla misura assai rigidadell'antica severità dei canoni. Seppe spargere questa non insussistenteapprensione ancora in quei monasteri nei quali il possesso di regi feudie di grandi ricchezzee l'usurpazione delle parrocchie e delle decime l'eccessodel lusso e della mollezza e l'ingiusta detenzione della gran parte deiloro prodotti dovuti ai poverinon somministravano poca materia alla riforma daArnaldo bramata.

Quindi non solo il vescovo e i nobili cosìecclesiastici come secolarima tutto il clerogli abati ed i monacisi confederarono per far fronte ad Arnaldo ed alla sua fazionesostenendoal popolo tutto il contrario di ciò che Arnaldo insegnava. Arnaldopermostrare al popolo come le voci de' suoi avversarii partivano non da amore dellaverità e della disciplinama da quello dell'interesse loro in gravepregiudizio spirituale e temporale del popolo medesimogli mostrò quantoingiustamente i cherici ed i monaci riputassero suoi proprii i beni dellechieseper autorizzarsi a spenderne i prodotti in lussoin golosità ed in usipeggiorie fino a dilapidarne i fondi che formano il patrimonio de' poveri;quandocome semplici dispensatori non possono trarne per sè che ilnecessario onesto sostentamento e suppliti col rimanente i bisogni dellareligionedistribuirne fedelmente l'avanzo ai poverelli. Mostrò la necessitàdella riforma del clero e de' monacirilevando col confronto de' canoni antichil'orrore e la moltitudine de' moderni abusi; e mostratane la necessità purtroppo evidentefece osservare come indarno ella speravasi da vescovi rivestitidell'autorità regiach'essendo i primi a violare in materia gravissima i sacricanonio non la tenterebbono maio la tenterebbero senza successoperchè ilclerogli abati ed i monaci lor direbbero: Medicecura te ipsum; cheanzicome già faceva il vescovo presentetutti i di lui successoriperconservarsi la signoria ed evitare la propria riformasarebbero sempre i capidel partito dell'opposizione alla riforma stessa: e che per questo fine anchesolo era spediente e necessario il non lasciare impadronirsi il vescovodella regia autoritàma il ritenerla o il ricuperarla per farne uso come dimezzo in queste circostanze unico ed efficaceposto da Dio in mano delpopoloper salvare la sua Chiesa: chequando la repubblica possa e voglia faruso di un tal potere da Dio compartitole la riforma era facile e pronta;perchè bastava incamerarecome dicesi tutti i beni ecclesiasticicommetterne l'amministrazione a persone secolari da lei deputate aquest'uffizio che somministrassero a' cherici ed a' monaci il lorocongruo sostentamento e non più determinato a tenore de' canoni edistribuissero il rimanente alli altri usi della religioneed al sollievo de'poveri. Così rimarrebbe regolato l'uso delle ecclesiastiche rendite salvatii fondicorretto il lusso e la golosità; e così sarebbe tolta la simonia e ilconcubinatocoll'escludere dalla partecipazione di quelle rendite i simoniaci ei concubinarii.

La causa trattata da Arnaldo era troppo plausibile e grata alpopolo per non essere da lui con ambe le braccia accolta; ma similmentel'interesse e l'abilità del vescovodel clerode' monaci e de' nobilieratroppo grande per non farvi un contrasto terribile. Dove le ragioni nonvalevano si ricorse all'armi; e la città nostranell'anno 1138 a nelseguente 1139trovossi involta in una agitazione spaventosa.

II partito degli ecclesiastici era forse per soccombere seun impensato accidente non faceva cangiar faccia all'affare. Nella primavera diquest'anno 1139 il pontefice Innocenzio II tenne in Roma il granConcilio di Lateranoa cui furono chiamati tutti i vescovi e gli abatiche visi raccolsero fino al numero di mille. Vi andòpertantoanche il nostrovescovo Maifredo e i nostri abati. Non poteva loro presentarsi più opportunaoccasione per muovere contro di Arnaldo non solamente il papa e tutta la romanaCuriama tutti i vescovi e gli abati del mondo egualmente interessaticon loro in questa causa comunee seppellirlo sotto gli anatemi di tutta laChiesaraccolta in un general Concilio sì numeroso. Concertarono dunque traloro Maifredo e gli abatila querela da porgersi al papae lapresentarono a luiconceputa nei termini più energici ed efficaci. I moderniscrittori sono d'accordo che Arnaldo fosse condannato come eretico in quelConcilioe che la sua condanna contengasi nel canone XXIIIin cui veggonsicondannate le eresie più mostruose de' Catari e de' Petrobusiani. E se questofosseconverrebbe di necessità convincere il vescovo Maifredo e gli abati dinera calunniaperchè la dottrina d'Arnaldodescrittaci anchesvantaggiosamente da Ottone di Frisinga vescovo e da Guntero monacotrovasi lontanissima da quegli errori. Ma san Bernardo ci assicura che Arnaldovi fu accusato non di eresiama di scismabensì poi d'uno scisma pessimo; ecosì vedesiche i nostri scrittori moderni prendono in ciò uno sbagliovisibile e che perciò nemmeno è vero che il canone XXIII di quelConcilio riguardi Arnaldoe che vi sia stato condannato di eresie orribili.

Può essereper altroche Maifredo e gli abatii qualiritornati da quel Concilio a Bresciacacciarono Arnaldo e i due consoli suoifautoricome ereticidalla città avessero tutta la volontàd'accusarlo come eretico al papa ed al Concilioe che forse la loro accusatendesse a questo scopo; ma ciò mostrerebbe che il papa non trovò fondamentobastevole per simile accusa e che fu necessario ristringerla alla soladenunzia di scisma: e più che mai ne risulterebbeche il canone XXIII nonriguarda Arnaldo. Non si sa nemmeno se l'accusa fosse portata anche al Concilioo se restasse presso al papa solo. Ottone di Frisinga sembra dire che l'accusafu portata al Conciliocon queste parole: In magno Concilio RomæsubInnocentio habitoab episcopo civitatis illiusvirisque religiosis accusatur. Masan Bernardo dice solamente: accusatus est apud dominum papam schismatepessimo. Comunque sial'accusa almeno accettata dal papa o dal Concilio nonfu d'eresiama solo di scisma. Lo scisma poi perattestato d'Ottoneconsisteva nella dottrina insegnata da Arnaldoed espostacida Ottone nel medesimo luogo. Questo fu considerato per uno scisma pessimoinquanto che Arnaldo non solo non concedeva agli ecclesiastici la superiorità daloro pretesa sopra il temporale de' principima accordava a' principi una pienaautorità sopra i beni ecclesiastici per regolarne l'uso a tenore de' canoni.San Bernardo dice che Roma ebbe orrore di questa dottrina d'Arnaldoe d'Arnaldomedesimo che l'insegnava().La cosa era naturale. Essa dottrina tendeva a rovinare i fondamenti dellagrandezza di quella corteche consistevano nella dottrina contrariala qualecostituisce il papa signor temporale di tutto il mondo. Anche il restante delladottrina d'Arnaldo dovea mettere in apprensione quella corte la qualenon trovava minore ostacolo al suo principato ne' suoi Romani di quelche trovasse ne' nostri Bresciani il vescovo Maifredo. È perciò notabilechesan Bernardo non attribuisce questo orrore al concilioma a Roma sola. Pareche se tutto il Concilio avessene mostrato un orror similesan Bernardo avrebbedetto non Romama orbis exhorruit.

DunqueMaifredo vescovo e gli abati rimasero delusi dellasperanza che avevano di far dichiarare eretico Arnaldo dal papa e dal Concilio;il che sarebbe stato di grand'uso a loro per cacciarlo da Brescia co' suoifautori e trionfar della nemica fazione. Per non ritornar nondimeno aBrescia colle mani vuote eglino implorarono dal papa un decreto di bandocontro di lui. Pare che Ottone di Frisinga dica che non ottennero nemmen questoma solo un ordine che intimasse silenzio ad Arnaldo().Fece nondimeno quest'ordine lo stesso effetto. Il vescovo Maifredoa cui eraintimato l'ordine d'imporre silenzio ad Arnaldonon fu tardo ad eseguirlo tostoche fu ritornato a Brescia. Radunato come può credersiil cleroinobili ed i monacipubblicò l'ordine ricevuto dal papa; esagerò l'orrore concui la dottrina d'Arnaldo era stata sentita in Roma; procurò di mostrarnel'affinità colla dottrina de' Cataricondannata nel canone XXIII di quelConcilio; ordinò che in tutte le chiese fosse proclamato per ereticoo almengravemente sospetto d'eresia; e che si eccitassero i fedeli a liberar per semprela città da questo velenodiscacciandolo coi suoi fautori.

Il popolonaturalmente religiosoignorante e volubileabbandonò in gran parte il partito d'Arnaldo. I nobili presero l'ascendentesopra una fazione così indebolitae prese l'armi cacciarono dallacittà come eretici ed ipocriti Ribaldo e Persico i dueconsoli primarii con tutti i loro aderenti. Arnaldo fuggì da Bresciaenon tenendosi in alcun luogo d'Italia sicuropassò in Zurigo negli Svizzeri.Questo pare che voglia esprimere san Bernardo scrivendo che fucacciato dal natio suoloe che fu costretto a promettere di non più ritornarein patriase non con licenza del papa; e che il vigore apostolico hasforzato l'uomo nativo d'Italia a passar l'Alpie non gli permette dirimpatriare().Di qui si vede che il vescovo Maifredo ragguagliò il papa d'aver eseguitol'ordine suointimando silenzio ad Arnaldo; d'averlo trovato ben lontano dalprestarvi la debita ubbidienzae di averlo perciò cacciato dalla cittàcoll'aiuto de' nobili attaccati al partito della Curia romana: e che lo pregòdi confermare il fatto e di proibire per sempre a lui il ritorno in Italia. Ilpapa approvò la cacciata; e quanto al ritornooperò per mezzo de' suoi nunziiin quelle partiche promettesse di non ritornarese non con licenza di SuaBeatitudine.

È però da osservare in tutto questo negozio chenulla seguì d'onde legittimamente venga pregiudicato alla di lui fama. Laquerela contro di Arnaldo portata al papae se vuolsi anche al Conciliononaveva altro fondamento che il vescovo e gli abatich'erano insieme accusatoritestimoni e parte; Arnaldo non era presente a difendersinè fu citato alladifesa. Il decretodunquedel papa è privo della debita legalità. Non fumeno irregolare l'esecuzione del decreto. Esso non portava se non l'intimazionedel silenzioeseguita la qualeove non sortisse l'effettorichiedevasi unnuovo decreto per passare ad una espulsione violenta; e quest'ordine futrascurato. L'accusa non era stata d'eresiama solo di scisma; e il vescovocacciò Arnaldoe i due consoli primariiRibaldo e Persiconon comescismaticima come eretici ed ipocriti. Così lo racconta il Malvezzi nel suoCronico al cap. 54nel tomo XIV Scriptor. Rerum Italicarum delMuratoricon queste parole: Duo consules hæretici a consulatu Brixiædepositi… Rebaldus et Persicus viri hypocritæ et hæreticiqui eoanno consulatum regebanta militibus catholicis a Brixiana civitate cum suissequacibus expulsi sunt. Ognuno sa poiche nel linguaggio di quell'etàcon quel vocabolo militibus vengono indicati i nobilicon pocoonore della nostra cittàquasi che tutto il cattolicismo di essa fosse ridottone' soli nobili.

San Bernardo e Guntero ci raccontano che Arnaldo colle sueprediche pose in rivolta contra il clero non solamente Bresciama ancora altrecittà().Non solo io non so determinare che città queste fossero ma nemmeno inqual tempo ciò succedesse. Bisogna però che ciò sia avvenuto prima delConcilio di Sens. Gli affari ivi trattatie il suo ritiro da quel regnoe ilsuo viaggio e stabilimento a Zurigolasciano poco spazio di tempo percollocarvi queste rivolte. Parmi probabile che ciò seguisse l'anno antecedentein tempo che per la celebrazione del Concilio di Laterano i vescovi delle vicinecittà lombarde trovavansi dalle loro sedi lontani. Benchè quel Concilio fossedi breve duratapoichè incominciò al principio d'aprile e terminò verso lafine del mesetuttavia tra l'andata e il ritorno de' vescovi scorre spaziobastevoleperchè Arnaldo o invitatovi dai capi delle fazioniche per tuttoregnavano non meno che in Bresciao di spontaneo motofacesse delle scorrerieper le città lombarde per promovervi col fatto quella riforma delcleroche nel Concilio di Roma o non sarebbesi promossa o lo sarebbesenza frutto come mostravalo l'esperienza di tanti precedenti Concili.Può essere ancorache in quest'anno medesimo dopo che fu cacciato da Bresciasi ricoverasse in altre città vicineprima di uscire d'Italiae non potendofrenare il suo zelo vi destasse i medesimi tumulti; finchèpassando diuna in altra città e non vedendosi in Italia sicurosi risolvesse in fine apassare l'Alpi.

Ottone e Guntero raccontano ch'ei ritirossi a Zurigocittàdegli Svizzerie che qui pureassunto il carico di predicatorevi sparse perqualche tempo la sua dottrina. Guntero ci assicura che in breve la infettòtutta del suo errore sì fattamenteche ancora al suo tempo i figliuoliconservavano il gusto della dottrina assaporata da' padri loro. Ciò nondimenosembra difficile a conciliare con ciò che ne scrive l'anno seguente sanBernardo al vescovo di Costanzaalla cui diocesi è appartenente Zurigo. Nonsembra credibile che una sì gran commozione del popolo di Zurigo restasseignota per tutto quell'anno al suo vescovo: eppure noi leggiamo in quellaletterache il Santo Abate ne scrive a lui come di una persona incognita almedesimoe non gli espone i mali già fatti da Arnaldo in quella città mail pericolo che ve li facesse. Inclinodunquea credere che Arnaldo nonandasse dirittamente a Zurigo quando si partì d'Italia ma perallora si ricoverasse altrove; e vi si annidasse poi l'anno seguente quandoritirar si dovette di Francia: con che facilmente possono conciliarsi OttoneGuntero e san Bernardo. Ciò che insegnasse in Zurigoe con qual successo indarnosi cercherebbenon trovandosi scritto.

Comunque sial'anno seguente 1140 Arnaldo andò inFranciachiamatovi dal suo maestro Pietro Abailardo. Questi doveva presentarsial Concilio di Sens per difendervi la sua dottrinaaccusata d'eretica daGuglielmo abate di San Teodoricoe per suo mezzo da Goffredo vescovo diChartres e da san Bernardo. Temeva l'Abailardo sopra tutto la dottrinal'acumeil credito di san Bernardo. Perciò chiamò in sua difesa da tutte le parti isuoi scolari più abilie tra gli altri anche il nostro Arnaldo. Questi viandòe comparve al Concilio col suo maestroe con una moltitudine de'discepoli di lui. Fu questa una prova solenne della sua abilità nelle disputeteologiche; poichè in tanta turba di discepoli di Abailardoniuno eguagliònemmen da lungi il suo coraggio la sua eloquenza e la sua dialettica.Degli altri discepoli nessuno è nominato e tutti rimangonsi nell'oblivione;non è cosi d'Arnaldo il qualecome l'armigero del nuovo Goliachè così chiama san Bernardo l'Abailardodifendevasiccome egliraccontatutte le Proposizioni di luicon lui e più di lui().

Cattivo esito ebbe per l'Abailardo la sua causa in quelConcilio. I vescovi e gli altri ecclesiastici mostravano apertamente d'essereper condannarlo; ond'egliaffine di prevenire la sua condanna appellòda quel Concilio alla Santa Sede sperando fortuna maggiore in Romadoveaveva cardinali e prelati stati suoi discepoli. Giovò questo a lui per impedireche nella sentenza del Sinodo fosse proscritto il suo nome ma nonimpedì che fosse dannata la sua dottrina contenuta in diciannove Proposizioniestratte da' suoi libri. I Padri giudicarono spediente il condannarle nonostante l'appellazioneper impedire il progresso che potea fare la suadottrina.

Questo gettò anche Arnaldo in nuovi travagli. San Bernardoche aveva già di lui pessime impressioni sul racconto a lui fatto dagliecclesiastici di quanto egli aveva operato in Italiaper cui già lo tenea perun pessimo scismaticovedendo ora l'ardore con cui difendeva i capitoli del suomaestroch'egli considerava per eretici lo giudicò anche eretico. Ecome il suo zelo era grandequal esser suole nei santiscrisse al papaInnocenzio con tutta la forzanon solamente contro l'Abailardo autore di quelladottrinama ancor contra Arnaldo suo difensore nel Concilio le duelettere 189 e 330 quando i Padri nelle loro Lettere Sinodiche 190 e 337non l'avevano tocco nè punto nè poco: e laddove i medesimi Padri circa ilrimedio da apprestarsi alle insorte novità si rimettevano alla prudenza delpapae nella lettera 190 e nella 337dettata dallo stesso san Bernardosupplicavano solamente che fosse da lui approvata la condanna che il Sinodoaveva fatto delle proposizioni dell'Abailardoe fosse proposta la giusta pena achiunque ostinatamente le difendessee lo consigliavano ad imporre silenzio adAbailardovietandogli la scuola e il pubblicar libri ed a proibire isuoi libri già scritti; lo zelo del Santo Abate passò oltre a consigliare alpapa di far imprigionare ed Abailardo ed Arnaldo.

II papa condiscese in tutto a san Bernardoe spedì a' 15 diluglio una lettera brevema fulminantea' due arcivescovi di Reims e di Sensed a san Bernardocon cui ordinava che Abailardo e Arnaldo fossero rinchiusiseparati l'un dall'altro in luoghi religiosi dove fosse creduto meglioe fossero abbruciati i libri contenenti la dannata dottrina().

San Bernardo non fu negligente nel pubblicare la letterapontificia al Colloquio di Parigicome aveva ordinato il papae nelsollecitarne l'esecuzione. Volarono subitodice Bernardo di Poitierslecopie di quell'apostolica lettera per la Chiesa di Francia().Macome se ne lamenta san Bernardo()il suo zelo non fu secondatoe non si trovò in Francia chi facesse questobene d'imprigionare nè Abailardo nè Arnaldo. Tutto al contrariosì l'uno chel'altro trovarono benigno ricovero presso a persone di qualità grande e digran senno. L'Abailardo venne ricoverato dal venerabile Pietro abate diClugnì nel suo monistero che lo riconciliò ben presto e col papaInnocenzio e con san Bernardo medesimo; il quale in una pacifica conferenza dalvenerabile Pietro concertata tra l'Abailardo e lui in presenzadell'abate di Cistercio lo ritrovò d'animo cattolicissimoe udìspiegarsi la maggior parte delle sue Proposizioni in cattolico sensoe lealtreche nol soffrivanorigettar con prontezza e con piena sommessione algiudizio della Chiesa. Era allora l'Abailardo in età di sessantun annoe vissedue altri anni sotto l'ubbedienza del Ven. abate Pietro con somma edificazioneornato dopo la sua morte di magnifici elogi di pietà e di dottrina dallo stessoVenerabile abate.

Quanto ad Arnaldoessendo egli forestiero e senza appoggioin Francia dovette partirsene e ritirarsi altrove; onde san Bernardoscrive che ne fu cacciato().San Bernardo tenne per certo che si fosse ritirato nella diocesi di Costanzacom'ei ne scrive a quel vescovo; e fuper avventuraallora ch'egliannidossi per la prima volta in Zurigo. Perciò lo zelo del santo Abate lospinse a scriverne con molta forza a quel prelatoperchè di là lo cacciassesollecitamente o piuttosto lo imprigionassecome aveva comandato ilpapa. Sembra ancora che la casa ove si era stabilito fosse quella delcardinale Guido da Castello legato apostolicochè anche a quelcardinale scrive san Bernardo la lettera seguente allo stesso fine: ed è unaforte conghiettura di ciò il sapere che il cardinale Guido era stato discepolodi Abailardoe perciò condiscepolo di Arnaldo. Dovevadunqueil cardinalGuido essere allora Legato in Germania a cui apparteneva alloral'Elvezia; e non in Franciacome ha pensato un dottissimo scrittor moderno():perchè san Bernardo scrive al cardinaleche Arnaldo era già stato cacciato diFrancia. È vero che non asserisce di certo che Arnaldo si ritrovasse in casasua; ma si può pensare che il Santo Abate prendesse questa dilicata maniera discriverecome si usa colle persone grandiperchè la sua esortazione nonprendesse un'aria di riprensione e producesse contrario effetto.

Cosa ottenesse il sant'uomo con queste letterenon è noto.È assai probabile che non ottenesse niente di più di quello che avesseottenuto la lettera del papa Innocenzio. Di Arnaldo non si legge più unasillaba da quest'anno 1140 sino al 1145in cui passò a Roma; il che dimostrache per questi cinque anni egli rimase in quiete. E parmi verisimile che ilcardinale Guido il quale ben conosceva Arnaldo stato suocondiscepolo non men di quello che il Venerabile Pietro abate di Clugnìconoscesse l'Abailardogli prestasse gli stessi amorevoli uffici epersuaso del cattolico di lui cuorelo inducesse colle buone a disapprovaretutti quegli articoli del suo maestro che aveva disapprovati lo stessoAbailardo e tutti i cattivi sensi che davansi a quelle proposizioni; eche ciò fattoimpetrasse a lui dal papa Innocenzio quella quieteche ilVenerabile Pietro aveva impetrato all'Abailardo().Niente poi era più facileche indurre Arnaldo a ritrattare li errori del suomaestro. Arnaldo non era l'autore di quegli articoli e dovea senzadubbio avere assai minor difficoltà a ritrattarli di quel che ne avessel'Abailardo. Non li aveva Arnaldo difesi che in qualità d'avvocato del suomaestro al tribunale del Concilio di Sens: e si sa che gli avvocati sostengonocon calore nell'atto della causa ciò che eglino medesimi dipoi confessano nonessere gran fatto sussistente: e lo stesso amore e concetto del suo maestro chelo aveva invitato e indotto a difenderlo nel Conciliodovevalo indurre adimitarlo nella rassegnazione al parer de' più saggi. Ma ciò che più d'ognialtra cosa rendeva il negozio di piena riuscita si è che leproposizioni dell'Abailardo non erano appunto del genio d'Arnaldo. Assai diversierano i loro temperamenti. Il genio dell'Abailardo era dialettico e sottileportato per le quistioni specolativech'erano della moda del suo tempo dipoca o nessuna utilità alla pratica e sovente poco intelligibili aglistessi disputanti. La sua profana letteratura lo faceva gustare delle sentenzede' filosofi più ancora che della dottrina dei Padricome gli rimprovera sanBernardo; e parlare col linguaggio de' Gentili più tosto che con quello dellaTradizione. Arnaldo tutto al contrario aveva sortito un'indole solida e maschiache lo portava al massiccioall'utile ed al pratico: il suo zelo per ladisciplina della Chiesa lo faceva ardere e avvampare di desiderio di rialzarladalla postrazione miserabile in cui giacevae il suo studio per questo eraquello del Vangelodelle Apostoliche Letterede' canoni e de' Padri; el'impegno che aveva preso per un oggetto di tanta importanzae le persecuzioniche soffriva per la causa di Dioaccendevano a più doppi il suo fervore. Nulladunque era più facile che far mettere in dimenticanza i sottili articoli delsuo maestro Abailardoe l'accidentaria difesa chesolo per favorire ilmaestrone aveva intrapresa al Concilio di Sens.

Sia come si voglia non rimane memoria alcuna cheArnaldo avesse più per conto della dottrina dell'Abailardo travaglio o molestiadi sorte. San Bernardo stessoche pur sopravvisse tredici anni a quellacontroversiaessendo morto nell'anno 1153 a' 20 d'agostonon lo nomina maipiù; benchè il Santo Abate avesse sì frequenti occasioni di parlarne in tantelettere scritte dipoi a' papi successori d'Innocenzioe massimamente al suoEugenio IIIed ai cardinali e prelati della Chiesa Romana; ed Arnaldofissatosi in Roma dal 1145 fino al 1155 in cui morìne dèsse si strepitoseoccasioni. Una volta sola lo nomina nella lettera 298 al papa Eugeniol'anno1151 sei anni dopo che Eugenio era travagliato da Arnaldo per contodella temporale signoriae in una circostanza talein cui dovevase credutol'avesse ereticoaguzzare più che mai la sua penna: tutto al contrariologiudica vie men colpevole assai di frate Niccolò suo segretariodellainfedeltà di cui nell'uffizio di segretario e d'alcuni altri moralidifettisi duole col papa.

Godette dunque Arnaldo perfetta quiete dall'anno 1140 fino al1145e sotto il pontificato d'Innocenzio IIche morì a' 24 di settembre del1143; e ne' brevi pontificati di Celestino IIch'era stato il cardinale Guidoda Castello suo amico e protettoremorto a' 9 di marzo del 1144; e diLucio IIche morì a' 13 febbraio del 1145. Non si sa nè che si facessenèdove dimorasse in questo tempo. Sembra credibile che abbia potutovolendoritornare in Italiao dopo la sua riconciliazione col papa Innocenzioo almenonel pontificato di Celestinosuo amorevole. Ma sembra altresì verisimilechenon abbia voluto ritornare a Brescia sua patriadove Maifredo suo nemico eraancora vescovo e principee d'onde erano sbanditi tutti i suoi partigiani ela fazione nemica era dominante e piena d'odio antico. Nel Cronico Bresciano pubblicatodall'abate Carlo Doneda() all'anno 1145sta scritto: Ribaldus etPersicus capti a militibus Brix.; ed all'anno 1153: Manfredus Episcopus (sisupplisca) obiit. Castrum Montis Rotundi destructumubi Arnaldus suspensusfuit. Il chiarissimo signor arciprete dottor D. Baldassare Zamboniin unalettera ad un suo amico del primo d'agosto del 1784dice che gli pared'aver letto sugli Storici Brescianiche i fuorusciti si fossero ritirati inMonte Rotondo (castello del Bresciano). Il Capriolicitato dal signor abateDoneda nella annot. 10 al detto Cronicodice che la Rocca fudistrutta perchè la guarnigione attendeva alla ruba. Ciò non contraddiceal detto di sopra perchè i fuorusciti non potevano vivere altrimentinon essendo liberi nè all'agricoltura nè al commercio. Da ciò si vede cheil vescovo Maifredo perseverò nella signoriae nella persecuzione contra lafazione contrariasino alla morteaccaduta appunto in quest'anno 1155; e chel'anno 1145 fu fatale alla fazione d'Arnaldo per la presa fatta de' due consoliprimari Ribaldo e Persicosuoi fautori.

Morto Lucio IIsommo ponteficed'un colpo di sassolanciatogli contra da' Romanimentr'egli con una banda d'armati volle assalirliin Campidoglio ove trovavansi raccolti per deliberare dell'elezione diGiordano in patrizioo sia Capo del Senato Romano; fu due giorni di poicioèa' 27 di febbraioda' cardinali eletto papa Eugenio III allora abate diSant'Anastasio ed allievo di san Bernardo. Già da lungo tempo erasi inRoma formata una fazione di repubblicisti non meno che nelle cittàlombarde e toscanela qualecontenta di confessare l'alto dominiodell'imperatore sopra Romanon s'acquietava di riconoscere il papa per suosignor temporale e molto meno per suo assoluto sovrano come ipapi pretendevano. Per questooltre i consoliavevano ristabilito il Senatodi cui si veggonocome osserva il Muratorichiari vestigi fin da' tempi diCarlomagnoe ch'era poi stato dai papi abbattuto: aveano inoltre creatoultimamente un Patrizioo sia Capo di questo Senato; e per la rotta data alpapa Lucioe la sua morte indi seguita vedevansi in una chiarasuperiorità di forze. Anche in tempo del papa Lucio aveano già atterrate moltecase fortificate e torri da guerra de' cardinali e de' nobili del contrariopartito ed alcune altre riserbate ad uso proprio e cacciati dicittà vari personaggi di quella fazione: di che ne scrissero a Corrado re de'Romani professando d'averlo fatto in suo servigio contra i ribelli diSua Maestàe spezialmente contro del papa Luciodel quale scoprono al reCorrado la lega fatta contro di Corrado stesso col re di Sicilia eimplorano la sua assistenza.

Vedendoadunque eletto da' cardinaliclandestinamente senza il consenso del clero e del popolonè l'assensodel reil papa Eugenio gli fecero intendere che avrebbero fattaannullare la sua elezione se non confermava il Senato stabilito el'elezione del Patrizioe non rinunziava al temporale governo di Roma. EugenioIIIben lontano dal contentarli uscì di Roma di notte con alcunicardinali e ritirossi con loro in Monticello; e il giorno seguente contutti i cardinali si trasferì a Farfa dove il dì seguente 18 febbraiofu consacrato. Essendosi poi condotto nelle piazze forti dello Stato Romano diedeprincipio a far la guerra contra i Romani suoi spirituali figliuolichelo volevano pastorenon principeaffine di sostenere il suo temporalprincipato: la qual guerra durò per tutto il tempo del suo pontificato chefu di otto anni e quattro mesie continuò poi sotto alcuni ancora dei suoisuccessori.

Arnaldosul principio del pontificato d'Eugeniosi condussea Roma per caldeggiare la fazione de' Romani che contrastavano al papa latemporale signoria. Ed è probabile che vi fosse chiamato da alcuno dei Romanistessi affinchè colla sua eloquenzacolla sua dottrina e col creditodella sua vita esemplareben diversa da quella di alcuni cardinali e prelati diquella cortetirasse tutto il popolo al loro partito; poichè è certo che ciòtornava molto in acconcio de' fatti loro e che Arnaldo aveva in Roma nonpochi conosciutiche erano stati con lui discepoli di Pietro Abailardo inFrancia. Egli è probabile ancora che vi fosse trasportato dal proprio zelo:perchèconsiderando egli per una corruttela capitale della disciplina ilvolersi i vescovi intricare nelle cure secolari del principato emassimamente il volersi in esso mantenere a dispetto de' popoli cheformavano il loro greggee con la guerrasterminio e spargimento del sangueloro; dovea naturalmente desiderare di veder guarita la Chiesa da questa piagamortale nel Capo di essada cui si diffondee coll'esempio e colla dottrina ecoll'autorità il male per tutto il corpo; ed esser lieto che lecircostanze presenti di Roma ne presentassero a lui una occasioneche lolusingava della guarigione intiera.

Vi si trasferì dunque e colle sue prediche accrebbedi molto il partito repubblicano. Vi insegnava apertamenteche convenivariconoscere tutta la spirituale autorità del papa: ch'egli era il primo pastoredella Cristianità e il giudice delle cause ecclesiastiche; ma che tuttala sua autorità ristringevasi all'uffizio di pastor della Chiesa: che la curadi tutte le Chiese del mondo ben lo forniva di tante sollecitudini (massimamentein tempo in cuiessendo cresciuti smisuratamente gli abusiv'era tanto datravagliare per isvellere e distruggeredisperdere e dissipare le pessimeusanzeed edificare e piantare di nuovo l'osservanza salutare de' santicanoni); che il papa ben poteva contentarsenesenza addossarsi ancora il pesodel governo temporale e terrenodi cui l'alta ispezione doveva rilasciare congioia al re ed imperator de' Romani suo sovrano; e l'immediata amministrazioneal senato ed al popolo romanoche non solamente se ne incaricavano senzacontrasto ma lo esigevano coll'armi alla mano. Esortavapertantoilsenato ed il popolo a rimaner saldi nella loro impresa ed a sostenerqualunque travaglio in una causa che riguardava non solo i loro temporalivantaggima il servizio di Dio e il bene della Chiesanon pur di Romama ditutta la Cristianità. A tal fine li confortava non solo a tener saldo ilsenatoma a rimettere in piedi tutte le antiche costumanze della romanarepubblical'ordine equestre ed il plebeoil Campidoglio e le antiche leggi.

Ottone di Frisinga e Guntero lo aggravano d'aver indotto ilpopolo di Roma e ad abbattere gli splendidi palagi dei cardinali e de' nobili diRoma e ad offendere le loro persone; ma in ciò lo aggravanoindebitamente; perchè tutto ciò avvenne a' tempi di papa Lucioprima cheArnaldo andasse a Roma; e i Romani scrivononella lettera al re Corradod'averlo fatto fin d'allora; ed oltre a ciòquelle case erano ridotte amaniera di fortezze e ad uso di guerra; onde la ragion della guerra voleva chesi espugnassero le fortezze nemiche e si offendessero le persone che ledifendevano.

Gli venne ancora attribuitonella lettera del clero romanoal papa Eugenio allora dimorante in Brescia e in quella dello stessoclero ad Adriano IV allora dimorante in Beneventoche avesse sottratto partedel clero e del popolo all'ubbidienza dovuta agli arcipreti-cardinali dellechiese matrici e vi si colorisce tutto ciò della nera tinta di scisma.Nulla di più ingiusto e di più frivolo. Quando Adriano scrisse la lettera dirisposta da Benevento al clero di RomaArnaldo era già mortoperchè quelpapa non passò a Benevento se non dopo avere spuntata la morte di Arnaldo; eperciò qualunque cosa fosse quello scismaArnaldo non ne era l'autore. Questoscisma in sostanza non era altrose non che il clero ed il popolo di qualunquedelle chiese filiali ricusava di andaregiusta il consuetoalle funzioni dellachiesa matrice: cosa che noi veggiamo oggidì andata in disusonon per altroche per la continua natural ripugnanza che hanno sempre avuto i popoli diandarvinon istigati da altrettanti Arnaldima ritenuti da naturale spiritod'indipendenzadall'abborrimento dell'incomodo di condursi ad una chiesalontanae da particolari disgusti o litigii col piovano della matrice. In unacittà poi cotanto divisa da contrarie fazioni quanto in quel tempo eraRomanulla era più naturale di quel che il clero e il popolo d'una fazionevedesse di mal occhio l'arciprete-cardinale che fosse dichiarato per la fazioncontraria; e perciò essendo usato a fare le sue funzioni d'ordinario nellapropria chiesa filialericusasse d'andare nei consueti giorni alla chiesamatrice. È ben certo che Arnaldo non attaccava punto gli spirituali dirittidelle chiese; anzi non per altro attentava alla temporale signoria degliecclesiasticise non perchè eglino fossero più attenti alle spiritualiincumbenze: e perciò queste novità non pure non erano secondoma erano contrale sue intenzioni.

Arnaldo rimase in Roma per tutto il tempo del papa Eugenioil quale al contrario potè pochissimo tempo dimorare in Romae sol verso ilfine della sua vita vi si stabilìdopo aver coi Romani fatto un accordopercui lasciava sussistere il senato. Sebbene conservò il pensier d'abolirlo eda questo oggetto si pose con tanto studio ad accarezzare il popolo con limosinee benefiziicheper attestato di Romoaldo Salernitanose la morte nol rapivaintempestivamente a' suoi disegniavrebbe spuntato col favor del popolo stessodi spogliar della loro dignità i senatori. Morì Eugenio III a' 7 di luglio del1153a cui dopo due giorni fu sostituito Anastasio IVche mori a' 2 didecembre dell'anno stesso 1153e nel dì seguente gli fu sostituito Adriano IV.

Adrianonon men desideroso che Eugenio di ricuperare esostenere la sua sovranitàpensò di giungervi col togliere da Roma ed anchedal mondo la persona di Arnaldo che fomentava la fazione a sècontraria. Lo scomunicò dunquee lo bandì; ma nè il bando gli fruttò puntoperchè Arnaldoprotetto dal senato e da diversi potentiproseguì a rimanereivi fermoe sostenere la sua dottrina; nè la scomunica perch'egli ladichiarava illegittima ed invalida. Avvenne che il cardinale di Santa Pudenzianache doveva essere de' più malveduti dal popolo pel suo attaccamento allafazione pontificiaandando a palazzofu insultato da uno de' Romani e ferito amorte. Il papa Adriano colse con pronta avvedutezza questo accidente per venirea capo de' suoi desiderii: perciò pose in interdetto tutta la città finchènon fosse cacciato Arnaldocome incentore del popolo e cagione di questidisordini. Era imminente la Settimana Santae il popolo bramava ardentemented'aver le chiese aperte per celebrarvi i consueti solenni uffizii: il clerosollecitava il popolo a dimandar che fosse levato l'interdettoed a promettereperciò di cacciare Arnaldo; e ne fu cacciato.

Mentre egli cercava altrove ricovero un cardinale lofece inseguire dalle sue genti che lo arrestarono: e già il conducevanoa Roma per consegnarlo nelle mani del prefetto della cittàche doveva farlomorire. Ma saputasi la cosa a tempo da certi conti della Campania suoi amicieche lo riputavano per santoessi il rapirono a forza dalle mani dei suoinemicie lo posero in uno dei loro castellisenza lasciar penetrare a niuno inquale di essi lo avessero posto().

Intanto l'imperator Federigo I trovavasi in Italiadiviaggio a Roma per prendervisecondo il costume di que' tempila coronaimperiale. La corte romana avea già molto innanzi stipulati de' vantaggiositrattati con Federigo; il che fu cagione che egli ributtò bruscamentel'ambasciata che i Romani gl'inviarono prima ch'ei si avvicinasse a Roma; ed alcontrario accogliesse onorevolmente i tre cardinali che gli aveva speditiincontro il papa Adrianoed accordasse loro tutte le dimande propostegli. Trale altre c'era questache Federigo desse nelle mani del papa la personad'Arnaldo. Federigo a tal fine fece imprigionare dalle sue genti uno di que'conti che favorivano Arnaldo nè lo volle rimettere in libertà sinch'ei non glielo consegnasse. Così Arnaldo fu tratto dal castello ove stavanascosto; fu consegnato nelle mani dei cardinalie da questi rimesso alprefetto di Roma che lo fece impiccareabbruciare infilzato in unospiedo il suo cadaveree spargere le sue ceneri nel Tevere perchè ilpopolo non lo venerasse qual santo().Ciò avvenne l'anno 1155prima de' 18 di giugnoin cui seguì la coronazionedi Federigo essendo Arnaldo in etàper quanto io penso dicirca cinquant'anni.

La sua eloquenza fu predicata da' suoi stessi nemici:l'esemplarità de' suoi costumi fu superiore alla loro malignità chèli costrinse al silenzio tutti benchè fossero in sì gran numero; ericevette uno stupendo elogio da san Bernardolume di quel secolo: il qualeessendo stato impresso fortemente contro di luilo giudicò dapprimascismatico e poi per le cose ()del Concilio di Sens lo perseguitò comeereticoed al fine non ebbe più che dire contro di esso! La suadottrina è stata da noi giustificata ne' due libri dell'Apologia cheabbiamo di lui fatta: e il suo coraggio e il suo zelo per la disciplina dellaChiesa sono abbastanza testificati dalle fatichedalle persecuzionie dallamorte che incontrò per cotal causa.

Le occasioni strepitose in cui la persona del nostroArnaldo figurò in Bresciain Francia e in Roma; i personaggicospicuicoi quali o ebbe a cozzare (Maifredo vescovo di BresciasanBernardoe tre papiEugenio IIIAnastasio IV e Adriano IV)o chefurono suoi amici (il cardinal Guido da Castellopoi papa CelestinoII)o che furono adoperati al suo sterminio (qual fu il famosoimperator Federigo I e il prefetto di Roma)ben confluiscono non pocoa rendere eterno il suo nome e a dare de' talenti edell'abilità straordinaria d'un semplice privato una irrefragabiletestimonianza.ARNALDODA BRESCIA

 

PERSONAGGI.

 

ARNALDO da Brescia.

ADRIANO IVpontefice.

GIORDANO PIERLEONI.

LEONE FRANGIPANI.

ANNIBALDOnobile Romano.

GUIDOcardinale di Santa Pudenziana.

OTTAVIANOcardinale di Santa Cecilia.

Un CARDINALE di Santa Maria in Portico.

Alcuni altri Cardinali.

Senatori Romani.

Popolo Romano.

Legati della Repubblica Romana.

PIETROprefetto di Roma.

Un Sacerdote che annunzia la scomunica al Popolo Romano.

Alcuni del Clero.

OSTASIOconte di Campaniae seguace di Arnaldo.

ADELASIAsua moglie.

Donne Romane devote e penitenti del cardinal Guido.

Un MonacoMandato di un cardinale.

Un CAMERIERE segreto del papa.

Un ARALDO del papa.

Capitani e Soldati Svizzeriseguaci di Arnaldo.

Capitani e Soldati della Repubblica Romana.

GALGANO E FERONDOsoldati di Giordano.

Soldati di Leone Frangipani.

Soldati del papa e di un cardinale.

Il Carceriere del Castello Sant'Angelo.

Abitanti di Tortonad'Astidi ChieridiTrecatedi Gagliatescampati da quelle città e terre distrutte daFederigo Barbarossa nella prima sua venuta in Italiae un Sacerdotedei contorni di Spoleto. Di questi si compone il Coro nell'attoquarto.

FEDERIGO I della Casa di Sveviadetto Barbarossa.

OTTONEvescovo di Frisinga.

OTTONE Palatino conte di Baviera.

ROBERTOprincipe di Capua.

SERGIOduca di Napoli.

Ammiragli Pisani.

Principi e Vescovi Tedeschi.

Soldati Tedeschi.

Soldati Svizzeri sotto le insegne di Federigo.

Araldo e Scudiero di Federigo.

 

ATTO PRIMO.

Piazza vicina al Campidoglio.

 

 

 

 

SCENA I.

 

GIORDANO PIERLEONELEONE FRANGIPANI

Popolo Romano.

 

GIORDANO

Destatevi… sorgete… il nostro sangue

Si traffica nel tempio; e son raccolti

Tenebrosa congregai cardinali

A vestir del gran manto un altro lupo

Che pastore si chiami. Un dì sceglieste

O Romaniil pontefice(): gli antichi

Dritti il fero Innocenzo appien vi tolse

E compì l'opra d'Ildebrando audace.

Cesare colla stolaei far volea

Del mondo un tempio onde l'amor fuggisse

Uno il pensierouno il volereed uno

Tiranno a un tempoe sacerdotee Dio.

Mirate l'opra sua! Roma deserta

Dal Laterano al Colosseo(): guidava

Il normando furore e il saracino;

Fremea la sua preghierae maledisse

Colui che non insanguina la spada().

Imprecando morì: così perdonano

I vicari di Cristo ai lor nemici.

Barbari cardinali alzan dall'are

Colle man sanguinose un Dio di pace

E coi rifiuti delle mense opime

Dopo i veltri ci pascono. Latino

Sangue gentilesopportar saprai

Servitù così vile? ognor costoro

Sopra il vasto cadavere di Roma

Come l'ïenaa divorar staranno

Dei barbari gli avanzi?

LEONE FRANGIPANI

I detti suoi

Sono un blasfema: io con orror li ascolto.

PARTE DEL POPOLO

Morte a Giordan!

ALTRA PARTE DEL POPOLO

Viva Giordano! il fuoco

Strugga le torri ai Frangipani.

LEONE FRANGIPANI

È degno

Di seguirsi costui: le glorie antiche

Ricordi chi per avo ebbe un Giudeo().

Sia vostro repoichè ubbidir sdegnate

Al vicario di Dio: non sei cristiano

Nemmeno d'acqua.

GIORDANO

Vil calunnia è questa.

LEONE FRANGIPANI

D'Anacleto germanRoma dividi

Com'ei la Chiesa.

GIORDANO

Era Anacleto il vero

Pontefice di Roma: ai sommi onori

Lo alzò il voto dei più.

LEONE FRANGIPANI

Mostra la tomba

Del tuo papa Giudeo: certo in profano

Loco fu posto; un terren sacro avrebbe

Le infami ossa respinte().

GIORDANO

Empioche sai

Degli eterni consigli? IddioRomani

Giudicava Anacletoed io l'ho pianto.

LEONE FRANGIPANI

Lacrime infami! Egli col ferro aperse

Ogni tempio di Romae corse il sangue

Nella magion di Dio: fremer si deve

All'empio nome.

GIORDANO

Anche Innocenzo è reo.

È noto a voi che i sacerdoti accolti

Pregato non avean riposo eterno

Sul fral d'Onorioe nol chiudea la terra

Nel suo placido senquando le pronte

Mani distese alla fatal tiara

Il rival d'Anacletoe poi sedea

Solitario tiranno in Laterano.

Nè gli bastò: fra le ruine antiche

Che hanno in rôcca converse i Frangipani

Quel vil s'ascosee allor venia dall'arco

Di Costantinsempre funesto a Roma

D'inulte morti alta ruinae volo.

Mentre l'Europa parteggiar fu vista

Fra Innocenzo e Anacletoe sempre incerta

Chi della sposa dell'Agnel celeste

In terra fosse adultero o marito

E fu nei templie più nei corla guerra

Per licenza di spade e d'anatemi

Mi creaste patrizioed una santa

Voce destovvi dal maggior letargo

Che un popolo dormisse.

POPOLO

Ahi questa voce

Era d'Arnaldo; ei ne lasciò!

LEONE FRANGIPANI

Dovea

Ove Pietro morìvivere Arnaldo?

Ben fuggiva costui: se morto ei fosse

Nella santa cittadeio nei sepolcri

Degli avi tuoiche hanno da Giuda il nome

Dato gli avrei riposo.

GIORDANO

Arnaldo è santo…

LEONE FRANGIPANI

Arnaldo è un empio: sostener gli errori

Ei d'Abelardo osòfolle scudiero

Del novello Golia().

GIORDANO

Tu mal ripeti

Di Bernardo il garrir: silenzio eterno

Or preme il labbro al menzogner profeta().

Non mai parlato avesseo di sue fole

I monaci pasciuto!

LEONE FRANGIPANI

Empiot'ascolta

L'onor di Chiaravalle: è presso al trono

Della Madre di Dio: son le sue lodi

Ch'ei scrisse in terraripetute in cielo;

Gioia dei Santi.

GIORDANO

E qui per lui si piange.

Agitator di Francia e di Lamagna

E dei monarchi al fianco in ogni trono

Vaticinando l'avvenir sedea

Con umiltà fastosae le sue lane

Lieto agli stolti dispensandoEuropa

Dentro l'Asia mirò precipitarsi.

Invan le donne nei desertï letti

Gridaro a quel feroce: I santi nodi

Rompi pria della mortee tanto estingui

La carità di padre e di consorte

Che di sette fanciulli un uomo appena

Consola il pianto. Abbandonate il mondo

Costui rispose: le città sian vote

Ma pieni i chiostrionde su tutti io regni()

Poichè vinse Aladinoe d'insepolte

Ossa cristiane biancheggiar si vide

In Cilicia ogni rupeil folle capo

Che all'Europa mentìBernardo ascose

Ai fremiti del mondo; e dato avesse

Alle vittime sue silenzio e pianto!

Ma impudente e crudeldella superba

Voce a scusar gli oracoli bugiardi

Quei prodi estinti a calunniar si pose

Ch'egli ingannato avevae i suoi devoti

Tormentò coi terrori e coi flagelli.

LEONE FRANGIPANI

Fuggiteloo Cristiani: vi sovvenga

Che sul capo a Giordan sta l'anatèma()

Ch'Eugenio vi lanciò: parlar coll'empio

È delittoe periglio. Io qui venia

A difender la Chiesa: e non udiste

Voi di Datano e di Abiron gli esempi

Rammentarvi dall'are? Un'altra volta

Alla vendetta delle sue ragioni

Iddio potrebbe spalancar la terra…

E non tremate?

GIORDANO

Ipocrita! dovea

Ai piè dell'empioonde nascestiaprirsi.

Ricordate Gelasioil santo veglio()

Che dal voto comun le chiavi ottenne

Ch'ei serbò pocoe che volgea soavi:

La tïara io mirai del buon pastore

Splender sull'umil capoe al suon degl'inni

Fumar gl'incensi a Cristo in sacramento

Quando s'udia dai sacerdoti accolti

Del chiuso tempio rimbombar le porte

Che dai cardini suoi cadon divelte.

L'altar s'inonda di ladroni; appare

Il più crudel di tutti: era tuo padre:

Quindi un gridareun correreun celarsi

E immobili restar per lungo orrore.

Sventurato Gelasio! e che ti valse

Maestà di ponteficela vita

Scorsa cosìche la vecchiezza è santa

E l'abbracciato altaree Dio presente?

Vile nel suo furorstende la destra

Nel debil vecchio il Frangipan crudele

E il suo tremulo collo afferrae tutta

La persona gli offendee a quel caduto

Pur col piede fa guerra e lo calpesta:

Moltiplicando l'ire e le percosse

Vince l'oltraggio che fu fatto a Cristo.

UNO DEL POPOLO

È vero…

UN ALTRO DEL POPOLO

È ver: tratto Gelasio io vidi

Dei Frangipani alle temute case

Spelonca eterna di crudel masnada.

GIORDANO

E Pierleone in libertà lo pose

Il padre mio. Non v'accorgete? ei tenta

Ricordando il passato indur l'oblio

Dei perigli presentie vi trattiene

Con accorte parolein cui l'umano

Va mescendo al divin: sì l'arti imita

Dell'empia razza che promette il Cielo

Per usurpar la terra. Or via seguitemi

Al Campidoglio.

POPOLO

Al Campidoglio!

UNO DEL POPOLO

Arnaldo

Favellar vi solea.

UN ALTRO DEL POPOLO

Dinne: quel santo

Fra noi tornò?

GIORDANO

Seguitemi… vedrete.

(I più dei popolo seguitano Giordano

ed alcuni rimangono:

Leone Frangipani si ritira per altra parte.)

 

 

 

SCENA II.

 

POPOLO E NOBILI.

 

UNO DEL POPOLO

Fra i Pierleoni e Frangipani è guerra:

Perfidi entrambie a parteggiare avvezzi

O per l'Impero o per la Chiesa.

UN ALTRO DEL POPOLO

Ignoro

Se un eretico è Arnaldo: io so che a mensa

Gavazzano i patrizie a noi dall'alto

Gittano pietre e strali: andiam ai chiostri

E un pane avrem.

UN ALTRO DEL POPOLO

Foco alle torri: io sdegno

Quel pan che avanza ai monaci pasciuti.

UN ALTRO DEL POPOLO

Qui la misera plebe ognor digiuna;

Cascan di fame i figli miei: potremo

Per molti giorni sostener la vita

Coll'oro dei tiranni.

UNO DEI NOBILI

Udiste! io volo

Il mio palagio ad afforzar; là posso

Difendermi da tutti; e poi le parti

Seguirò di chi vince.

 

 

SCENA III.

 

Piazza sul Campidoglio.

 

GIORDANOPopolo.

 

GIORDANO

Io quiRomani

Non vi chiamai senza ragione: Arnaldo

Fra noi tornava.

POPOLO

Ov'è? chè tarda?

UNO DEL POPOLO

Ei venga.

POPOLO

Evviva il santo.

(Comparisce Arnaldo.)

UNO DEL POPOLO

Liberi la Chiesa

Dagli adulteri suoi.

UN ALTRO DEL POPOLO

Respiri alfine

L'aure d'Italiae la straniera polve

Scota dai piedi suoi.

GIORDANO

Quanto è diverso

Da cardinal che siede a concistoro

Che di sangue cristian le vene impingua

E per sè bramae altrui promettee toglie

Di Dio la Sposae ne fa strazio eterno!

Mirateamici! ha pel digiun le membra

Estenüate: sul benigno volto

Regna un santo pallor: l'orma vi resta

D'una lacrima pia. Sulla caduta

Vostra grandezza ei piange; e in occhio umano

V'ha pianto degno di sì gran sventura?

Non sia privato lutto ove tu giaci

Regina delle genti; ed una sola

Croce io vorrei sopra le tue ruine.

POPOLO

Qual v'ha rimedio?

ARNALDO

Libertadee Dio.

Voce dall'Orïente

Voce dall'Occidente

Voce dai tuoi deserti

Voce dall'eco dei sepolcri aperti

Meretricet'accusa. Inebriata

Sei del sangue dei Santie fornicasti

Con quanti ha re la terra. Ahi la vedete:

Di porpora è vestita; oromonili

Gemme tutta l'aggravano(): le bianche

Vestidelizia del primier marito

Che or sta nel Cieloella perdè nel fango.

Però di nomi e di biasfemi è piena

E nella fronte sua scrisse: Mistero.

Ahi! la sua voce a consolar gli afflitti

Non s'ode più: tutti minacciae crea

Con perenni anatèmi all'alme incerte

Ineffabili pene. Gl'infelici-

Qui lo siam tutti- nel comun dolore

Correano ad abbracciarsie la crudele

Di Cristo in nome li ha divisi: i padri

Inimica coi figlie le consorti

Dai mariti disgiungee pon la guerra

Fra unanimi fratelli. È del Vangelo

Interprete crudel: l'odio s'impara

Nel libro dell'amor. Gli anni son volti

Che il rapido di Patmo Evangelista

Ne profetò: per ingannar le genti

Rotte ha Satanno le catene antiche

E siede la crudel sull'infinite

Acque del pianto che per lei si versa.

Il seduttor dell'uomo all'impudico

Labbro due nappi appressa: in uno è sangue

Nell'altro l'oro; e quell'avara e cruda

Beve in entrambisì che il mondo ignora

S'ella più d'oro o più di sangue ha sete.

Perchè salì costei dalle profonde

Viscere della terra al Campidoglio?

Fu bella e grande nelle sue prigioni.

Signorquei che fugaro i tuoi flagelli

Più l'ostie mute a trafficar non stanno

Del tempio tuo sul limitar; ma dentro

Si vende l'uomoe il sangue tuo si merca

Figlio di Dio.

POPOLO

Che ne consigli?

ARNALDO

All'empia

Scettro e spada toglietee alfin vi renda

Le malnate ricchezze.

UNO DEL POPOLO

Andiam le case

Dei cardinali a depredar.

UN ALTRO DEL POPOLO

Ma ricchi

Sono i patrizi ancor.

ARNALDO

Popoloascolta…

Frenatevi… la legge…

UNO DEL POPOLO

Ahiqui la legge

Solo i poveri frenae da gran tempo

Viviam derisiignudi. E quale è il frutto

Della tua libertà?

ARNALDO

M'udite: il clero

Tutto acquistò con forza o con inganno.

Ei qui possiede ampi dominie tolti

Agli avi vostri; egli qui fe' la terra

Sterilevota ed insalubre; e Cristo

Re della vitacircondò di morte.

Ma dei facili colli all'aër puro

Con empio lusso edificò superbe

Pei monaci delizie: a voi tuguri;

I palagi per loro.

POPOLO

Evviva Arnaldo!

ARNALDO

Io da quel giorno che di fole e vento

Pascer sdegnava il popolo Cristiano

Provai lo sdegno di crudel pastore

E dal loco natio per grave esiglio

Divenni peregrin: v'è noto il mio

Affannoso vagar di gente in gente

Per la dottrina che sarà feconda.

Dell'Appennin sui gioghie fra l'eterne

Nevi dell'Alpioh quante volte errai

Mutando i passi insanguinati e stanchi.

Vi fia noto ond'io tornoe qui vedrete

Altre genti adunarsi al mio vessillo

Ch'è quel di Cristo: ma con voiRomani

Era sempre il mio cor: muto divenga

Italiase t'oblio! Quasi due lustri

Qui contro Eugenio io stettie quella sacra

Fiamma nutriiche vi riarde i petti.

Costui cominciò lupoe poi fu volpe

E prodigo di pane ai rei mendichi

Qual merce vil la libertà di Roma

Comprar sperò dal volgo: il reo disegno

Morte interruppee liberal Giordano

La penuria fugò. Questa ritorna

Se una cieca licenza alle rapine

Precipitar vi fa: poveri tutti

Fa la rapinae nasce ogni delitto

Che genera rimorsi: i sacerdoti

È noto a voi che trafficar gli sanno.

Quante volte gridai da questi colli:

Non lice al clero posseder; gli basti

Con parchi cibi a sostener la vita

Quanto gli offre il fedel; nè tesoreggino

Il furore di Dio pastori avari

Che hanno nell'arche l'anima sepolta;

E la santa virtù gli rimariti

A quella che sposò Cristo col sangue.

Quanto il clero acquistò con lungo inganno

Parta fra voi la leggee non dovrete

Mendicare o rapir. Forse temete

Poco ottenerse da gran tempo il mondo

Coi suoi tributi a satollar non basta

La cupa fame della lupa ingorda?

POPOLO

Leggisìleggi…

ARNALDO

Perchè alfin tu torni

A grandezza e virtùpopol di Roma

E quel che fostie dove sei rammenta.

Il Campidoglio è questo: ecco il ruggito

Di mille vocie mille petti alzarsi

Con fremito sdegnoso. A questo nome

L'aura sentite dei trionfi antichi

Sulle libere fronti. E tempio in pace

E rôcca in guerra ei fu. Dal sacro monte

Scendae nei chiostri a inabissarsi vada

Chi servitù sognasse. Ecco il Tarpeo

Novamente afforzato: armi vi sono

A difender la patriae qui sedete

A libero consiglioe son risorte

Quelle virtù che il sacerdote aborre.

Or da quei sassiove regnò l'oblio

Vien memoria e rampogna. A voiRomani

Queste ruine parlano: sul volto

Vi leggo i segni di dolor sublime.

Ogni sepolcro interrogar vi piace

E fra le tracce del valor latino

Aggirarvi sdegnosi e riverenti

Chè la terra ad ognunFermatigrida

Tu calpesti un eroe. Sull'ardua cima

Qui saliro ai trionfied or d'astuti

Monaci iniquitraditori e molli

L'eterna gente ove non nasce alcuno()

S'edificò sulle ruine il nido;

Chiuse fra l'ombre sue marmi custodi

Di ceneri famosee poltroneggia

Fra le glorie di Roma e le sventure.

O Campidoglioov'io m'aggiro e fremo

Scoti il peso più vil da cui la terra

Esser possa costrettae non si trovi

Sopra la via dei tuoi trionfi antichi

L'ignominia del mondo: ostacol turpe

Son le lor case agli occhi. Oh! d'altra parte

Le sparse membra contemplar vi piaccia

Dell'eterna Cittàla cui grandezza

Sembrò favola ai vilie con un guardo

Fece il terror del mondoe il suo destino.

Tu soloo Romasotto il Ciel sembrasti

Fuor dell'ira del fato e della morte:

Il tempo stessovincitor di tutto

Non si fidò nelle sue forzee chiese

Ai barbari soccorsie ai sacerdoti.

Ma non ferronon fuocoe non la polve

Di lungo oblio le tue superbe moli

A ricoprir bastò: sfidano il Cielo

Vincitrici dei secoli. Lo giuro

Pei vostri fati; così voiRomani

Trionfar dei tiranni alfin saprete.

Leggiche molta età fe' stanche e mute

Vi piaccia rinnovar: titoli antichi

Ma glorïosi ancor. Consoli vanta

Ogni città d'Italiae tra voi nacque

Quel magistrato augusto allor che Bruto

Segnò dei regi l'ultimo delitto()

Col ferro che traea dal sen pudico

E il primo Sol di libertà splendea

Sul sangue di Lucrezia. E quiRomani

Quel venerato ufficio è solo un nome

Scritto sulle ruine: alfin risorga:

Alfin vi piaccia ristorar la santa

Maestà del senatoe i cavalieri

Fra la plebe e i patrizi ordin vetusto.

POPOLO

Come? i patrizi?

ARNALDO

Ma vi sian tribuni

Ch'abbiano sacra la persona; e questi

Sian difesa alla plebe. Amo la plebe

D'esser plebeo mi vanto; e il grande io seguo

Liberator dei servi: ei fra le turbe

Il pan divise e la parola eterna

E fra gli oppressi ritrovò gli amici.

Or su i troni di Francia e di Lamagna

Cerca tiranni il Fariseo novello

E di Cesare in nome un'altra volta

Sarebbe Cristo ucciso.

PARTE DEL POPOLO

Or sucreiamo

Console Arnaldo.

UN'ALTRA PARTE DEL POPOLO

Sia tribuno Arnaldo.

ALTRI DEL POPOLO

Non è Romano.

ARNALDO

Nell'Italia io nacqui.

Odio popolo mio: benchè lontano

Sul tuo destin vegliava. A tutti è noto

Che le spelonche sue Lamagna aperse

E i nostri campi un'altra volta inonda

Barbarico diluvio: ed ioRomani

Pria che tra voi tornassiin santa lega

Unir tentava le città lombarde.

Oh ferreo petto e mille voci avessi!

Non per accesi detti arida e stanca

La lingua che gridò: Siate fratelli

Quanti fra l'Alpi e Lilibeo spirate

Il dolce aër d'Italiae un popol solo

La libertà vi faccia. O Campidoglio

Dell'eco tuo degne parole ascolta;

Ripetile a ogni colle: aureche il petto

Respirava di Brutoad ogni orecchio

Portatele fra noi. Se Italia sorge

Qual fosse un uomocon voler concorde

Spade non chiegga a debellar Tedeschi

Da quella terra ove calpesta i fiori

Il ferreo piè dei suoi corsier superbi;

Raccolga un sassoin lor lo vibrie basta.

A questo ver che non si grida assai

S'apra ogni core ch'io non parli indarno.

Nè crediate però ch'esser qui voglia

O consoleo tribun: porpora ed oro

Copran colui che a Costantin succede

In queste pompee non a Pietro. O Roma

Qualunque il merti agli alti uffici eleggi

Fra l'italica gentee si ristori

Con sennofiglio degli esempi antichi

La repubblica tua: dei miei consigli

Non sarò parco ad ordinar lo stato.

Se questo avvengaedificarmi io voglio

In quel desertoove insegnava il vero

Quell'Abelardo che mi fu maestro

Tugurio vil che sia di terra e canne:

Là veglierò nella preghierae al Cielo

Alzerò voce che del Cielo è degna

Nè mai sorge dal cor dei sacerdoti.

Libera sia Romal'Italiail Mondo

E poi la morte a Dio mi riconduca.

POPOLO

Chi giunge mai?

UNO DEL POPOLO

Veggo la polve alzarsi

Dalla soggetta valle.

UN ALTRO DEL POPOLO

Odo più presso

Un calpestio di rapidi cavalli.

POPOLO

Mano alle pietre!

UNO DEL POPOLO

In Campo Marzio io nacqui.

UN ALTRO DEL POPOLO

Trasteverino io son.

ARNALDO

Siate Romani.

UNO DEL POPOLO

Son cardinali.

UN ALTRO DEL POPOLO

Empia genia.

ARNALDO

Mirate

Quanto orgoglio di manti: a voi mendichi

Un obolo si gettae quei superbi

Fan morder l'oro ai palafreni ardenti

Usi coi piedi a divorar la via.

UNO DEL POPOLO

Leon li guidae ha in man la spada.

 

 

 

SCENA IV.

 

Il CARDINAL GUIDO DI SANTA PUDENZIANA con altricardinali a cavalloe LEONE FRANGIPANI coll'insegne di prefettodi Roma.

 

IL CARDINAL GUIDO

Udite.

A pontefice abbiamo il cardinale

E vescovo d'Albano; e a lui piacea

Adriano chiamarsi().

UNO DEL POPOLO

Il suo cognome?

UN ALTRO DEL POPOLO

La patria sua? Nol conosciamo.

UN CARDINALE

Ei presto

Conoscer si farà.

UN ALTRO CARDINALE

Brechspir Britanno.

GIORDANO

Empia razzacrudelsceglievi a Roma

Un barbaro in pastore!… ei già col nome

Ci lacera gli orecchi.

ARNALDO

Io mai non chieggo

Ove nacquer costoro; e a lunga prova

VoiRomaniper Diosaper dovreste

Che non han patria i sacerdoti.

LEONE

Ohfine

A queste voci irreverenti e stolte.

Lasciate il Campidoglio: ognun ritorni

Alle sue case: assai di due ribelli

Abominati d'anatèma udiste

L'eretiche parole. Or che si tarda?

Tosto di qui sgombrateo a porvi in fuga

Con molti prodi che gli son fedeli

Adriano verrà.

ARNALDO

Lucio ricordi: -

E tuRomanoallo stranier tiranno

Se ascender osa il Campidoglioaddita

L'orme del sangue pontificio(). Immobili

Qui come il sasso del Tarpeo si resti.

LEONE

Cedete a questa venerata insegna

Di vetusto poter. Prefetto io fui

Della santa Cittadee i dritti antichi

Adrian mi rendea.

GIORDANO

Costui ristora

Ciò che Roma abolì.

UNO DEL POPOLO

Non più prefetto;

Il patrizio vogliam().

UN ALTRO DEL POPOLO

Viva Giordano.

ARNALDO

Viva la libertà! dal popol viene

Ogni possanza: quella spada infame

Franger vi piacciae calpestar nel fango.

Tinto del sangue di Crescenzioe fatto

vile dai suoi rimorsiOtton la diede

Un Cesare Tedescoalla tremante

Mano d'uom ligioe fu pallore uguale

Nel volto dello schiavo e del tiranno.

Poi la spada crudelee benedetta

Per ogni astutoond'è querela eterna

Fra corona e tïarae croce e scettro

Andò di schiavo in schiavoe alfin pervenne

Al più vile di tutti.

(A Leone Frangipani è tolta e poi rotta la spada per alcuni delpopoloed egli impaurito s'allontana.)

IL CARDINAL GUIDO

Un tanto oltraggio

Cesare offendeed Adrianoe Dio.

Dal Ciel discende la virtù che spira

Nei nostri petti: a sostener sue veci

Cristo elesse Adrianchè la sua fede

Nella Norvegia egli recò.

ARNALDO

Mentite:

Nella barbara terra il crudo Olao

Quella dottrina che dal sangue aborre

Mal seminò col ferro. Esser potrebbe

Apostolo un tiranno? In sì remote

Genti io non so ciò che Adrian facesse:

Forsecome Ildebrandoal re Britanno

Per la romana curiaomaggi ed oro

Chiesti vi avrà.

UN CARDINALE

Povere son.

ARNALDO

Chi tanto

Povero fu che voi non siate avari?

Molto lor tolse il ferroe colla frode

Certo Brechspiro li avrà fatti ignudi:

Son rapine le vostree sembran doni.

Costui m'è noto: da uno schiavo ei nacque

E d'esser schiavo è degno: egli al Normando

Che la sua patria opprimeè fatto amico.

Mendico errante d'Avignon nei chiostri

Giungea fanciulloe ministrar fu visto

Negli uffici più abietti: ivi a quei falsi

Monaci piacque per dolcezza astuta;

Lor arti appresee fra gl'inganni e l'ire

Sorger potea dalla natía lordura

A tiranno dei vili.

GIORDANO

Iniqui! un servo

Pontefice di Roma!

UN NOBILE

E fia sofferto

Da noi patrizi?

IL CARDINAL GUIDO

Rimaner più a lungo

Qui non dovremmo: ma pietà ci stringe

Dell'alme vostre. Sono al Cielo in ira

Ed Arnaldo e Giordanoambo divisi

Dal grembo della Chiesa: è un gran peccato

La vostra libertade.

ARNALDO

Empio! che dici?

È nel Vangelo un ver che ci sublima

E non ci avvalla nel servaggio; e Cristo

Uomo si fe' per sollevarci a Dio.

IL CARDINAL GUIDO

Teco non parloeretico. - Romani

Se il gregge errante allo smarrito ovile

Non riconduce del Pastor la verga

Ad esso è forza d'invocar la spada

Chese ai monarchi è dataalzar si deve

Al cenno sol dei sacerdoti. È presso

Lo Svevo Federigo: i suoi disegni

A voi noti esser denno: ei già da questi

Splendidi sogniche fra voi rinnova

Un monaco infedelcolle sue fiamme

Desta i Lombardied a riprender viene

Ciò che Italia usurpavae nel furore

Del suo lungo soffrircolle ruine

Gode farsi la via. Quanta diversa

È la Chiesa con voi! soffre ed aspetta

Imitando l'Eterno. Ah! più non pianga

Su i figli che delirano; tornate

Al suo materno sen: qui venni i giusti

A separar dai reprobi. Già rugge

La tempesta di Dio: fedeli agnelli

Stringetevi al pastorchè dirgli io possa:

Eran smarritied a perir vicini

Li ritrovava.

UN CARDINALE

(Questi versi sono detti in disparte dal cardinaleai suoi confratelli.)

Andiamfratelli: invano

Qui venuti non siam… piange il devoto

Femineo sessoe lacrime caduche

Stan sul ciglio dei vecchi… Ecco che molti

Abbandonano Arnaldoe ognor più rara

Divien la plebe che gli fa corona.

Mobili son gli affetti suoi… si tragga

Tosto con noi pria che la muti Arnaldo.

Qual fulmine che dorme entro le nubi

Era il silenzio in lui: schiuder lo veggo

A tremenda risposta il labbro audace

Che incenerisce colla sua parola. -

Chi è Cristiano ci segua; e voi tremate

Che qui ardite restar. Cesare viene

Del papa i dritti a sostener: punirvi

Più dei Lombardi ei dee. Siete ribelli

Alla Chiesa e all'Impero. - Or qui rimani

(Queste cose dice sommessamente all'Annibaldi.)

Annibaldo fedel: nei petti imbelli

Tucon un falso che somigli al vero

Cresci i terrori del vicin periglio.

 

 

 

SCENA V.

 

ANNIBALDOARNALDOPopolo.

 

POPOLO

Che faremoo signor?

ARNALDO

Voi lo chiedete?

O vincereo morir. Col quarto Arrigo

Per l'ingrato Ildebrando han pur saputo

I vostri avi pugnar: contro il tedesco

Furor non stette la virtù romana

Quando Lotario s'addestrava al freno

Del rival d'Anacletoe in Laterano

L'ignominia cambiò nella corona

E poi fuggì deriso? Ora quell'armi

Che hanno al fero Alemanno aperto il fianco

S'impugnino da voi: la causa è santa

Son gli stessi i nemicie da sicura

Torre mostrarsie benedir le spade

Arnaldo sdegna. O Libertànel seno

Pur m'arde il sanguee questo sangue è tuo.

ANNIBALDO

Non credete a costui. - Monaco astuto

Volan dal labbro tuo parole altere:

Ma genti che non mai stanca la guerra

Che il furor delle parti in lunghe pugne

Esercitòvincer tu speri? Io vengo

Dalle terre lombardee innanzi agli occhi

Ho il terror dei suoi popoli. Milano

Pria che vinta è discordee sta Pavia

Nel campo dell'Impero()e le sue squadre

Tu sol conosci alla licenza e all'ira

Verso gl'imbelli. Nelle mura infami

Di quell'empia cittade era il trionfo

Apparecchiato all'oppressor crudele

Di questa Italia che non ha fratelli:

Là vidi l'ebro e fetido Alemanno

Ritornar dalle stragie vacillante

Dalle donne pavesi andar soffolto

Con turpi abbracciamenti; e a Federigo

Tardar dense le genti il suo corsiero

E con bacio servile affaticargli

Le mani ancor del nostro sangue asperse:

Eicon rabbia di rege e di Tedesco

Da lungo ossequio liberarleaprirsi

Col ferro a un tempo e col destrier la via;

Nella polveche è nube a quel superbo

Lanciarsi i suoi fedelie chi s'arresta

Calpestaro ferir: degna mercede

Ebbe la gioia degli schiavi. Intanto

Quei campi che feconda il pingue Olona

Teutono cavalier muta in deserto.

Nel dolce pianoe senza colli e selve

Vana è la fuga del cultor lombardo

Che alle timide spalle avvicinarsi

Sente la vampa delle nari ardenti

Nel fumante destrier che lo persegue.

ARNALDO

Tu la possanza del nemico esalti

Ed avvilirci speri? Ahi sono pur troppo

L'Alpi ai Barbari aperte: era Adriano

Detto il pastor che qui chiamògli()e v'era

Un sacerdote ad insegnar la via.

Pera dell'empio il nome. Allor l'altare

Divenne un tronoe sol possanza ed oro

Cercò la Chiesa: e voiribelle o schiavo

Ognor mirate chi quaggiù di Cristo

Sostien le vecie mal da lui si noma.

Una catena insanguinata unisce

L'Italia alla Germania; è suo retaggio

La nostra servitù: ben fra le tombe

Tu scorrio Tebroche ubbidisci al Reno.

Nell'origine sua mostrar che giova

La fiumana del sangueove travaglia

Pierla tua naveche sì male è carca? -

Del presente si parli. A voiRomani

Dirò quei casi che costui vi tacque:

Ingannarvi non so. Rosate è fatto

Una ruina() da cui sorge il fumo

E guidava il signor di Monferrato()

L'armi alemanne contro Chieri ed Asti

Converse in polve: il suo pastor crudele

Tal fe' vendetta delle proprie offese

Sul gregge fuggitivo; egli di faci

Armò le man tedeschee casee templi

Strugger miravae benedisse il rogo.

Ecco il perdono che aspettar potete

Da tiranno mitrato. Un'atra cenere

Mostra quel colle dove fu Tortona();

E di vino e di sangue inebrïate

Vi dormian fra le prede e su i cadaveri

Le belve della Magna; e come pallide

Ombre vaganti per la notte oscura

Quei che al ferro avanzaro ed al digiuno

E ascose il grembo delle tue caverne

Desolata cittàvolsero il piede

Tacitamente all'ospital Milano.

Vi portan ferro ed odioe mille eroi

Nascervi io miro dal fecondo esempio

Che Tortona le diede. Oh! s'io potessi

Santa cittadesulle tue ruine

Riverente prostrarmi ed abbracciarle!

Le reliquie dei forti in prezïosi

Vasi io vorrei raccorree qui dell'ara

Nel dì della battaglia offrirle ai baci.

Oh sia lode al Signor! Più non si muore

Pei ceppi e per l'error: martiri alfine

Haisanta Libertà: per te divenga

Cenere anch'io. - Ma impallidir vi miro.

Romani voi! scendete; oh questo monte

Non è pei vili. Giù. Nell'ima valle

Il tiranno v'attende; ognun si prostri

E dia lacrime e baci al piè superbo:

Pria vi calchi nel fangoe poi v'assolva.

POPOLO

Armi discordie poche abbiam: le mura

Umili sono e ruinose.

ARNALDO

I petti

Son le mura dei forti. E voi credete

Che dia sgomento alle città lombarde

La distrutta Tortona? è un altro esempio

Di feroce valore in pochi forti

Risoluti a morir. Fatiche e sangue

Costa al tumido Svevoancor ch'ei guidi

Il fior dei suoi vassalli; e per più tempo

Trattenne il corso del furor tedesco

Una sola cittàche Italia intiera

Quando in età codarda al primo Ottone

Fu vittoria l'entrarvi. Alfin migliori

Noi siam dei nostri padrie ne calunnia

Il sacerdote lodator degli avi

Cui l'astuto facea coi suoi terrori

Trista la vitaed il morir tremendo.

Non conoscon paura e Crema e Brescia.

Ma che parlo di lei? Ferma qual rupe

Milano stanè crolla il capo altero

Al vento di Soaviaed è sì grande

Il suo valorche solo in lei potrebbe

Rompersi l'onda del tedesco orgoglio.

Magnanima cittàcombatti e vinci;

Ma se cadessinon temer: risorgono

Le mura che bagnò libero sangue;

Son fra gli schiavi le ruine eterne.

POPOLO

Tu ci oltraggisignor!

ARNALDO

Perchè si trema

Pria che suoni la tromba? O tuche fosti

Già re del mondo e nell'Italia il primo

Or l'ultimo sarai? Diran le genti

Che non mentì Bernardoil mio nemico

Quando ad Eugenio ei scrisse: «I tuoi Romani

Ribelli o vilidominar non sanno

Nè impararo a ubbidir; perchè li temi?()

All'Europa mostrò Tivoli umile

Che han parole superbe e piè fugace().»

POPOLO

Non più; cessao morrai.

ARNALDO

Popolt'ho desto;

Ora svenar mi puoi: ma pria nel sangue

Di quella gente che mancipio è fatta

Di tiranno crudelea Dio prometti

Lavar l'infamia onde tu piangi e fremi.

UNO DEL POPOLO

Evviva Arnaldo!

UN ALTRO DEL POPOLO

All'armi!

ALTRI DEL POPOLO

Ognun qui gridi:

Morte ai barbarimorte!

ARNALDO

Ahi sol gridate:

Morte al feroce venditor di sangue

Che oppressoopprimee in altri e in sè distrugge

L'immagine di Dio. Romaniudite:

Or tra voi non ritorno a darvi aita

Sol di parole. Poichè in Brescia io tenni

Del popolo le partie a due pastori

Strappai la veste che nascose i lupi

Ebbivi è notonell'Elvezia asilo

E sparsi i semi della mia dottrina

Su fecondo terren. Bernardo astuto

Ch'ebbe labbro soave e cor di bronzo

Fremea da lungied io tuonava il vero

Di Zurigo nei templi e di Costanza

O dagli alti suoi monti; e a quella guerra

Che fa l'uomo all'error pensai piangendo

Quando sotto ai miei piè solo indorarsi

Mirai le nubi che non vince il sole.

O bella Elveziaamo di tue profonde

Valli il misteroe l'invisibil fiume

Che rugge in seno dei creati abissi:

Ma ben più t'amo ora ch'io trassi in Roma

Della tua gente che morir non teme

Due mila prodi.

UNO DEL POPOLO

O generoso Arnaldo!

UN ALTRO DEL POPOLO

Qual figli ei n'ama.

POPOLO

O padree santo.

ALTRI DEL POPOLO

E morte

Ad ogni vile che così chiamasse

Il Sassone Adriano.

 

 

 

SCENA VI.

 

SVIZZERI DI ZURIGOE DETTI.

 

ARNALDO

Or viamostratevi

O generosi Elvezi()e al sen stringete

Questi Romani che vi fa fratelli

E Cristo e libertà. Quei santi nomi

Su questa croce che sarà vessillo

Ben fur scritti da voi: perchè cessasse

Il servaggio del mondo Iddio permise

La morte del suo figlio. A ognun rimiro

Sull'intrepido volto il gaudio altero

Della speranza che sorride ai forti:

Già vinceste i tiranni. A voiRomani

Un'emula virtù gli animi accenda;

Con augurio miglior l'aquile alzate

Cui mal diè Costantino il vol secondo

Nè più sia dote ai sacerdoti avari

Roma che abbandonò: da più di mille

Anni qui l'eco dei trionfi è muta.

O testimon delle vittorie antiche

Solitaria colonna in monte ignudo

Al par di te ferma rimanga ed alta

L'alma romana nell'ostil procella

Che freme intorno…() Il Paracleto è santa

Origine di affetti e di pensieri

Onde l'uom dalla terra a Dio si leva;

E alzògli un tempio il mio diletto amico

L'infelice Abelardo(). Ove risiede

Una sostanza unita in tre persone

Voli quest'inno: egli coll'aure eterne

Illumini la mentee scaldi i petti.

Scendi nel nostro esiglio

Spirito Creatore

Che unisci al Padre il Figlio

Col nodo dell'amore:

Coll'ali tue feconde

Consolator disserra

Le tenebre seconde

Che ingombrano la terra.

Per spazio interminato

Tu non scendesti invano;

Agitavi il creato

Con il tuo soffio arcano.

Alla terra la faccia

Il mar copría d'un velo:

Per te dalle sue braccia

S'alza e sorride al Cielo.

O tuche sempre acceso

Sei nell'eterna idea

Di Lui che non compreso

Comprende ed ama e crea;

Vinci col tuo valore

L'odio che ci divide

Che semina il dolore

E la speranza uccide:

Ripeti all'universo

Parole eterne e sante

Monte di sangue asperso

Sangue del primo amante.

Volse alla Madre un guardo

Le diè nell'uomo un figlio:

E a riconoscer tardo

Sei l'immortal consiglio

O secolo feroce

Per voglie al Ciel ribelli?

Gesù dalla sua croce

Ci fece a Dio fratelli.

Ma non creda la gente codarda

Te sol padre di miti pensieri:

Tu non prostri negli animi alteri

La virtude che grandi li fa.

Or colomba ed or aquila voli

Or d'amoror di forza ti vesti;

Come fuoco dal Cielo scendesti

A distrugger la nostra viltà.

Fu libera la Chiesae della terra

Ai confini volò la sua parola:

Sol dell'agnello a cui l'error fa guerra

Il puro sangue le tingea la stola:

Compì nell'innocenza e nel dolore

La legge che ci diede il primo amore.

Locolla appena Costantin sul trono

Che ruppe fede al suo primier consorte

E gli altri veri ella obliò che sono

Nati nel sen della feconda morte:

Ma può star nel sepolcro e nell'oblio

L'uom che nel Ciel ascese unito a Dio?

Perdesti il senso della tua dottrina

O Sacerdote nella carne assorto:

Speri il mondo ingannarse vaticina

La vittoria del vero Iddio risorto?

E il santo Spiritoonde mi vien lo zelo

Discende in terrae la marita al Cielo.

Noi siam suo tempio; ed i leviti avari

Avvezzi a fornicar tra le ruine

Pur col sangue infamati hanno gli altari

Ove Cristo arricchì delle rapine:

E non vi abitio Dioche ti riveli

Dentro il cuore dell'uom più che nei Cieli.

Spirtoche muovi ove tu vuoi le penne

So che al pentito Nazzareo Sansone

Per te la forza un dì maggior divenne

E scosse il tempio ove regnò Dagone;

Come quei crini onde il vigor gli venne

La druda avversa all'immortal ragione

A noi recise le virtù degli avi

E al par di lui ciechi siam fatti e schiavi.

ROMANI

Fugate ha ormai le tenebre

Quel Sol che ci governa;

Vive nel nostro cenere

Una favilla eterna.

Ogni virtù sopita

In noi risorgerà;

Lo spirito è la vita

La vita è libertà.

SVIZZERI DI ZURIGO

Comune abbiam l'origine;

Or non siam più lontani:

Il nostro ferro ai barbari

Dirà che siam Romani.

Tra l'infeconde rupi

Gravi di eterno gelo

Noi pur siam preda ai lupi

Che mai non muta il Cielo.

Vivrem come la libera

Aura dei nostri monti

Quando i crudeli vescovi

Dalle mitrate fronti

Non feriranno i popoli

Col pastoral profano

E tacerà l'Oracolo

Che mente in Vaticano.

ARNALDO

Solche regni nel nostro emisfero

E che or tutto fra noi rinnovelli

Dei tuoi raggipiù ardenti sian quelli

Che saetta la luce del vero.

E la fiamma di spirti novelli

Cresca sempre nel cuor del guerriero.

Vi abbracciate: son più che fratelli

Quei che unisce lo stesso pensiero.

UNO SVIZZERO AD UN ROMANO

Sapraigentil guerriero

Soffrir dell'armi il lampo?

ROMANO

Immobile ed altero

Teco starò nel campo;

Di fuga il sol pensiero

Nel cor non m'entrerà.

SVIZZERO

Se dall'avversa parte

Pugnar tu vedi il padre?

Se colle trecce sparte

Ti chiamerà la madre?

ROMANO

Dei sacerdoti è l'arte:

Io non avrò pietà.

SVIZZERO

Se il popolo qui cede

Della battaglia ai flutti?

ROMANI

Il Tevere ci vede;

Spenti cadremo e tutti.

Sarà ferito in fronte

Chi muor su questo monte.

Pesto egli avrà l'elmetto

Lo scudo aperto e il petto

Dall'aste e dalle spade:

Si muor per libertade.

Infame è quella polvere

Ove il guerrier si giace

Con stral che infitto restagli

Dentro il tergo fuace.

ARNALDO

Se a questi detti alteri

Non hai valor conforme

Diranno gli stranieri:

Bruto qui sempre dorme.

 

ATTO SECONDO.

 

SCENA I.

Stanze nel Vaticano.

 

ADRIANOGUIDO.

 

GUIDO

Signorconcedi al tuo fedel vassallo

Ch'ei torni in armi al Campidoglioe domi

Della plebe il furor: poscia d'Arnaldo

Dal giardino di Dio svelgasie s'arda

La mala piantache fiorir potrebbe

Ad eresie novelle.

ADRIANO

Uom che in remota

Isola nacquee barbaro vien detto

Dalla superba Italiaa nuovo impero

Vuoi che col sangue or dia principio in Roma?

Gli antichi nomi che rinnova Arnaldo

Nella vota cittàla vita avranno

Del fior che nasce fra le sue ruine.

Io sol pavento la fatal dottrina

Onde l'audace impoverir vorrebbe

D'ogni sostanza il clero. Ahi so che piace

Agli avari monarchi e ai lor fedeli

Che cingon spada: ognun di lor desia

Tornar la Chiesa ai suoi princìpi umili;

Delle sue spoglie rivestirsie santa

La direbbe quel dì che fosse ignuda.

Di Cesare alle porteinfin che a lui

Di svegliarsi piacesseallor dovrebbe

Assiso starsi il successor di Piero

Portentoso cliente; e a pan servile

Come il mendico che da noi si pasce

Stender la mano che dispensa i regni.

Provvide Iddio che il temerario Arnaldo

A libertà desti i Lombardi e Roma

Nè dell'Impero la ragion difenda.

Al suo lungo furor spazio novello

Però concedoe vaneggiar lo lascio

Dietro a quell'ombra che gli par persona

Finchè Cesare giunga. Egli promise

Della torbida Roma il fasto insano

Reprimere coll'armie della Chiesa

Porre Arnaldo in balía.

GUIDO

Signorl'Impero

Tutti gl'iniqui esterminar dovrebbe

Che la spada segnò dell'anatèma

Se al voler di colui che tien le chiavi

Della gloria di Dioservir sapesse

Con un ossequio volontario e pio

Siccome un figlio al padre. Ora fra i due

Occhi del mondo è guerrae di sua luce

Risplender crede quel minor pianeta

Che illumina la notte()e nell'oscura

Selva del mondo ogni mortal smarrita

Ha la diritta via: dal dì funesto

A trattar cominciò destra profana

L'armi immortalie contro noi l'Impero

Una lancia si fe' degli Evangeli.

Tu sei lo spirto che quaggiù gli avviva:

L'eterne leggi interpretar conviene

Solamente a quel re che non traligna.

ADRIANO

Notoo Guidomi sei: t'arde lo zelo

D'una causa ch'è santae non t'accorgi

Che langue il suon della querela antica

Fra l'Impero e la Chiesa()e non divampa

Più la fiamma di Dio nei petti umani.

Or nell'Italia è tanto oblio del Cielo

Che libertà si cercae si combatte

Ma non per noi. Mirar vorrei dai flutti

Combattuta la nave in cui m'assido:

Ma non sarà che nei suoi fianchi aperti

Mormori l'onda vincitrice. Ascolto

Sempre una voce che dal ciel mi grida:

Pietroper la tua nave invan paventi;

Tu porti Iddio. Ma dell'Europa io deggio

Reggere ancor le sortie sono i regi

Parte del gregge un dì commesso a Pietro

Nè la miglior(): sto nell'Italia incerto

Tra Federigo e le città lombarde

Ch'ei s'argomenta di puniree temo

Cesare nuovoe libertà novella.

Una è l'autorità: quando io mi ponga

Ove Milano innalza il suo vessillo

Non ubbidire insegnoe quei ribelli

Ch'io qui condannoin Lombardia proteggo.

Se con Cesare stoschiavo divengo

A quel poter che non vorrebbe eguali

E nell'antica servitù pavento

Ricondurre la Chiesa. Ahi quanto sangue

Si sparse a liberarla!… È nello Svevo

Indole atroce; lo rapisce il primo

Furor di gioventude e di possanza.

Popolo ei guidacheferoce e stolto

Nelle vinte città stima consiglio

Destar la fiamma onde gli tempri il verno.

Nel giorno che a costui diede Lamagna

Premer quel trono ove sedea Corrado

Di lieve fallo gli gridò mercede

Plebeo ministro()e con voce di pianto

Le genti accolte ripetean mercede.

La maestà della sua man severa

Fece silenzio in tuttie a Dio presente

Tutta il superbo sollevò la fronte

Non santa ancora per liquor d'ulivo

Da chi tien le mie veci in Aquisgrana

Gridando: «È la giustizia inesorabile

Nè cede alle preghiere il suo decreto;

Non mi posso ingannar.» Folle blasfema!

Sol non erra quell'uno a cui sul labbro

Parla la voce del Figliuol di Dio.

Io son colui: Svevoil mio loco usurpi…

E la sventura ti farà crudele

Se perdonar non sai mentre ti splende

Il sorriso maggior della Fortuna.

GUIDO

Padre e signorciò che delitto estimi

Non ardisco lodarchè se nell'opra

Esser merto poteacoi detti insani

Lo vïolò: ma pur nel re mi piace

Tanto rigor. Quando ai tuoi cenni ei serva

Con cieco ossequio ed ubbidir veloce

Dovrai sull'ara benedirgli il brando…

Quel dì sospiro in cui d'Arnaldo il sangue

La fè rinnovi dell'antico patto

Fra la Chiesa e l'Imperoe d'ogni male

Svelgano insieme la comun radice

E taccia l'uomo allor che parla Iddio

Sopra il tuo labbro. Tutto in sè l'Inferno

Senta Abelardoche primier le corte

Ali spingea dell'intelletto umano

A temerario volo(); ed empioe stolto

Nella sua scuola dimostrar tentava

Ciò che teniam per fedeed appressarsi

Colla ragione al vero inaccessibile.

Ahi la pronta credenzae dello spirto

La povertàcui fu promesso il Cielo

Per lui s'ebbe a dispetto; e sul maggiore

Dei ministri di Dio vennero a rissa

Pur di Gallia i fanciulli()e l'infinita

Schiera che in gente vana a lor somiglia:

Retro al sofista suo la razza audace

Entrò nel tempio a lacerar quel velo

Che coprì l'arae pur dei Santi il Santo

Fu nei trivi argomento a strepitoso

Garrir di volgo. In quella scuola Arnaldo

Crebbe al delitto: egli quell'armi stesse

Onde fe' guerra al Cielo il suo maestro

Or contro il soglio ha volte e la tua santa

Autoritàche dei monarchi al freno

I popoli educò. Ma l'empia voce

Qui suona ancorperchè lo zelo è morto

Ond'arse in terra il tuo fedel Bernardo

Madre di Dio!() che se ubbidito avesse

La terra dov'ei nacque al suo consiglio

E d'Innocenzo ai cenniil fero Arnaldo

Che nella fuga seminò gli errori

E ai trionfi or qui vien da lungo esiglio

Nelle mani cadea del mansüeto

Nostro poterche l'alma errante avrebbe

Sì ricondotta a Dio col pentimento

Ch'ella al Cielo potea salir dal rogo

Debita pena al corpo suo.

ADRIANO

La Chiesa

Fino alla tromba che nel giorno estremo

In ogni avello sveglierà la polve

Deve la guerra sostener col mondo

D'errori armato che si fan dottrina.

Lo Svevo abbiam nemico: or collo scettro

La possanza tener di Carlomagno

Io so ch'ei vuol(): spera che torni indietro

Il fiume eterno degli umani eventi

E a un suo cenno ubbidiscae gli riporti

L'antico freno che corresse il mondo.

A quella norma ricompor vorrebbe

Tutti gli statie dominar la Chiesa

A cui deve ubbidir: scandalo ei grida

I riti nostriuna spelonca il tempio

Ove l'oro si contae Dio si merca

Sul sepolcro di Pietro(). Oimèsul trono

Sta l'eresia d'Arnaldo! e se non fosse

Che amor gli ferve d'una fola antica

Nell'indomito pettoesser potrebbe

Di Cesare l'amico: ei l'empio capo

Promise a noi per vendicar l'Impero

Ma non la Chiesa: a separarla ei viene

Dalle città lombardeove risorge

La libertà che qui mal chiede Arnaldo.

Temo i doni di Cesare: infamarmi

Spera col sangue che a un mio cenno ei versi

Ond'io poi grato e reo la man sollevi

All'anatèma di Milanoe ponga

In sua balía l'Italia e Roma. O Guido

Tutto cangiò! La Croce invan sovrasta

Sulla corona ai rechè il suo mistero

Non aggrava la fronte a quei superbi.

Non riconoscon che fu data a Pietro

In retaggio ogni gentee si distende

Ai confin della terra il suo potere.

Però non deggio essere in tutto avverso

Alla ragion del popolo: t'è noto

Ciò che sperò Bernardo. Oh s'io potessi

Tornare Arnaldo al nostro gremboe farne

Un lione di Dio! dalla sua fronte

Disgombrerei dell'anatèma il carco

Se in Milano costui gridar sapesse:

Libero è l'uom quando ubbidisce a Dio

Che parla nel pontefice.

GUIDO

Non sono

Io nel cospetto d'Adriano?… e questa

La voce sua non è?… Dehnel tuo segno

Soccorrimio Signor. Guidosei desto

Oppur dell'uomo l'avversario antico

In fero sogno a cui fuggir non puoi

Così ti parla?

ADRIANO

Tu sei destoe sogni.

Stolto! obliasti che Gesù non vuole

Del peccator la mortee ad Abelardo

Perdonava Bernardoe pur gli piacque

L'austera vita a cui si diede Arnaldo?()

GUIDO

Finte virtudio vane; or sta la morte

Nell'opre sue.

ADRIANO

Posson col mio perdono

Risorgere alla vita.

GUIDO

Ei s'è diviso

Dal gregge tuo.

ADRIANO

Pur sull'abisso io deggio

Cercar la pecorella: io son pastore

Che perirvi non teme.

GUIDO

Arnaldo è lupo.

ADRIANO

Può farlo agnello Iddio: sorger ei puote

E tu cadere.

GUIDO

O signor mioti piaccia

Questo consiglio di mutar.

ADRIANO

Mutarmi!

Io che non erro?

GUIDO

Ma ti uscì di mente

Che un Concilio il dannò?… poi tu?…

ADRIANO

Che dici?

Io posso tutto. Osan le membra audaci

Ribellarsi dal capo? in queste mani

Non stan le chiavi un dì concesse a Pietro?

Qual sentenza di Dioripete il Cielo

La mia parola che qui scioglie e lega.

Non tanto Arnaldo osò. Sol della terra

Mi contrasta l'impero: or più di lui

Tu sei fuor della Chiesa.

GUIDO

(S'inginocchia al papa.)

Oh Dio! perdona;

Errai: perdona! Io dai tuoi piè non sorgo

Se non m'assolvi: m'ingannò lo zelo.

Sono il tuo fango: or qual più vuoi mi forma

Vaso di gloria o d'onta.

ADRIANO

Alzatie pensa

Ch'io sol dal monteove mi ha posto Iddio

A dissipar le tenebre del mondo

La face inalzo: è della sua chiarezza

Figlio lo zelo che all'error fa guerra.

Sempre travia chi guarda altrove; io sono

Norma all'opreai pensieri; e tu seguirmi

Non preceder mi devi: agnello umile

Al pastore t'attergae guata il suolo;

L'orme che vi segnai guidano al Cielo.

Conosco Arnaldo; ei qui verràlo spero

A segreto colloquio. Ancor non sono

Nel vicin tempio i cardinali accolti

Che fra il clero devoto e i suoi fedeli

Denno proceder meco a Laterano

E consacrarmi sul maggior dei troni.

Ov'io mutar non possa il cor superbo

Dell'infelice Arnaldoallor sapranno

Il volere di Dio: quando il periglio

Sta sulla Chiesanon son io che parlo.

A lor t'uniscie i nostri cenni aspetta.

 

 

 

SCENA II

 

ADRIANO.

Volere uman! poichè in Adamo osasti

Di ribellarti a Diocome sei pigro

A un verace ubbidir! Costui che crebbe

In un cenobioove a servir s'insegna

Al mio poterche venerata ed una

Fa la Chiesa di Diosottrarsi osava!…

Sopra ogni grado onde quassù si ascende

Io trovava un dolor; ma sulla cima

Vi stanno tuttie nascono le spine

Sulla cattedra mia più che sul trono…()

Quanta fatica è nel guardar dal fango

Quel manto che i più forti omeri aggrava!

Oh queste gemme della mia tiara

Sono un fuoco che m'arde il travagliato

Capoche a teSignorpiangendo inalzo.

Ma non deggio temer: colui che seppe

La croce sopportarch'era sì grave

Dei peccati del mondoal servo infermo

Soccorrerà… lo rappresento in terra. -

O silenzi del chiostroo della mia

Isola nubiche del Sol modesta

Fate la lucesiccome era un giorno

La sorte miaqui fra i tumulti insani

Dell'empia Romae lo splendor superbo

D'ardente Cieloio vi ricordo e piango.

 

 

 

SCENA III.

 

Stanze nel Castello di Giordano.

 

GIORDANOARNALDO.

 

GIORDANO

O santo pettoinvan t'affanni e tenti

All'altezza inalzar del tuo pensiero

L'umile Italia: ella ha d'errore ingombro

L'infermo capoe sempre in lei combatte

L'una coll'altra mano. E chi potrebbe

Del Sacerdozio a un tempo e dell'Impero

La guerra sostenerse Roma istessa

Roma che sa come gli Dei si fanno

Ch'ebber guerra fra loroe qui li ha visti

Correr nel sangue per seder sull'ara

Più fatal d'ogni tronoancor parteggia

Fra il pontefice e noi. Tu cerchi invano

Dall'error liberarlae l'Evangelo

Ai sacerdoti opporre: a lor si crede

E non a Dio: scrivon gli astuti i primi

Nel libro della mentee queste note

Cancellar non è dato. A me lo credi

Io nel sen dei più ardenti un paüroso

Odio conosco delle fole avite:

Pugnano ancor con essee non l'han vinte

E nel furor nascondono i rimorsi.

ARNALDO

Fede si serbi a Roma: io non potrei

Divellermi da lei: fosse ombra e sogno

Nel vano amplesso di perir mi giova.

Soffrio Giordanoe spera.

GIORDANO

Una speranza

Avreise Pietro fosse morto altrove.

ARNALDO

Ah non avvenga che pel reo cultore

Tu ti riduca a maledir la pianta!…

Ma che pensa il senato?

GIORDANO

Ei si figura

Che un nuovo impero qui risorgae possa

Divenir fonte del poter supremo

Il suo nuovo consesso()o almen confermi

L'imperator che la Germania elegge.

ARNALDO

So che in tali speranze a quel Corrado

Cui lo Svevo or succedeun dì scriveste

Magnifiche parole(): ei pria superbo

Non le degnò d'un cenno; e poi feroce

Precipitando dal disprezzo all'ira

Se nol rapia la morteei qui movea

Del terzo Eugenio a vendicar la fuga

E rispondea col ferro il re tedesco

Al romano senato.

GIORDANO

Or vien lo Svevo

A farsi sacroe più spiegar l'artiglio

Allo strazio d'Italia; e solo il papa

Ricercherà fra noi. Roma pagana

Quei tiranni che uccise in Ciel ponea:

Santa divennee quella man che tiene

Le chiavi che in Giudea fur date a Pietro

La tirannia consacra().

ARNALDO

All'armiall'armi!

Io lo gridai.

GIORDANO

Ma invan: questo senato

E il popol tutto che sentier non crede

Laddove orma non sianegli usi antichi

Fia che si appaghie manderà Legati

Al crudel Federigoe tutte al vento

Roma dispiegherà dei suoi vessilli

Le dipinte paureabbandonando

A vetuste pareti i ferri immoti

Reverente all'Impero; e fia chi veli

Con superbia di nomi il vil timore

Che gli desta il tiranno. A lui si deve

Già gridar odoil solito tributo

Da Roma dimandar? Perchè non viene

Su carro trionfal?… Miseri e stolti!

Dalla superbia del Tedesco avaro

Vi fia negata la più vil moneta

Che all'Italia rapì: sol d'essa i figli

A germanico plaustro incatenati

Ei dall'arse città condur vorrebbe

Al Campidoglio; e sì discordi e vili

Siam fatti omaiche dalla plebe insana

Plausie non compriavrebbe. Oh senza speme

Cittàche a regno o a libertà ritrovi

Nella memoria delle tue grandezze

Ostacolo e rampognae in lor consoli

La tua viltà! che servie fremie sogni

Miserae sei pur dal passato oppressa!

ARNALDO

Se diedi a una virtù che presto langue

Troppo audaci consiglie quel possente

Affrontar non osatealmen difese

Sian queste muraed ai Tedeschi è chiusa

Pur la via della fuga. Avranno a fronte

Il possente Normandoa tergo insorge

La vendetta lombarda: e questi lurchi

Di calore e di polve impazïenti

Se osan qui rimanerstruggersi io veggo

Negli squallidi campiin questo cielo

Tacitoardente: ivi avverrà che pugni

Ai danni loro anche d'Italia il sole.

GIORDANO

Pensa di Roma all'immortal nemico

Ch'è re dell'almeed ogni cor fa vile

E languido ogni braccio. Italia è schiava

Se baciarsi vedrai Cesare e Pietro.

ARNALDO

Pronti a tradirsi; e ancor non bene è noto

Chi sia fra lor che più somigli a Giuda.

L'uno all'altro s'oppongae pria che parli

Coll'astuto AdrianCesare ascolti

I Legati di Roma. Ei tragge seco

Gli esuli della Puglia(): a lor conviene

Stringersi d'amistà; chè ad essi ei vuole

Render la patriae alla Germania un regno

Che il Normando usurpò. Sempre la druda

Aborrita da noinelle sue guerre

Vince perdendo()e al pastoral ricorre

Se cade il ferro dalla mano imbelle;

E sul capo fatal resta la mitra

Quando l'elmo balzò. Tosto al Normando

Ch'ella domo vedea dai suoi terrori

Comandò prigionierae gli sorrise

E tutte consacrò le sue rapine

Purchè ligio ei gli sia: fu quindi offesa

La ragion dell'Impero. È un odio antico

Fra i Normandi e i Tedeschi. Or nel vassallo

Del Romano Pastor vede un ribelle

Federigo superbo: a lui palese

Sia che finge sdegnarsie puttaneggia

Con quel Guglielmo che ai Normandi impera

La Curia infida; e che Adrianoa tergo

Dell'esercito suo che in Puglia ei guida

Tutte potrebbe sollevar le genti

Se in Roma ei regna. A noi serbar conviene

Gli ordini nostri: e Federigoin tanto

Pericolo di coseaver potrebbe

Maggior fiducia nel roman senato.

Che nel prefetto da gran tempo avvezzo

A pontificia servitù. Migliori

Darà consigli il tempoe in questa guerra

Milano vincerà. Se voi col senno

Libero stato ora serbar potete

Certo avverrà che almen sia Roma il capo

Dell'italiche gentie un patto unisca

Le sue città. Se non avvieneindarno

Si sparse il sanguee questa gloria è breve.

Si oblierà che la crudel procella

Che i lieti fior della speranza uccide

Nel giardino d'Europaognor movea

Dal germanico cielo. Ahi la sua gente

Come una rupe che quei campi opprime

Su cui ruinae poi vi sfida i venti

Immobile e crudelenon si posi

Sul dolce pian d'Italiae la condanni

Con lurido marito a nozze eterne.

GIORDANO

Suona la tromba del castel.

 

 

SCENA IV.

 

UN VASSALLO DI GIORDANOE DETTI.

 

GIORDANO

Che rechi?

A tumulto commove i suoi fedeli

L'ostinato Adrian?

VASSALLO

Chiede l'ingresso

Un messaggero suo.

GIORDANO

Venga… Che vada

Macchinando costui?

ARNALDO

Non si paventi.

GIORDANO

Ma cauti siam.

 

 

 

SCENA V.

 

UN ARALDO DEL PAPAE DETTI.

 

GIORDANO

Il tuo messaggio esponi.

ARALDO

Spera il nostro signor che a parlamento

Venga con lui…

GIORDANO

Chi di noi brama?

ARALDO

Arnaldo.

ARNALDO

Io di stupor son pieno.

GIORDANO

Io di sospetto.

ARALDO

E la sua fede impegna a far sicuro

D'ogni offesa il suo capo.

ARNALDO

Udrai fra poco

La mia risposta.

 

 

 

SCENA VI.

 

GIORDANOARNALDO.

 

GIORDANO

Che risolvi? Ah pensa

Ch'eretico ti credeeteco usato

Santo divien l'inganno.

ARNALDO

A tanta altezza

Adriano giungeach'ei non potrebbe

All'insidie piegar l'animo altero.

Con intrepido zelo al suo cospetto

Presentarmi saprò: regno nel mondo

Cristo non vollee nel Vangel favella

Apertamente.

GIORDANO

Ma le sue parole

Interpreta costui.

ARNALDO

Di Pier le chiavi

Ora tiene Adriano in sua balía

E riverente al lor potere io deggio

Tentar ch'ei le ritorni ai primi onori;

Non faccia d'oro e più di colpe acquisto:

Il mondo guidinol possieda: e sia

Disgiunta alfin dal pastoral la spada.

A liberarci dal servaggio antico

Gesù moriva in questi giorni. Ah parli

Del pontefice al cor la sua dottrina!

GIORDANO

I Farisei novelli a quella croce

Ov'ei pendea morendohan l'uom confitto.

ARNALDO

Trarnel saprà quei che risorsee vinse.

GIORDANO

Cristo risorsee libertà non puote

Franger la pietra del sepolcro antico

Chè vi è sopra l'altar… Vanne… rimosso

Esser non può da così grande impresa

Un magnanimo core: ah! ch'io non deggia

Piangere sull'amicoe vendicarlo.

Ma patrizio di Romai senatori

Adunerò sul Campidoglioe cinti

Noi sarem di quell'armi in cui m'affido.

 

 

 

SCENA VII.

 

GIORDANO.

Misero Arnaldo! a libertà fatali

Preveggio i giorni del dolor di Cristo.

Dalle cattedre infide ove confessa

Ora sul volgo il sacerdote astuto

Regnae nei ciechi petti estingue o crea

Mille rimorsie ad espïar li spinge

Col delitto il delitto. In Adriano

Quanto è vano sperar! nacque Britanno;

Onde l'Italia aborree vuol nel fango

Il popolo di Roma. Quell'orgoglio

Solitario e crudel che dalle mute

Tenebre del cenobio or qui l'inalza

Gran tempo è che fugò dal petto austero

Ogni dolcezza degli affetti umani.

 

 

 

SCENA VIII.

 

Stanze del Vaticano.

 

ADRIANOARNALDO.

 

ADRIANO

Cadi a' miei pièli baciae poi la fronte

Umilia sì ch'ella s'affigga al suolo

Ch'io calpestava. Arnaldoa me si parla

Siccome a Dio: prostrati. Io non dovrei

Un empio udir… ma la speranza aduno

Del pentimento suo… Pria che gastighi

Le tue carni il cilizioe cener vile

Su cui morraiti copra il crin canuto

Parlar mi puoima dalla polve.

ARNALDO

I piedi

Ai discepoli suoi baciò l'umile

Che rappresenti in terra: or dal tuo labbro

Le voci ascolto del primier superbo.

Pentitio Pierche lo rinneghie sei

Vicino al tempioma lontan da Dio.

ADRIANO

Tuche dall'Alpi ruinando a Roma

Col vano suon dei non intesi nomi

L'eco svegliasti delle sue ruine

Ritorna al chiostro: hai le città divise

Monaco errantee colle tue dottrine

Agiti il mondo che lasciar giurasti.

ARNALDO

Tuche dal fango al pontificio trono

Come serpe salistie schiavo abietto

Ai monaci che spregiin Santalbano

La lor mensa nutria dei suoi rilievi

Princìpi umili a me ricordi? e tanto

Discese oblio dalla fatal tïara

Sull'ignobile capo?… Or viagli oltraggi

Taccian fra noi: non parliam d'avi: alfine

Pensa quel sangue che ci fece uguali.

Sei ponteficeo re? l'ultimo nome

Mai non si udiva in Roma; e se di Cristo

Il vicario tu seisaper dovresti

Che sol di spine fu la sua corona.

ADRIANO

Ei della terra mi donò l'impero

Quando il gran manto mi vestiroe scelto

Al maggior seggio della Chiesa io fui.

La parola di Dio creava il mondo

La mia lo guida. Tu vorresti al corpo

L'anima serva! Libertà favelli

E fai guerra a colui che solo in terra

Può star fra l'uomo e i suoi tiranni? Arnaldo

Fa senno… il credi… ogni tuo detto è vano

Strepito che qui muoreo si disperde

Nei deserti di Roma: io sol dir posso

Quelle parole che ripete il mondo.

ARNALDO

Esse non fur mai libertade: e posta

Fra i popoli e i tiranniè ognor la Chiesa

Coi deboli crudelee vil coi forti();

E soffogato dai crudeli amplessi

Che i Cesari si danno e i sacerdoti

L'uom rimase finora. O pastor sommi

Farsi ludibrio delle sorti umane

I re mirate; e voi sopra i crudeli

Dritti del ferrosulle colpe istesse

Che non osò la tirannia pagana

Il gran manto spiegate; e tutto è notte.

Alla figlia del sangue e del dolore

Che gli altari innalzò sopra le tombe

Di chi per lei morivainver fatale

Fu chi diè l'oroe nella manche solo

Deve alle preci alzarsiil ferro ha posto:

Bevve l'oblìo delle virtudi antiche

Dentro i calici auratie sulla terra

Non fu l'eco di Dioma dei tiranni.

Dai sette colli ove la sede ha posto

Più il Golgota non vedeil primo altare.

ADRIANO

Tu ne calunni: ebber per noi gli oppressi

E difesa ed aitae Roma ha vinti

I vincitori suoi. Ruina e tomba

Era a sè stessae il Barbaro col ferro

Le sue ruine misurar vedea.

Dimmichi fu colui che pellegrino

Or fa tornarlo ov'ei giungea nemico?

Non degli eroid'un pescator la tomba

A lui mostravae gli gridò: - Ti prostra. -

E il Barbaro ubbidì… Roma sorgea

Dalle ruine che salvò la croce

E il palpito fecondo al cor sentia

D'una vita novellae della fede

I trionfi mirò: questa divenne

Del Campidoglio suo l'immobil pietra.

Eterna alfine è Roma: il suo pastore

Disprezza i regni dove son confini

Chè divenne signor dell'infinito.

ARNALDO

Perchè qui cerchi imperoe poco in Cielo

Molto stai sulla terra? Ahi mal si grida

Nelle vostre preghiere: - Il core in alto: -

Siete sempre quaggiù. Perchè la spada

Al pastorale unisciove sia tanta

L'onnipotenza delle tue parole?

Cristo non volle che alla sua difesa

Il ferro si snudasse; e tu di Pietro

Solo quest'oprach'ei dannavaimiti:

Che dico! il gregge a te commesso uccidi

Dei Barbari col ferroe poi ti chiami

Puro di questo sangue. Ah sei nell'opre

Tanto discordi dal tuo dirche vero

Fai la menzognae poi menzogna il vero.

Servo dei servi ognor ti chiamie sei

Dei tiranni il tirannoe t'accompagna

Dei secoli a traverso un sol pensiero.

Tu vuoi milizia i sacerdotie regni

Col terror delle mistiche parole

Umilmente superbo; e re combatti

E sacerdote imprechie mai non duri

Sacerdote nè re; chè ognor t'assidi

Vinto sull'arae vincitor sul trono.

ADRIANO

Empie parole ascolto. Omai diviso

Sei dalla Chiesa: l'anatèma eterno

Di tenebre ti cingee in te favella

Il rio Demon che ti possiede.

ARNALDO

Invano

Atterrirmi presumi: io ben conosco

Quell'alta legge a cui servir dovresti

E nel volume suo non si cancella.

A te sol non ragiono: omai tu segui

Antichissimi esempie sta sepolto

L'Evangelo di Dio sotto i Decreti

Dei romani pastori: ed essi in cima

Della crudel grandezza onde si preme

Tutto quaggiùlasciano il gregge umano

Nella valle agitarsi; e se li turba

D'esso il cieco tumultoe il sanguinoso

Vello ricusa alle lor mani ingorde

Barbari lupi nell'ausonia terra

Che tanto sangue bagna e non feconda

Chiaman dall'Alpi. Or perchè invidi a Roma

Le sue ragioni antiche?

ADRIANO

Italia accoglie

Dall'antica virtù genti lontane

Più della plebe tua.

ARNALDO

La plebe è veltro

Che feroce si fa nelle catene.

A libertà fai guerra; e allor ti è forza

Temer lo schiavo che i suoi ceppi infrange:

Poi le sue colpe gli rampognied osi

Chieder virtùdove non son diritti.

Sacerdoti crudelia voi diletta

Soffrir le colpe per crear rimorsi

Che padri sono di crudel ricchezza

Onde gemono i figlie voi godete

A donar poco e a rapir molto avvezzi.

Traffico di paure e di menzogne

Per voi si fa: tutti v'impingua un cieco

Volgo che corre dai delitti all'are

E dall'are ai delitti: e poi gridate

Se da penuria stimolato ei viene

A turbar gli ozi che vi fece Iddio.

Ma di Roma si taccia: or se tu brami

La tua possanza esercitarreprimi

Dei vescovi i delitti()e si vergogni

D'esser la Chiesa ai poveri matrigna.

Nelle città lombarde ogni pastore

Divien tirannoe con perfidia accorta

Per la Chiesa parteggia o per l'Impero.

Han molli cibisplendidi apparati

Gioie lascive; ed i suoi freddi altari

Copre la polvedove sta la mitra

Dimenticata dalla fronte altera

Che ricopre il cimiero; e non s'abbassa

Nel tempio ormai deserto in faccia a Dio

Ma nei campi di stragi ancor fumanti

Sul caduto nemicoe i colpi accerta

Al sacrilego brandoed all'estreme

Preghiere insulta con rampogne atroci;

Poi nel petto del vinto ei si fa strada

E v'insanguina l'unghie al suo destriero.

Quando v'ha breve infida pacee stanco

Fra le stragi si asside il sacerdote

Son gli ozi suoi delittoe alle rapine

La mollezza succede: entra furtivo

Ei nell'ovil: ciò che bramò nel giorno

Fra le tenebre ardiscee son gli stupri

L'imen permesso ai sacerdoti. Invero

Come Roma speròda lor deposta

Fu la vil soma degli affetti umani!

Hanno ingrata libidine di belve

Che oblia la madree non conosce i figli.

Non di preci sonarma di latrati

Odi le selvein cui si aggira e regna

Pastor lombardoe al poverel digiuno

Quel pan rifiuta ond'è sì largo ai cani:

E l'empie guerre con crudel tributo

Nutre l'iniquo; e sull'altar di Cristo

Ch'è principe di pace e di perdono()

La vendetta si giura; e quelle faci

Che getta in sen delle cittadiaccende

Nelle lampade ardenti innanzi a Dio. -

Diventa re dei sacrifici; ascendi

La montagna di Dio; su quei perversi

I tuoi fulmini vibra; e più temuto

E più grande sarai. DimmiAdriano:

Non devi un peso sostener che grave

Agli Angeli sarebbe? A che la morte

Brami unir colla vitae far mendace

La parola di Dio che disse: In terra

Il regno mio non è? Di Cristoe Roma

Segui l'esempio: piacque ad essa e a Dio

Premer gli alterisollevar gl'imbelli…

Bacio il tuo pièse i re calpesta.

ADRIANO

Arnaldo

Io non parteggio; impero: e fatto in terra

Qual Dio nel Cieloil giudice di tutti

E nessuno di meveglioe dispenso

E speranza e terrori e premi e pene

Ai popoli ed ai re. Principio e fonte

Son della vitache possente ed una

Fa la Chiesa di Dio; che genti e troni

Agitarsi mirò tra le frementi

Onde del tempoe nell'immobil scoglio

Ov'ella siede infrante; e perchè certo

Uno spirto la reggenon delira

Per mobili dottrinee serba eterna

Grandezza nel volere e nel disegno.

ARNALDO

Se rompe fede alla parola eterna

Più la Chiesa non è. Quando il mortale

Nella notte giacea d'antico errore

Un Cesare pagano esser potea

E sacerdote e re: ma quella notte

Illuminò Colui che più del sole

Empie il mondo di vita e di pensiero.

Coll'eterna dottrina egli divise

Ciò che tu brami unir. Ti fai diritto

La calunnia giudea: ma se si legge

Nel volume di Diotrova ribelli

Colui che usurpae allor si viene al sangue;

E si versa per voi che siete eterno

Rossor di Cristo. Egli serrar volea

Il tempio della guerrae voi l'apriste.

ADRIANO

Col peccato si pugnae a far sicura

Di Sïonne la rôcca; e quindi i rei

Ci fanno guerrae pur gli stolti. Arnaldo

Tu mi muovi a pietade: invan riscaldi

Col petto tuo queste rovinee guati

Nei sepolcri di Roma: ossa non trovi

Cui possi dir: «Sorgete.» Ahnon vi resta

D'un solo eroe la polve! E vuoi che torni

Coi nomi antichi la virtù degli avi!

Ma tribunisenatoordine equestre

Tu puoiRomabramar! Gloria maggiore

Fia il pontefice tuoche non difende

I dritti incerti d'una plebe insana;

Ma tribuno del mondo ei siede in Roma

E ai popoli ed ai re qui grida: - Io vieto. -

Ripeterti degg'ioche più dell'empio

Poter che indarno rinnovar si tenta

Qui fe' morendo il Pescator di Giuda.

Col sangue suo quasi una patria ei fece

A popoli diversie questo loco

Ch'era cittàdivenne un mondo: è tolto

Dalla legge di Cristo ogni confine

Che i popoli divise: è questo il regno

Che la preghiera sua richiese al Padre.

La Chiesa ha figli in ogni gente: impero

Io re non vistoe da per tutto è Roma.

ARNALDO

Tu t'inganniAdrian. Langue il terrore

Dei fulmini di Romae la ragione

Scote le fasce che vorresti eterne.

Le romperà: non bene ancora è desta.

Già l'umano pensiero è tal ribelle

Che non basti a domar: Cristo gli grida

Siccome all'egro un dì: «Sorgi e cammina.»

Ti calcheràse nol precedi: il mondo

Ha un altro vero che non sta fra l'are

Nè un tempio vuol che gli nasconda il Cielo.

Fosti pastordiventa padre: è stanca

La stirpe umana di chiamarsi gregge:

Assaidal vostro pastoral percossa

Timida s'arretrò nella sua via.

Perchè in nome del Ciel l'uomo calpesti

Ultimo figlio del pensier di Dio?

ADRIANO

Abelardo rivive; e qui mi parla

Sul labbro tuo. Quando alla fede opponi

La superba ragionee vuoi regina

Questa ancella di Diosei nell'abisso

Che un altro abisso invoca; e luce e vero

E riposo non v'ha sulla tua via.

ARNALDO

Tu compreso non m'hai.

ADRIANO

Se il tuo maestro

Nel pentimento imitie credie speri

Ciò che intender non puoi; perchè la Chiesa

Turbi con altri errori()e persüadi

Le cieche genti alla più gran rapina

Che far si possae tra gli altari ignudi

Vuoi la sposa di Dio mendica e schiava?

V'ha libertà senza giustizia? Ed io

Fra lo squallor di povertà derisa

In una terra che a' miei piè ruini

La ponderosa sostener potrei

Mole di Cristoe vigilare il mondo

Se per me tremo?… Alla dottrina ingiusta

Rinunzi Arnaldoesca da Roma; e poi

Quando sia tempole città lombarde

Con libertà che non offenda il clero

Sante faràpur ch'egli sia la mano

Dell'intelletto mio. Con questi patti

Rendo il figlio alla madre; e tu pentito

Del pio Bernardo le speranze avveri;

Torni con Pietro a militar: ma prima

I cardinali interrogar mi piace

Su questo avviso mio.

ARNALDO

Di lor che parli?

Eco son essi inanimata e vile

Che i detti tuoi ripete. Io ti rispondo…

Vana speranza accogli; io son fedele

A Romae a Dio.

ADRIANO

Pensa al gastigoArnaldo

Che ti sovrasta!

ARNALDO

Il mio disegno è santo.

Coi supplizi atterrirmi invan presumi:

Non ti ricordi che la Croce ha vinto?

ADRIANO

Spento sarai… non ora… Olà… vassallo

A quel castelloond'ei qui venneArnaldo

Riconduciproteggie sieno ammessi

Al mio cospetto i cardinali.

 

 

 

SCENA IX.

 

ADRIANO

È tempo

Che la clemenza cessie s'entri alfine

Sulla via del rigor. M'è forza omai

Come Cristo insegnòporre all'aratro

Con santo ardir mani animose e pronte

Nè rivolgermi indietroio pur dovessi

Quel solco che aprirò bagnar di sangue.

Non avverrà… ma col sudor sul volto

Coll'affanno nel cor giungere io spero

All'eretico sterpo…. e lo commovo

E lo svelloe lo atterroe non mi frena

Rispetto alcun. Chi più del ferro è pio

Che lacera la terrae la feconda

E tronca spine il cui veleno è morte?

 

 

 

SCENA X.

 

CARDINALIADRIANO.

 

UN CARDINALE

Signorche tardi? Al Lateran si vada:

Consacrarti dobbiam().

ADRIANO

Non fia.

UN CARDINALE

Che dici?

ADRIANO

Voi mel chiedete? Costantin quel tempio

Edificava a Diopoichè a Silvestro

Diè la gran dote(). Ivi da noi si prende

Il possesso di Romae sorge il trono

Di Pietro al successore. Ditefratelli

Or qui comando? Incoronar lo schiavo

Schiavi ancor voipotete?

UN CARDINALE

Il nostro padre

Tu sei… Che brami?

ADRIANO

Nell'esiglio Arnaldo

Che ridurre alla Chiesa invan tentai:

Ai senatoriai consolia' tribuni

Tolto ogni dritto che si usurpa a Pietro.

Io qui dell'empia libertà pagana

Il nome stesso tollerar non deggio.

Eresia la dichiaroe render voglio

Il Campidoglio a Cristo.

UN CARDINALE

All'opra santa

Signorqual armi ora ci dai?

ADRIANO

La Croce…

Vincitrice del mondo: e tu l'impugna

Guido fedele; annunzia a quei ribelli

Il mio voleree t'accompagni il clero.

(Volgendosi agli altri cardinalidai quali accompagnato egliparte.)

Voisenato di Diomeco venite

Di Pier nel tempio a supplicar l'Eterno.

 

 

 

SCENA XI.

 

GUIDO.

Come dell'Eritreo l'acque divise

Dalla man di Mosèpossa alla Croce

E ad un mio cenno rispettosa aprirsi

Questa plebe crudel che ondeggia e freme

E il mite agnello trionfar del lupo

Ch'entrò d'un salto nell'ovil di Cristo.

Ma invan si spera; ed Adrian nel santo

Impeto dello zel pose in oblio

Quanto caro alla plebe e a noi fatale

il Campidoglio sia. Quivi al Senato

Lucio fe' guerrae gli piombò la morte

Sull'adorato capo: ugual destino

Sarei lieto incontrarchè del martiro

Bella è la palma che disserra i Cieli;

Ma ben deggio vietar che in mezzo all'ira

Si profani di Pietro il gran vessillo

Ch'è la gloria maggior del Paradiso.

Meco verrà Leone in sua difesa.

 

 

 

SCENA XII.

 

Piazza sul Campidoglio.

 

SENATORI che discorrono fra loro;

GIORDANO in disparte.

 

GIORDANO

Già dalla rôcca che afforzar gli piacque

Il Senato discendee la risposta

Che il superbo Adrian diede ad Arnaldo

Or traggon tutte per udir le genti.

Speme non ho: qui spento almen cadessi!

Bello è il morir sul Campidoglioe pura

Una luce lo veste: in cima ai templi

Stanno le pigre nubi ov'è mistero.

Dehcelateli a noi: vien dagli altari

Quel terror che ci prostrae rende eterna

La nostra servitù. Su questo monte

È un arcano poter che fa presenti

I secoli che furo; e qui risorgere

Sembran le gloriedove sta la morte

A chi nacque Romanoe poi ripiomba

Nella miseria di superbie piena

Com'uom che videe si ricordae freme.

UN ARALDO DEL SENATO

Al seggio tuo vanneo Giordan.

GIORDANO

Chi giunge?

 

 

 

SCENA XIII.

 

POPOLOARNALDOE DETTI.

 

POPOLO

Evviva Arnaldo.

UNO DEL POPOLO

Ei non temea la morte

Per la santa Repubblica.

UN ALTRO DEL POPOLO

Fidarsi

D'un pontefice osò.

UN ALTRO DEL POPOLO

Monacoe Inglese!

GIORDANO

Silenzioamici: e tusignorche sei

D'anni maggiorciò che dal papa ottenne

Chiedi ad Arnaldo.

UN SOLDATO

All'armi!

POPOLO

Oh qual tumulto!

UNO DEL POPOLO

Giunto è il Tedesco.

ARNALDO

E che? tremate?

UNO DEL POPOLO

Io veggo

L'aquila nell'insegna.

UN ALTRO DEL POPOLO

È Guido.

POPOLO

È Guido.

ARNALDO

Popoloaccorrie lo respingi. Ascende

Il sacro montee il tuo Senato ei vuole

Scacciar dal Campidoglio.

UN VECCHIO SENATORE

A pace ei viene

Con esercito pio: non vedi? il clero

Umilemente a passi gravi e lenti

Verso di noi procedee qui s'innalza

Degl'inni santi l'armonia soave.

Pensate ai giorni in cui noi siam.

GIORDANO

Ma Guido

Non lo ricorda: di Leon le squadre

Ai sacerdoti ha misteancor ch'ei venga

Cinto di faciaddolorato e scalzo.

Presso il vessillo suo monaci astuti

Van d'un flagello armatie si tormentano

Con insana pietà le spalle ignude.

Un pallido furor colora il volto

Della stolida plebe: urli feroci

Succedere udiraibestemmie ed onte

Agl'inni lor. Seguitemivolate

A soccorso dei miei: non si profani

Da questi vili il Campidoglio.

POPOLO

È tardi:

Guido giungea.

 

 

 

SCENA XIV.

 

GUIDO CARDINALEcolla croce innanziseguitatodalla parte più abietta del volgodai MONACIdal CLERO e daLEONE FRANGIPANI colla sua masnadaE DETTI.

 

GUIDO

Popoloascolta. Io parlo

Del Pontefice in nome: egli non vuole

Nella reggia di Dioch'è Laterano

Premer quel trono che s'innalza a Pietro…

ARNALDO

Ben fa: quel trono in polvee allor menzogna

Più non sarà ch'egli succeda a Pietro.

GUIDO

Taccia l'eresiarca. A voifedeli

Certo dorrà che non s'adempia il rito()

Onde il sommo Pastor qui si consacra

Nè ancor gli offriamo riverenti e proni

Le sante chiavi di color diverso

Onnipotenti al premio ed alla pena.

Ah nella pompa della sua corona

Splenda in cima del tempioe a voi prostrati

La man benigna abbassie verso il Cielo

Poi la sollevie benedica il mondo!

GIORDANO

L'uficio suo perchè non compie?

GUIDO

Arnaldo

Prima da Roma in bandoe poi…

ARNALDO

Proseguo…

La sua tïara diverrà corona

E regnerà. Se vuol costui ch'io torni

Sulle vie dell'esiglioa voi prometta

Con sacramento mantener del nuovo

Stato le leggi.

GUIDO

Ove ciò a lui piacesse

Non lo potrebbe: ha qui ragioni antiche

La Chiesae siete suoi.

ARNALDO

Neppur di Dio;

Chè libero ei fe' l'uomo.

LEONE

A Cesar torna

Questa cittàquando sia tolta a Pietro.

ARNALDO

Cesare fu tirannoe i re Tedeschi

Hanno il suo nome: la città di Bruto

Roma si chiami.

(Applausi.)

GUIDO

Siete voi pagani

Che plausi date a chi ricorda un empio

E in questi dì? Poichè s'aborre il soglio

Quanto l'altareil mio signorche padre

Chiamano i regi…

ARNALDO

Da quel dì non sono

Più i popoli suoi figli.

GUIDO

In Laterano

Verrà fra l'armi della pia Lamagna.

ARNALDO

Tinte del sangue dell'Italia.

GUIDO

E sacro

Da noi fatto Adrianporrà sul capo

La corona del mondo a Federigo

Senza che fede ei giurie dia tributo

Alla vostra città.

POPOLO

Lanciam le pietre.

ALCUNI DEL POPOLO

Volin gli strali.

(Guido riman ferito.)

ARNALDO

Oh Dio! che feste?

LEONE

All'armi!

GIORDANO

Voi purfedeli.

SOLDATO

Si frenò lo sdegno

A rallegrarlo di maggior vendetta.

(Zuffa fra popolo e plebesoldati e soldati. Imonaci e i preti secolari si danno alla fuga: rimane presso al feritocardinale il vessillifero con altri chericie pianta sulla terra ilgonfalone del papa per assistere Guido moribondo.)

 

 

 

SCENA XV

 

GUIDOIL CROCIFEROI CHERICIED alcuniSECOLARI

 

GUIDO

Chierco fedelnelle tue mani è salvo

Il gran vessillo che ha di Pier l'insegna.

È all'ombra sua dolce il morir… Chi veggo?

Cinta ha di luce l'immortal tïara

E lieve lieve giù dal Ciel discende

Sopra limpide nubie mi appresenta

Dei martiri la palma; e suoni e voci

D'Angioli ascolto… O Lucioal Ciel mi guida

Per la tua via.

(Guido muore.)

CHERICO

Spirava il santo… Amici

Non vi rincresca di gravar le spalle

Del cadavere sacroe venga esposto

Sul limitar del maggior tempio. Affretti

Ognun di voifidi ministriil piede

Nell'opra santa che impedir potrebbe

L'empio Giordano.

UN ALTRO CHERICO

E ad Adrian si dica

Che pei cenni d'Arnaldo in sen di Guido

Gli empi strali fur volti.

UN SECOLARE

O sacerdote

Oseresti giurarlo?

IL CHERICO

Io chiamo Arnaldo

Ogni delitto. Han tollerato assai

I vicari di Diopopol ribelle:

Or punirlo la Chiesa alfin dovrebbe

E con quell'armi che han la tempra eterna.

 

 

 

SCENA XVI.

 

Piazza di San Pietro.

 

I CHERICI depongono sulla gradinata della chiesa ilcadavere del cardinal Guidoche hanno portato sulle spalle. Vi siaffollano molti del Popoloe non poche DONNEe fraqueste ADELASIA.

 

UN CHERICO

Qui posatelo… quichè il giusto è morto

Per la causa di Pietro; e nel suo tempio

Pria che sepolcro egli abbiae sorga un'ara

A chi farà portentisollevate

Quel manto che lo copree si riveli

L'opra d'Arnaldo… Lo vedete?… I fianchi

Aspro cilizio preme… Ah voi piangete!

DONNE

Siam le sue penitenti.

UN CHERICO

Il seno aperto

Ha di cinque ferite: a sè conforme

Farlo Gesù volea nei dì solenni

Ch'egli per noi soffrì… Donne pietose

Mentre Guido spirògli occhi sereni

Già vedean dalla terra il Paradiso;

Non gli ha chiusi la mortee vi è la gioia

Di quella speme che divien certezza.

DONNE

Laceriam le sue vesti.

ALCUNI DEL POPOLO

È santo.

ALTRI DEL POPOLO

È santo.

DONNE

E reliquie saranno.

POPOLO

Apresi il tempio.

ALCUNI DEL POPOLO

Chi giunge?

ALTRI DEL POPOLO

Un cardinal.

 

 

 

SCENA XVII.

 

UN CARDINALE sulle soglie del tempioquindi ADRIANOE DETTI.

 

CARDINALE

Questo ferètro

Celi il corpo di Guidoe sia locato

Presso l'ara maggior.

(Così dice ad alcuni servi che mettono ilcardinale nel catafalco. S'aprono le porte della chiesae il popolovorrebbe entrarvi.)

POPOLO E DONNE

Non ti rincresca

Che lo seguiam.

ADRIANO

(Non visto.)

Lungi.

DONNE

Qual voce è questa?

Il ponteficeoh Dio!

(Adriano si mostra con maestà minacciosa sullaporta della chiesa.)

ADRIANO

Fu sparso in Roma

D'un cardinale il sangue.

POPOLO

Avrà vendetta.

ADRIANO

Qui regna Arnaldo. Ognun di voi la Chiesa

Dal grembo suo respingee queste soglie

Io varcar v'interdico.

CARDINALI

Indietro.

ALTRI CARDINALI

Indietro.

POPOLO

Questa è insolita pena.

ALCUNI DEL POPOLO

Entriam nel tempio.

DONNE

Chi l'oserà dopo il divieto?

POPOLO

Oh vili!

La chiesa è nostra: essa è di Dio la casa

Del Padre nostro che a nessun la serra.

UNO DEL POPOLO

(Vorrebbe entrarvi.)

Io non ardisco.

DONNA

Io tremo.

POPOLO

Al santo cenno

Sopra i cardini suoi ruggee si chiude

Ferreo cancelloe ne respinge.

(Si chiude solamente il cancello della chiesaondeè concesso vedere quello che dentro vi si fa.)

ADELASIA

Amiche

Sul limitar prostriamoci: si gridi:

(Tutte te donne gridano come Adelasia.)

Adrianopietà; gittar ne lascia

Ai santi piedi.

POPOLO

Ah forsennatee vili!

Come fango ei vi calchi.

ADELASIA

Ai cardinali

Mormora nell'orecchioe poi sparisce

Fra tenebre improvvise: ahi che prepara?

Ma di pallidi ceri al lume incerto

Ricompar fra gli altari: egli si posa

Sul gran seggio di Pietro. Oh qual tremenda

Maestà sul suo Volto!

POPOLO

Alfin tacete;

Qui move un sacerdote.

DONNE

Oh Cielche reca?

ADELASIA

(Il discorso di Adelasia è accompagnato da gemitie gridi di donne devote.)

TuSignorehai nella stola

Il color della viola

Qual dei giorni del perdono

Si richiede ai santi riti.

Oh! mercè dei rei pentiti!

SACERDOTE

Nunzio qui dell'ira io sono

Di Gesù da voi conquiso…()

DONNE

Oh da noi che mai s'ascolta!

SACERDOTE

Crocifisso un'altra volta

In quel pio che giace ucciso

Ei vi chiude il Paradiso.

DONNE

Dei sacri bronzi il suono!

Misere noiche fia?

(Suona la campana dell'agonia.)

 

UNA DONNA

Annunzia l'agonia.

ADELASIA

Propizia all'infelice

Di Dio la Genitrice

Preghiamoamiche; e tuRoman Pastore

Coi tuoi voti soccorri a quei che muore.

La moglieo il suo consorte

Combatte colla morte.

Poichè sentì sul ciglio

Le lacrime d'un figlio

Lo spirto ignudo e solo

S'alza a temuto volo.

SACERDOTE

Questo suon che vi reca paura

Non annunzia privata sventura:

Tutti avvolge la stessa ruina…

Siete morti alla grazia divina.

Or se alcuno avvien che pera

Sacerdote nol consola;

Per lui tace la preghiera

Ed è morta la parola

Che lassù rapida ascende

Sicchè Iddio tosto discende.

È muto il suon degli organi devoti

E fra gl'ignudi altari è luce tetra;

Stanno in mesto silenzio i sacerdoti

Abbandonati sulla fredda pietra.

DONNE

Pietà di noi!

ALCUNE DONNE

Pietà di tuttio Padre.

UNA DONNA

Io son moglie; infelice!

UN'ALTRA DONNA

Ed io son madre!

IL PAPA COI CARDINALI DENTRO LA CHIESA

Di Cristo le immagini

Velateo fratelli

Ed ogni reliquia

Nascondan gli avelli.

Costoro delirano

Per vanti feroci!

Prostratevi agl'idoli

Si atterrin le croci.

Pierdi tue glorie il Tebro

Omai più non ragiona:

Qual dalla fronte all'ebro

Cade una vil corona

Roma così dimentica

Ciò che in lei fece Iddio;

Venne di molti secoli

Come d'un dìl'oblio.

Quando Attila volea fino alla polvere

L'altezza umilïar delle tue mura

E che tu fossi vasta solitudine

Senza un'orma di gloria e di sventura;

Non pei derisi fulmini dell'aquila

I pensieri agitò della paura

Ma poichè a Paolo e a Pierdi Cristo eroi

Mirò la spada che vuoi tôrre a noi.

Al vicario di Cristo il suo diritto

Negava Arnaldoe sciolse agli empi il freno

E cieca di furor corse al delitto

Romache inebriò del suo veleno:

Nè basta il sangue di quel pio trafitto

Che ha di cinque ferite aperto il seno;

Arsi egli vuol col tempio i sacerdoti

E senza altare il mondoe senza voti().

UN CARDINALE

E qui l'empio trionfa? Ahi Roma ingrata!

La paura e l'ignominia

Sian corona alle tue mura

Nelle vie la solitudine

Sulle porte la sventura.

IL PAPA

(Inginocchiandosi.)

A Dio quest'alma il gemito

Invia del suo dolore;

Deh sorgi alfinee giudica

La causa tuaSignore!

I CARDINALI

Come nube che il vento persegua

Come fumo che in Ciel si dilegua

E che appena guatatonon è;

Spariranno i nemici di te.

IL PAPA

Il nome tuo dai perfidi

Oggi a temer s'impari;

Non regnin fra le ceneri

Dei dissipati altari.

I lor giorni sian brevi ed incerti

E raminghi in sentieri deserti

Li sgomenti ogni fronda che trema.

CARDINALI

Anatèmaanatèmaanatèma.

IL PAPA

Di lor case alle gelide soglie

Poi s'assida la vedova moglie

Col figliuolo che accanto le gema.

CARDINALI

Anatèmaanatèmaanatèma.

IL PAPA

Questi nato al furore di Dio

Erri lungi dal tetto natio

Nel terrore dell'ora suprema.

CARDINALI

Anatèmaanatèmaanatèma.

IL PAPA

Vada alle case d'oppressor straniero

Ch'empian le spoglie dei fratelli uccisi

Di donne che svenò nel vitupero;

E là con detti ignotioppur derisi

A porte inesorabili prostrato

Un pan dimandi.

CARDINALI

Che gli sia negato.

IL PAPA

Odo l'empio che grida: Io dal Signore

M'involerò sopra veloci antenne…

Nell'Oceàn mi segue il suo furore…

Fuggo al deserto… oh chi mi dà le penne?

In tenebroso orror chi mi conduce?

Ahi per l'occhio di Dio la notte è luce!

Fratellisi adempiano

I riti severi

Al suolo si gettino

Gli squallidi ceri

E s'estingua la gioiae in Dio l'amore

Nel cor di queste genti a Pietro ingrate

Come la luce che qui cade e more

In queste faci che col piè calcate.

 

ATTO TERZO.

Luogo deserto nella Campagna di Roma presso il mare.

 

 

 

SCENA I.

 

ARNALDO

L'onda del volgo che levommi in alto

Fuggì fremendoe m'haqual nave infranta

Sopra squallide arene abbandonato:

Ed io vi movo affaticate ed arse

L'ignude piante… Arido è il labbroe poca

Acqua non trovo che la sete estingua…

Arbor non v'hamuta ogni valle; all'onda

Che impoverì nell'arenoso letto

Più la vita non mormora. - Coraggio

Alma cristiana! a te conviene un pio

Soffrir tranquillo! Non hai tu promesso

Fede alla crocee sollevarti a Dio

Fuor del mondo e dei sensi? A questa polve

La vita è ugualche sempre il suo cammino

Segnasi con dolor… l'orme d'un piede

Un altro piè cancellae tutti un vano

Simulacro qui siamche appar per poco

E soffree muore… - Io non combatta invano

Figlio di Diocoll'immortal parola

Quel tiranno del tempo e dell'eterno

Che usurpa in terra il loco tuoche i piedi

Tien negli abissie fra le nubi il capo

E coi fulmini grida: - Il mondo è mio!

Leggivirtudi e libertà tentai

Rendertio Roma… Ahi sol dov'è la morte

Abita la tua gloriae ben l'alloro

Qui fra i sepolcri nasce e le ruine! -

Su colonna atterrata il fianco infermo

Posar mi giovi. Ah più di lei giacete

Alme latineed alla prima altezza

Chi tornarvi potrà? - Mi sento oppresso

Dal grave duol delle speranze altere

Sempre deluse nell'Italiae trovo

Dentro l'anima mia maggior deserto

Che questo ove di già l'aër s'imbruna

E m'annunzia la sera un suon di squilla

Da lontano cenobio: udir nol posso

Senza un desio che tremae in cor mi desta

Una memoria che divien rimorso…

Ahi presto in noi languio ragioneavvezza

Fin dall'età primiera a tanti oltraggi…

Conosci i chiostrie giovinetto entrasti

Nel sepolcro dei viviov'è la guerra…

Ricorda e fremi… Questo crin canuto

M'agita il vento… al mar son presso… oh notte

Più silenzi non hai! Dolce all'orecchio

Giunge dei flutti il mormorio lontano

In un vasto desertoe più non sono

Le tenebre un confine… Or meno oscuro

Il ciel si fa che minacciò procelle

L'aër men pigro ed insalubree tremula

Luce di stelle fra le nubi appare.

Oh sia lode al Signor! sento l'eterna

Armonia del creato; e se un'incerta

Luce qui sol mostra paludi e tombe

L'alma dal peso che quaggiù la grava

Non è vinta cosìche pur sia tolta

La libertà del volo ai suoi pensieri…

M'alzo a scopo maggior: dell'uom le tende

Sono quaggiùma la città nel Cielo.

Or non dubito più: terror di chiostro

Più non m'assal: perchè in Italia io volli

Libertade e virtùfarà ritorno

A Dio lo spirtoe andrà di stella in stella

Eterno peregrin dell'infinito.

Oh Cielchi giunge? io di cavalli ascolto

Un calpestìo… Fosse Giordan!… Non volli

Ch'egli Roma lasciasse a trar l'amico

Fuor di periglio: assicurar coll'armi

Dee prima il Campidoglioe poi raggiunga

Me devoto alla morte.

 

 

 

SCENA II.

 

GIORDANO con soldati ARNALDO.

 

GIORDANO

ArnaldoArnaldo!

ARNALDO

Oh cara voce!

GIORDANO

O generoso! ahi quanto

Pel tuo capo tremava… Ah mai sì grave

Non mi fu l'ubbidirti.

ARNALDO

Il Campidoglio

È nostro? e Roma mi richiama?

GIORDANO

Il clero

Al sacro monte ove fu Guido ucciso

Appressarsi non osa.

ARNALDO

E tolto il papa

Ha l'interdettoe son le chiese aperte?…

GIORDANO

Come la nebbia che le valli inonda

Folta la gente vi si addensae suonano

Di femineo ululato.

ARNALDO

E in ogni labbro

Vola il mio nome abbominato?

GIORDANO

Arnaldo

Mal celarlo potrei: non sai ch'è breve

Nella plebe l'amordura lo sdegno

Nei sacerdoti eterno? A lor gli ufici

Adriano divise; e chi fra loro

I pergami salìspaventae regna

Con ardenti parole impetüose:

È fra l'are tumulto; alle preghiere

Il fremito succedee in mezzo ai pianti

L'ira si destae dei percossi petti

Al suon s'alterna un maledir feroce.

Ma nelle chieseov'è silenzio e notte

I più astuti del clero a udir son posti

Gli altrui peccati; e le sommessearcane

Parole mormorate ai proni orecchi

Sono alla nostra libertà fatali

Più d'ogni voce che nei templi assorda;

Perchè nuda e tremante al lor cospetto

Ogni alma è tratta dalle sue latèbre

E assoluto non è chi si confessa

Se gli altri non accusa.

ARNALDO

Ah soffriamico

Ch'io torni a Romae vi combatta ancora

Per la causa di Dio; che non s'oltraggi

Cristo più lungamentee ai suoi nemici

La larva io strappi che li fa tremendi.

GIORDANO

All'ire brevi del più vil torrente

Resister non si può: sdegnano i grandi

Un sepolcro nel fango. Allor che scorsi

Saran quei giorni in cui la Chiesa è forte

Per le memorie d'immortal dolore

udrai che intepidì lo zel feroce

Nei più devoti petti. Or ch'è disciolto

Dell'anatèma il nodoancor nel clero

Avvi taluno che Adrian condanna

Che ferire il suo gregge osava il primo

Con insolita penaavverso a Roma

Come stranier: già gli s'invidia il grave

Manto ch'ei portae in ogni cor superbo

Sparisce il sacerdotee l'uom ritorna.

Ma da cura maggior che lo tormenta

L'anima è vinta del Roman Pastore;

E quell'armi a frenar che Federigo

Qui volge col furor della tempesta

Già ricovra in Viterboe i cardinali

Ei manda a lui come a nemico.

ARNALDO

E tosto

A quel tumido Svevo i suoi legati

Roma non invïava?

GIORDANO

Al suo cospetto

Saran pria di costoro. E voglio anch'io

Farmi a Cesare incontro; e tu mi segui

Se hai cor!

ARNALDO

La morte io non pavento: è vita

A chi Cristo seguì. Ma qual consiglio

Giordanoè il tuo?

GIORDANO

Toglier tu brami al clero

Oropossanzae nel suo cor lo stesso

Federigo desia. Si parla invano

Colla stolida plebe: è un'arme il vero

Da porsi in man dei requalor tu brami

Spegner gli antichi errori.

ARNALDO

A quel tiranno

Tu vuoi che Arnaldo s'appresentie schiuda

Tra ludibri e minacce a vil parola

Pallide labbraadulator tremante;

E lo consigli che al Tedesco avaro

Doni quei beni che la Chiesa usurpa

Ai popoli d'Italia? A lor li renda

La casta sposa dell'Agnel celeste

Tardi pentita delle sue ricchezze

Sacrilegio e rapina: alfin ritorni

Santo l'altaree saran polve i troni.

GIORDANO

Invan lo sperie d'un poter concorde

Ai nostri danniostia sarai.

ARNALDO

Ma pura. -

Secoliche tacer mai non potrete

Le sventure di Romaancor serbate

Memoria eterna di quel dì solenne

Ch'io del quarto Adrian giunto al cospetto

Nella smarrita via ridur tentai

Quell'errante Pastor che si fa duce.

GIORDANO

Misero Arnaldoinvan parlasti a Pietro!

Ei qui Cristo rinnegae mai non piange.

ARNALDO

Compii l'uficio mio.

GIORDANO

Tu aver potresti

Di Cesare il favor: per calle obliquo

Se non giungi alla metainfamia e morte

Pendon sul capo tuo.

ARNALDO

Reo sulla terra

Martire in Ciel. - Ma qui speranza alcuna

Di libertà non resta: or di'; che avvenne

Dei prodi Elvezi ch'io condussi a Roma?

GIORDANO

Parton.

ARNALDO

Che ascolto! e la cagion?

GIORDANO

Tu puoi

Chiederla a lor… non li ravvisi? in traccia

Muovon di te.

 

 

 

SCENA III.

 

SVIZZERI DI ZURIGO coi loro DUCIE DETTI.

 

ARNALDO

Guerrierie voi potete

In sì grand'uopo abbandonarci?… è questa

La fè che mi giuraste?

UN CAPITANO SVIZZERO

A noi giungea

Dello Svevo un araldo: egli c'impone

Lasciar l'Italiao dall'Impero avremo

Il bando dei ribelli. Or viaci segui

Ed a Zurigo ritornar potrai

Fra le schiere confuso.

GIORDANO

Itene. Arnaldo

So che fra noi rimane.

(Gli Svizzeri si traggono in disparte.)

ARNALDO

Al sen mi stringi;

Tu mi comprendie m'ami. Or vanne al campo

Del superbo Tedesco: ei dal tuo labbro

Parole ascolterà degne di Roma.

GIORDANO

Ripeterò le tue. Ma nei perigli

Senza difesa abbandonar l'amico

Viltà sarebbe. Io sul destin vegliai

Del tuo capo diletto; e pronto asilo.

Dal fido Ostasioche t'aspettaavrai

E dai nemici tuoi sarai difeso.

Con intrepido affetto: e ben ricordi

Poichè in Roma ei t'udivaa te l'hai tratto

Colle sante paroleed or possiedi

Sul puro cor del giovinetto ardente

Autorità di padre e di maestro.

ARNALDO

Gli è consorte Adelasiae non potei

Farla sicura nella mia dottrina

Ed in calma ripor quel procelloso

Spirto che passa dall'amore all'ira

E dall'ira all'amor; chè dei miei detti

Atterrita mi parnon persüasa.

GIORDANO

Ora da Ostasio è lungi: il suo castello

Non è lontano; e senza rischio alcuno

Andar vi puoichè i miei vassalli io posi

In ogni lato a custodir la via.

(Giordano parte da un latoe Arnaldo da un altro.)

 

 

 

SCENA IV.

 

UN CAPITANO SVIZZEROvedendo partire Arnaldovorrebbe impedirglielo.

 

Che fai?… ci segui… ancor n'hai tempoArnaldo.

Magnanimo rifiuto! ammiroe piango!…

Da quell'inerme che sul mondo impera

Roma fu vinta. Alta follia sarebbe

La possanza affrontar di Federigo

Per una plebe che s'affolla e piange

In ogni tempio: e se noi qui restiamo

Potria Lamagnache ci freme intorno

Arder le nostre casee sterminarci

I genitorile consortii figli;

Nè qui pugnar potremmo: ogni vigore

Già ci abbandona; e pesoe non difesa

Nell'armi avremse più divampa il sole.

Ahi questo cielo sorridendo uccide

Pur colui che vi nacque: e ben si fugge

Dai vôti campi ove ha la notte orrori

E non riposoe ti minaccia a gara

E la natura e l'uom. - Qui che vedeste?

CORO DI SVIZZERI

(che partono)

Orgoglio di nomiludibri di sorte;

In vasti deserti silenzio di morte

O in lande nebbiose vaganti fiammelle

Muggito di bove che al giogo è ribelle;

Per l'ampio sentiero cavalli fuggenti

Con orridi criniludibrio dei venti.

Non canto d'augellinon lieto romore;

Ma eterni custodi di antico dolore

E tombe e ruine che metton sgomento

Al suono dei pini commossi dal vento.

Han tenebre i boschi d'insidie ripiene;

Non vigili fontima squallide arene

O in letto profondo un rivo ch'è muto

Con livido flutto ed irresoluto:

Nè ha margin che lieto sia d'erba o di fiore

Ma in sterili sabbie s'asconde e vi more.

Quai spettri custodi di antichi castelli

Da case che sono macerie ed avelli

E pallidi e nudida febbre riarsi

Tu vedi cultori repente affacciarsi

Con livide faccecon sguardo feroce

Se suono li desta d'insolita voce.

Qui gravi le nubi sul capo mi stanno;

Qui pallida è l'erbail sole un tiranno.

UNO SVIZZERO.

Un indomito amor del suol natio

Di qui ne traggea riveder ci guida

Le mura eterne che vi fece Iddio.

Sopra l'aride vie di terra infida

Mi dà tormento la soave immago

Del dolce rio che al mio tugurio è guida.

Oh ch'io mi posi ove sorride il lago

Ch'ascolti il suon delle note parole

E sul margine suo romito e vago

Io dormae sogni la diletta prole!

 

 

 

SCENA V.

 

GALGANO e FERONDOsoldati di Giordano

in altra parte della campagna di Roma.

 

GALGANO.

Perchè mesto così!

FERONDO

Galganoudisti

Come dispregian Roma? e pur vi furo

Largamente nutriti: a quella gente

Ch'è devota d'Arnaldoogni dottrina

Quel monaco insegnòfuor che il digiuno.

Tornino alle lor tane; e noi si torni

Alla santa Cittàchè assai mi grava

Aspettar qui l'eresiarca.

GALGANO

Affrena

L'audace lingua.

FERONDO

E morir vuoi per questo

Abbominato? Alfin tornava il senno

Al popolo romanoe per Arnaldo

Si chiama in colpae si percote il petto

Ai piè dei sacerdoti… A dirti il vero

Ho l'alma grave di molti peccati;

E un monaco cercaima di quei santi

Che stanno dove Roma è più deserta

Desideroso di cadergli ai piedi

E il peso allevïar che mi tormenta.

Alle porte ei battea del monastero

Quando mi feci innanzi al suo cospetto

Con atto riverentee dissi: O Padre

Confessar mi vorrei. Bieco rispose:

Tu sei vassallo di Giordanoe pugni

A favor d'un eretico: va lungi

E non toccarmi; il tuo peccato è tale

Che assolver non si puote. - In quel s'aperse

Del monaster la portae in faccia mia

Impetüoso come fosse il vento

Quel monaco la chiusee in cupo suono

Che nell'orecchie mie vive e rimbomba. -

Se dalle rôcche nel mio sen si volge

Arco nemicoe fa volar la morte

Ahi povero Ferondo! - E tu che godi

Fra i nemici lanciartie la tua vita

Poni a rischio maggiorGalganopensa

Pensa all'anima tua. San Pietro è aperto.

Se mutiam parte (e ce ne dan l'esempio

I baroni di Roma)e al suo destino

Si lascia Arnaldo e chi con lui delira

Pur lo stesso Adrian sopra la fronte

Quel possente crocion farci potrebbe

Che di volo ci manda in Paradiso!

Il gran peccato è l'eresia! chè gli altri

Pesan men d'una piumae se ne vanno

Con un segno di croce.

GALGANO

In verFerondo.

Tu sei stolto cosìche dallo sdegno

Il disprezzo ti salvae lascia impune

La viltà che consiglia al tradimento.

Fede ai miseri io serbo: ho con Arnaldo

Comun la patria.

FERONDO

Ebbe da Brescia esiglio.

GALGANO

(Sdegnato)

Dal popol nodai sacerdoti.

FERONDO

Amico

Non t'adirar.

GALGANO

Se vuoi ch'io non m'adiri

Non chiamarmi così.

FERONDO

Veggo che sei

Tu d'Arnaldo un discepolonè credi

Che le porte del Ciel chiuder ti possa

Il successor di Pietro.

GALGANO

Ancor ch'uom d'armi

Io siaFerondonel Vangelo ho letto

Quelle parole che ripete Arnaldo:

«Posseder non dovete argento ed oro.»

Nelle umane ricchezze il suo desio

Ha posto il cleroed è così crudele

Che agli eredi le toglie: ei pure è lieto

Del pianto mio.

FERONDO

Tu dunque aver potevi

Sostanze ed agi? Ahi la milizia è dura!

GALGANO

Cara è per me: col mio stipendio io posso

La madre antica sostentar: morrebbe

Di fame priach'ella seder dovesse

Sul limitar del tempioove dispensa

Superbamente i luridi rilievi

D'un pan che le rapìla gente iniqua

Che sterminar vorrei. - Ferondoascolta

Se posso amarli. Era la madre mia

Caduta in povertàma la soccorse

Un suo ricco fratello: avea costumi

Innocenti cosìche quell'austera

Dottrina egli seguía che sparse Arnaldo

Nel suo loco natio: poco a sè stesso

Molto ai poveri davae nulla al clero.

Ei cadde infermo; allor nelle sue case

Un monaco calòsiccome un corvo

A cui nel ciel per lungo tratto arrivi

Aura maligna d'insepolte morti.

Mesto negli atticon voce soave

Presso l'egro s'assise a confortarlo.

Ma un dì che lungi era la sua sorella

Vi ritornò di furtoe il capo infermo

Sì gli empiè di rimorsi e di spaventi

Che un demone credea gli stesse ai crini

Per afferrarlo: il monaco ribaldo

Gioía delle sue frodie quei terrori

Moltiplicava con parole insane;

Mentre la madre mia tentava indarno

Di ricondurre la ragion smarrita

Nel misero fratello. A lei fu chiusa

Ed a mela sua casa… Ancor mi sembra

Quel monaco veder: le membra avea

Per pinguedine tardee mai sul ciglio

Una lagrima pia: sol era il grave

Anelito del petto il suo sospiro.

FERONDO

Credi che basti a far d'Arnaldo un santo

Ch'ei mangi appena e bevaabbia le membra

Aride pel digiunoe gli occhi ardenti

Nella pallida fronte? È fatto macro

Dai vigili rimorsie ben s'impingua

Nella grazia di Dio… Ma dimmiin fuga

Il demonio fu posto?

GALGANO

Egli sparia

Quando vestito delle sacre lane

Il moribondo zio fu persüaso

Da quell'astuto di lasciar gli averi

Onde privò gli eredia quel convento

In cui vive l'iniquoe poltroneggia.

FERONDO

Ma il tuo parente è in Ciel.

GALGANO

Sta dell'abisso

Nel più profondo che ti fe' soldato.

FERONDO

S'io la causa di Cristo esser pensassi

Quella d'Arnaldoal par di te saprei

Ogni rischio affrontar.

GALGANO

Tu seiFerondo

Di sì povero corche delle tue

Armi hai paura; e splende invan la luna

Chè al suol le getti d'ogni fronda al moto.

Tu da questa milizia uscir potresti

Ai servigi del chiostroe in quella pace

Farti lieto di cibo e di bevande.

FERONDO

Generoso non sei: tu prendi ardire

D'offendermi cosìperch'io mi trovo

In peccato mortal.

GALGANO

Ritorna a Roma.

Milita con Leone: allor sarai

D'ogni colpa assoluto. Io son fedele

A Giordano ed Arnaldoe loco avrai

Di venir meco al paragon dell'armi.

FERONDO

Che teco io pugni? L'eresiache muta

Il cibo in vermie imputridir fa l'acqua

Rende le spade ottuseoppur le frange.

Facil vittoria avrei di te: sarebbe

L'ucciderti viltadee poi rimorso.

Dei Frangipani alla progenie altera

Servir non bramo: conculcar fu vista

I vicari di Dio. Se qui la Chiesa

Armi non haso che le son fedeli

Della Germania i vescoviche seco

Tragge l'imperatore: esser vorrei

Fra i lor soldati accolto; e tu vedresti

Nel dì della battaglia il pio Ferondo

Avventarsi assoluto e benedetto

Ov'è la mischia…

GALGANO

Io sul mio labbro avea

Fremito d'irae tu lo cangi in riso.

Pari a Ferondo i suoi nemici avesse

Questa misera Italiae non sarebbe

Desolata così!

FERONDO

Del nuovo stato

Se oblíi per poco le follie superbe

Conoscerai che sono i pii guerrieri

Che regge il senno di pastor mitrato

Più felici di noiche fra le lunghe

Tenebre stiamo del piovoso inverno

A guardia delle torri; e udiam sul capo

L'upupa rotearcia cui fu pasto

Un appeso compagno; e il can ramingo

Presso il livido fosso andar latrando

Quando la luna velano le nubi

Che son gravi del gel che ci flagella:

E se del fresco venticel notturno

Quando regna l'estatea breve sonno

Ci persüade la fatal dolcezza

Della febbre che corre in ogni vena

Il ribrezzo ci desta.

GALGANO

Ah giunge Arnaldo.

Se un detto solo irriverente ardisci

Volger su luit'uccido.

 

 

 

SCENA VI.

 

ARNALDOE DETTI.

 

ARNALDO

Aita!… all'armi!…

GALGANO

Che t'avvennesignor?

ARNALDO

Di questa selva

Ove scorta mi sieteun cupo udii

Fremito alzarsi fra le frondi immote

Per silenzio di ventie un improvviso

Balenar d'armi mi ferì lo sguardo:

Erano armati sgherrie in mezzo all'armi

Tinte di sangue biancheggiar mirai

Un monaco crudel… qui giunge.

 

 

 

SCENA VII.

 

MONACO con SOLDATIE DETTI.

 

MONACO

Un pio

Zelo mi guida a ricercar l'errante

Che nel cenobio un dì la via promise

Della regola mia. Dolce fratello

Scoti al fin dalla mente il grave errore

Che a Dio ti fa ribelle: il capo umìle

Se rendi al giogo che ti fu soave

Freme l'inferno e si rallegra il Cielo.

ARNALDO

O vipera crudelea insidie nuove

Nella mia via ti celi? ancor ti resta

Vita e veleno?

MONACO

Tu deliriArnaldo!

Son questi i frutti del saper profano

Onde potesti disprezzar la nostra

Filosofia divina? A lei nemico

L'abito suo rivesti? e non ritorna

L'immagine del chiostro al tuo pensiero

Quando ti piacque insanguinar flagelli

Sulla carne ribellee coll'aurora

Sorgevi il primo a salutar la sposa

A cui fai guerra? O sventurato Arnaldo

Fosti la matutina aura soave

Che desta i fiori del giardino eterno;

E nella notte era la tua preghiera

Gemito di colomba che riposa

Sul nido l'ali che stancò nel cielo:

Ed or fatto sei tu vento superbo

Che le torri sublimi invan percote

Alla casa di Dio; l'aquila altera

A cui piace la via delle tempeste.

Muta pensierie vita: a Dio ti lega

Voto solenne.

ARNALDO

Dove l'odio alberga

Cristo non è: per seguir luimi sono

Da voi divisoe ritornai nel mondo.

Non tra profonde valli e in mezzo all'ombre

Ma sulle cime eccelsee nell'aperta

Luce del sole risonar dovea

Sul mio labbro fedel quella parola

Che dal servaggio liberò col vero.

Quai sieno i chiostri è noto(): invan vi cerchi

Pietàdottrinaamordacchè si vende

Ciò che Cristo donava; e un'empia gente

Che il mondo impoverì colle preghiere

In delizie mutato ha le spelonche

Che abitò la sventura ed il rimorso.

Empie i cenobi chi celar la vita

Brama in ozi superbie vi ritrova

Più di quel ch'ei lasciava: ogni convento

Ha scandalirapinee frodie risse

E perenni menzogne; e vi s'ascolta

Sol nell'ebrezza dei conviti un vero

Che inorridir ti fa. Se i rei costumi

Cerchi frenar coi detti e coll'esempio

Ti persegue il crudel che signoreggia;

E un breve indugioun mormorio sommesso

Che l'ubbidir ritardie manifesti

Un modesto desiovolge in delitto.

Però l'iniqua abbandonar mi piacque

Ignava genteche riman sicura

Nel pubblico terroree mai non ebbe

Per l'Italia una lacrima…

MONACO

Mentisci

E i monaci calunni. Onde partisti

Volontario ritorna; o Dio mi grida

Che ad entrar ti costringa.

ARNALDO

E del Vangelo

Abusar puoi così?

MONACO

La sua dottrina

Interpretar saprà chi d'Abelardo

Difese l'eresia?

ARNALDO

Tu lo ricordi?

Tremar dovresti al nome suo! Non senti

Rimorso alcunoe nel delitto esulti?

Lo svelerò se tu non partie questi

Sgherri crudeliin cui t'affidiavranno

Orror di te.

MONACO

Mio prigionier divenga

E più non s'apra alle menzogne audaci

Il suo labbro profano.

ARNALDO

Uditee l'armi

Voi che trattateal cocollato mostro

Ubbidir sdegnerete(). In ermo loco

All'odio dei mortali ed all'amore

Il misero Abelardo invan s'ascose

Chè più splende la luce ov'è deserto.

Ma poi che al fonte della sua dottrina

Ognun si dissetòpresso Nogento

Fu dai monaci eletto ai primi onori

Nel chiostro di San Gildoe desolata

Pace sperò dopo sì lunga guerra.

Vano sperar! Poi che tentò quei molli

Ridurre al freno delle leggi austere

Scritte dal grande che fondò Cassino

Ad essi increbbe. Allor questo crudele

Artefice di colpe in Francia venne

Com'egli avesse di saper vaghezza;

E sugli scritti impallidir volea

Che Abelardo vergò nel suo convento.

V'entrò l'iniquo a nutrir gli odi atroci

Nell'anime codarde: il buon maestro

Soggiacque al peso di calunnie antiche

E dall'errore liberar la Chiesa

Ognun giurò. Colla novella aurora

Il rigido Abelardo offriva a Dio

E da povero altarl'ostia di pace.

Nel giorno stabilito al gran delitto

Dal duro letto egli le membra inferme

Sollevar non potevae atteso invano

Era nel tempio dal converso umíle

Unico amico. Ognun nel sonno immerso

E nel vino giacea: malvagio e stolto

Pur dormiva costuiche persüase

Santo ogni mezzo che conduce al fine

E il sacrilegio preparato avea

Che m'udrete narrarse la parola

Non morrà sul mio labbro inorridito.

Meco veniva a consolar l'afflitto

Da cenobio vicino un giovinetto

Monaco: matutini entriam nel tempio:

L'alba era incerta ancornè si vedea

Pel sol vicino impallidir le stelle.

La luce che splendea sull'ara umile

Apparecchiata al sacrifizio augusto

Ci guida: io chieggo d'Abelardo… Ei langue;

Replicò sospirando il pio converso

A cui negli occhi era disceso il pianto

Prima che il labbro ad un sorriso aprisse

Ravvisando del misero gli amici.

Sull'altar d'Abelardo al mio compagno

È celebrar permesso: umile ei viene

All'alto uficioe pregae geme: un santo

Amor lo accendee brilla il Paradiso

Nella letizia delle sue pupille.

Alzando l'ostia ove discende Iddio.

Ma degli Angioli al Pane univa appena

Il suo licorche manda un gridoe muore.

Ahi nel sangue di Cristo era il veleno

Per Abelardo: i monaci crudeli

Chiusi nella cocollae la crudele

Ipocrisia del lor silenzioio vidi

Mover siccome spettri ad uno ad uno

Verso l'altaree contemplar l'estinto

Senza un sospiro. Nel comun delitto

Costui fuggìch'era il più vile.

MONACO

All'empia

Fola credete? La inventò costui()

Che nega fede al sacrifizio arcano

In cui vittima è Dio: spera alle genti

Porlo in odio così.

ARNALDO

Mentisci.

MONACO

Io teco

Troppo garrìi: d'un cardinale ai santi

Cenni ubbidisco. Or quel che impone udite. -

(Si trae un foglio dal senoe lo legge.)

«A te nel nome d'Adrian commetto

Arnaldo imprigionar: nel chiostro ei torni:

Si penta e vivachè dal sangue aborre

Il Vicario di Dio…» Mite gastigo

Non dubitarnel mio cenobio avrai

Abitator della romita cella

Ove in pace si va().

ARNALDO

Non cessi ancora

Dalle tue frodi? Atroce pena ei vela

Con benigne parole.

MONACO

Or che si tarda?

Datemi Arnaldo.

FERONDO

S'abbandoni.

GALGANO

Io resto

E snudo il brando.

MONACO

Dalla folle impresa

Cessi costui.

GALGANO

Non sarà vostro Arnaldo

Fin ch'io respiro.

(I soldati del monacomalgrado la resistenza diGalganos'impadroniscono d'Arnaldo.)

MONACO

In mio poter cadea:

Di qui si tragga().

 

 

 

SCENA VIII.

 

OSTASIO con i suoi vassalli E DETTI.

 

OSTASIO

A liberar l'amico

Giungo opportuno.

(Incomincia la zuffa fra i vassalli di Ostasio e isoldati del monaco; il qualevedendo che i suoi erano per cederedicele seguenti parole:)

MONACO

Cedono le schiere

Ch'io qui guidava… Or la pietà sarebbe

Un delitto per noi. Mirar vogliamo

Il trionfo dell'empio? Ognor la Chiesa

Benchè madre benignaa Dio richiede

Che i suoi nemici esterminar si degni.

S'uccida Arnaldo.

GALGANO

Tu morrai primiero.

(Galganouscendo dalla zuffasta per ferire ilmonacoe Arnaldo glielo impedisce.)

ARNALDO

Fermati.

GALGANO

Ei fugge invano: i miei compagni

Raggiungerlo sapranno.

ARNALDO

Il cieco affrena

Impeto dei soldati.

OSTASIO

Un sì gran reo

Impunito sarà?

ARNALDO

Solo si lasci;

La sua pena incomincia: in quel deserto

Il rimorso lo segue; a Dio potrebbe

Tornar col pentimento: or si compianga;

Il misero non ama.

OSTASIO

Iddio favella

Sopra il tuo labbro. - S'ubbidisca Arnaldo;

Qual profeta s'adori.

ARNALDO

Ah no! sorgete;

E sia gloria a colui che la soave

Legge di Dioche Carità s'appella

Primo insegnò. Qual esser dee vedrete

Da ciò ch'ei narra; e ai sacerdoti antichi

Come somigli il Fariseo novello.

CORO

Ignudo e semivivo

Su questa via che a Gerico conduce

Sacerdote crudelmi vedi e passi?

Ed il tuo sguardo invano

Nel mio s'incontrae invan gli erranti lumi

Su cui la morte ora distende un velo

In atto di pietà rivolgo al cielo? -

Così l'ignoto pellegrin dicea:

E ben colui che scrisse

«La mia legge è compita allor che s'ama»

Il suo nome ci tacqueed uom lo chiama.

Poi gli mancò la vocee i lumi ei chiuse

E in quel gelido corpo abbandonato

E la vita e la morte eran confuse. -

Ma chi giunge? un levita… Oh dalle bende

Libera il capo: diverran più sacre

Se le converti in fascee tosto al sangue

Nell'aperte ferite

Chiudi le vie colla pietosa mano.

Ah se più tardi!… qui giungesti in vano. -

Questa voce parea dal muto aspetto

Sorger del moribondo; e del levita

Che a lui s'avvicinòsorgea nel core

Un consiglio d'amore:

Quando spuntar dalla soggetta valle

Mirò quel sacerdotee ben s'accorse

Dalla via che tenea

Che visto ei pur quel derelitto avea;

Onde l'esempio imita

Del Fariseo crudele anche il levita.

Già su colui che langue

Pendea l'ora fatale

E dal purpureo sangue

L'alma spiegava l'ale

Mentre al Giudeo s'appressa

Un figlio di Samaria… A me ridici

Aura del divo ardore

Quali parole ei ragionò nel core. -

Perchè coll'anatèma

A noi serrar presume

Che un altro rito abbiamo

Gerusalem crudele il sen d'Abramo

Alla pietà di quel ferito e nudo

Il mio cor sarà chiuso? Avrei bramato

Che qui m'abbandonasse il pellegrino

Se in questa via trovava il suo destino?

Ambo siam figli d'Eva: or quei che meco

Ha comune il dolor dirò straniero?

Dell'agil mio destriero

Il procelloso piè non m'assicura:

È più rapido il vol della sventura.

Ma quel trafitto io non conosco! È reo

Forse perciò? Se noto egli mi fosse

Più gli sarei pietoso… Ah mentre io parlo

Altri piange su lui… Consorte e figli

Quell'infelice ha forse!… Allor sentia

Tutto di pianto inumidirsi il ciglio

Questo pietoso di Samariae vero

Era quel che vedea col suo pensiero.

Ch'è già nascoso il sol nell'occidente

La mesta donna dal balcon rimira;

Vi pende immotae nulla vede e sente;

Onde parla così mentre sospira:

Il mio diletto nella polve ardente

I passi ha stanchio in altra via s'aggira

Che dall'insidie di ladroni ascosi

Un asilo gli dia che lo riposi?

Madreil figlio soggiungeei mai non suole

Mutar sentieroed ha veloce il piede.

Ti rivedrò pria che tramonti il sole

Il genitor mi dissee ancor non riede?

Io mi ricordo delle sue parole

E ch'egli un bacio nel partir mi diede. -

Piange la sventurata e non risponde

E nei suoi dubbi tremae si confonde.

Quel pio frattantosiccom uom che prega

Sta sul trafittoe colla mano esperta

Tratta soavemente ed unge e lega

Ogni ferita nel suo petto aperta:

Mentre il contempla e sopra lui si piega.

Trepido il volto d'una gioia incerta

Qual cui tema e speranza il cor divide

Apre gli occhi l'infermoe gli sorride.

Quel di Samaria con pietosa cura

Sul destrier suo lo guida ad umil tetto;

Gli risana le piaghee lo assicura

Colle parole di gentile affetto:

Questo amico fedel della sventura

Poi che molto vegliò presso il suo letto

Alla moglie il tornòche allor si pose

Sul nero crin di Gerico le rose.

Fra l'opre tue fu questa

Superno Amorche sei

Raggio d'un sole che non teme ecclisse.

Tempo non v'era e loco

Quando dal sen di tua sostanza eterna

Come scintilla a cui fu padre il foco

Folgorò l'universo()e si diffuse

Nel mar dell'infinito il tuo pensiero

Nè più star ti piacea dentro il tuo velo

Re solitario senza terra e cielo.

O cagion di te stessoo senza prima

E senza poipresenteeternoimmenso;

Tu sei qual fosti ognorae la tua vita

Penetra tuttoe splende in ogni guisa

E sempre una rimaneed indivisa:

È face che rischiara e manda ardori

Un arbor lieto di perpetui fiori.

Necessità nel cielo

Libertà sulla terra è la soave

Fiamma di Dioche Carità si chiama():

Oh beato colui che vuoleed ama!

Dal peccato e la morte

L'odio nascea. Nell'immortal suo velo

Come una stella in cielo

Stava l'anima prima: ora del corpo

È fatta ancellae n'ha gravezza e notte.

Pur si vede tuttor com'arde un riso

Negli occhi del mortal quando è benigno:

L'anima sua risale

All'origine eternae si fa bella.

Tanto la prima ugualità prevale

Che vera ed una in tutti è la favella:

Il volto che in silenzio ha mille accenti

Si volge a lui che sa riporre in calma

Le tempeste dell'alma.

Così nel mar turbato

L'onda che s'avventò nel suo furore

Se poi riede placato

Bacia pentita il lidoe sente amore.

 

ATTO QUARTO()

 

SCENA I

 

Luogo presso a Sutrichiamato Campo Grasso.

 

ABITANTI DI TORTONAD'ASTIDI CHIERIDI TRECATEDIGAGLIATEscampati da quelle città e terre distrutte da FedericoBarbarossa.

 

CORO

Il Tedescoch'è stolido e fero

Arde a un tempo i tuguri e le ville:

In quel fumo che sorge più nero

Tu non vedi volar le faville?

Tu non odi fra suon di ruine

Strida alzarsi di figli innocenti?

Delle donne ch'ei tragge pel crine

Non ti giungon sull'aure i lamenti?

SEMICORO I.

Dalla valle sollevasi un nembo.

SEMICORO II.

È la polve che sveglian destrieri.

SEMICORO I.

Quella luce che splende nel grembo?

SEMICORO II.

Sventurati! son aste e cimieri.

CORO

Come l'onda sospinta nel mare

Freme l'osteed in men d'un baleno

Tante lance s'abbassanche pare

Tremar sotto i cavalli il terreno.

DONNE

Ah si fugga.

ALCUNE DONNE

Si fugga.

UN VECCHIO

Io del cammino

Al disagio non reggo; affaticate

Le ginocchia mi tremanodechinano

Le membra al suoinè sollevarmi io posso.

Miseranda vecchiezza! ah tu non sai

Nè pugnarnè fuggir!

UN FANCIULLO

Coll'avo io resto;

Chè con passo ineguale invan m'affretto

Madresull'orme tue.

LA MADRE

Ch'io t'abbandon

O creatura mia? saprò le spalle

Gravar di te.

IL FANCIULLO

Ma il mio minor fratello

Che nutrisce il tuo senoallor potrai

Fra le braccia recar? vediei riposa!

Non destarlo per me.

LA MADRE

Povero figlio!

 

 

 

SCENA II.

 

UN MESSAGGEROE DETTI.

 

IL MESSAGGERO

Qui rimaner potete; ora nei campi

Che il terrore fa suoimiete col brando

Il Tedesco la messee ne fa pasto

Ai corridor fumantie poi sul suolo

Ai vasti corpiaffaticati e domi

Dalla polve e dal Sollungo riposo

Certamente ei darà.

UN ABITANTE DI GAGLIATE

Chieder dobbiamo

Nella santa Città pietoso asilo

Al Romano pontefice. Discordi

Son le nostre città: Pavia le parti

Tien dell'Imperoe fu per noi crudele

Più dei Tedeschi. Poichè al buon Gherardo

La magione atterròci niega asilo

Milano ingrata: or più non dice il fumo

Ove sorgea la nostra patriae l'erba

Lieta di sanguele ruine ascose.

UN ABITANTE DI TRECATE

In Gagliate nascesti? e patria a noi

Trecate fu().

UN ABITANTE DI CHIERI

Di Chieri mia cadeste

Torri superbe! e poi la fiamma ostile

Le divorò.

UN ABITANTE D'ASTI

Nè un giorno sol difesa

Dai suoi timidi figliAsti divenne

Una ruina vil(). Barbaro armento

Calpestie Borea vincitor disperda

Un cener senza sangue. Ahi sulle mura

Io veggo assisi a contemplar la fuga

Dell'italico greggee alfin discesi

Nella vôta cittàfra i santi avelli

L'oro scoprirnee farla preda al foco

Prima avari i Tedeschie poi crudeli.

UN ABITANTE DI TORTONA

Pugnò Tortonae allor d'Italia i brandi

Bebber sangue alemanno(); e farci vili

Col supplizio dei servi invan sperava

Il teutonico orgoglio. Ancor si piange

Per Cadolo in Bavierae quell'altero

Sassone vinto in singolar conflitto

Ci fe' lieti di gloria e di vendetta.

Non son fati plebei: lacrime illustri

Bagnan volti superbi: invan le schiere

Cercano i duci lor. Di quanto sangue

Vermiglia non spumò l'acqua difesa

Dai nostri prodi! e pur da noi si bevve

Per cadaveri putre; alfin la rese

Sì coi bitumi Federigo amara

Che ci domò la sete: in questo modo

Vinse il tirannoe ancor Tortona è polve!

UN ALTRO ABITANTE DI TORTONA

Ma i figli suoi Milan ricovra: io solo

E d'anni gravee a mendicar costretto

Tardi vi giunsied era chiusa.

UN ITALIANO

Iddio

Dona e toglie il valore. Almen fratelli

La sventura ci rendae non si parli

Più di gloria fra noichè questo affetto

È pei felici. Or qui risuoni un canto

Qual di madre che piange unico figlio.

GLI ABITANTI DI TRECATE E GAGLIATE

Strage ingombra le tue strade

Del barbarico furore

Come il fien che molto cade

Dietro il tergo al mietitore

UN ABITANTE DI TRECATE

Figli non honè amici:

Ogni mio ben fuggì;

Periro i dì felici

La patria mia perì.

UNA DONNA DI GAGLIATE

Ahi quel diletto albergo ove fui madre

La barbarica fiamma consumò;

(Volgendosi al figlio.)

Eri tu lunginè vedesti il padre

Che morendo le soglie insanguinò.

UNA DONNA DI TRECATE AD UN'ALTRA DELLA MEDESIMA TERRA

Nelle case fumanti ahi mal cercasti

Miserai figlie l'ossa lor trovasti!

CORO

Così colombaa cui fra le segrete

Frondi la prole divorò il serpente

Della garrula casa la quïete

Tornando ammirae sta coll'ali intente

Finchè sparso di sangue il noto abete

Ravvisae cade l'esca alla dolente

Che riconosce con un flebil grido

Le piume erranti nel disperso nido.

UN ABITANTE D'ASTI

I miseri io vidi

Con pianticon stridi

Oh colpaoh sventura!

Uscir dalle mura

Di vôta città.

Il passo era tardo;

Indietro lo sguardo

Guatavanguatavano

E poi sospiravano:

Deh quanta pietà!

Le misere madri

Gli squallidi padri

I vecchi languenti

I figli innocenti. -

Nel campo nemico

Chi veggo? oh furor!

Con sè Federico

Ha d'Asti il Pastor.

Tu santotu padre

All'orride squadre

Dài nome d'amici

Con man benedici

Che inalzi al Signor?

CORO

Ohimè! sta nella polve

L'anima nostraed alla dura terra

Si mescee si confonde il nostro volto

A celarvi il dolore e la vergogna:

E come d'uom che sogna

Sono i nostri pensieriora che fatti

Siamo obbrobrio alle gentie vile esempio

D'ogni sventura. Il barbaro Tedesco

Scote sull'onte nostre il capo altero

E l'alte torri delle vane mura

Con lenti sguardi il derisor misura.

E chi di noi dimentico

O Re del Cielti fe' ?

Perchè gli empi dimandano:

Il loro Dio dov'è?

Fra le barbare genti

Vuoi che dispersi andiamoe del tuo gregge

Siam la pecora vile

Che per esca rifiuta

L'ultimo dei mortali; e se ne offende

Ai lupi s'abbandonae non si vende?

Vedi Italia che sospira

Come l'egro che s'aggira

Nel suo letto di dolore.

Tutte su lei passarono

L'onde del tuo furore.

Sul campo suo distrutto

Fu spento anche il cultore;

In servitù ridutto

L'armento è col pastore.

Tutte su noi passarono

L'onde del tuo furore.

UN ABITANTE DI GAGLIATE

Qui vien!…

UN ABITANTE DI TRECATE

Chi miro?

UN ABITANTE DI TORTONA

I sacerdoti istessi

Più sicuri non sono. - Onde movesti

Se ciò lice saper?

 

 

 

SCENA III.

 

UN SACERDOTE DI SPOLETOE DETTI

 

SACERDOTE

Strusser le fiamme

La chiesa mia presso Spoleto(). È cinta

Già dai nemici la città superba:

Tardi pentitasulle mura inalza

Il vessillo di Pietroe a lui vassalla

Invan si chiama: del crudel Tedesco

È nel sangue la viachè a niun perdona

Quella gente inumana;

Nè v'ha fra l'are asiloe già risuona

Nei templi desolati eco profana.

UN ABITANTE DI TORTONA

Invïolata dall'ostil furore

Roma sarà?

SACERDOTE

Quando fia spento Arnaldo

Quel feroce lion che la minaccia

L'agnello bacerà: giustizia e pace

Abbracciarsi vedremoe avrà riposo

Sotto l'ali di Dio la sua cittade.

Non possedea l'indomita

Nel braccio suo la terra:

Era il Signor che i popoli

A lei prostrava in guerra.

Nello spazio interminato

Quando prima risonò

La parola ch'era fato

La parola che creò;

Ragionava col Figlioe gli dicea

Che fatto avrebbe un dì romano il mondo

Perchè fosse di lui; che dato avrebbe

All'eterna Cittade un doppio impero;

Il tuo braccioo Signoree il tuo pensiero.

Al pontefice io vado.

UN ABITANTE D'ASTI

Esserci guida

Potresti?

SACERDOTE

Voi siete Lombardi: ancora

Non decise Adrian l'alta querela

Che coll'Impero avete: il papa è fonte

D'ogni giustiziae i suoi decreti aspetto.

(Parte.)

UN ABITANTE DI TORTONA

Quanto è vile costui!

UN ABITANTE DI CHIERI

L'odio ai Tedeschi

Cresca cosìche il sacerdote istesso

Cittadino divenga!

UN ABITANTE DI TRECATE

Abbiam speranza

Solo in Milano.

UN ABITANTE DI GAGLIATE

A lei conceda Iddio

Che come arma le mani un ferro istesso

Un'alma sola in mille petti alberghi.

CORO

Del feroce Enobarbo

Il disegno interrompie fa che pera

La superba speranza; e la sua possa

In cui tanto confidaugual divenga

Ad impeto di fiume

Che solo per brev'ora i campi inonda

E che poi li abbandona e li feconda.

Ognun pendente dalle patrie mura

Esorti la consorte a' bei perigli

E a chi si volge per fatal paura

Rimproveri la fugae mostri i figli.

Credete questa gente e la futura

Seco insieme vi preghie vi consigli

A morir pria che di tedesche some

Lasciar gravarsie perder patria e nome.

MESSAGGERO

Qui assai posammo. Ora maggior dai monti

L'ombra discendee allo spirar del vento

Che il Tedesco accarezza e lo ricrea

Langue nel Sol che ne farà vendetta

La fervida potenza: i cavalieri

Gravan d'elmo le frontie il dorso premono

Al destrier che nitrisce… E ancor si tarda?

Or di mente v'uscì ch'è vil diletto

A quei crudeli premere le stanche

Orme dei fuggitivie calpestarli?

(Partono.)

 

 

 

SCENA IV.

 

CORO DI SOLDATI TEDESCHI che sopraggiungono.

 

Se i fuggitivi di ferir disprezzi

Teutone lanciain van di sangue hai sete:

Coi nostri brandi a mille pugne avvezzi

Or qui la messe pel destrier si miete.

Langue il ferocee in suolo arso riposa

Le membra che un sudor vile gli solve

Chè più trombe non odee procellosa

Sotto i piè non gli nasce onda di polve.

Oh mollissima gente in dolce loco

Sol vi difende la virtù del sole!

Nelle case che strugge il nostro foco

Come poteste abbandonar la prole

Se pur timido augelloil qual non ebbe

Forza di rostro e di rapaci artigli

Coll'ali aperte onde fuggir potrebbe

Pugna sul nidoe vi difende i figli?

UN CAPITANO TEDESCO

O vedovate da perpetuo gelo.

Terree d'incerto dì mesto sorriso

Addio per sempre: questo petto anelo

Scosse di gioia un palpito improvviso

Quando il Tiranno splendido del Cielo

Mi rivelò d'Italia il paradiso

Ove l'occhio alle piante or non fa muto

Coi suoi rigidi veli il verno acuto.

(Volgendosi ai soldati.)

Presto al grappol pendente

Dalla materna vite

Ognun di voi placar potrà l'ardente

Sete delle sue fauci inaridite.

Sotto il platano ombroso

Pria che l'uva nereggi

Or noi sediamo; e il prigionier tremante

Ci mesca il vino annoso

Che alla gioia serbò dei suoi conviti

Nei vasi d'oro che gli abbiam rapiti.

 

 

 

SCENA V.

 

FEDERIGO coll'esercito tedescoe con OTTONE vescovodi FrisingaOTTONE Palatino conte di BavieraROBERTO Principedi CapuaSERGIO Duca di Napoligli AMMIRAGLI PISANIedaltri PRINCIPI E VESCOVI TEDESCHI.

 

SOLDATI

Viva il re di Lamagna!

PRINCIPI

È suo retaggio

Tutta l'Italia.

SOLDATI

E di punir si giura

Chi vi resistee chi v'usurpa.

PRINCIPI

A Roma!

SOLDATI

È tua. Si affretti il successor di Pietro

A coronarti imperator: già fosti

Dai nostri prenci eletto.

PRINCIPI PUGLIESI

E allor potrai

Rendere a noi la patria.

FEDERIGO

Esuli illustri

Principi della Pugliaor qui mi trasse

Il dolor vostro e la mia gloria. Invano

Non cadeste ai miei pièquando in Vusburgo

L'armi invocaste dell'Impero. È sua

Quella provincia che usurpò Guiscardo. -

Sergio e Robertoognun di voi nel regno

Entri coi suoi vassallie lo sollevi

Ai danni del tiranno; allor che splenda

Su questa fronte la maggior corona

Che doni il mondoad accertar l'impresa

Cesare viene. -

(Sergio e Roberto partono. Federigo

rivolge le sue parole agli Ammiragli Pisani.)

O del romano impero

Possanza ed armie la sua causa avvezzi

Sempre a seguirnon la fortunaabbiate

A perpetuo retaggio il mar Tirreno

Pisane genti(). Oro e navigli indarno

A Genova richiesi: i suoi tributi

Eran delizie d'Orïentee deggio

Pascer di molta carne i suoi leoni

Re del deserto; e fur la sola preda

Che lietamente mi donò l'avara.

S'armi Pisa fedelee tosto sparga

Sopra le vie dei suoi trionfi antichi

Le belligere navi: i miei vassalli

Rechin nella Siciliae in feudo a voi

Io darò Siracusa.

AMMIRAGLI PISANI

A quanto brami

Siam preparati: già d'armate navi

Son pieni i lidi; ognun fremeognun chiede

Che si spieghin le insegnee venga meno

All'infida città ch'è a noi rivale

Cesareil tuo favore.

FEDERIGO

Invitti duci

Del marittimo stuoloio vel prometto

E a voi pegno ne sia questa possente

Mia destragià per fede e per valore

Famosa al mondo… -

(Gli ammiragli Pisani partono.)

A più sublime altezza

Spero tornar l'Imperoe qui discesi

Vendicator dei dritti suoi. Volete

Prodi Alemanniche tra voi rinasca

Il destino di Romaesser del mondo

Il popolo primieroe sotto i piedi

Vedervi quanto l'Ocean circonda

Ed illumina il Sol? Fate retaggio

La corona ch'io porto()e qui s'impari

Quai siano i frutti d'un voler discorde.

Mobile Italiache obbedir non vuoi

E reggerti non saipace non trovi

Nè libertà. Ma pria compor si deve

I vani moti suoi: librar potrete

Il mio disegno allor che corsa avremo

Questa provincia di Germaniae il mare

Dell'opposta Sicilia ai piè s'infranga

Del tedesco corsieroe dir si possa

Siccome Autari un dì(): Questi confini

Sol ci diè la naturae pel Tedesco

Non vi son l'Alpi… Italia è sua.

(Ottone Palatino a un cenno dell'imperatore

dice le seguenti parole:)

OTTONE PALATINO

Soldati

Ite alle vostre tende; e voifedeli

Snudate il brando a custodir l'ingresso

Del regio padiglione.

 

 

 

SCENA VI

 

Padiglione di Federigo

 

 

FEDERIGOPRINCIPI E VESCOVI TEDESCHI

 

FEDERIGO

O nomi illustri

Del teutonico regnoe che tremendi

Fa la mitra e la spadai miei consigli

Con voi mi giovi il conferire. Ottone

Di Frisinga Pastordegno fratello

Di quel Corrado ch'educommi al regno()

Ed in mezzo alla morte al proprio figlio

Preferirmi sapevae persüase

Della Germania i prenci al mio consiglio

Fidar la mole di cotanto impero

Apri al nipote il cor: so che vi premi

Alto dolorbenchè sereno il volto

Simuli le speranze.

OTTONE DI FRISINGA

A noi fatale

Sarà la Puglia(): pria domar conviene

La ribelle Milano.

FEDERIGO

A quei protervi

Che stanno a guardia delle torri altere

Spettacol feci arsi castelli; e vide

La superba cittadea certo esempio

Del destin ch'io le serboentrar le donne

Di Tortona distruttae in ogni via

Unite dal dolorei bianchi veli

Colle tenere man strapparsie il seno

Che già i figli nutrìbagnar di pianto.

Nè l'ira nostra vedovò col brando

Quelle infelici: era Pavia; Lamagna

Lascio all'Italia vendicar. Non temo

Le stolte genti a mutar parte avvezze

Ad ogni istante. Qui non siam stranieri;

Venni aspettato: e dei trionfi miei

Tu lo vedestiin sul Ticin fu gioia

E sull'Olona si piangea(). Quel breve

Spazio di terra che città divide

Sì vicine fra lorvolse in deserto

Di popoli che fece Iddio fratelli

La scellerata insania. E noi siam detti

Barbari da costor? Prima ch'io vinca

Abbian la libertà che qui si brama

S'uccidano fra loro…. E ti figuri

Concorde Italiae che vietar ci possa

Del ritorno la via? Come è mutato

Il tuo consiglio? Io ti vedea sul Reno

Reduce dall'Italiae della stolta

Deridendo le rissee le romane

Reliquie ricordandoa me dicesti:

«Sono dei suoi destini esempio eterno

Le mura che bagnò sangue fraterno.»()

OTTONE DI FRISINGA

Vincerci puòbenchè divisa: e vedi

Che l'esercito tuo sfidar non teme

Una sola cittàbenchè la freni

Reverenza all'Impero()e in cor le gridi

Un segreto pensier ch'essa è ribelle;

E s'alcun spirto di pietà vi resta

Non può credersi giusta. E dritto avea

A strugger Lodi()e in servitù ridurre

Ogni uom che al ferro ed alle fiamme avanza

E vietargli abitar fra le ruine

Dell'amata cittàquasi potesse

Spegner la patria che vivea nel core?

Fu retaggio d'amore e di vendetta

La sua memoria ai figli; e li mirasti

Con quella croce che pietà c'insegna

La via fra i prenci di Lamagna aprirsi

E del nostro linguaggio a lor mal noto

Colle parole che non fur derise

Chieder mercè; ma più ci disse il pianto.

Quei due canuti nella mente ho fissi

E dai laceri manti ancor li veggo

Di quella patriaove abitar fanciulli

Il cener trarsi che posò sul core

A te gridando: Eccoti Lodi! E valse

Il tuo fermo voleree dell'Impero

L'autoritàperchè Milan rendesse

E mura e leggi agl'infelici? Il mondo

Sa quali oltraggi vi soffrì Sichero;

Come in oblio ponesti il santo editto

Svelto dalle sue manie fatto in brani

Con fremito concordee poi nel fango

Dai più vili confitto; e colle pietre

Dell'araldoche sacra ha la persona

Vïolate le membrae alfin deriso

Il suo timor che gli diè l'ali ai piedi

Rapidi sì ch'era la fuga un volo.

L'ira della pietà parole altere

Ti dettò forsee parve grave offesa

A chi di legge e d'ogni freno è schivo

La rigida giustizia. Al nostro impero

Si sottragga Milan: breve io predico

La libertà d'una cittade ingiusta.

Ora che il suo terror la fa discorde

Perchè ti piace differir l'impresa

Già preparatae per l'esempio ardite

Rendi d'Italia le città ribelli?

Una favilla che col piede estingui

Può crescere ad incendio.

FEDERIGO

Mi conosci

Nobile zio: fin dai primi anni avvezzo

Fui della guerra ai rischie fortemente

L'ingiurie io sentoe i benefizi. L'onta

Che il mio nunzio ha soffertoè tal pensiero

Che nella mente ognor mi vegliae freme.

Sospiro il dì che pareggiar la pena

Col misfatto potrò: vincere io sdegno

Senza colpo di spada e suon di tromba

Città divisae a vendicar su pochi

Il delitto di tutti esser costretto.

Lieve pena s'oblia: d'Italia al freno

Sedermi io voglio qual del mio destriero

Che sul dorso m'invitae pugne anela

Col nitrito magnanimo. Resista

E m'oltraggi Milan! senz'essa ai patti

Scender vedrei Piacenzae Bresciae Crema.

Nei deboli la rabbia è men superba.

Ma le pene che diedi a' miei ribelli

Son primizie di stragi. Avaroil vedi

Son di sangue tedescoe i fanti adopro

Che ne manda PaviaCremonae Como

E chi per noi parteggia: ognor li pongo

Primi alla pugnaed ultimi alle prede;

E pietà non ne sentoe non li ammiro

Chè madre del valore è la vendetta

Negl'italici petti: usarla io spero

Ai danni di Milanoe colle stragi

Di chi ubbidir non sa nè ai suoi perdona

Io colmerò le fosse ond'ella è cinta.

Monti all'assalto delle sue bastite

Sopra i capi d'Italia il piè tedesco

E sian mal vivie più da lui si calchi

Chi spirando dirà: Perchè mi premi?

Nè pago il voto ch'io giurai nell'ira

Ancor sarà: se a queste mani io reco

L'empia cittàvoglio adeguarla al suolo

Sicchè divenga una ruina umile

Quanto ha d'altezza; e col tedesco aratro

Alla superba lacerar la terra

Ov'ella fu()sull'infecondo solco

A testimon d'una condanna eterna

Spargere il sal. Questa fia l'opra sola

Che a segno di dominio a' miei Tedeschi

Concederò: chè di mirar son certo

D'ogni città fedele al nostro impero

I guerrieri alleatial mio cospetto

Nell'ebrezza dell'ira e del trionfo

Alzar le scuried agitar le faci

Di Milano all'eccidio; e s'io parlassi

Di clemenza pei vintio se nel volto

Un lieve segno di pietà fingessi

Tu li vedresti abbandonar l'insegne

E alla Germania divenir ribelli

Per esser crudi ai suoi… Ma duceio deggio

Vietar tumultinè trovar potrei

Fra l'altre genti accolte al mio vessillo

Un furor più sollecito di mani

Sterminatrici: ivi seder potremo

Noi siccome a spettacolo; e da Roma

Reduciallora alla rampogna eterna

Che l'Italia ci faquando Milano

E col ferro e col foco avran distrutta

Risponder si potrà: Son qui maggiori

Le fumanti ruinee voi le feste.

OTTONE DI FRISINGA

Signorse vuoi che la fortuna avveri

Ciò che l'ira pensòriedi a Pavia

Quando sul crine la corona avrai

Di quell'Impero a cui Lamagna elegge

Ma vien da Dio: dal successor di Piero

Altro sperar non puoi.

FEDERIGO

Quanto promisi

Al terzo Eugenioora da me s'adempie

Verso il quarto Adrian: sempre all'Impero

I Romani Pastor chieggon ribelli

Contro i ribelli aitae al loro giogo

Romach'è miarender degg'io. Ma poco

D'essa mi cal: più di Corrado io sprezzo

L'offerte sue. Stolta città superba

Io non t'invidio al Pastor sommo: insulti

Alla polve dei numi e dei tiranni

Col santo pièma del mio ferro all'ombra.

Or dee pur Adrian serbarmi i patti

In Vusburgo giurati: in mio soccorso

Esser promiseonde all'Impero io renda

I dritti antichi.

OTTONE DI FRISINGA

Crede sua la Puglia

Il vicario di Cristoe n'ha tributi

Da lungo tempo.

FEDERIGO

Accarezzar m'è forza

La matrigna dei re!

OTTONE DI FRISINGA

Servi alla Chiesa

Di cui sei figlioe non ripor speranze

Nella romana Curia: ha con Guglielmo

Un'ira brevee di più lungo amore

Pegno sarà. Tu dominar la Puglia

Qual tuanon puoi: brami al Roman Pastore

Farti vassallo? scenderesti in vano

A cotanta viltà. Roma non vuole

Sì possente vicinoe quindi oppose

Ai Tedeschi i Normandi. Ahnell'estrema

Parte d'Italia che Guiscardo ottenne

Coll'inganno e la forzaa te non venga

Il crudele desío d'avere un regno()

Quando sarai lieto d'un figlio; e cresca

Sotto gelido Ciel la pianta augusta

Che su terra d'incanti e di menzogne

Brevi radici avrebbe; e l'anatèma

Folgor che dorme fra le nubi arcane

Onde il soglio di Piero ha velo eterno

Da sonnoo finto o brevein cui mal fidi

Con più grand'ira allor fia che si desti.

Quel sacro foco a depredar non scenda

L'arbor diletta a cui sarai radice:

Egli corre pei fiori e per le frondi

E non sente pietà del tronco ignudo.

FEDERIGO

Io riverente agli anni e ai tuoi consigli

Benchè quel che mi dai credere io deggia

Timido figlio dell'età senile

Non ti dirò: Nel chiostroOttonritorna;

Qui mal t'assidi a profetar sventure

Al comun sangue: tu scevrar sapesti

Dalla Curia la Chiesae pur voi tutti

Cui circonda le chiome onor di mitra

Non servima fratelli esser dovete

Al successor di Pietro. A lui promisi

Render l'antico onornè voglio in Roma

E consolie tribunie quanti nomi

Dimenticò di cancellarvi il brando

Degli avi nostri. Inalzerò la croce

Sull'antiche ruineove allo stolto

Popol rampogna la viltà presente

Un monaco ribellee da gran tempo

Fuor del sen della Chiesa; in sua balia

L'eretico porròch'esser promisi

Io della fede il difensor: ma sacra

È pur la mia giustiziae ognun che vuole

Sottrarsi a leiquesto Adrian promise

D'anatèma ferir. Chiaro fra poco

A noi sarà come n'attenga i patti

Chi pio vien dettoe ai suoi princìpi umili

Se l'indole abbia pario più superbo

Sia d'Ildebrando che nascea men vile.

Se l'orme sue ricalcar credee quando

Poste in sua mano avrò le briglie erranti

Sopra il collo di Romaegli protegge

I ribelli Lombardio fatto ingrato

A Cesare lontanchiamare osasse

Quella corona che mi vien da Dio

Un benefizio suo…()

OTTONE PALATINO

La Curia astuta

Nella dolcezza degli scritti umili

Come l'angue tra i fioriocculta e mesce

La dottrina fatal: dove si trovi

Chi la rechi in Lamagnae vi difenda

Fra i principi adunati al tuo cospetto

Un'antica menzognaio colla spada

(Pon mano alla spada

e tutti i principi fremono di sdegno.)

Che tu mi desti a vendicar l'impero

Fosse legato e cardinal…

FEDERIGO

Saprei

Vietar quel sacrilegio. - Or modo all'ire.

UN PRINCIPE

Signor del mondo è il nostro re.

UN ALTRO PRINCIPE

Lamagna

È l'erede di Roma.

UN ALTRO PRINCIPE

In te la legge

Viveed è legge il tuo voler().

VESCOVI

Tu dei

Della Germania liberar la Chiesa

Dalle romane arpied'un giogo antico

Toglierci all'ignominia: escan d'Egitto

I figli d'Israel.()

FEDERIGO

Se meco siete

Principi dell'Imperoio della Chiesa

Come ai tempi di Carloogni diritto

Di ristorar m'affido; e allor di Roma

Se l'armi impugnaai piedi miei deriso

L'anatèma cadrà. Certo nel gregge

Che all'errante pastor sta più d'appresso

Ogni pecora è astuta()e delle sante

Ire si ride della fragil verga

Che un dì coll'ombra sgomentò le genti;

E nella sua virtù poco si fida

Costui che invoca il brando mio…

OTTONE DI FRISINGA

Signore

L'ire sopite ridestar non dei

Fra l'Impero e la Chiesa(); o coi ribelli

Fatte vessillomilitar vedrai

Pur le chiavi di Pietro. Io dissüasi

L'impresa della Pugliae in sensi brevi

L'alta ragion del mio consiglio esposi:

Aggiungerò non esser lungi il tempo

Che al piè fatale d'Orïone armato

Arda stella crudele il Can Celeste().

Fuggì la rabbia suache asciuga i fiumi

E fende i campie le infocate e pigre

Nubi sospendeonde a noi vien la morte.

OTTONE PALATINO

Fuggir?… Che dici? uso dei chiostri all'ombra

Il Sol paventi? Onde il guerrier non abbia

Dalle mefiti del roman deserto

Ignobil mortee soggiogar tu possa

Spoleto nei tributi infida e tarda()

E che prigion ritiene un tuo fedele;

Roma lasciando all'Appenninsi prema

Presso alla Nera il dorsoe un'altra via

Colà ci guidiove la Puglia è lieta

E l'aer pieno di salutee molte

Son le ricchezze che rapì Guiscardo

A gente molle nella sua rozzezza.

Solo temer si può che in dolce terra

Paradiso dei vilii tuoi guerrieri

L'ozio non vinca: ti faran contrasto

Pochi Normandi: dei Pugliesi al fianco

Pende inutile il brando()ed han veloci

Sol nella fuga i piè. Tu mal dai Greci

Chiedesti aita per domar Guglielmo

In odio ai duci suoi… Cesare voli

Alla vendetta del Germanderiso

Da gente in cui viltà sempre è loquace;

Non fia che il suon delle tue trombe aspetti

E fra la polve folgorar le spade

Del Teutone guerrier: pria che librato

Morrà lo strale nella mano imbelle.

FEDERIGO

Nell'ora che la mente è più tranquilla

Dentro tacita stanzaov'io non oda

Fremito d'armi che alle pugne invita

Eleggerò: sapete esser nemiche

Al buon consiglio la prestezza e l'ira.

Mi è sospetto Adrian: qui presso a Sutri

Com'ei promiseancor non giunge… Ascolto

Lieto clamor… fosse costui…

 

 

 

SCENA VII.()

 

UN ARALDOE DETTI.

 

ARALDO

Da Nepi

Il pontefice è giunto.

FEDERIGO

Io qui l'aspetto;

Prencimovete ad incontrarlo.

ARALDO

Il clero

In sacre vesti lo precedee molta

Plebe sull'orme sue s'aduna e cresce:

Chieggon l'ingresso i cardinali.

FEDERIGO

Ammessi

Sieno costorma lungi il volgoe questa

Gioia insolente si reprima…

(I vescovi e i principi partono coll'araldo.)

VOCI AL DI FUORI

Evviva

Il successor di Pietro!

ALTRE VOCI

Ei tien di Cristo

Le veci in terra.

VOCI

Il Signor nostro evviva!

 

 

 

SCENA VIII.

 

FEDERIGO

Ai popoliod a me farsi nemico

Adriano dovrà? Tien quel potere

Che grande fa sempre voler lo stesso:

Se tu gli lasci dominar le genti

Dirà libero il mondo; e se gli vieti

D'esser tirannoegli si chiama oppresso.

 

 

 

SCENA IX.

 

Il CARDINALE DE' SS. GIOVANNI E PAOLOil CARDINALEDI S. MARIA IN PORTICOil CARDINALE OTTAVIANO DI S. CECILIAEFEDERIGO.

 

IL CARDINALE DE' SS. GIOVANNI E PAOLO

Il Padre dei Fedeliappien sicuro

Che rechi pacee del Signor nel nome

Tu venisti fra noit'invia salute.

Sul capo tuo fatto più sacro avrai

L'ambito onor della corona augusta

Da quella man che ai Cieli apre le porte.

FEDERIGO

Iddio le chiude a chi quaggiù non serve

Alla possanza che da lui mi viene.

Ma di ciò basti: ad Adrian riserbo

Io più gravi parole: alla mia fede

Erano i suoi timori un lungo oltraggio.

Non scema ad ambo reverenza e fede

E le speranze dei nimici accresce

Questo alternar di patti e giuramenti?

IL CARDINALE DI S. MARIA IN PORTICO

Scusa al terror sono i perigli; e tanta

Onda affatica di civil procella

La santa nave al successor di Pietro

Che al governo vegliar della sua prora

E ogni vento dovea creder nemico

Sol per la fretta della tua venuta.

Ponga in oblio le andate cosee muova

Riverente e pietoso incontro al padre

Il maggior dei suoi figli.

IL CARDINALE DI S. CECILIA

Ove seguisse

Il vicario di Cristo i miei consigli

L'onta del dubbioonde a ragion t'adiri

Non avresti sofferto; e alfin concordi

Cesare e Pietroun sulla via del mondo

L'altro su quella che conduce a Dio

Guiderebber tranquilli il gregge umano

Coll'ombra della verga e della spada.

IL CARDINALE DI S. MARIA IN PORTICO

Muovi stolte parole e irriverenti

Al signor nostro: eri da lui respinto

E ribelle al poter del suo divieto

Qui presentarti osavi.

OTTAVIANO CARDINALE DI S. CECILIA

Abbi rispetto

A chi t'è parie dove sei ricorda

E chi t'ascolta.

FEDERIGO

Dall'altar gridate: -

Sia pace al mondo; - e tra voi pure è guerra.

I CARDINALI DE' SS. GIOVANNI E PAOLOE DI S. MARIA INPORTICO

Se a lui tu credinoi partiam.

FEDERIGO

Restate;

Le vostre liti a giudicar non venni.

(sommessamente al cardinale Ottaviano.)

Ceder non ti rincresca: hai da quest'ora

In Cesare un amicoe tu gli sembri

Degno della tiara()… Or io m'accorgo

Che v'udii troppoe d'ascoltarmi è degno

Solo Adrian: Vadasi a lui.

(I cardinali licenziati partono. Ottaviano primaegli altri dopo.)

 

 

 

SCENA X.

 

Luogo non molto lungi da quello ove era il padiglionedi FEDERIGO: questi smonta dal suo cavalloe dice le seguentiparole:

Ti lascio

O compagno fedel de' miei perigli

Generoso destrieroe sulla terra

Che nel tuo corso rimbombar dovea

Coll'umil piè muti vestigi io segno…

Ma che rimiro? verso noi procede

Dei servi il Servo con tranquillo orgoglio

Sopra un bianco destrierdocile al freno

Com'ei vorrebbe i re. Per quel sentiero

Su cui move Adrianguerrierie volgo

Ambo i sessiogni etadea ossequio cieco

Si premonsi confondonos'atterrano

O l'un sull'altro cade; e l'uomche Iddio

Fece i cieli a mirarquasi divenne

Pavimento al superbo. A chi morisse

Da quel corsieroove t'assidioppresso

Esser diresti il Paradiso aperto.

Meco diviso or tu non hai l'impero;

Solo possiedi il mondo. In me non volge

A cenno di saluto il capo altero

Cinto dalla tiarae tutto ei vede

Sotto di sèsiccome Iddio: sommessi

Preghio silenzio… ei benedicee passa.

Qual maraviglia se toccar la terra

Non si degna costui col piè superbo?

L'offre ai baci dei re: prostrar mi deggio

All'atto vile anch'io.

 

 

 

SCENA XI.

 

ADRIANOavendo indarno aspettato che FEDERIGO siaddestrasse al frenoe gli reggesse la staffa nello scendere dacavallosmonta coll'aiuto dei suoi ministrie prima di sedere sulfaldistoroche gli vien preparatocosì dice ai CARDINALI:

 

ADRIANO

Non piùfratelli:

Qui scenderòchè omai sperar non posso

Da quel tumido Svevo il noto omaggio

Che i Cesarise a Dio non son ribelli

Con antica pietà finora han reso

Ai romani pontefici. M'assido

Sul faldistoro mio: sappia l'eletto

Re di Germaniae imperator futuro

Ch'io qui starò.

(Partono i cardinali per annunziar ciò a Federigo.)

Svevo liongustasti

D'Italia il sanguee nelle fauci ardenti

Ti crescerà la sete: orride guerre

Ancor nel tempio(): ma il trionfo è certo.

Poichè Cristo morìpiù non vacilla

Di Pier la fede; or ei con piè sicuro

Calca l'umide vie della procella.

 

 

 

SCENA XII.

 

FEDERIGO s'inoltra verso ADRIANOeguardandolo dice:

 

FEDERIGO

Nel volto di costui leggo l'orgoglio

Velato d'umiltade…

(Federigo si appressa al papagli bacia i piediepoi vorrebbe il bacio di pace che Adriano gli nega.)

Al Ciel sollevi

La fronte austerae mi respingie taci

E freme il labbro che offerir non vuoi

Al bacio della pace? il tuo rifiuto

Ti palesa nemico.

ADRIANO

A Dio volgea

Taciti preghi: ira pietosa è questa;

Minaccio il figlio che punir dovrei.

FEDERIGO

In Canossa non siam; nè in mezzo ai geli

Tremante e solo io quel perdono aspetto

Che mal richiesee peggio ottenne Arrigo().

Non varcai l'Alpi fuggitivo: è noto

Ond'io discesie quai vestigi io lasci

Insino a tesulla mia via; nè gelido

Per sofferte pruine il piè vacilla

Uso a calcar delle città ribelli

Le fervide ruine.

ADRIANO

In Ciel t'ascolta

Quei che nomar non osi: i suoi portenti

Ricordae trema().

FEDERIGO

Oprarli invan si spera

In questa età. Scriva il maggior la Chiesa

Nei fasti suoichè Cesare più all'imo

Scender non puònè tanto Pietro alzarsi.

Si sa com'ei perdonae mai sì vile

Non sarà nei monarchi il pentimento.

Or non è dato insanguinar Lamagna;

Fe' senno omai(): ciò che fu gloria ai padri

È dei figli rossor; nè da giurata

Fede può sciorli del Roman Pastore

La man che s'alza a benedir delitti.

ADRIANO

Empio chiamarti or io dovrei; ma spero

Che in te l'ira favelli: ai ciechi affetti

Perdona Iddio l'impeto primo. Accheta

I tumulti dell'alma: umili e miti

Cristo ne vuol.

FEDERIGO

So come a lui somigli.

ADRIANO

Rendimi onore.

FEDERIGO.

E che più brami? accolsi

Con ossequio di figlio i tuoi legati

Nè mi fu grave rinnovar la fede

Che ti giurai: poscia a Viterbo invio

Di Cologna i pastori e di Ravenna

A stabilir quel giorno in cui ti piaccia

Cesare incoronarmi: a lor t'involi

Come fosser nemicie poi ti chiudi

Nella città che dai Castelli ha nome

Per l'indugio temendo e pel ritorno

Di quei superbi che ti son fratelli.

Dove giace Viterbo ai piè del monte

Io delle aquile mie trattengo il volo.

Non ti appaghio signorche nel cospetto

Dell'adunate schiereun lor campione

Conservarti gli averi e la persona

Giuramento facea sugli Evangeli?()

Pronto a tradirmise così diffida

Creder deggio Adrian! Stolto consiglio

Chieder soccorso a chi si teme: e quando

Muovo genti a punir fatte ribelli

Alla Chiesa e all'Imperoin ardue rôcche

Celarti a schermoqual tu fossi il reo!

ADRIANO

Sai quai perigli ho corso?…

FEDERIGO

Ove tu fossi

Di Cesare l'amicoera il tuo loco

Nel campo suo: male or vi giungie tardi.

ADRIANO

T'apri la via colle ruinee lasci

Orme di sanguevincitor crudele;

E s'io sento il terror che ti precede

Tu ti sdegni con me!

FEDERIGO

So che non tremi;

Nè lo vorrei: tu spettator sicuro

Fingi pauree rampognarmi ardisci

Ciò che vietar dovevi… Ah mal si spera

Che insegniate a ubbidir! Cesare è nome

Che nel libro di Dio più non si legge.

La spada ch'ei non volle in man di Pietro

Dall'orecchio d'un servo alzare osaste

Fino al capo dei re. Ma tu che credi

Sacra la mia ragionee ognun che osasse

Sottrarsi a lei nei patti tuoi giurasti

D'anatèma ferirla tua promessa

Perchè sciolta non hai?() Deggio in Milano

Io sopportar ciò che ai tuoi preghi io mossi

A distruggere in Roma? I miei diritti

Son più certi de' tuoi; chè fu l'Impero

Pria della Chiesao ciò che suo non era

Donato ad essa Costantino avrebbe().

Chiedi il sangue d'Arnaldoe il fulmin sacro

Nell'eterna Città primo vibrasti

E armi per me non hai? Vi son ribelli

Solo colà dove io regnar ti lascio?

ADRIANO

Mi lasci? eterno peregrin vorresti

Il successor di Pietro? E non avrebbe

Nella valle del pianto ove s'accampi

Quella milizia che trionfa in Cielo?

O fuggitivio servi i suoi Pastori

Roma pur or mirava…

FEDERIGO

E templi aperti

Da lor coll'armie fra gli altari il sangue

E libertà sul Campidoglio(); e l'Alpi

Per questa larva che vi dà terrore

Noi chiamati a varcar: lurida figlia

È dei vostri peccati… Or quali foste

Liberi o schiavinell'esiglio o in trono

Perchè a cercar mi sforzi? Ha lance incerta

Il giudicio mortalchè sulla terra

Gridano i vizie le virtù son mute.

Dirti il ver tenterò: calunniao lode

Stia sul labbro dei servi… Erate uguali

Al mal seme d'Adamoonde la colpa

Crebbe in terra così che il Ciel dischiuse

L'acque vendicatricie l'uom divenne

Pentimento di Dio. La Chiesa ei solo

Reggea dal Paradisoe vôto in terra

Erao Cristoil tuo loco. Otton coll'armi

Sulla via del Signor vi ricondusse

E l'austera Germania illustri esempi

Diè sul soglio di Pier(). Voi poscia osaste

Di sottrarvi all'Impero: è noto al mondo

Come grato gli fu quel pio Satanno()

Chedei Cesari schiavo e poi ribelle

Giudice lor si fecee tutti i troni

Coll'ara oppressi ardì gridar - Son uno

Siccome Iddio. - Lavò col sangue il fango:

E nel discorde mondo arse una guerra

Scellerata cosìch'eran funeste

Più le nuove virtù che i vizi antichi.

Siete ludibrioo pianto.

ADRIANO

Io non dovea

Chiamarti in mio soccorso: ecco l'omaggio

Che al pontefice rendi!

FEDERIGO

Ed egli osava

Accogliermi così? Cesare offeso

Cadde ai tuoi piedie tu negargli osasti

Quel bacio che Gesù rendeva a Giuda!

Pace rifiutie vuoi la guerra.

ADRIANO

A Dio

Già nemico tu sei: gioia all'Inferno

Eran l'empie parolee se giungesse

Da mute insidie o da nemici aperti

Per te l'ora di morteal Re del Cielo

Ti volgeresti invan: dall'anatèma

Son tronche l'ali della tua preghiera().

Pietà mi faichè da principio antico

L'impeto nasce che vi fa ribelli

Al volere di Dio. Benchè lontano

Dall'origine suaritiene il fiume

L'acqua del fonte che gli diè la vita.

Figli del sangue che redense il mondo

I pontefici son: nacque l'Impero

Dai delitti dell'uom.()

FEDERIGO

Più non t'ascolto.

(Fa cenno di partire.)

ADRIANO

Vati risposi: finchè all'uom parlasti

Potei tacer; nel sacerdozio è Cristo

Ch'io vendicar dovea: nel calle eterno

Mostra dove cademmoe abbiam le pure

Acque turbato ove si specchia Iddio!

Se nella via dove il consiglio è muto

Dell'aura ispiratriceil piè vacilla

Sotto il carco d'Adamoe ci ravvolse

Fra le tenebre sue l'affetto umano

Nuovo è il nostro fallir: dei re le colpe

Cominciano col mondo.

FEDERIGO

Ahi mal ripeti

D'Ildebrando i blasfemie qui baleni

Con i folgori suoi: del quarto Arrigo

Non sai che il sangue a quel di Svevia è misto?()

Perchè sprigioni dalle tue caverne

Vento superbo a dissipar la polve

D'un cenere mendacee sveli il foco

Che vi giacea nascoso?… Allor ch'io fui

Dai prenci eletto a dominar Lamagna

Cui l'Italia è retaggioi casi io lessi

Del monarca infelice: ira e vergogna

M'empiean cosìche col pugnal trafissi

Le carte infamie vi correan di rabbia

Lacrime ardenti a divorar lo scritto.

Ma di quell'empia istoria il fine atroce

Ogni baldanza m'avvallò sul ciglio()

Un attonito orror vinse gli affetti

Nell'anima frementie al suol cadea

Il volume fatal; ma nella mente

Restò fisso ogni eventoe mai più saldo

Non si scrisse nel marmo. Or ne' miei sogni

Il delitto rivivee sempre io veggo

Alle ginocchia ruinar del figlio

Grave d'anni e catene il re canuto

Ed abbracciarle invano; e poi ramingo

Da tutti abbandonatoentrar nel tempio

Ch'egli fondavae dimandar mendico

Un pan che gli è negato; e l'infelice

Morir di duoloe non trovar riposo

Pur nella tomba; e gran tempo giacersi

Sull'ignudo terren di cella angusta

Livida salmaimperator tradito

Dissepolto dal figlio. Oh se cotanto

Ardiscee può la tua crudel tiara

Cessin dei re le nozze! a noi potrebbe

Nascer spergiuro e parricida un figlio:

Benedetto da voitogliere al padre

Regnovitasepolcro.

ADRIANO

A che d'antichi

Casi favelli?

FEDERIGO

Del presente io parlo.

Se il mio poter sacro non crediè sciolto

Ogni patto fra noi: quanto l'orgoglio

Delirò d'Ildebrando esser dottrina

Soffrir potrei? Ritemprerò col sangue

Quella corona onde spogliossi Arrigo;

E l'orma sparirà del piede altero

Che tutti i re cavalca.

ADRIANO

Odi tranquillo

Liberi detti. La regal possanza

Consacrata da noi perde la colpa

Dell'origin profanae i suoi diritti

Vengon difesi dal pensier di Cristo

Che vive in noi: ci unisca ai piè dell'ara

L'antico pattoe stabil sede in Roma

Or m'assicura. Io veglierò sul mondo

Come l'occhio di Dio: se siam congiunti

Chi può star contro noi? Quel dì che a Cristo

Gli Apostoli gridaro: Ecco due spade-

«Non più» rispose; e al Sacerdozio unito

Era così l'Impero(). Ognun risplenda

Nel seggio suo: come la luna avrebbe

Nei deserti del ciel silenzio eterno

Se vi tacesse la virtù del sole…

FEDERIGO

In pianeta minore! e non risplendo

Che per la luce tua!

ADRIANO

Viene da Cristo

In chi tien le sue veci. Io sono il vero

Tu sei la forza; e se da me ti parti

Cieco rimanied io divengo inerme.

Siamo uno alfine; e il paragon si taccia

Che all'ira ti destò. Cesare e Pietro

Sono i monti di Dio: l'uom dalla terra

Con terror li contemplie mai non cerchi

Qual di due più sospinga al ciel la cima;

O ritirarsi la virtù divina

Si vedrà dal creatoe farsi avverse

Alle genti le gentied ogni altezza

Quaggiù spariree tutto valle e polve

Vil ludibrio dei ventiinfin che venga

Dio sulle nubi a giudicar la terra.

Fa senno alfinee dall'esempio apprendi

Dell'empio Arnaldoesser nemico al trono

Chi fa guerra all'altar.

FEDERIGO

Nelle tue mani

So ch'egli venne: il giudicò la Chiesa

A me spetta il punirlo.

ADRIANO

Invan lo speri.

FEDERIGO

Come!

ADRIANO

Tolto ei mi fu.

FEDERIGO

Senza un mio cenno

Chi tanto osò?

ADRIANO

S'ignora.

FEDERIGO

In forza mia

L'eretico verrà: con morte infame

Farò punirlo.

ADRIANO

Un santo zel t'infiamma

Nella causa di Dio.

FEDERIGO

Perchè fra tanti

Casi Adrian lungi da me si tenne?

Più pronta dei perigli era l'aita

Ch'io potea darglied ei cercava asilo

Nelle infide città! Torniamo amici.

ADRIANO

Di pace il bacio io ti darò.

FEDERIGO

Che tardi?

ADRIANO

Offeso m'hai.

FEDERIGO

Chi a ciò mi spinse? Or tutto

Poni in oblio tu che il perdono insegni.

Qui niun ci udiva; io son pentitoe basta.

ADRIANO

Se al cospetto del mondo alfin mi rendi

Ciò che mi deviio sarò pago; e reo

Non ti diròse ti confessi ignaro…

FEDERIGO

Come!

ADRIANO

All'Impero or non ha guari eletto

Per senno e per valorpuoi gli usi antichi

Dell'alto uficio che ti fu commesso

Ignorar senza biasmo?

FEDERIGO

E che? qual uso?

ADRIANO

Pel breve tratto che misura un sasso

Lanciato dalla mandovevi al freno

Addestrare Adrian.

FEDERIGO

Per Dio! che ascolto?

ADRIANO

E al regio padiglione il mio destriero

Guidar dovevie a me tener la staffa

Quand'io scendea; nè il faldistoro avrei

Opposto al tronoe con un lieto affetto

Il santo bacio in ambedue le gote

Ti dava il padre.

FEDERIGO

E tu da me sperasti

Tanta viltà? Son dunque tuo scudiero?

ADRIANO

Omaggio antico è questo: al tuo rifiuto

Or più scuse non hai.

FEDERIGO

Che qui l'Inferno

S'apra sotto i miei pièpria ch'io li mova

A tanto disonor… Suonin le trombe

I miei guerrieri a richiamar nel vallo

E in me non sia per atto vile offesa

La maestà del sangue e dell'Impero:

Mostriam che Italia e Roma è mia.

ADRIANO

Che tenti?

Nelle tue man cadrò; ma tu potere

Non hai su me: pur di catene avvinto

Sempre il tuo re sareich'io solo impero

Sullo spirto dell'uom.

FEDERIGO

L'inanimate

Salme poi lasci per ludibrio ai regi.

Ma perchè tremi? empio non sonoe stolto.

Qui la canizie del tuo capo augusto

Dai popoli adoratoerger tu puoi

Con sicura baldanza: io che ti nego

Un vile ossequiovendicar saprei

Con questa spada anche il più lieve oltraggio

Fatto al gran sacerdote. Or volgo indietro

Le schiere miechè dei Lombardi appieno

Trionfato non honè qui mi sei

Alleato fedele: altro sul labbro

Altro sta nel tuo core: esser dicesti

Tu dai Normandi oppressoe in tuo segreto

Forse gl'invochi. Differir l'impresa

Di Puglia io bramo; e tolga il Ciel ch'io cinga

Quella corona che tu m'hai promesso

Se a prezzo di viltà comprarla io deggio.

È un vano rito il tuo. Cesare io sono

Per voler di Lamagnae tu l'Impero

Non daima lo confermi: e che lo dica

Tuo benefizioe poi mi chiami ingrato

Aspettarmi potrei… Sempre fatale

Era Roma per noi: starvi sepolta

Nella polve dei secoli dovea

La corona fatal dell'Occidente

Che dalla mano di Leone imposta

Con tristo augurio ella rivide il cielo

Sulla fronte di Carlo. Ahi parve omaggio

E insidia fu! rimase il re prostrato

E il sacerdote in alto. Allor l'Impero

Che dato al Grande avea la spada e Dio

Fu dono vostroe di Bisanzio astuta

Lo schiavo abietto divenir potea

Il maggiore dei re. Carlo previde

Il vostro orgoglioe si pentì: chiamava

Nel tempio d'Aquisgrana il suo senato()

E la corona dell'antico Impero

Per darla al figlio sull'altar depose

E a lui gridò: Colla tua man la prendi

T'incorona da te: solo da Dio

Tu ricevi il potere. - Anch'io sull'ara

Se dell'Italia vincitor qui torno

Prenderò la coronae sul mio capo

La calcherò col brando: a questo rito

Chi vuol gl'imperatori a palafreno

Assistere potrà.

 

 

 

SCENA XIII.

 

OTTONE DI FRISINGAE DETTI.

 

ADRIANO

Giungi opportuno

O Pastor di Frisinga; e poi che indarno

Furon le mie parolee sei tu pure

Maestro in Israeleal santo omaggio

Persüadi il tuo re. Vive l'esempio

Di Lotario fra noi: quello di Carlo

Travolse il tempo nella sua rapina.

Seco io ti lascio; ed a colui che tiene

Nelle sue man d'ogni monarca il core

Volgerà la preghiera il servo indegno.

(Il pontefice parte.)

 

 

 

SCENA XIV.

 

OTTONE DI FRISINGAFEDERIGO.

 

FEDERIGO

Ottonda me che brami? Un vil consiglio

Darmi oserai?

OTTONE DI FRISINGA

Mi guida al tuo cospetto

Zelo fedel.

FEDERIGO

Vuoi ch'io Lotario imiti

Che ai pontefici schiavoe vil nemico

Del padre mioseppe rapirgli il trono

Con bassi accorgimenti?() E tu non pensi

Che se costuiche andò di chiostro in chiostro

Mendicando la vitae fu davvero

Allor dei servi il servoaddestro al freno

Frenar non posso in sulla via superba

Romache già converte in suo diritto

La viltà di Lotario? Il nuovo esempio

Sarà dottrina; e il nostro antico Impero

Ch'io dalla Chiesa liberar vorrei

Feudo papal; dei suoi vassalli il primo

Il Cesare Alemanno.

OTTONE DI FRISINGA

Al santo loco

Ove Pietro sedeaquel da Splimberga

Grato fu troppo: ma pietoso o vile

Fosse costuiche primo a tanto omaggio

Scender potea dalla suprema altezza

Periglio or t'è non imitarlo. Il mondo

Dirà che vieni a rinnovar la guerra

Onde si piange ancora; e benchè scorra

In te dei Guelfi e degli Arrighi il sangue

Preferito ad Alfordio hai Ghibellinga().

Federigo ti chiami: è nel tuo nome

Un augurio di pace(): or le mortali

Ferite antiche riaprir vorrai

Nel dolce seno della tua Lamagna?

Nel pontefice il Ciel dietti un compagno

Necessario e tremendo; e se speranza

Esser vi può che torni al nostro freno

Questa ribelle Italiaor si presenta

Che libertà conosce a sè fatale

L'antico re dei sacerdoti. Afferra

L'occasïon che fuggee l'empio Arnaldo

Una vittima sia che coll'Impero

Riconcilii la Chiesa.

FEDERIGO

Oh dove andaste

Giorni della mia gloria? O fortunati

Monarchi d'Orïente()ove nel campo

Dell'esercito l'onde aduna e regge

Assoluto comandoe basta un guardo

Ad annunziar la mortee col sorriso

La speranza vi mandie la fortuna!

Qui sul trono è servaggio: io son costretto

A divenir scudieroe ai miei compagni

Pari in età sarò ludibrio.

OTTONE DI FRISINGA

Oh questo

Impeto giovanil che ti trasporta

Raffrenaimperator…. Duci son molti

Nell'esercito tuo che nella Puglia

Seguian Lotarioed han qui sparso il sangue

D'Innocenzo a difesa; e se or ti pieghi

A quell'ossequio che da lor fu visto

Non puoi vile parer. Deh solo ambisci

Dei canuti il suffragio: un senno antico

Mostrasti in Aquisgrana.

FEDERIGO

E i santi dritti

Dell'Imperoch'io tengoandrannoOttone

Conculcati per sempre?

OTTONE DI FRISINGA

In me riposa.

Provvidi a tutto: tengo anch'io per fede

Che sol da Dio vien la corona(): il modo

Onde l'omaggio che così ti grava

Maestà non le scemiio nella mente

Ho già dispostoe tel farò palese.

Sappia Adrian che tu sei pronto…

FEDERIGO

Ottone

A che mi sforzi?

OTTONE DI FRISINGA

Onde così rimani

Fieramente ostinato? Or viadeh cedi

A quell'autorità che vien dagli anni:

Pensa che per amor padre ti sono.

 

 

 

SCENA XV.

 

Campo di Federigo appresso Nepi

e accanto un lago.

 

FEDERIGO

E OTTONE DI FRISINGA in disparte.

 

FEDERIGO

Pago non sei? Duce alle schiere è fatto

Il monaco Adrian; per lui di Sutri

Il dolce pian lasciavae presso a Nepi

Io m'accampo a viltà! Ma questo lago

Come si chiama?

OTTONE DI FRISINGA

Giaula.

FEDERIGO

Io possa il nome

Obliarne per sempre! Inver mi piace

Ch'egli squallido sia: sulle sue rive

Quando agli omaggi io piegherò la fronte

Non sarà specchio della mia vergogna.

Prendio scudierspadacorona ed elmo:

Ah l'elmo no! chè il mio rossor nasconde.

OTTONE DI FRISINGA

Calmati omaifa senno…

(A un cenno di Ottone di Frisinga si avvicinano iduci più antichi dell'esercito tedescoai quali egli dice le seguentiparole:)

O duci antichi

Del teutonico stuoloa cui palese

Feci l'ossequio che Adrian richiede

Al vostro imperatordirgli vi piaccia:

Nel cospetto d'ognuncon atto uguale

Il pio Lotarioche voi qui seguiste

Onor non rese ad Innocenzo?

DUCI

È vero:

Noi lo vedemmo.

OTTONE DI FRISINGA

E ciò su questa Croce

Non siete pronti di giurar?

DUCI

Giuriamo.

(Si allontananofatto il giuramento.)

OTTONE DI FRISINGA

Vedigià schiusa è d'Adrian la tenda

Gli si appresta il destrier: perchè qui tardi?

FEDERIGO

Apostolo superbo!

OTTONE DI FRISINGA

Andar dovrai

Alla presenza sua con fretta ignobile

Se tardi più: deh quello a cui la dura

Necessità ti sforzaor lieto adempi

Qual se tu lo volessi.

 

 

 

SCENA XVI.

 

I SOLDATI E I PRINCIPI onde si compone l'esercitodi Federigovedendolo assistere al servigio del cavallo sul quale èpapa Adrianoprorompono nelle seguenti parole:

 

ALCUNI SOLDATI

Oh vile!

ALTRI SOLDATI

Oh pio!

UN PRINCIPE GIOVANE

Consiglio fu di età senile; e questa

Loda il passatoe l'avvenir paventa.

Pria che l'Alpi varcasseogni vegliardo

Ai monaciche pasto avran più largo

Lasciò gran parte dei malnati averi

A rimedio dell'alma.

UN ALTRO PRINCIPE

Io non credea

Federigo sì vile! E abbiam l'Impero

Dato a costui?

UN ALTRO PRINCIPE

Porre io volea sul trono

Il figlio di Corrado.

UN ALTRO PRINCIPE

I miei castelli

Divori il fuocoma non sia retaggio

La corona fra noi.

UN ALTRO PRINCIPE

Roma trionfa

Nel pontefice suoma quella stolta

A lui fa guerra.

UN SOLDATO GIOVINETTO

Se del papa al freno

Stassi l'imperatordove il tuo loco

Saràmisera plebe?

UN PRINCIPE

O giovinetto

Se monaco ti rendiesser potrebbe

Sopra il soglio di Pierchè più mendico

Fu Adriano di te.

UN SOLDATO DI ZURIGO

Vieni in disparte:

Siam di Zurigo; e benchè qui raccolti

Di Cesare alle insegneil suol natio

E le dottrine che vi sparse Arnaldo

Non possiamo obliar. Tu che m'avanzi

Negli anni e nel saperche temio speri

Da spettacolo tale?

ALTRO SOLDATO DI ZURIGO

Io veggo un lupo

Che dà mano alla volpe: ha patti brevi

Coll'inganno la forza: ora d'Arnaldo

Saran scritti col sangue.

 

 

 

SCENA XVII.

 

ADRIANO smontato da cavallo

FEDERIGOE DETTI.

 

ADRIANO

In ver tu sei

Destro e pronto scudieroe m'hai tenuta

Fortemente la staffa: abbitio figlio

Il bacio della pace: i tuoi doveri

Ben adempito or hai.

FEDERIGO

Non tuttio Padre. -

(A un cenno dell'imperatore si aduna tuttol'esercitoed egli grida:)

Ducie soldatiudite: ho reso omaggio

A Pietroe non a lui.()

ALCUNI SOLDATI

Cesare viva!

ALTRI SOLDATI

Viva Germania!

ADRIANO

(Fra la maraviglial'ira e la paura

trattosi in disparte dice:)

Oh basilisco astuto!

Deh venga l'ora in cui tu giaccia umile

Ai piè del Santoe queste voci altere

Se un'altra volta a mormorar t'inalzi

Ti prema il capo trionfatoe gridi:

A Pietroe a me…() Dissimular conviene

Il dolor dell'offesa.

(Si ravvicina a Federigo.)

 

 

 

SCENA XVIII.

 

UN ARALDOADRIANOE FEDERIGO.

 

ARALDO

Or qui son giunti

I Legati di Roma: al tuo cospetto

Vuoi che sian tosto ammessi?

ADRIANO

Or più non deggio

Teco restar: qual nelle fiamme il vento

Saràper l'ira che t'accende il petto

L'audace vol delle parole insane

Dal lor labbro superbo. A te s'addice

Minaccia e pena; a me silenzio e pianto

Su quegli erranti a cui fu chiuso il Cielo.

Quando all'ira di Dio farai vendetta

Col brando dell'Imperoil guardo altrove

Rivolgeròchè questa gloria è tua.

FEDERIGO

Basta; compresi… Se anche a me ribelli

Non fossero i Romaniil lor gastigo

Chiesto mi avresti indarno: i re non sono

Un carnefice vil che mova il brando

Dei sacerdoti al cenno… A che rinnovo

Questa lite fra noi? T'affidao Padre

Nella giustizia mia: tu sei Britanno

Ed io nacqui Tedesco; abbiam comune

L'odio di Roma. A Cristo e a noi fan guerra

Gl'idoli suoi paganie il più tremendo

L'antica libertà; chè il suo veleno

Per l'Italia è diffusoe nomie leggi

E tumulti destò. L'opra compisci

Dei pontefici antichie di superbi

Marmi s'accresca ogni cenobio umile:

Fa che possano tutte in Vaticano

Le memorie perir del Campidoglio;

Lo adegua al suol: quella città superba

Un sepolcro divengain cui si prostri

Il Romano pentitoe chiegga a Dio

Perdono della gloria e dei delitti.

 

 

 

SCENA XIX.

 

LEGATI ROMANI in disparte

e fra questi GIORDANO.

 

UN LEGATO

In ogni terra i cardinali astuti

Ci han posto insidiee per più lunga via

Tardi siam giunti a Federigo. Aita

Dal papa ei spera a ricomporre il freno

Scosso in Milano; e quindi a lui promise

Farlo signor di Romae a vile omaggio

Curvo la frontemeditò catene

Alla misera Italia. Ancor gli duole

L'onta sofferta: or fieramente avverso

A noi saràchè più crudel divampa

L'ira della vergogna in cor superbo.

GIORDANO

Lungi viltà dai nostri detti: e resti

Salvo l'onorse libertà ci è tolta.

 

 

 

SCENA XX.()

 

FEDERIGO sale sul tronoE DETTI.

 

FEDERIGO

S'ascoltino i Romani.

UN LEGATO

A noi concedi

Libertà di parola? in mezzo all'armi

N'assicuri?

FEDERIGO

Parlate.

LEGATO

O di Lamagna

Possente rema della santa ed alma

Donna del mondo imperator futuro

Se Dio l'assente()con benigno orecchio

E con mente serena udir ti piaccia

Ciò che Roma ti dice. Al tuo cospetto

Un popolo c'invia che scosse il vile

Giogo dei sacerdotie da gran tempo

E t'aspetta e t'invoca. Ospite breve

Perchè vieni fra noi? qui tornae siedi

Se Cesare vuoi dirti(). Allor straniero

Più non saraima cittadino: il freno

Riprendi qui dell'universoe regna

Dall'eterna Città. Pensa che ai vinti

Partecipar le sue virtù le piacque;

Grandili fe' servire a Romae n'ebbero

Leggivaloredisciplinaed armi

E impero alfin: tutto riabbiae torni

L'aquila al nido abbandonatoe rendi

Al fulmine dell'ali il volo antico:

Oltre i gioghi del Tauro e dell'Imano

Muova dall'Alpi…

FEDERIGO

Nell'Italia nato

Osi nomarle? e di salir presumi

Quegli ardui montionde non ha difesa

La patria tua? Perchè da noi si scenda

Li fece Iddio. Stolto romore ascolto

Di tumide parole; ognun conosce

Le vostre glorie antichee se perita

Fosse la lor memoriain voi sarebbe

L'onta minore: le virtù degli avi

Ricorda sempre chi da lor traligna

E chiama suo quel ch'ei non fece. Ah cessi

Questo vano garrir. Folle Romano

Deh pensa alfine a ciò che sei: di molti

Secoli di servaggio omai riposa

Notte perenne sulle moli altere

Sudor di genti oppressee dove ai tuoi

Barbari veri fu dell'uom la morte

Spettacolo graditoil sol momento

Che avessero di gioia. A punir Roma

Di sì lungo delitto elesse Iddio

D'Arminio i figli; e perchè in lei vivesse

Alta memoria delle sue vendette

Non fu conversa in polveed ha ruine.

Qual è la sprezzoe ciò che fu detesto;

E ammirar non si dee. Sale ogni gente

A quell'altezza che le fu prescritta

Coll'impeto fatal d'un moto arcano

Che fugge al suo voleree poi si volta

Per scendere alla morte: ed empia e stolta

Fu la città che osò chiamarsi eterna

Dimenticando come Iddio le sorti

Ad ogni gente alternie una veloce

Necessità tutto comprenda e regga.

Sopra le rive del fatale Eusino

Nuova Roma sorgea: l'antica emunse

Il Greco sìche divorato il mondo

L'avida lupa allor moria di fame.

Poscia il Barbaro vennee tu giacesti

Schiava obliata in doloroso letto

Per lunga etànè osasti il capo antico

Dalla polve inalzar del tuo deserto:

E allor che vi sorgea nube di guerra

Pallida gente a ricovrar si venne

Sotto il gran manto del Roman Pastore;

Come fanciul che alle materne vesti

Ratto s'apprende in ogni suo periglio.

Popolo ingratoe voi ribelli e stolti

Che libertà gridateite a prostrarvi

Dove Pietro morì: dannato avrebbe

La città dei trionfi a pianto eterno

Senza quel sangue Iddio; chè Carlomagno

Qui soccorse la Chiesae mal sorgea

Allor quell'ombra del cesareo trono

Che superbi vi fa. Perchè l'Impero

Che Germania gli dièchiamò Romano?

Il Longobardoche da lui fu vinto

Pel più abietto dei servi invan cercava

Un'ingiuria peggior del vostro nome().

LEGATO

Grembo del mondo Italiae son di Roma

Tutte le genti alunne; e se tiranna

Non maestra la credie lodi i figli

Che uccisero la madreead essa ingrato

Pur le sventure sue cangi in delitto

Perchè parli di Carloe a noi richiedi

La corona di Augusto? Or questa usurpi

Se da Roma non l'hai: pegni di fede

Dati abbiamo all'imperoe il freno istesso

Che alle sue mani Costantin già tenne

E poi Giustinïanfu ricomposto.

Pace tu speri dalla curia infida

Prode Lamagnae nel tuo sen non guati

Grave di guerra: è il tuo peggior nemico

Questo perenne venditor di Cristo…

Favor ne speri a racquistar la Puglia

Se dell'Impero le ragioni usurpa

E a feudo suo la tien: già col Normando

Cui diè nome di recorser tre lustri

Aprì novello traffico di sangue

Il secondo Innocenzo. Invan quest'onta

Udì Corrado a cui succedi. Adempi

Il suo difettoe la vergogna emendi

Se tu soccorri alla città che piange

Per grave giogoe fra noi siedied osi

Togliere all'empia Babilonia avara

Gli ampi tesori che le dà l'Inferno

E il Cristo suoSatanno: un dì punita

Sarà l'ingorda: ha sete d'oro; e l'oro

L'affogherà.

FEDERIGO

Taci…. d'Arnaldo ascolto

L'empie dottrine.

UN ALTRO LEGATO

Almeno espor ci lascia

Ciò che si fe' pel sacro Impero. Abbiamo

Prese dei tuoi nemicio a terra sparse

Le torri altere()nè temer vi puoi

Gente che ti resistae vi parteggi

Pel Siculo che rende ai papi omaggio.

Il Milvio pontech'è sì presso a Roma

Già ruinato per negar l'ingresso

Alle schiere alemannein breve tempo

Sorgea di nuovo con ardir felice;

E di mura e di pietre è sì munito

Da render vano ogni crudel disegno

Dai pontefici ordito e i Pierleoni

Che congiunti al Normando avean prefisso

Colle baliste fulminar la morte

Dall'ardua cima del fatal castello

Cui dà l'Angiolo il nome. E tu nemici

Creder ne puoi? Questo Adrian superbo

I Frangipandi Pierleone i figli

Tranne Giordan che ci è fedelee vedi

Al tuo cospetto riverente e muto

Fra Roma e te porranno guerra: e molta

Già sussurrò nelle regali orecchie

Aura sinistra di calunnie astute.

FEDERIGO

Vanti e menzogne udii. Fede all'Impero

Roma serbò: ma dove è il mio prefetto?

Consolisenatoriordine equestre

E magistratinomi solo ed ombre

In città di sepolcrior voi credete

Da un monaco invocati esser risorti?

A quel passato che non può giammai

Rendervi l'avvenirvi riconduce

L'inutil volo del pensiero audace

Queruli schiavie vi riarde i petti

Fremito di memorie e di speranze.

LEGATO

Soffrir tu dei quanto permise Augusto;

E Romatua mercedeaver potrebbe

Impero e libertà.

FEDERIGO

Qual nome osate

Voi proferir? so che per lei vaneggia

Questa italica gentee non l'Impero

Ma i consoli desia. Qui venne Arnaldo

Colla speranza di trovar nel gelido

Cenere del passato una favilla

Cui gran fiamma secondi. Io l'ho col sangue

In tre cittadi estintae simil pena

Se ancor non diedi a voi superbi e stolti

Questo gregge ringrazii il suo pastore.

Roma è sacra per noi dacchè divenne

Città di Dio. Ma perchè qui raccolta

Non è Italia ad udirmi? or io favello

Qual se vi fosse. Omai provincia è fatta

E retaggio a Germaniae il re le impone

Che elegge a sè; retro al suo carro è tratta

Con eterno trionfo. Otton le pose

Una catena che talor s'allunga

Ma frangersi non può(): perchè risuona

Liberi vi credete? io questo inganno

Farò che cessie saran muti i ceppi

Dal brando mio rifissi. Italia spera

Ai Tedeschi sottrarsi? Aver non puote

Nulla di suoneppur tiranni; e pensi

Ai suoi destini antichi. Alzarla a regno

Berengario tentavae vinto e schiavo

Incanutì fra noi; diede pur l'ossa

Prigioniere a Lamagna(). Alla sua tomba

I maggiori trarrò dei miei ribelli

Incatenati; e poi sepolcro ai vivi

Le carceri saranno… A voiRomani

Or io mi volgo. Che l'augel di Dio

Torni al suo nidopoi che l'ali ei volse

Dell'Orïente alla Città Regina

Sognar potete? Siamo noi gli eredi

Dell'antica virtù. Guardate intorno:

Questo è il vostro senatoe qui vi sono

Consolicavalierie tende e valli

Disciplinavalor: qui nei conflitti

Un'indomita audaciae intemerata:

Qui repubblica verae quanto aveste

Nostro divennee seguitò l'Impero:

Non venne ignudo in nostra man; traea

Tutte le glorie del poter latino

E una memoria che vi dà tormento

Sol vi lasciò… Dirmi straniero osate?

Siete Romani voi? Parola insana

Certo è ad udir ch'io qui da voi sia fatto

E cittadino e rese Roma è mia.

Voi senza corsenz'armie pria derisi

E spenti poitimide belveimmonde

A cui tombe e ruine eran covile

Nati alla fugae a sollevar la polve

In antico desertoe sol difesi

Dalle preghiere del sovran Pastore

Fatti ribelli a luisperar potete

La signoria del mondoe già sognate

Affacciarvi dall'Alpi? Al proprio impero

Carlo l'Italia unì; porvi la sede

Mai non pensòperchè da lunga etade

Quella superba che sdegnò confini

Cerchioe non centroera provincia ai Greci

Ludibrio ai Longobardi. A noi si volse

E l'armi ne implorò. Teutoni e Franchi

Siamo un popolo istesso: in me pervenne

La possanza di Carlo: io son di Roma

Legittimo signor. Chi puòrapisca

Ad Ercole la clava… A me s'aspetta

Reggervi col consiglioed ogni oltraggio

Respingere da voi. Saprà Guglielmo

Se da stragi lombarde è fatto ottuso

Il teutonico ferroe certa prova

Nel suo petto n'avrà qualunque ardisca

Resistermi… Non diede a voi l'Impero

Verun'autorità: sol vi consente

A prefetto un Romanperchè si degna

Eleggerlo a vassalloe in lui trasfonde

Il supremo poter(): basti all'onore

Della città. - Selve d'Ardennae pure

Onde del Renoio vi abbandonie sieda

Nella squallida Romae vi contristi

Per la vaghezza di memorie antiche

Gli occhi nel fangoe chiami biondo il Tebro?

LEGATO

Patria a Cesare è Roma; ella risponde

Con questo nome che da voi s'usurpa

Al teutonico orgoglio: il seggio antico

Fingi sprezzarma te ne senti indegno.

Una voce segreta al cor ti dice

Che della sua grandezza appena un'ombra

Ritrar tu puoi(): ma ciò che fu si taccia…

Usanze e leggi custodite e sante

Per gli Alemanniche tenean l'Impero

Prima di tegiurar tu devi()e Roma

Assicurar che da tedesca rabbia

Vïolata non resti: a quelli che hanno

Uficio in Campidoglioed acclamarti

Debbono imperatorquella moneta

Di cui largo alla plebe esser tu devi

Prometterai con sacramentoe fermi

Saranno ancor dalla tua mano i patti.

FEDERIGO

Voi siete folli… in me ragione i moti

Contien dell'ira che si fa disprezzo

Quand'io vi guardo… Alla dimanda iniqua

Segue il rifiutoe ciò ch'è giusto io debbo

Perchè lo voglioe nulla io fo costretto.

E patti imporree giuramenti ardisce

Serva plebe al suo re? La mia parola

Basta per tuttie ciò ch'io dico è sacro.

Son magnanimi i fortie invan temete

Che in Roma un sol de' miei ferir si degni

Col nobil ferro che la Dania ha vinto()

Gente sì vilche di morire è degna

Prima che nasca. Ora cercate indarno

Vendermi ciò ch'è mio: vorrò coll'oro

Comprar gli onori che acquistò la spada

Del teutone guerriero? io son del mondo

L'imperatoree sull'aver di tutti

E sulle vite ho drittoe solo è vostro

Ciò che a me piace di lasciarvi: e quanto

Suole nell'arche custodir l'avaro

Nelle viscere sue la terra asconde

A Cesare appartien: vale segnato

Dell'immagine mia l'argento e l'oro:

Ciò vi gridi ch'è nostro… Io d'ogni gente

Vidi i legati ai piedi miei prostrarsi;

Da terre ignote ho nuovi doni: e a vile

Avido volgoe in povertà superbo

Qual debito pagar dovrei moneta

Pattüita da luicome s'io fossi

Un debitor che il carcere sostiene?

Tanta viltà da me speraste? Io fremo

Solo in pensarvi. Al vostro re dar legge

Infingardi malvagi!… E dirmi avaro

TuRomanon potrai; chè i miei fedeli

Quel vil metallo che da me richiedi

Getteran nella faccia ai pochi e squallidi

Abitatori delle tue ruine

In sozzi panni avvoltionde io li vegga

Fra lo scherno de' miei cader nel fango

E ravvolgersi in essoe disputarvi

Con fronte insanguinata il mio tributo.

GIORDANO

Arrossisco per te. Le leggi infrangi

La dignità calpesti. A tanti oltraggi

Sola risposta è il ferroe questa in Roma

Spetta al popolo il darti: e noi morire

Sappiamo ancor; vincer saprà Milano.

Non senza sangue una corona avrai

Che poi cadrà nel sangue: e mi conforta

Questo lieto avvenir che già combatte

Per divenir presente: e qui di Roma

Le calunniate glorie e le sventure

Gioia della Germaniaor io difendo.

Quando il Sol cadeancor dei colli umili

L'ombra si fa maggiore: e così quando

Dechinò Roma dalla sua grandezza

Ogni popolo crebbe; e sorto appena

Dal suo fango natiomostrò le vili

Ire del servo che divien tiranno.

Patria infelicequel che sei condanna

Chi mai non fu! Quandoo Tedeschiin mille

Stolidi sogni che creò l'ebrezza

Sognar potete un avvenir che vinca

Le memorie di Roma? il suo vessillo

Non si usurpi da voi. L'aquila vostra

Nacque fra i ceppi e l'ombree sol discese

Sui cadaveri nostri a certa preda;

Ma non osa tentar le vie del cielo

Coll'occhio infermo che paventa il sole.

Che di Germania parli? Ai nostri danni

Congiurava ogni gentee sempre indarno

Sino al giorno fatal chevinto il mondo

Roma uccidea sè stessa. In voi non era

Pensier di gloria e di vendetta: il vento

V'agitava dell'Asia()e allora i dolci

Campi d'Italia ad inondar scendeste

Lurida nube che non tuona e fugge.

Non lacrime di re tratti in catene

Non lunga polve di trionfie l'onda

Di plebe che gridò: «Cesare giunge:»

Fu sulla Sacra Via; ma la percosse

Di barbari corsieri il piè sonante:

Poi la gente avidissima si sparse

A cercar l'oro nelle tombe; e il sole

Che non vide città maggior di Roma

A mirar condannò l'ossa dei forti

Dissipate nel suolo; e con insana

Rabbia impotente d'atterrar tentaste

Le moli antiche; e dalla rea fatica

Stanchi e prostratie nella polve ascose

Quelle ruine che vi dier terrore

Non osaste sederbarbari vili

Sul sepolcro di Roma… E tutto aveste

In lei distrutto: rimanean le sante

Leggi che diede il vincitor benigno

Ai popoli volentie un dolce impero

Tutti li unì. Del gran consorzio umano

Voi sempre indegnie non vi muta il Cielo.

Nell'Italia ai Tedeschi è fato invitto

Divenir mollie rimaner crudeli.

SOLDATI

Morte a costui: s'uccida.

(L'esercito tedescogridando Mortevorrebbe uccidere Giordano: Federigo lo impedisce stendendo Io scettro.)

FEDERIGO

E l'ira vostra

Scenderà così basso? egli è Giudeo

D'Anacleto germandegno Legato

Della nuova repubblica: vedete

In chi risorge la virtù romana! -

Quanto cadea la vostra gloria in fondo

Saper non voglio da macerie e sassi;

Nei vostri aspetti io lo contemploe voi

Siete di Roma la maggior ruina.

I LEGATI

Nunzi qui siam; ci rivedrai nemici.

FEDERIGO

Fuggitedileguatevivolate

Chè fremono le schiere: io più non posso

Da loro assicurarvi.

I LEGATI

A fronte avrete

Roma e i Normandi.

 

 

 

SCENA XXI.

 

ADRIANO in compagnia del cardinale OTTAVIANOEDETTI.

 

FEDERIGO

(Al papa che giunge in quello che i legatiproferiscono l'ultime parole.)

Udisti?

ADRIANO

Udii… Conosci

(Gli dà la bolla della scomunica.)

Se fedele ti son: leggi. Vibrato

Ho sui Normandi l'anatèma() e lungi

Muovon da Romaove il valore antico

Spento non è: spirti superbiastuti

E vïolenti ha la sua plebe; aborre

Sacerdoti e Tedeschi. Eleggi il fiore

Dei cavalieri: essi occupar di Pietro

Denno la chiesae la città che il nome

Ha da Leone: a guardia i miei fedeli

Io vi ho lasciatoe schiuderan le porte

Se a lor fia noto il mio voler… T'appressa

Ottavïan… so che ti è caroe tosto

La grazia mia gli ho reso.

FEDERIGO

O Padreun vero

Alleato mi sei: che un altro amplesso…

SOLDATI

Viva Cesaree Pietro!

ADRIANO

Ai prodi eletti

Tu sarai guidao cardinale…() Avranno

Degno e fedel compagno; in sen gli scorre

Antico sangue… Or dei la schiera eletta

A quel loco affrettar che le destino

Onde non vista penetrar vi possa

Col favor della nottee ci preceda

Nella santa Cittade: al dì novello

Poi l'esercito tuo guidiamo insieme;

E spettator di tua grandezzail sole

Dentro il tempio di Pier fia che risplenda

Sopra il sacro tuo capoincoronato

Dal vicario di Cristo.

L'ESERCITO

A Roma! a Roma!

 

ATTO QUINTO.

 

 

 

SCENA I.

 

Stanze nel Vaticano.

 

ADRIANO.

Sull'umil servo d'abbassar degnasti

Il tuo sguardoo Signore; e al mite agnello

Serve il leoneed ha comun l'albergo.

Più lo Svevo non è fulmin di guerra

E dell'Italia orror: tutti ha deposti

Gli spirti suoi ferocie mi difende

Con zelo ardente; e son fra noi parole

Qual fra tenero padre e figlio pio.

Riverenza ed amore in ordin lieto

Ora il mio clero uniscee non confonde

Coi duci suoi. Quei che in me spira e parla

Con fiamma eguale i nostri petti avviva

In un voler concorde; e muove il mondo

Sulle vie del Signorperch'io precedo

E Cesare mi segue. Il tempo alfine

Ubbidisce all'Eterno… Io Federigo

Guidava a Romae quando a piè la vide

Tutta giacersi ove dechina il monte

Che tien dal gaudio il nome()a lui di Pietro

Mostrai la Chiesa: egli balzò d'un salto

Dal suo destrieroe nella polve ei volle

Adorarla da lungi. Ai lieti gridi

Che sorgean dalle schiereallor successe

Un subito silenzioe reverenti

Seguian del re l'esempio: a me nascea

Tacita gioia dentro il cor paterno…

Come ordinatorapidotremendo

È l'esercito suo! Traeva il sole

Dall'armi i lampie ne splendeano i monti.

Dall'intrepido volto i suoi Tedeschi

Spirano ardir: la signoria del mondo

Sta nel Settentrion: d'esservi nato

Or sento orgoglio anch'io… Nacque all'omaggio

La semplice Germania; è pei suoi regi

Prodiga della vita… Oh zelo uguale

Pei pontefici avesse: ella potrebbe

Dirsi il braccio di Dio! Quanto è diverso

Questo volgo latin: ci fugae chiama;

Ci adorae calca; ci spaventae trema;

Ci uccidee piange: che da lui derivi

Crede il nostro poteree che soggetto

Sia Cristo a Roma come allor ch'ei nacque.

Salvo è il pastorma si è da lui diviso

Il gregge suo ribelle: e quel profano

Fiume del Tebro che da me lo parte

Crede che parli di trionfi antichi;

Ma fra tombe e ruine in suon di pianto

Grida: Tutto perì… sol io qui resto

Onda che fugge!… Ah certo io son che sparsa

Fia di sangue romanquando s'ardisca

I Tedeschi assalir… figgon le tende

A quelle mura ove per l'aurea porta

S'entra nella città: qui presso al tempio

Solitudine e morteed oltre al Tebro

Fremito e vita. Ahi scellerato Arnaldo

Nemico del Signorper te non posso

Qui regnar senza stragie tu condanni

Pastor Britanno ad ignominia eterna!

Dalla vigna di Dio la volpe astuta

Pur fuggiva tremandoe alfin cadea

Nei lacci ch'io le tesi: or quell'empio

Che osò di liberarlae l'ha nascosa

Rivelamio Signor.

 

 

 

SCENA II.

 

CAMERIERE segreto del papaADRIANO.

 

CAMERIERE

Chiede l'ingresso

Forsennata una donna: ha sparsi i crini

Sulle pallide gotee il capo insano

Va roteando con stridor di denti:

Or volge gli occhi in giroed or li tiene

Orribilmente immoti. Entrò nel tempio

La dolorosa; ma varcate appena

Ne avea le soglieella s'arresta e grida:

Anatèmaanatèma; io son respinta

Da un angiolo di Dio! - Volean scacciarla

I tuoi fedeli: ella m'abbraccia i piedi

E li bagna di piantoe poi mi prega

Ch'io la scorga a colui che solo in terra

Assolvere la puote; ed io promisi

(Tanta pietà dalla sua vista uscia)

Aprirti il suo desio.

ADRIANO

Costei t'è nota?

CAMERIERE

Forse io mai non la vidio il suo dolore

Trasfigurolle il voltoe lo difende

Dall'occhio indagator: l'abito vile

Che veste il pentimentoad essa aggrava

Le delicate membra; eppur non doma

Quanto è d'altero in leichè modi onesti

Serba nel suo furoree vi traluce

Nella notte crudel dell'intelletto

La chiarezza del sangue.

ADRIANO

Innanzi a Dio

Siam polve ugual: render salute all'egra

Forse ei vorrà: querce superba abbatte

Umil canna sollevae tu ben festi…

A me ratto la guida.

 

 

 

SCENA III.()

 

ADRIANOpoi ADELASIA.

 

ADRIANO

Oh se qui fosse

Il dito del Signor! Misera donna

Con terror disperato i passi affretta!

ADELASIA

Padrepietà! tosto m'assolvi; è sopra

Il capo mio la mortee già l'Inferno

S'apre ai miei piè.

ADRIANO

Chi ti minaccia?

ADELASIA

Iddio….

A te ricorro.

ADRIANO

È la tua colpa enorme

Se lavarla io sol posso. E che facesti?

ADELASIA

Son rea.

ADRIANO

Ma come? egra mi sembrio forse

Il nemico dell'uom la tua possiede

Anima afflitta.

ADELASIA

Ahi che dicestio Padre!

Tu mi cresci terror.

ADRIANO

Mira la croce

E chi per noi moriva.

ADELASIA

Oh Dio! lo veggo!

Egli si muovegià la man trafitta

Liberata è dai chiodie n'esce il sangue

E s'alza a maledirmi…. il suol vacilla.

ADRIANO

M'afferri il mantoe vi nascondi il volto…

Tu vaneggiinfelice!… un rio di pianto

Or dagli occhi ti scorre… Ogni peccato

Rimesso vienquando il dolore abonda….

Fa cor; chi sei palesa.

ADELASIA

Ahi forse udisti

Tu d'Adelasia il nome!

ADRIANO

Io son straniero

E or non ha guari in Roma…() Avvinta sei

Di nodo maritale?

ADELASIA

Oh Dio! pur troppo.

ADRIANO

Impallidiscitremi? Al tuo consorte

Fosti infedeleo da maggior delitto

Nasce il terror che sì t'ingombra? Ah parla….

Ucciso l'hai?

ADELASIA

Forse il dovea.

ADRIANO

Che dici?

ADELASIA

Voglio odiarloe non posso.

ADRIANO

In lui qual colpa?

ADELASIA

La più orribil di tutte.

ADRIANO

E ancor t'è caro?

ADELASIA

L'amo sìl'amobench'ei sia diverso

Da quel di pria: cinge una nube oscura

Quel volto un di sì belloe sotto i piedi

Fatti deformiinaridisce il fiore.

S'io vegli o dormaignoro; e quel ch'io miro

Dir non saprei se visïone o sogno

Tutto è tremendo: e più dal falso il vero

Distinguere non so; chè s'io ragiono

Temo peccar: fuggo dal dolce letto

Ove madre divennie poi vi torno

Nell'orror della notte: al mio consorte

Grave di un sonno che mi dà terrore

Se batta il cor che della vita è fonte

Interrogando con la man tremante

Gli do gelido un bacioe poi l'abbraccio

Con una gioia paurosae fuggo

Chè gli amplessi ne temo: e in quelle stanze

Precipitando ov'hanno i figli albergo

Coi gemiti li destoe poi li traggo

Ad una antica portentosa immago

Della Donna del Cieloa cui sacrai

Lampade ardenti con vigilie eterne.

Piangon prostrati i pargoletti ignudi

Sopra la dura terrae ognun ripete

Il nome di Maria ch'io sempre invoco;

E giurerei ch'ella li guarda e piange.

Allora io grido: Abbi pietà dei figli;

Tu fosti madree gl'innocenti al reo

Ottengano perdono. -

ADRIANO

Il tuo consorte

È un seguace d'Arnaldo: e reo lo credo

Più che detto non m'hai: tutto mi svela….

Nol sai? pesa il maggior degli anatèmi

Sopra quell'empio che sottrasse Arnaldo

Alla possanza mia… S'ei t'è consorte…

Creder non l'oso… era periglio e colpa

Al suo letto appressarsie ber potevi

Il furore di Dio nell'acqua istessa

Dal labbro suo contaminata….

ADELASIA

Ahi lassa!

Pur troppo il so! lungo digiun sostenni:

Temei quei cibi che gustasse il padre

Fatali ai figlie li nutrii non vista

Di ciò che sazia e nocee quei gentili

Crudelmente pietosa ho reso infermi.

ADRIANO

Benchè la grazia onde natura è vinta

Risplenda in ted'ogni terreno affetto

Liberata non sei… paventi Iddio

Non l'ami ancor… moglie rimani e madre.

Se nel nido profanoonde fuggisti

Atterrita colombaognor dimora

La tua prole dilettaa questo volo

So qual angue t'ha spinto… invan lo celi…

Io ti leggo nel volto… Arnaldo ottenne

Nelle tue caseahi sventurata! asilo.

ADELASIA

È verma lo detestoe orror mi crebbe

Placar tentando con parole accorte

Del mio core i tumulti… Alfin m'assolvi.

ADRIANO

Nol posso… ignori che accusar si denno

Gli eretici alla Chiesa? a me tacesti

Del tuo consorte il nome! È ognun soggetto

Alla legge di Cristo: io pongo a lieve

Prova la tua virtùquand'io ti chieggo

Ciò che ognuno può dirmi.

ADELASIA

Egli d'Arnaldo

È difensor palese: Ostasio è detto.

ADRIANO

Non basta: il grado…

ADELASIA

È d'alto sanguee conte

Della Campagna.

ADRIANO

E v'ha castelli?

ADELASIA

Assai.

ADRIANO

E li tien?

ADELASIA

Dall'Impero.

ADRIANO

In qual si cela

Or l'eretica belvail fero Arnaldo?…

Taci?… perigli ha la dimorae pensa

Che madre sei… non rade volte Iddio

Nell'ira avvolge della sua vendetta

Gl'innocenti col reo.

ADELASIA

Dirò… ma prima

Prometti a Ostasio perdonar: dall'empio

Se fia divisoil riconduco a Dio

Sulla via dell'amore… io già lo stringo

Fra queste braccia; antica fiamma e santa

Nelle vene gli corre… ei sul mio seno

Palpitae giura alla fatal dottrina

Un eterno abominio… io dei negati

Abbracciamenti lo fo lietoe stendono

L'ali tremanti sul pudico letto

Gli angioli del Signoree in Ciel si crea

Un'anima per me.

ADRIANO

La moglie oblia

Ch'io qui l'ascolto?

ADELASIA

Ardoardo io sì… perdona.

Veglierò fra gli altarie tutta io voglio

Nella dolcezza inebriar del pianto

L'anima consolata… Oh quanta gioia

Per quello spirto che sarà converso

Nel regno degli eletti!… allorao Padre

Quando l'ostia innocente al ciel sollevi

Ricordati di Ostasioe lo confermi

L'onnipotenza delle tue preghiere

Sul novello cammin… D'oro e di gemme

Il mio signorein cui dovizia abonda

I templi arricchirà: così palese

Al mondo fia quanto ei detesti Arnaldo

E gli empi errori.

ADRIANO

Ove costui si trova

Scoprimi alfin: perdono al tuo consorte

Per quanto io posso.

ADELASIA

Ah lieta io son! puoi tutto

Sulla terra e nel cielo. Arnaldo è chiuso

Nella rôcca d'Astura.

ADRIANO

Al suol ti prostra….

T'assolvoe parti.

ADELASIA

E perchè mai?

ADRIANO

S'appressa

L'imperator.

ADELASIA

Qui rimanermi io voglio.

È feroce lo Svevoe dentro il core

Sorge un dubbio tremendo.

 

 

 

SCENA IV.

 

FEDERIGOE DETTI.

 

ADRIANO

(Alzando gli occhi al cielo.)

O Re del Cielo

Come occulte le vie dei tuoi consigli

Sono all'occhio mortale! Egli sospinse

La mesta che rimane al tuo cospetto

A scoprirmi…

FEDERIGO

Che mai? Ti brilla in volto

Un'insolita gioia!

ADRIANO

Alfin di Pietro

La gran causa trionfa: e tuche sei

Difensor della Chiesail suo nemico

Affrettati a punire; e tosto Arnaldo

In Astura sia preso.

FEDERIGO

Olà; scudiero

Chiama i fedeli miei… Conoscio Padre

Chi d'Astura è signore?

ADRIANO

Il reo consorte

Di questa pia… della Campagna un conte.

FEDERIGO

Come si chiama?

ADRIANO

Ostasio.

FEDERIGO

Io questo nome

Obliar non potea: fra i miei nemici

È il più superbo: nel Roman Senato

Sceglier costui l'imperator volea():

Egli è più reo d'Arnaldo… A mortee tosto

A morte infamee prigionieri i figli

In Lamagna sian tratti.

ADELASIA

Oh Dioche feci!

Pietà d'Ostasio.

(Si getta ai piedi di Federigo.)

Al giovinetto ardente

Perdona un sogno della mente audace

Tuche vago di gloria ancor nel petto

Gl'impeti senti dell'età primiera.

E i pargoletti che rapir mi vuoi

In che son rei?… Questo crudel superbo

Sdegna guardarmi… egli sta fermo e muto

Com'aspra rupe al di cui piede immoto

Mormora un rivo umíle in suon di pianto().

(Vedendo che Federigo non si muove per le suepreghieresi alza.)

AdrianoAdriannon mi soccorri?…

Pur dianzi a me non hai promesso i figli

E il consorte salvar? Tu che sapesti

Con sì lunghe parole il mio segreto

Trarmi dal pettoor qui tranquillo e chiuso

Stai davanti al monarcae un solo accento

A pregarlo non muovi? Ah se di Cristo

Il vicario tu seicadi ai suoi piedi;

Rendivi i baci ch'ei vi diè; li abbraccia;.

Di lacrime li bagnae mai più sante

Lacrime sparse non avrai… Che tardi?

Pregalo; piangio più non sia nel mondo

Chi doni a voi titol di padre.

ADRIANO

Ignoto

M'era che tanto il tuo consorte osasse:

O romana superbia! egli è tal reo

Che fia vano il pregar.

ADELASIA

Che fai? mi segui:

(Afferra il papa per il manto.)

Quiqui ti prostra.

ADRIANO

Ella delira!

ADELASIA

(Cade novamente ai piedi dell'imperatore.)

Abbraccio

Le tue ginocchia un'altra voltae spero…

Ingannata non m'hai… Comprendo adesso

Io l'arti di costui… Quando fu certo

Che vassallo all'Impero è il mio consorte

Quel perdono che a lui dar non potea

Prometter finse. - O sacerdoteè questa

La tua pietade?… Ora il dolor mi rende

La perduta ragioneed io mi sveglio

Sull'orlo di un abisso; e a questo iniquo

Cade la larva che celògli il volto

E in un'orrenda nudità si mostra

Alla luce del ver.

ADRIANO

Se puoiSignore.

Ad Ostasio perdona.

FEDERIGO

Io son custode

Di sacre leggie a chi succede io deggio

Renderle illeseo vendicate.

ADELASIA

Aborro

Pontefici e monarchi.

ADRIANO

In te ritorna;

Ti abbandonò la Fede: in quanto io posso

Di giovarti cercaima non ottenni

Che la giustizia alla pietà cedesse.

Forse nol vuole Iddio: talora in fretta

Anche la spada di lassù ferisce. -

Ah tu vedio Signorcome ogni pena

Che l'anatèma imprecaora s'adempie

Nella sua prole….

ADELASIA

Barbaronon vedi

Che t'ascolta una madre?

ADRIANO

Or viariprendi

Le tue sante virtù: colpa è il pentirsi

Di quel consiglio che dal Ciel ti venne.

Cristo diceva: I genitori stessi

Odia per me.

ADELASIA

Quando a una madre ei disse:

Odia i tuoi figli? io li ho traditi. Ahi lassa!

Qui resto invan: pietà di me non hanno

I due mostri del mondo. Oh Dio! si fugga…

Prestopresto un destriero… a chi lo chieggo?

(Vedendo i soldati di Federigo.)

Del tiranno ai soldati? Ah se nel Cielo

V'è un Dio che i preghi delle madri ascolti

Angioli del Signoreal mio castello

Recatemi sull'ali.

 

 

 

SCENA V

 

SOLDATIFEDERIGOADRIANO.

 

FEDERIGO

Ite ad Astura

Che s'arrenda intimate; e se lo nega

S'espugnie s'arda. Cederàlo spero;

E allor gravi di ceppi i due ribelli

Ostasio e Arnaldonelle man traete

Del prefetto di Roma: ei m'è fedele

E a nostra sicurezza ha quel castello

Che dall'Angiolo è detto.

 

 

 

SCENA VI.

 

FEDERIGOADRIANO.

 

FEDERIGO

Ho dell'insana

Dimenticato i figli: Iddio protegga

Quegl'innocenti: intenerir mi sento

Benchè padre io non sia.

ADRIANO

Signortu piangi!

FEDERIGO

Cristo piangea!

ADRIANO

Quando soffrì: non posso

Or ch'ei trionfa lacrimar: nel chiostro

Fanciullo appresi a dominar gli affetti.

Tu lo impara sul trono; ed or ch'io deggio

Cesare incoronartia Dio richiedi

Ch'ei ti cinga di forza.

FEDERIGO

A ciò non basta

La spada mia?

ADRIANO

Se dall'altar la prendi

Ucciderai senza rimorso.

FEDERIGO

Io temo

Chefatta sacrainsanguinarla io deggia

Nel gregge tuo.

ADRIANO

Quando per me combatti

Non può profana divenir: ma forse

D'uopo non fia: qual nella polve il vento

Il tuo brando sarà sol ch'ei baleni;

I tuoi nemici cerchie non li trovi…

Tutto al gran rito io preparai.

FEDERIGO

Ti seguo.

SCENA VII.

 

Sala nel Campidoglio.

 

Adunanza di SENATORItra i quali tiene ilprimo luogo GIORDANO patrizio di Roma.

 

GIORDANO

Fu sempre avvezzo di giurar gli onori

Della santa Cittade()e assicurarla

Dai barbarici oltraggi il re Tedesco

Chenell'Italia scesoottien da Roma

La gran corona onde fu cinto Augusto.

Solo conforto del perduto impero

In questo dritto abbiamo: esso fu posto

A custodia di Dio nel Laterano

E lo attestano i carmi. All'adunata

Plebe io li esposie li ripetee freme

Sollevando lo Sguardo a quel dipinto

Ov'è l'immago di Lotario espressa

Che da Innocenzo ha la corona. E voi

Chè cinque lustri non son corsi ancora()

O senatorii giuramenti udiste

Che fece il re prima ch'entrasse in Roma.

D'essa gran parte ora occupò di furto

Questo perfido Svevoe i patti antichi

Serbar non volle; nè darà tributo

All'eterna Cittàch'egli derise

Con quell'ingiurie che vi son palesi.

UN SENATORE

Non è degno costui che gli risponda

Neppur la polve che col piè si calca

Dove la madre di cotanti imperi

La maestà delle sventure antiche

Quasi regina che cadea dal trono

In vasta solitudine nascose.

Qui l'atroce Germania ognuno aborre

Che memoria di pianto e di catene

Fin dal giorno lasciò che il terzo Ottone

La mole a cui poi diè Crescenzio il nome()

Astutamente misurò coi truci

Occhi ceruleie vi si aprì la via

Colla lancia di Giudae poscia ei spense

Quel grande a cui promessa avea la vita.

Più d'un secolo è scorsoe sempre aspersa

Fu di sangue roman quella corona

Che un Cesare Alemanno usurpae cinge

Nella santa Cittade Ad esso incresce

Per un lieve tumultoe noi vorrebbe

Come le belve che Lamagna invia

Stupidamente mute: ordine ei chiama

La servitù che durae un dritto estima

Ciò che la forza alla paura ha tolto.

UN ALTRO SENATORE

Roma infelice! ora al tuo scempio uniti

Due barbari vedesti: uno è Tedesco

L'altro è Britanno: ha nell'ovil condotti

Questo pastore i lupi.

GIORDANO

Or di querele

Più non è tempo: stabilir col senno

L'opre conviene. Poichè omaggio al papa

E non a Roma Federigo ha reso

Non ha qui dritto alcuno: è sciolto il nodo

Che a lui ci lega: la tïara è rea

Non men della coronae a dritto alziamo

Il nostro capoche fu sì costretto

Dai due pesi del mondoal Sol novello

Di libertà che nell'Italia è sorto.

Perchè segua vendetta al gran rifiuto

Che lo Svevo ne fecealfin da tutti

La repubblica è chiestae Roma insieme

Con rapido tumulto si restringe:

Si fremesi congiurae ognun nell'armi

S'apparecchia a pugnar. Quando la plebe

Splender vedrà la sua corona in fronte

All'empio re che le negò tributo

Del Tebro i lidi rimbombar s'udranno

D'un fremito tremendoe l'empio Osanna

Sulle labbra morrà dei sacerdoti

Che cingono il tiranno: allor vedrete

Sgominarsi nel ponte ogni ritegno

Per l'irrompente volgoe farsi rabbia

Il romano dolor: la disciplina

Dell'ordinate schiere accresca e regga

Quegl'impeti sublimie non si stanchi

Il nostro ferro a trucidar Tedeschi.

UN SENATORE

Ma dov'è Arnaldo? ei più che suon di tromba

Coi feri detti le battaglie accende.

GIORDANO

So che Ostasio partì dal suo castello

Che signoreggia Asturae i suoi vassalli

Sparsi in torri diverse il prode aduna.

Ei tosto in Romapoichè fian raccolti

Con Arnaldo verrà: nè ciò nascosi

Al suo popol diletto; e pur gli è noto

Gavazzare i Tedeschied esser gravi

Delle spoglie d'Italia. Io le speranze

Aggiunsi all'ira: vincere si brami

Nè si tema morir. Darà la squilla

Quando fia tempoalla battaglia il cenno

Dal Campidoglio… se il valor latino

Fra noi rinacquee la vittoria è nostra

Più d'ogni bronzo che alle preci inviti

Sacrao squillasarai. - Sciolto è il Senato.

 

 

 

SCENA VIII.

 

Carcere nel Castello di Sant'Angelo.

 

ARNALDOpoi CARCERIERE.

 

ARNALDO

Sulle ruine della tua ragione

Forsennata Adelasiail suo vessillo

Quest'empio clero alzò. Me sol credesti

Porre in man dei nemicie i propri figli

O miseratradivi: or prigionieri

Gemon qui gl'innocenti. Oh se risvegli

Nel cor dell'egra la scintilla eterna

Oltraggiata naturaalla infelice

Madre farai dono funesto e breve!

Più tremendo furor vien dal rimorso

Che segue all'opre onde il pentirsi è vano.

Provvide Iddio che nel castello avito

Non fosse Ostasio: dalle torri altere

Arder non vegga l'espugnata Astura

E sia degno di Romae vi combatta

Per la sua libertà: pianger gli è forza

Sulla sua prolee la fatal consorte.

Ma prema il duolo: a lui per me non chieggo

Una stilla di pianto: il mio destino

Non può mutarsichè da due tiranni

Vittima chiesta io son.. Chi giunge…

CARCERIERE

Arnaldo

Il prefetto di Roma.

 

 

 

SCENA IX.

 

PIETRO prefetto di RomaARNALDO.

 

PREFETTO

Io qui non sono

Giudice tuoma ordinator di pena

Che ti fu stabilita. Al pentimento

Quel breve tempo che quaggiù t'avanza

Usar ti piacciae del presente angusto

Sul tremendo confin l'anima rea

Dai sogni dell'errore alfin si desti

E si lavi nel pianto e nel perdono

Prima che morte le disciolga il volo

Alla giustizia eterna.

ARNALDO

Io col pensiero

Vissi ognor nell'eterno: il tuo signore

Ha sì fisso nel tempo il suo desire

Che sol mira alla terra.

PREFETTO

E mai d'Arnaldo

L'orgoglio cesserà?

ARNALDO

Mi credi altero

Perchè libero sono.

PREFETTO

Io qui non venni

A garrir teco: vuoi morir confesso?

Abiura l'eresia.

ARNALDO

Maifredo osava

Notarmi d'eresia(): ma non ottenne

Dal concilio adunato in Laterano

Fede la sua calunniae si ripete

Da chi sa di mentirda quei superbi

Che sonRoma infeliceil tuo senato.

PREFETTO

Al pontefice io credo; e dalla Chiesa

Che milita nel mondo ei t'ha diviso.

ARNALDO

Ma non da quella che trionfa in Cielo

Ov'è giudice Iddio(): la mia sentenza

Sta negli abissi del consiglio eterno

Come quella di lui che mi condanna.

Tempo verrà ch'ei lo ricordie tremi.

PREFETTO

Non ti rimorde che la tua dottrina

Guerre fruttavae ch'or di nuovo al sangue

Roma verrà?

ARNALDO

Figlio del sangue il vero.

PREFETTO

Cangia consiglio: solo a questo patto

Un ministro del Ciel dai tuoi peccati

Scioglier ti puote: ei qui t'aspetta.

ARNALDO

È reo

Ogni figlio d'Adamoio più di tutti;

Ma eretico non sono: e s'io lo fossi

Il maggior dei rei sceglier nel clero

Può l'uom che lo confessi; e a me si nega?

PREFETTO

Vuolsi così da quei che puote; ed io

Deggio in tutto ubbidirgli. Ho qui compito

L'uficio mio: fra brevi istanti udrai

Della tua pena il modo: il Sol novello

Non ti vedrà.

 

 

 

SCENA X.

 

ARNALDO

Dicestio Re del Cielo

Che tu nel mondo oro non vuoi nè regno:

E potrà dalla Chiesa esser diviso

Chi serba fede all'immortal parola

Luce dell'alma?… A rimaner nel vero

È forza omai ch'io solo a te confessi

I miei peccatio Sacerdote eterno.

Nel cor mi leggi; e quel ch'io posso appena

Significartu vedi. Un gran mistero

È l'uomo a sè; la coscïenzaabisso

In cui tu sol discendi… e vi è procella

D'impeti rei… perdona al tuo ribelle.

Nella mente dell'uomo il mal germoglia

Come in proprio terrendal dì che Adamo

Il gran dono abusava a farsi reo…

E s'opra divenisse ogni pensiero

Chi sarebbe innocente?… Io già difesi

La causa d'Abelardoe al gran decreto

Che silenzio gl'imposeanche io mi tacqui():

Qual colpa è in me?… Bernardo invan sospinse

I monarchi d'Europa alla difesa

Del sepolcro di Dio: l'uomche gli è tempio

Io liberar cercava; e sulla terra

Volli a trionfo dell'amor divino

E vitae motoe libertà. Fu questa

La mia dottrina; e solo Iddio conosce

Cheil regno ad ottener sull'intelletto

La ragion con la fede in me combatte…

PerdonamiSignor: sembrano in guerra

I due fiumi del Cielfinchè non tornino

All'origine eternaed uno il vero

Si vegga in tenè Dio contrario a Dio…

E tu che sei?… Perchè lo cerco? adesso

Pregar dovrei… Se di te pensoio prego.

Come la sua sostanza in tre persone

Che son fra loro ugualiuna rimane?()

Comprenderti non possoe in te prescrivo

Limiti all'infinitoe nomi umani!

Padre del mondociò che qui riveli

È forse un sol dei tuoi pensieri; o questo

Mobile veloche quaggiù riveste

Tutto il creatoè una menzogna eterna

Che ci nasconde Iddio!… Dove si posi

L'intelletto non ha!… palpita incerto

Fra tenebre infinitee meglio ei nega

Di quel che affermi… Onnipossente Iddio

Ciò che sei non conoscoo s'io t'intendo

Definirti potrei? non ha parole

La lingua che soccombe al mio pensiero

O t'oltraggio in pensarti… Andrò fra breve

Io dall'ultimo dubbio al primo vero.

Ahi che dicesti? l'intelletto accheta

Nella fede di Cristoe in lei riposa

Come nel grembo di pietosa madre

Il figlio suo… Quello che cerchiArnaldo

Con tormento infecondo il tuo maestro

Cercollo invanoe della Croce ai piedi

La sua stanca ragione alfin cadea.

Seguasi il grand'esempioe qui col pianto

Laviam le colpe.

(Abbracciando la croce)

 

 

 

SCENA XI.

 

CARCERIEREARNALDO.

 

CARCERIERE

Sventurato Arnaldo

Quanta pietà mi desti! a un'altra croce

Esser tu devi appeso().

ARNALDO

Ella mi sia

Pegno del Cielo. O Paracleto eterno

Qui guidasti il tuo servo: ara migliore

Aver potea della Cittade eterna

Ov'io perissi in olocausto a Dio?

CARCERIERE

Senza voce che preghie ti conforti

Nell'ora della morteal fianco avrai

Il carnefice solo.

ARNALDO

Io qui l'aspetto

Liberator dell'alma.

 

 

 

SCENA XII.

 

ARNALDO

Eco fedele

Io fui dell'Evangelo: in quest'idea

L'anima s'erga. E tuSignordifendi

La causa tua: ch'ella risorgae vinca

Pur col mio sangue i ciechi errorie mora

Menzogna antica ai piè del vero eterno…

Ma qui frutti non dà prima che il tempo

Lo fecondi coll'ali; e nella speme

Che li credea viciniio forse errai…

Meglio errar che fermarsi… Or io d'appresso

Ho la morte cosìch'ella mi desta

Care e acerbe memoriee anch'io ritorno

Cogli ultimi pensieri al suol natio

Che abbandonar dovei… Brescia diletta

Ti perdono l'esiglio… il tuo pastore

Sol ne fu reo. Tu dolce nido ai giusti

E ai magnanimi sei(): saprai l'esempio

Imitar di Milanoe avrai gran parte

Nelle glorie d'Italia. Io sul Benaco

Che serve a tedeh quante volte errai

Nella mia giovinezza; e pien di Dio

Siccome l'onde del tuo lago avea

Alma fremente e pura… Ah non oblia

Bresciail misero figlioe alcun gentile

Spirto conforti nell'età futura

La fama mia(). Certo avverrà che giaccia

Per colpi che le diè la Curia avara

Meretrice dei re: la terra è loco

Di calunnia e d'oblio… Ma farmi io sento

Di me stesso maggioree in questo petto

Entra già l'avveniree lo affatica.

Mi fa profeta Iddio. Veggo concordi

Fede giurarsi i popoli Lombardi()

E di venti cittadi al ciel s'inalza

Tra le ceneri e il sangue un sol vessillo:

il drappel della morte al suol si prostra

Supplicando l'Eterno: è giunto al Cielo

Dell'intrepide labbra il giuramento

Ch'è pallor del tiranno: a sè d'intorno

Dissiparsi le schiere; e il suo stendardo

Sparir rapito dalla man dei forti

Quel superbo rimira; e sulla terra

Già via dei suoi trionfiegli precipita

Vinto all'impeto primoe si nasconde

Fra la strage dei suoi: veggo i Tedeschi

Oltre l'Alpi fuggirtratta nel fango

L'aquila ingordae un popolo redento

Farsi ludibrio della lor corona…

Ma il carnefice è qui. CoraggioArnaldo.

Dalle misere carni a cui fu sposa

All'eterno imeneo l'anima voli():

Conducetela a Dio per l'infinito

Ali dell'intelletto e dell'amore.

 

 

 

SCENA XIII.

 

Ponte sul Tevere davanti al Castel Sant'Angelo.

 

POPOLO E SOLDATI ROMANI da una parteESERCITOTEDESCO dall'altra.

 

CORO DI ROMANI

All'armiRomani! fra queste ruine

Udite la voce dell'alme latine

CheSorgiti gridao Popolo Re!

L'eterna Cittade non muore alla gloria:

Mirate quel tempio che avea la Vittoria;

Il cener dei forti vil polve non è.

I nostri sepolcri son pieni di fati:

Vi fremono l'ombre degli avi sdegnati

Di lungo servaggio col vile dolor.

Un Barbaro usurpa di Cesare il nome

E mano straniera gli pon sulle chiome

La nostra coronadel mondo terror.

Qui grida il Tedesco ch'è spento il coraggio:

La spada romana risponda all'oltraggio

E contro il furore combatta virtù.

Ritorni al suo nidoritorni alla prole;

Dal dì che non segue la strada del sole

Ha l'aquila appresa la vil servitù.

Il ferro divori i lurchi Alemanni:

Voliamo a quell'Alpi che mandan tiranni

Si chiuda col petto l'infausto sentier.

Il nobile esempio ci diede Milano;

Ognunofratellisi chiami Italiano

Uguale sia il nomeconcorde il voler.

Ma lunge il Britanno Pastor senza legge.

Che i lupi chiamava sul misero gregge;

Per gire sul tronocalpesta l'altar.

Vi sacra il crudele la spada omicida

Aspersa di sanguedi sangue che grida:

O nave di Pietroè questo il tuo mar?

Ed hai sul vessillo il nome di pace!

Il mondo ingannastiparola mendace

E il Santo nel Cielo per gli empi arrossì.

O tuche soffristi per tutti i mortali

Che liberi hai fattofratellied uguali

Col sangue che i ceppi dell'uomo abolì

Percoti l'errante che il mondo ha diviso.

Col nome di Rege tu fosti deriso

Ed ei questo nome dimanda per sè.

Lo chiede al tiranno che uccise i tuoi figli;

Al mostro tedesco consacra gli artigli…

L'Italia nel Cielo sol abbia il suo re.

CORO DI TEDESCHI

Ognor s'avvallano queste ruine

Che del teutonico valor son fede:

Più giace il popolo che le possiede.

Invan richiamasi quel ch'è passato;

Nè torna all'apice chi al fondo cade:

Roma è lo scheletro d'un'altra etade.

Non ha quel popolo seconda vita:

Da polve gravida di sangue e pianto

Nol desta magica forza di canto.

UN PRINCIPE TEDESCO

Salmi e non fremiti sono per voi

Figli degeneri di antichi eroi:

La stola vestasinon la lorica

E il ferro Italia mi benedica.

CORO DI TEDESCHI

La Chiesa li atterrali calca l'Impero:

Han l'alma prostrata dal Re del pensiero.

Correte alla gloria di squallide mura

Correte a celarvi la doppia paura

Che il petto vi scote con palpito alterno;

Sul collo il Tedescoai piedi l'Inferno.

A voi natura diè la messe d'oro

Ed il tenero fior di primavera;

A noi diletta il sanguinoso alloro

Di bellico furor la gloria altera.

Se ci fanno le nubi eterno velo

Più possente la vita è sotto il gelo.

A noi tra i boschi il fremito dei venti

E del mar nella notte il gran ruggito

Mostra i tumulti delle pugne ardenti

E suon di trombee di corsier nitrito:

Qui l'aura geme siccom'uom che prega

Mormora sulla rosae non la piega.

CORO DI ROMANI

Di tedesca natura

Sono verace immago

Acque stagnanti in lurida pianura

Che mai non sorge a collee resta umile

Come bassezza di pensier servile.

La terra sconsolata

Un lutto par dell'universo; e l'alma

Vedova desolata

Piange lacrime sue: ritrova il mesto

Occhio un vile confine

Anche in livide spinee la deserta

Landa sparisce fra le nebbie: il sole

Sdegna mirarvichè dei corpi inerti

Nella mole tranquilla

Poca è la vita della sua favilla.

 

 

 

SCENA XIV.

 

GIORDANO coi suoi VASSALLIE DETTI.

 

GIORDANO

Spemevalorsilenzioe col nemico

Più non si venga al paragon dei carmi:

Quel dell'armi si appressa. Ognun qui sia

Pronto a ferir: preparino gli arcieri

Sugli archi tesi alle saette il volo;

La lancia in restao cavalierma sia

La tua fiducia nella spada: i prodi

Trasteverini dall'opposto lato

Crescer vedretee ad assalir verranno

I Tedeschi nel fianco e nelle spalle.

Vero sangue romansanno dappresso

Col barbaro affrontarsie sottentrargli

Mentre alza il ferroe abbatterlo alla terra

Con amplessi ferocie aprir le vaste

Gole dei lurchiin cui gorgoglia il vino

Col temuto pugnal che mai non erra…

Ma giunge Ostasio e il suo drappello eletto

Che ha tranquillo valornè suono ascolti

D'inutili minacce.

POPOLO

Ostasio evviva!

 

 

 

SCENA XV.

 

OSTASIO con i suoi SOLDATIE DETTI.

 

POPOLO

Arnaldo ov'è?

OSTASIO

Lo chieggo a voi: sperai

Ch'ei pria di me qui fosse: egli promise

Che l'armi nostre a benedir verrebbe

Nel cimento vicin.

POPOLO

Crebbe nel chiostro…

OSTASIO

Morir saprà: nessun di voi l'oltraggi.

 

 

 

SCENA XVI.

 

ADELASIAE DETTI.

 

UNA PARTE DEL POPOLO

Chi s'inoltra?

ALTRA PARTE DEL POPOLO

Una donna.

(Adelasia si appressae il marito la riconosce.)

OSTASIO

A che venisti

Sventurata Adelasia?

ADELASIA

È salvo… è salvo…

Oh portento di Dio! fra le sue braccia

Si corra… Empiatu l'osi?

OSTASIO

Ognor delira!

Sul suo destin piangete.

ADELASIA

Ah sì piangete…

Ma non deliro… il mio consortei figli

Lassaio tradii… la tua fortezza è presa.

OSTASIO

(Ponendosi la mano sul petto.)

La mia fortezza è qui().

ADELASIA

Pur cadde Arnaldo

In poter dei nemici.

OSTASIO

Oh Dio! che ascolto!

UNA PARTE DEL POPOLO

Oh sventura!

ALTRA PARTE DEL POPOLO

Oh dolor!

ADELASIA

Che gli era asilo

La tua rôcca in Astura io fea palese

Al perfido Adrian: porre io credea

In balia della Chiesa il suo nemico;

Non la prolenon te.

OSTASIO

Stoltacrudele

Tardi conosci i sacerdoti: io sento

(Fa un movimento di collera che tosto reprime.)

Nel cor quell'ira che c'invita al sangue…

ADELASIA

M'uccidi per pietà!

OSTASIO

Sapessi almeno

Dove Arnaldo fu tratto!

ADELASIA

È coi tuoi figli

Nel Castel di Sant'Angelo.

OSTASIO

Si voli

Ad espugnarlo: rimirar volete

Da questo ponteove noi siam prigioni

Il martirio d'Arnaldo? a lui ci guidi

Libera via dai nostri brandi aperta

Fra le schiere tedesche.

UN CAPITANO DI ROMA

Ah pria conviene

Vincerlesterminarleo quell'assalto

Può tornarci funestoe sulla fronte

A noi cader nembo di strali e pietre

E sulle spallefulmine seguace

Il teutonico brando.

GIORDANO

Ho nel castello

Pratiche occulte: non ancor si tiene

Per lo Svevo monarcae sol v'impera

Il prefetto di Roma. Alcun de' miei

Entrò di furto col favor dell'ombre

Nel mal guardato locoe m'ha promesso

Aprirmi un varco. Di qui lungeil fiume

Con pochi forti io guaderò non visto:

E se m'arride il Cieloallor coi prodi

Trasteveriniche ci son fedeli

Occuperò la rôcca; e Arnaldo io spero

Sottrarre a morteed al servaggio i figli

Del generoso Ostasio.

ADELASIA

Io ti precedo

Nè senza loro io tornerò.

UNA PARTE DEL POPOLO

L'insana

Non si lasci partir…

ALTRA PARTE DEL POPOLO

Fuggiva… i passi

Il dolore le affrettae si dilegua

Dagli occhi nostri.

OSTASIO

Abbi pietàGiordano

Della povera madree i figli miei

Non obliar: ma pria si salvi Arnaldo.

Dalla Città Leoninaove sta l'esercito tedesco

si ascolta dal Clero cantar l'inno che segue:

Cristo vincee Cristo impera

Nostra speme e tua vittoria():

Tu non devi a plebe altera

Questa insegna della gloria.

Il pontefice Adriano

La ponea sulla tua chioma

Nè di strepito profano

Risonâr le vie di Roma.

Sol nel tempio il pio guerriero

Ripetea preghiere e voti

E diviso hai qui l'impero

Con il re dei sacerdoti.

SOLDATI TEDESCHI

Viva Adriano!

CLERO

Federigo evviva!

E lunghi anni e trionfi il Ciel conceda

All'esercito suo: fama e possanza

Nel Teutone guerrier().

Dalla parte opposta.

 

OSTASIO

Romaniudiste?

Come prima ci oltraggiae poi ci oblia

Quest'empio clero!

POPOLO

Ed a pugnar si tarda?

OSTASIO

Statevi… ancor tempo non è… Che veggo?

O Repubblica santail tuo vessillo

Nel castel di Crescenzio all'aura ondeggia!

POPOLO

Viva il prode Giordano!

OSTASIO

Alfin risuoni

Squilla del Campidoglio! All'armi! all'armi!

Combattimento generale fra Romani e Tedeschi.

 

 

 

SCENA XVII.

 

Luogo deserto di Roma.

 

OSTASIO con un drappello de' suoi.

 

OSTASIO

Tu cadio Solee Roma è vinta!… Amici

Si pugnò lungamenteed or si geme

Miserima non vili(): è bello il pianto

Su quelle gote ove non fu rossore.

Qual procella di stralie di percosse

Armi fragore sul confin del ponte

Ove la pugna ardea con stragi alterne!

Popol degno di Roma! oh s'egli avesse

Al suo valor la disciplina uguale

Sol porterebbe il Tebro al mar Tirreno

Cadaveri tedeschi: or li travolge

Con ben mille de' nostri. Ah troppo avanti

Procedean gli animosi; e allor giungea

Stuolo di cavalierie ai nostri fanti

Che solo il brando arma ed affidai petti

Dalle teutoni lance eran percossi;

E la rabbia alemanna alfin prevalse

Alla virtù latina. Ah tardi io giunsi

Al soccorso de' miei! cadean trafitti

Nel loro sanguee a trucidar quei prodi

Semivivi nel suol scendea la dura

Prole d'Arminio dal corsier fumante.

UN CAPITANO ROMANO

Barbari vili! nel nemico inerme

Immergendo le spade ognun dicea

Derisore crudel: «Questo è il tributo

Che Cesare ti dona: oro chiedesti

Eccoti ferro; la mercede ottieni

Della corona tua: così l'Impero

Da noi si compra.» E le crudeli orecchie

Allor che gli fería l'ultimo strido

Del trafitto Romancrescea lo scherno

Dell'atroci parole()e in suon di rabbia

Gridar si udiva: «In simil guisa Augusto

Vuol che tu acclami ai suoi trionfi; e questi

Patti con voi fa la Germaniae segna

I giuramentiche d'imporle osaste

Col vostro sangue: anime reev'aspetta

Già nell'Inferno Arnaldo.»

OSTASIO

Oh Dio? Giordano

Che non giungesse a tempo?… ah no… si speri:

In quel castelloche su lui si chiuse

Il vessillo di Roma ognun vedea

Subitamente dispiegarsi ai venti!

UN CAPITANO ROMANO

Ma sparì nella pugna: e se Giordano

Certo dominio in quella mole avea

Con pietre enormiche rotar dall'alto

Si ponno agevolmenteoppresso avrebbe

L'esercito soggettoe dei Tedeschi

L'esterminio era certo.

OSTASIO

Alcun qui giunge.

SOLDATO

Vadasi…

OSTASIO

Rimanete: io ben ravviso

Fra le tenebre prime il noto aspetto

Del magnanimo amico.

 

 

 

SCENA XVIII.

 

GIORDANOE DETTI.

 

OSTASIO

Al sen ti stringo

Fedel Giordano… Arnaldo ov'è?

GIORDANO

Nel Cielo.

OSTASIO

Almen sepolcro a lui si diede?

GIORDANO

Il Tebro.

OSTASIO

Il cadavere suo ci renda il fiume.

GIORDANO

Nol può.

OSTASIO

Ma come?

GIORDANO

Ogni sembianza umana

In lui tosto periva: arso dal fuoco

Cener divennee neppur questo avanza

Chè si perdè fra l'onde.

OSTASIO

È seco estinta

La libertà di Roma!

GIORDANO

È viva ancora:

Ci resta il Campidoglio. Or nel guerriero

Dell'atroce Germania alfin cessava

Dell'uccider la rabbia: invan la fronte

Liberava dall'elmoe il petto oppresso

Dall'ardente corazza: un grave e lungo

Anelar lo affaticae lo tormenta

Questa fervida polvein cui disteso

Quel vin spumante che rapìtracanna

Con fauci aride ognora: il nostro cielo

Gli domerà.

OSTASIO

Questa speranza è vile.

GIORDANO

Ma non sarà delusa.

OSTASIO

Aver potea

Roma dal ferro suo miglior vendetta

Se quel castello che occupar sapesti

Restava in forza tua.

GIORDANO

Per pochi istanti

Ritenerlo io potea: crebbe la piena

Dei nemici cosìch'io fui costretto

D'abbandonarlo. Ora che più si tarda?

Nell'indugio è periglio: al sacro monte

Ov'è la rôcca che munito abbiamo

Per consiglio d'Arnaldoil piè s'affretti

Col favor della notte: io là potea

Salvartio prodee la consorte e i fìgli.

 

 

 

SCENA XIX.

 

Stanze del Vaticano.

 

ADRIANO E FEDERIGO.

 

ADRIANO

Signorvincesti.

FEDERIGO

Un pueril trastullo

Fu questa pugna; ed io d'un volgo insano

La facil pena annoverar non voglio

Fra le vittorie mie.

ADRIANO

Provido senno

Fu nel prefetto tuo: col rogo e l'onde

Da nuovi errori custodì la Fede.

Con un culto segreto il volgo ignaro

L'ossa d'Arnaldo venerar potea:

Del nemico di Dio non resta in Roma

Che una memoria infame.

FEDERIGO

Util consiglio

Era ancora per mechè l'empia avrebbe

Libertà dell'Italia il suo profeta.

ADRIANO

Vendicasti la Chiesa: ed io ponea

Con affetto di padre i sommi onori

Sul tuo capo regalperchè di zelo

Non dubbie prove in questo dì facesti.

Mase liceo signordai tuoi guerrieri

Per la causa di Cristo o dell'Impero

Qui si pugnò?

FEDERIGO

Perchè così mi dici?

Onde un tal dubbio in te?

ADRIANO

Quando le mani

Che avean compito il sacrifizio augusto

Alzai dall'ara a benedir le schiere

Vincitrici di Romain lor non vidi

E baldanza di gloria e fronti altere;

Ma languide cadean le braccia invitte

Nel sangue esercitatee avean sul volto

Il pallor del rimorso.

FEDERIGO

Il sole ardente

Scema ad essi vigor.

ADRIANO

Qual grido ascolto!

SOLDATI TEDESCHI

(Al di fuori.)

AdrianoAdrian!

FEDERIGO

Padreche temi?

I Teutoni son miei: fra lor non sorge

Mai tumulto ribelle. Ora al cospetto

D'esercito fedel moviamo insieme

Dal Vaticanoe rivestiam le pompe

Che abbiam deposte; ed alla tua tiara

E alla corona mia vedrai le fronti

Al suol prostrarsi con ossequio uguale.

 

 

 

SCENA XX.

 

Piazza davanti San Pietro.

 

ADRIANO E FEDERIGO sui gradini del tempioSOLDATI TEDESCHI al di sotto di essomesti e riverenticon dugentoprigionieri Romani.

 

SOLDATI

La tua pietà s'implora… assolvio padre

I figli rei.

ADRIANO

Di che? parlate.

SOLDATI

Ah troppo

Sangue si sparsee incrudelito abbiamo

Nel gregge tuoperchè la spada e l'ire

Trattener non potemmo…

ADRIANO

Udir non voglio

Della battaglia i casi: io sol vi chieggo

Se vïolaste i templi.

SOLDATI

A Dio rispetto

E a Cesare s'avea: noi lo giuriamo.

ADRIANO

Basta; non più… Ma della vinta plebe

Ben dugento soldati or qui traete

Che han grave il collo di servil catena.

Voi pugnaste per me; dunque costoro

Son prigionieri miei.

FEDERIGO

Deh non oblia

Che pur son miei ribelli.

ADRIANO

Odi.

(Sommessamente all'imperatore.)

Saranno

Posti in man del prefetto.

FEDERICO

Ognun s'appressi

Il pontefice a udir: faccia tesoro

Delle parole sue.

ADRIANO

Quei che difende

La ragion della Chiesa e dell'Impero

Se da crudel necessità costretto

Fu la spada a macchiar nel sangue umano

Non può dirsi omicida(): in questa guerra

È meritonon colpa. Io vi dichiaro

Puri d'ogni reatoe vi apro il Cielo

Colle chiavi di Pietroe qui v'assolvo

Come dall'ara; ed i miei figli abbraccio

Nel loro imperator.

(Abbracciando Federigo.)

SOLDATI

Viva Adriano!

FEDERIGO

Udiste? Ognun torni nel campoe pace

E gioia in voi.

(I soldati Tedeschi partono allegramente; i Romanisono posti nelle mani dei fedeli di Adriano.)

 

 

 

SCENA ULTIMA

 

ADRIANO E FEDERIGO.

 

ADRIANO

Sei pago? or più ti diedi

Che la corona: il tuo poter sacrai

Colle parole mie. Concordi alfine

Sian la Chiesa e l'Imperoe il nodo arcano

Che lega in tre personee non confonde

Una sostanzai dueche sono in terra

Immagine di leiregnar vi faccia

Nell'unità che li assomiglia a Dio.

DOCUMENTI STORICI.

 

 

S. bernardi Opera. - Venetiis 1736. Vol. I.

 

epistola 189.

Procedit Golias procero corporenobili illo suo bellicoapparatu circummunitusantecedente quoque ipsum ejus armigero Arnaldo deBrixia. Squama squamae conjungituret nec spiraculum incedit per eas. Siquidemsibilavit apis quae erat in Franciâapis de Italiâ; et venenum in unumadversus Dominumet adversus Christum ejus. Intenderunt arcumparaveruntsagittas suas in pharetrâut sagittent in obscuro rectos corde. In victu autemet habitu habentes formam pietatis sed virtutem ejus abneganteseo decipiuntpluresquo transfigurant se in angelos luciscum sint satanae. Stans ergoGolias una cum armigero suo inter utrasque aciesclamat adversus phalangasIsraelexprobratque agminibus sanctorumeo nimirum audaciusquo sentit Davidnon adesse. Denique in suggilationem doctorum Ecclesiae magnis effert laudibusphilosophos; adinventiones illorum et suas novitates catholicorum Patrumdoctrinae et fidei praefert: et cum omnes fugiant a facie ejusmeomniumminimumexpetit ad singulare certamen.

 

epistola 195

 

Ad Episcopum Constantiensem.

 

Monet ut Arnaldum de Brixia Italiâet Galliâpulsumet jam apud ipsum delitescentem expellataut potiusad cavendamajora damnavinctum teneat.

Si sciretpaterfamilias qua horâfur veniretvigilaret utiqueet non sineret perfodi domum suam. Scitis quiafur de nocte irruperit domumnon vestram sed Dominivobis tamen commissam? Seddubium esse non potestscire vos quod apud vos fitquando id usque ad nosutique tam remotospotuit pervenire. Nec mirum si non horam praevidereautnocturnum furis ingressum observare quivistis. Mirum autemsi deprehensum jamnon agnoscitisnon tenetisnon prohibetis exportare spolia vestrae; immopretiosissimas Christi exuviasanimas videlicetquas sua imagine presignavitsuo cruore redemit. Adhuc forsan haeretiset miramini quemnam dicere velim.Arnaldum loquor de Brixiâqui utinam tam sanae esset doctrinaequam districtae est vitae! Et si vultisscirehomo est neque manducansneque bibenssolo cum diabolo esuriens etsitiens sanguinem animarum. Unus de numero illorumquos apostolica vigilantianotathabentes formam pietatisvirtutem illius penitus abnegantes; et ipseDominus: venient inquiensad vos in vestimentis oviumintrinsecusautem sunt lupi rapaces. Is ergo usque ad hanc aetatemubicumqueconversatus esttam foeda post seet tam saeva reliquit vestigiaut ubi semelfixerit pedemilluc ultra redire omnino non audeat. Denique ipsamin qua natusestvalde atrociter commovit terramet conturbavit eam. Unde et accusatus apuddominum papam schismate pessimonatali solo pulsus est: etiam et abjurarecompulsus reversionemnisi ad ipsius apostolici permissionem. Pro simili deindecausâet a regno Francorum exturbatus est schismaticus insignis; execratus quippe aPetro apostoloadhaeserat Petro Abaelardo: cujus omnes erroresab Ecclesiâjam deprehensos atque damnatoscum illo etiam et prae illo defendere acriter etpertinaciter conabatur.

Et in his omnibus non est aversus furor ejussed adhuc manusejus extenta. Nam etiam ita vagus et profugus super terramquod jam non licetinter suosnon cessat apud alienostamquam leo rugienscircumiens et quaerensquem devoret. Et nunc apud vossicut accepimusoperatur iniquitatemetdevorat plebem vestramsicut escam panis. Cujus maledictione et amaritudine osplenum estveloces pedes ejus ad effundendum sanguinem. Contritio etinfelicitas in viis ejuset viam pacis non cognovit. Inimicus crucis Christiseminator discordiaefabricator schismatumturbator pacisunitatis divisor:cujus dentes arma et sagittaeet lingua ejus gladius acutus. Moliti suntsermones ejus super oleumet ipsi sunt jacula. Unde et solet sibi allicereblandis sermonibus et simulatione virtutum divites et potentesjuxta illud: Sedetin insidiis cum divitibus in occultis ut interficiat innocentem.Demum cum fuerit de illorum captatâbenevolentiâet familiaritate securusvidebitis hominem aperte insurgere in clerumfretumtyrannide militariinsurgere in ipsos episcopos et in omnem passimecclesiasticum ordinem desaevire. Hoc scientesnescio an melius salubriusve intanto discrimine rerum agere valeatisquamjuxta Apostoli monitumauferremalum ex vobis. Quamquam amicus Sponsi ligare potiusquam fugare curabitnejam discurrereet eo nocere plus possit. Hoc enim et dominus papadum adhucesset apud nosob mala quae de illo audiebatfieri scribendo mandavit; sed nonfuit qui faceret bonum. Denique si capi vulpes pusillas demolientes vineamScriptura salubriter monetnon multo magis lupus magnus et ferus religandusestne Christi irrumpat oviliaoves mactet et perdat?

 

epistola 196.

 

Ad Guidonem Legatum.

 

Cavendam ei familiaritatem Arnaldi de Brixiâne sub ejus auctoritate

securius errores suos disseminet.

Arnaldus de Brixiâcujus conversatio melet doctrina venenum; cui caput columbaecauda scorpionisest; quem Brixia evomuitRoma exhorruitFrancia repulitGermania abominaturItalia non vult reciperefertur esse vobiscum. Videtequaesone vestrâauctoritate plus noceat. Nam cum et artem habeat et voluntatem nocendisiaccesserit favor vestererit funiculus triplexqui difficile rumpitursupramodum (ut vereor) nociturus. Et unum existimo de duobus (si tamen verum est quodvobiscum hominem habeatis)aut minus scilicet notum vobis esse illumaut vos(quod est credibilius) de ejus correctione confidere. Et utinam id non frustra!Quis det de lapide hoc suscitare filium Abrahae? Quam gratum munus susciperetmater Ecclesia de manibus vestrisvas in honoremquod tamdiu passa est incontumeliam? Licet tentare: sed vir prudens cautus erit non transgredipraefinitum numerum ab Apostoloqui ait: haereticum hominem post unam etsecundam correctionem devitasciens quia subversus estqui ejusmodi estetdelinquit proprio judicio condemnatus. Alioquin familiarem habereet frequenteradmittere ad colloquendumne dicam ad convivandumsuspicio favoris estetinimici hominis fortis armatura. Secure annuntiabit et facile persuadebit quaevolet domesticus et contubernalis legati apostolicae sedis. Quis enim a lateredomini papae mali quippiam suspicetur? Sed etsi in manifesto perversa loquiturquis se facile opponere audeatvestro collaterali?

Deinde videtis qualia post seubicumque habitavitreliquitvestigia. Non sine causa vigor apostolicus hominem in Italiâortum transalpinare coegitripatriare non patitur. Quis vero extraneorum adquos ejectus estnon eum omnimodis cuperet suis reddidisse ?

Et certe sic se habere ad omnesut omnibus odio habeaturapprobatio judicii est quod portat: ne quis dicat subreptum fuisse domino papae.Quale eat ergo summi pontificis suggillare sententiamet illam sententiamcujus rectitudinem ejus ipsius in quem data estetsi lingua dissimulatvitaclamat? Itaque favere huicdomino papae contradicere estetiam et Domino Deo.

Per quemcumque enim justa sententia juste deturab illocertum est processissequi loquitur in propheta: Ego qui loquor justitiam.Confido autem de vestrâprudentiâet honestatequia visis his literis de veritate certusnon abducemini amodoquippiam adsentire in hac renisi quod vos deceatet Ecclesiae Dei expediatpro qua legatione fungimini. Diligimus voset ad vestrum obsequium paratisumus.

MuratoriScrip. etc. T. vipag. 662. Med.1725. - Octonis Fris. de gestis Frid. Imp. Lib. iCap. xxvii e xxviii.

 

Quomodo instinctu ArnoldiRomani adversus suum pontificemconcitanturet senatoriam dignitatem instaurare moliuntur.

His diebus Arnoldus quidamreligionis habitum habenssedcum minimeut ex doctrinâejus patuitservansex Ecclesiastici honoris invidia urbem Romam ingrediturac senatoriam dignitatemequestremque ordinem renovare ad instar antiquorumvolenstotam pene urbemac praecipue populumadversus pontificem suumconcitavit. Unde et ad eorundem temeritatisvel potius fatuitatiscorroborationemab eis ad principem destinatum tale scriptum invenitur.

Epistola Romanorum ad regem.

Excellentissimo atque praeclaro Urbis et orbis totiusDomino ConradoDei gratiaRomanorum Regi semper AugustoSenatus PopulusqueRomanus salutemet Romani Imperii felicem et inclytam gubernationem.

“Regali Excellentiaeper plurima jam scriptanostra factaet negotia diligenter exposuimus: quomodo in vestra fidelitate permaneamusacpro vestra Imperiali coronâexaltandâet omni modo augendâquotidie decertamus. Ad quae quia regalis industriaut postulavimusrescriberedignata non fuitplane tamquam filii et fideles de Domino et Patre satismiramur. Nos enim quidquid agimuspro vestrâfidelitate et honore facimus. Et quidem regnum et imperium Romanorumvestro aDeo regimini concessumexaltare atque amplificare cupientesin cum statum quofuit tempore Constantini et Justinianiqui totum orbem vigore Senatus et PopuliRomani suis tenuere manibusreducereSenatu pro his omnibus Dei gratiarestitutoet eis qui vestro imperio semper rebelles erantquique tantumhonorem Rom. Imperio subripuerantmagna ex parte conculcatisquatenus ea quaeCaesari et Imperio deberenturper omnia et in omnibus obtineatisvehementeratque unanimiter satagimusatque studemus. Et ob hujus rei effectumbonumprincipium ac fundamentum fecimus. Nam pacem et justitiam omnibus eam volentibusobservamus; fortitudinesidest turres et domos potentum Urbisqui vestroimperio una cum Siculo et papâresistere parabantcepimus; et quasdam in vestra fidelitate tenemusquasdamvero subvertentes solo coaequavimus. Sed pro his omnibus quae vestrtaedilectionis fidelitate facimuspapaFrangipaneset filii Petri Leonishomines et amici Siculi (excepto Jordano nostro fidelitate in vestra vexilliferoet adjutore)Tolomeus quoqueet alii plures undique nos impugnantne libereut decetimperialem regio capiti valeamus imponere coronam. At nosquoniamamanti nullus labor gravis estlicet inde plurima damna sustineamuspro vestroamore et honore gratanter patimur. Scimus namque nos a vobis proinde praemiumsicut a patreaccepturosvosque in eos sicut in Imperii hostes vindictamdaturos. Cum tanta igitur nostra in vobis fidelitas sittanque pro vobissustineamusprecamur ne spes ista nobis deficiatne regia dignitas vosvestros fideles et filios despiciat. Neque si in regalibus auribus aura sinistrade senatu et nobis flaveritin eam intendat aut respiciat; quia qui de nobisvestrae altitudini mala suggeruntet de vestra et nostraquod absitdissensione laetari voluntet utrosqueut soliti suntcallide opprimeremoliuntur. Sed circa haec ne fiatregalis prudentiaut decetsollicita sit etprovida: reminiscaturque vestrâsolertiâquot et quanta mala Papalis Curiaet dicti quondam cives nostri imperatorisqui fuerunt ante vosfecerintet nunc deteriora vobis cum Siculo faceretentaverunt: sed nos Christi gratiâin vestrâfidelitate viriliter eis resistimusac plures ex illis ab Urbesicut pessimoshostes Imperiiut suntpepulimus. Appropinquet itaque nobis imperialisceleriter vigorquoniam quidquid vultis in urbe obtinere poteritis; et utbreviter ac succincte loquamurpotenter in Urbequae caput mundi estutoptamushabitareet toti Italiae ac regno Teutonicoomni clericorum remotoobstaculoliberiuset melius quam omnes fere antecessores vestridominarivalebitis. Sine morâergo precamur ut veniatiset interim de statu vestroquem semper consideramussatubrem et prosperumde his regalibus literis ac nunciis nos laetificaredignemini: sumus enim per omnia vestrae voluntati semper obtemperare parati.Sciatis praetereaquia pontem Milvium extra Urbem parum longe per tempora multapro imperatorum contrario destructumnosut exercitus vester per eum transirequeatne Petrileones per Castellum Sancti Angeli vobis nocere possintutstatuerant cum papâet Siculomagno conamine restauramuset in parvi temporis spatio murofortissimo et silicibusjuvante Deocomplebitur. Concordiam autem interSiculum et papam hujusmodi esse accepimus. Papa concessit Siculo virgam etanulumdalmaticam et mitramatque sandaliaet ne ullum mittat in terram suamlegatum nisi quem Siculus petierit: et Siculus dedit et multam pecuniam prodetrimento vestro et Romani Imperiiquod Dei gratiâvestrum existit. Haec omnia sollicite vestra animadvertatoptime Rexprudentia.

Rex valeatquidquid cupit obtineat super hostes

Imperium teneatRomae sedeatregat orbem

Princeps terrarumceu fecit Justinianus.

Caesaris accipiat Caesar quae suntsua Praesul;

Ut Christus jussitPetro solvente tributum.

Nos de caetero legatos nostros precamur ut benignerecipiatiset quod vobis dixerint credatisquia scribere cuncta nequivimus:sunt enim nobiles viriGuido senatorJacobus filius Sixti procuratorisetNicolaus eorum socius.”

At Christianissimus principes hujusmodi verbis sive naeniispraebere aures abnuit. Quinimo venientes ad se ex parte Romanae Ecclesiae virosmagnos et clarosquorum unusGuido Pisanusejusdem Curiae Cardinalis etcancellarius eratrenovationemque antiquorum privilegiorum suorum postulanteshonorifice suscepitet honeste dimisit.

<***>

MuratoriRerum Italicarum Scriptores Tom. vi. - OctonisFrising. Lib. iipag. 718.

 

cap. xxi.

Peractâvictoriârex a Papiensibus ad ipsorum civitatem triumphum sibi exhibituris invitaturibiqueeâdominicâquâJubilate canitur in ecclesia sancti Michaëlisubi antiquum regumLongobardorum palatium fuitcum multo civium tripudio coronatur. Deductis ibicum magnâcivitatis laetitiâet impensâtribus diebusinde per Placentiam transiensjuxta Bononiam Pentecostencelebratac ibidem trascenso Apenninociteriorem Italiamquae modo Tusciavocari soletperlustrat. Illic Pisanos virosin insulis et transmariniscivitatibus potentesobvios habuit: eisque ut naves contra Guilhelmum Siculumarmarent in mandatis dedit. Circa idem tempus Anselmus Havelburgensis episcopusa Graeciâreversusravennatensem archiepiscopatum per cleri et populi electionemsimulet ejusdem provinciae Exarchatumlaboris sui magnificam recompensationem aprincipe accepit. Igitur rex ad Urbem tendenscirca Viterbium castrametatur.Quo Romanus antistes Adrianus cum cardinalibus suis veniensex debito officiisui honorifice suscipiturgravique adversus populum suum conquestione utensreverenter auditus est. Praedictus enim populusex quo senatorum ordinemrenovare studuitmultis malis pontifices suos affligere temeritatis ausu nonformidavit.

Accessit ad hujus seditiosi facinoris argumentumquodArnoldus quidam Brixiensisde quo supra dictum estsub typo religioniset utEvangelicis verbis utarsub ovinâpelle lupum gerens. Urbem ingressusad factionem istam rudis populi animispraemolli dogmate ad animositatem accensisinnumeram post se duxitimoseduxitmoltitudinem. Arnoldus iste ex Italiâcivitate Brixiâoriundusejusdemque Ecclesiae clericusac tantum Lector ordinatusPetrumAbailardum olim praeceptorem habuerat. Vir quidem naturae non hebetisplustamen verborum profluvioquam sententiarum pondere copiosus. Singularitatisamatornovitatis cupidus: cujusmodi hominum ingenia ad fabricandas haeresesschismatumque perturbationes sunt prona. Is a studio a Gallis in Italiamrevertensreligiosum habitumquo amplius decipere possetinduitomnialaceransomnia rodensnemici parcens. Clericorum ac episcoporum derogatormonacorum persecutorlaicis tantum adulans. Dicebat enim nec clericosproprietatemnec episcopos regalianec monacos possessiones habentesaliquaratione salvari possi. Cuncta haec principis esseab ejusque beneficentiâin usum tantum laicorum cedere oportere. Praeter haecde Sacramento AltarisBaptismo parvulorum non sane dicitur sensisse. His aliisque modisquos longumest enumeraredum Brixiensem Ecclesiam perturbaretlaicisque terrae filiusprurientes erga clerum aures habentibusecclesiasticas malitiose exponeretpaginas()in magno Concilio Romae sub Innocentio habitoab episcopo civitatisilliusvirisque religiosisaccusatur. Romanus ergo pontifexne perniciosumdogma ad plures serperetimponendum viro silentium decernit; sicque factum est.Ita homo illede Italiâ fugiensad transalpina se contulit: ibique in oppidoAlemanniae Turego officium doctoris assumensperniciosum dogma aliquot diebusseminavit. Compertâ vero morte Innocentiicirca principia pontificatus EugeniiUrbem ingressuscum eam contra pontificem suum in seditionem excitataminvenissetviri sapientis haud sectatus consiliumde hujusmodi dicentis: Nein ejus ignem ligna struas amplius eam in seditionem excitavitproponens antiquorum Romanorum exemplaqui ex senatus maturitatis consultoetex juvenum animorum fortitudinis ordine et integritate totum orbem terrae suumfecerint. Quare reaedificandum Capitoliumrenovandam dignitatem senatoriamreformandum equestrem ordinem docuit. Nihil in dispositione Urbis ad Romanumspectare pontificem; sufficere sibi ecclesiasticum judicium debere. In tantumvero hujus venenosae doctrinae coepit invalescere malumut non solum nobiliumRomanorumseu cardinalium dirueruntur domusdomus et splendida palatiaverumetiam de cardinalibus reverendae personae inhonestaesauciatis quibusdamafurenti plebe tractarentur. Haec et his similia cum multis diebusidest a morteCoelestini usque ad haecab eo incessanter et irreverenter agerenturtempora;cumque sententia pastorum juste in eum et canonice prolataejus judiciotamquam omnino auctoritatis vacuacontemneretur; tandem in manus quorundamincidensin Tusciae finibus captusprincipis examini reservatus estet adultimum a praefecto Urbis ligno adactusac rogo in pulverem funere redactonea stolidâ plebe corpus ejus venerationi habereturin Tyberim sparsus.

Sedut ad id unde digressus est stylus redeatjunctis sibiin comitatu rerum apicibusac per aliquot dies una precedentibusquasi interspiritalem patrem et filium dulcia miscentur colloquiaet tamquam ex duabusprincipalibus Curiis una republica effectaecclesiastica simul et saeculariatractantur negotia.

cap. xxii.

 

De legatis Romanorumet eorum legationeet qualeresponsum a principe acceperint. Item qualiterhortatu summi pontificisLeoninam urbem et ecclesiam Sancti Petri princeps occupari fecerit.

At Romanorum cives de principis adventu cognoscentespraetentandum ipsius animum legatione adjudicarunt. Ordinatis ergo legatisindustriis et literatisqui eum inter Sutrium et Romam adirentaccepto priusde securitate viaticosicque praesentatis regalis excellentiae consistorioviristaliter adorsi sunt:

“Urbis legati nosUrbis non parvum momentumRex optimead tuam a senatu populoque romano destinati sumus excellentiam. Audi serenâmentebenignis auribusquae tibi ab almâ orbis dominâ deferentur urbecujusin proximoadjuvante Deofuturus es princepsimperatoret dominus. Pacificussi venistiimmo quiaut arbitrorvenistigaudeo. Orbis imperium affectascoronam praebitura gratanter assurgojocanter occurro. Cur enim suumvisitaturus populum non pacifice adveniret; non gloriosâ munificentiârespiceretqui indebitum clericorum excussurus jugumipsius magnâ ac diutinâexpectatione praestolatus est adventum? Revertanturoptopristina tempora;redeantrogoinclitae Urbis privilegiaorbis Urbs sub hoc principe recipiatgubernacularefraenetur hoc imperatoreac ad Urbis reducatur monarchiam orbisinsolentia. Tali rector Augusti sicut nominesic induatur et gloriâ. Scis quodurbs Roma ex senatoriae dignitatis sapientiâac equestris ordinis virtute etdisciplinâa mari usque ad mare palmites extendensnon solum ad terminosorbis dilatavit; quin etiam insulas extra orbem positas orbi adjiciensprincipatus illic propagines propagavit. Non illos procellosi fluctus aequorumnon hos scopulosae et inaccessibiles rupes Alpium tueri poterant: romana virtusindomita cuncta perdomuit. Sed exigentibus peccatislonge positis a nobisprincipibus nostrisnobili illo antiquitatis insignitsenatum loquorexinerti quorundam desidiâ neglectui datodormitante prudentiâvires quoqueminui necesse fuit. Assurrexi tuae ac divae reipublicae profuturum gloriaeadsacrumsanctum Urbis senatumequestremque ordinem instaurandumquatenus hujusconsiliisillius armisromano Imperiotuaeque personae antiqua redeatmagnificentia. Nunquid hoc placere non debebit tuae nobilitati? Nonne etiamremunerabile judicabitur tam insigne facinustamque tuae competens auctoritati?Andi ergoPrincepspatienter et clementer pauca de tuâ ac de meâ justitiaprius tamen de tuâ quam de meâ. Etenim:

Ab Jove principium etc.

“Hospes erascivem feci. Advena fuisti ex transalpinispartibusprincipem constitui. Quod meum jure fuittibi dedi. Debes itaqueprimo ad observandas meas bonas consuetudineslegesque antiquasmihi abantecessoribus tuis imperatoribus idoneis instrumentis firmatasne barbarorumviolentur rabiesecuritatem praebere; officialibus meisa quibus tibi inCapitolio adclamandum eritusque ad quinque millia librarum expensam dare;injuriam a republicâ etiam usque ad effusionem sanguinis propellere: et haecomnia privilegis muniresacramentique interpositione() propriâ manuconfirmare.”

Ad haec rextam superbo quam inusitato orationis tenorejustâ indignatione inflammatuscursum verborum illorum de suae reipublicae acimperii justitiâmore italicolongâ continuationeperiodorumque circuitibussermonem producturum interrupitet cum corporis modestiâorisque venustateregalem servans animumex improvviso non improvvise respondit:

“Multa de Romanorum sapientiâseu fortitudine hactenusaudivimusmagis tamen de sapientiâ. Quare satis mirari non possumusquodverba vestra plus arrogantiae tumore insipidaquam sale sapientiae conditasentimus. Antiquam tuae proponis urbis nobilitatemdivae tuae reipublicaeveterem statum ad sydera sustollis. Agnoscoagnoscout et tui scriptorisverbis utar: fuitfuit quondam in hac republica virtus. Quondam dicoatque ohutinam tam veraciter quam libenter nunc dicere possemus! Sensit Roma tuaimo etnostravicissitudines rerum. Sola evadere non potuit aeterna lege ab Auctoreomnium sancitam cunctis sub lunari globo degentibus sortem. Quid dicam? Clarumest qualiter primo nobilitatis tuae robur ab hac nostrâ urbe traslatum sit adOrientis urbem regiamet per annorum carricula ubera delitiarum tuarumGraeculus esuriens suxerit. Supervenit Francusvere nomine et re nobiliseamquequae adhuc in te residua fuitingenuitatem fortiter eripuit. Viscognoscere antiquam tuae Romae gloriamsenatoriae dignitatis gravitatemtabernaculorum dispositionemequestris ordinis virtutem et disciplinamadconflictum procedentis intemeratam ac indomitam audaciam? Nostram intuererempublicam. Penes nos cuncta haec sunt. Ad nos simul omnia haec simul cumImperio dimanarunt. Non cessit nobis nudum Imperium: virtute suâ amictum venitornamenta sua secum traxit. Penes nos sunt consules tui: penes nos est senatustuus: penes nos est miles tuus. Proceres Francorum ipsi te consilio regereequites Francorum ipsi tuam ferro injuriam propellere debebunt. Gloriaris me perte vocatum esseme per te primo civempost principem factumquod tuum erat ate suscepisse. Quae dicti novitas quam ratione absonaquam veritate vacua sitaestimationi tuaeprudentumque relinquatur arbitrio. Revolvamus modernorumimperatorum gestasi non divi nostri principesCarolus et Ottonulliusbeneficio traditamsed virtute expugnatamGraecis seu Longobardis Urbem cumItalia eripuerintFrancorumque apposuerint terminis. Docent haec Desiderius etBerengariustyranni tuiin quibus gloriabarisquibus tamquam principibusinnitebaris. Eos a Francis nostris non solum subactos et captos fuissesed etin servitute ipsorum consenuissevitam finisse verâ relatione didicimus.Cineres ipsorum apud nos reconditievidentissimum hujus rei repraesentantindicium. Sed dicis: vocatione meâ venisti. Fateorvocatus fui. Redde causamquare vocatus fuerim. Ab hostibuis pulsabarisnec propriâ manu Graecorum emollitie liberari poteras. Francorun virtus invitatione adscita est.Implorationem potius quam vocationem hanc dixerim. Implorasti misera felicemdebilis forteminvalida validumanxia securum. Eo tenore vocatussi vocatiodicenda estveni. Principem tuum militem meum feciteque deinceps usque inpraesentiarum in meam ditionem transfudi. Legitimus possessor sum. Eripiat quissi potestclavam de manu Herculis. Siculusin quo confidisforte haec faciet?Ad priora respiciat exempla. Nondum facta est Francorumsive Teutonicorum manusinvalida. Deo largientevitâque comiteet ipse temeritatis suae quandoquecapere poterit experimenta. Justitiam tuamquam tibi debeamexquiris. Taccoquod principem populonon populum principi leges praescribere oporteat.Praetermitto quod quilibet possessor possessionem suam ingressurusnullumconditionis praejudicium pati debeat. Ratione contendamus. Proponisut mihivideturtrium sacramentorum exactionem. De singulis respondeo. Dicis me deberejurareut leges antecessorum meorum imperatorumeorum privilegiis tibifirmataset bonas consuetudines tuas observem. Apponis etiam quod patriae usquead periculum capitis tuitionem jurem. Ad ista duo simul respondeo. Ea quaepostulasaut justa suntaut injusta. Si injusta suntnec tuum erit postularenec meum concedere: si justarecognosco me haec et debendo velleet volendodebere. Quare superfluum erit voluntario debitoet debitae voluntatisacramentum apponere. Quomodo enim tibi tuam justitiam infringeremquiquibuslibetinfimis etiamquod suum est servare cupio? Quomodo patriametpraecipue imperii mei sedemusque ad periculum capitis non defenderemqui etipsius terminosnon sine ejusdem periculi aestimationequantum est in merestaurare cogitaverim? Experta est hoc Dania nuper subactaromanoque redditaorbi; et fortasse plures provinciae pluraque sensissent regnasi praesensnegotium non impedisset. Ad tertium venio capitulum. Affimas pro pecuniâ quadamjuramentum praeberi a meâ deberi personâ. Proh nefas! A tuoRomaexigisprincipe quod quilibet lixa potius petere deberet ab institore. A captivis haecpene non exiguntur. Num in captivitate detineor? Num vinculis hostium urgeor?Nonne multo et forti stipatus milite inclytus sedeo? Cogetur princeps romanuscontra suam voluntatem cujuslibet praebitor essenon largitor? Regaliter etmagnifice hactenus mea cui libuitet quantum decuitet praecipue bene de memeritisdare consuevi. Sicut enim a minoribus debitum rite expetitur obsequiumsic a majoribus meritum juste rependitur beneficium: huncquem alibi a divisparentibus meis acceptum servavimorem civibus cur negarem? Urbemque meointroitu laetam non facerem? Sed merito non justa injuste petenticuncta justenegantur.”

Haec dicenset non sine condignâ mentis indignationeorationem terminansconticuit. Porro quibusdam ex circumstantibus inquirentibusab his qui missi fuerantan plura dicere vellentpaulisper deliberantesindolo responderunt: se prius ea quae audierant concivibus suis referreet tuncdemum ex consilio ad principem redire velle. Sic accepto commeatua curiâegredientesad Urbem eum festinatione revertuntur. Rex dolum praesentiensconsulendum super hoc negotio patrem suum romanum pontificem decernit. Cui ille:“Romanae plebisfiliadhuc melius experieris versutiam. Cognosces enim indolo eos venisseet in dolo redisse. Sed Dei nos adjuvante clementiâdicentis: Comprehendam sapientes in astutiâ suâ praevenire eorumpoterimus versutas insidias. Maturato igitur praemittantur fortes et gnari deexercitu juvenesqui ecclesiam Beati PetriLeoninumque occupent castrum. Inpraesidiis equites nostri ibi suntqui eoscognitâ voluntate nostrâstatimadmittent. Praeterea Octavianum cardinalem Praesbyterumqui de nobilissimoRomanorum discendit sanguinefidelissimum tuumeis adjungemus.”

Sicque factum est. Eliguntur proximâ nocte pene usque admille armatorum equitum lectissimi juvenessummoque diluculo Leoninam intrantesurbemecclesiam Beati Petrivestibulum et gradus occupaturiobservant.Redeunt ad castra nuncii haec laeta reportantes.

cap. xxiii.

 

Quamodo rex in eâdem ecclesiâ Sancti Petri coronam Imperii acceperit: etde excursu Romanorumet clade ac victoriâ Imperatoris.

Sole ortotransactâ jam prima horâpraecedente cumcardinalibus et clericis summo pontifice Adrianoejusque adventum in gradibuspraestolanterex castra movensarmatus cum suis per declivum montis Gaudiidescendenseâ porta quam auream vocantLeoninam urbemin quâ Beati PetriEcclesiâ sita nosciturintravit. Videres militem tam armorum splendorefulgentemtam ordinis integritate decenter incedentemut recte de illo diciposset: Terribilis ut castrorum acies ordinata (Cant. 6); et illudMachabeorum: Refulsit sol in clypeos aureos et aereosetresplenderunt montes ab eis (1. Mac. 6.). Mox princeps ad gradus ecclesiaeBeati Petri veniensa summo pontifice honorifice susceptusac usque adconfessionem Beati Petri deductus est. Dehinc celebratis ad ipso papâ missarumsolemnibusarmato stipatus rex militecum benedictione debitâ Imperii Coronamaccepitanno regni sui ivmense Junioxiv kalen. Juliicunctis qui aderantcum magnâ laetitiâ acclamantibusDeumque super tam glorioso factoglorificantibus. Interim a suis ponsqui juxta castrum Crescentii ab urbeLeoninâ usque ad ingressum ipsius extenditur Urbisne a furente populocelebritatis hujus jucunditas interrumpi possetservabatur. Peractis omnibusimperator cum coronâsolusequum phaleratum insidenscaeteris pedeseuntibusper eandemquâ introieratportam ad tabernacula quae ipsis murisadhaerebant revertiturromano pontifice in palatioquod juxta ecclesiamhabebatremanente.

Dum haec agerenturromanus populus cum senatoribus suis inCapitolio convenerant. Audientes autem imperatorem sine suâ adstipulationecoronam Imperii accepissein furorem versicum impetu magno Tyberim transeuntac juxta ecclesiam Beati Petri procurrentesquosdam ex stratoribusquiremanserantin ipsâ sacrosantâ ecclesiâ necare non timuerunt. Clamorattollitur. Audiens haec imperatormilitem ex aestus magnitudinesitisque aclaboris defatigatione recreari cupientemarmari jubet. Festinabat eo ampliusquo timebat furentem plebem in romanum pontificem cardinalesque irruisse. Pugnaconseritur ex unâ parte juxta castrum Crescentii cum Romanisex altero laterejuxta piscinam cum Transtyberinis. Videres nunc hos istos versus castrapropellerenunc hos illos ad pontem usque repellere().Adjuvabantur nostri quod a castro Crescentii saxorum ictibusseu jaculorum nonlaedebantur spiculis. Mulieribus etiamquae in spectaculis stabantsuos (utajunt) adhortantibusne propter inertis plebis temeritatem tam ordinatumequitum decusab his qui in arce erantpraedictis modis sauciaretur. Dubiâitaque sorte dum diu ab utrisque decertareturRomani tandem atrocitatemnostrorum non ferentescoguntur cedere. Cerneres nostros tam immaniter quamaudacter Romanos caedendo sterneresternendo caedereac si dicerent: AccipenuncRomapro auro arabico teutonicum ferrum. Haec est pecunia quam tibiprinceps tuus pro tuâoffert coronâ.Sic emitur a Francis Imperium. Talia tibi a principe tuo redduntur commerciatalia tibi praestantur juramenta. - Praelium hoc a decimâpene dici horâusque ad noctem protractum est. Caesi fuerunt ibivel in Tyberi mersipenemillecapti ferme ducentisauciati innumericaeteri in fugam versiunotantum ex nostris (mirum dictu) occisouno capto. Plus enim nostros intemperiescoeliaestusque illo in tempore maxime circa Urbem immoderatiorquam Romanorumlaedere poterant arma.

 

<***>

 

Veterum scriptorumqui Caesarum et imperatorum Germanicorumres aliquot saecula gestasliteris mandarunt. Tom. iFranc. 1584. - Gunt.LiguriniLib. iii e ivp. 323 a 336.

Inde caput mundi Romam petitatque Viterbum

Contigitexcelsa non longius urbe remotum

Quam quantum biduo tardus valet ire viator.

Sedis apostolicae praesul summusque sacerdos

Tunc Adrianus erat: qui famâ laetus eâdem

Protinuseximiâ cleri stipante coronâ

Occurritmagnasque virotristesque querelas

Multaque facta suae crudelia pertulit urbis:

Contemni sese referenspopulique furentis

Jurgiaprobraminasrisusconviciarixas

Saepe paticlerumque suumceu vindice nullo

Expositum probriscrebras perferre rapinas

Pulsari grassante manuferrove lacessi.

Sic pater invalidusnato post longa reverso

Temporaseu castrisseu de regione remotâ

Quem penes et rerum jus estet tota regendae

Cura domusnoxas et facta proterva suorum

Contemptusque suoset quos absente labores

Pertuliteversamque domumnumerosaque damna

Commemoratmultumque minas ultoris acerbat.

Cujus origo malitantaeque voraginis auctor

Extitit Arnoldusquem Brixia protulit ortu

Pestiferotenui nutrivit Gallia sumptu

Edocuitque diu: tandem natalibus oris

Redditusassumptâ sapientis frontediserto

Fallebat sermone rudesclerumque procaci

Insectans odiomonachorum acerrimus hostis

Plebis adulatorgaudens popularibus auris

Pontificesipsumque gravi corrodere linguâ

Audebat papamscelerataque dogmata vulgo

Diffundensvariis implebat vocibus aures.

Nil proprium clerifundos et praedia nullo

Jure sequi monachosnulli fiscalia jura

Pontificumnulli curae popularis honorem

Abbatumsacras referens concedere leges:

Omnia principibus terrenis subditatantum

Committenda viris popularibusatque regenda;

Illis primitiaset quae devotio plebis

Offeratet decimas castos in corporis usus

Non ad luxuriamsive oblectamina carnis

Concedensmollesque ciboscultusque nitorem

Illicitosque jocoslascivaque gaudia cleri.

Pontificum fastusabbatum denique laxos

Damnabat penitus moresmonarchosque superbos;

Veraque multa quidemnisi tempora nostra fideles

Respuerent monitusfalsis admixtamonebat.

Et fateorpulchram fallendi noverat artem

Veris falsa probansquia tantum falsa loquendo

Fallere nemo potest: veri sub imagine falsum

Influitet furtim deceptas occupat aures.

Articulos etiam Fidei certumque tenorem

Non satis exactâ stolidus pietate fovebat

Impia mellifluis admiscens toxica verbis.

Ille suam vecorsin clerumpontificemque

Atque alias plures adeo commoverat urbes

Ut jam ludibrio sacerextremoque pudori

Clerus haberetur; quod adhuc (ni fallor) in illâ

Gente nocetmultumque sacro detruncat honori.

Mox in concilio Romae damnatus ab illo

Praesulequinumeros vetitum contingere nostros

Nomen ab innocuâ ducit laudabile vitâ

Territus et miserae confusus imagine culpae

Fugit ab urbe suâTransalpinisque receptus

Quâ sibi vicinas Alemanniâ suspicit Alpes

Nomen ab Alpino ducensut famaLemanno

Nobile Turregumdoctoris nomine falso

Insedittotamque brevi sub tempore terram

Perfidus impuri foedavit dogmatis aurâ:

Unde venenato dudum corrupta sapore

Et nimium falsi doctrinae vatis inhaerens

Servat adhuc uvae gustum gens illa paternae.

Ast ubide medio sublato praesule summo

Eugenius sacrae suscepit jura cathedrae

Ille Petri solidam cupiens convellere petram

Ut caput infirmum per caetera membra dolorem

DiffunditRomana petit temerarius ausu

Moenia sacrilegototamque nefarius urbem

Inficit impuri corruptam semine verbi;

Et populi tantas in clerum concitat iras

Ut penitus nullum summo deferret honorem

Pontificiclerumque odio vexaret iniquo.

Et si quiscui mens aequi et reverentior esset

Et meliora pio flagrarent viscera voto

Forte refragariseu dissuadere furorem

Ausus eratseseque novis opponere monstris

Omnibus ereptissubversâ funditus aede

Corporis afflictuseu tandem sanguine fuso

Clericusaut etiam popularisfacta luebat.

Quin etiam titulos Urbis renovare vetustos

Patricios recreare virospriscosque Quirites

Nomine plebeio secernere nomen equestre;

Jura tribunorumsanctum reparare senatum

Et senio fessasmutasque reponere leges

Lapsa ruinosiset adhuc pendentia muris

Reddere primaevo Capitolia prisca nitori

Consiliisarmisquesuae moderamina summae

Arbitrio tractare suonil juris in hac re

Pontifici summomodicum concedere regi

Suadebat populo: sic laesâ stultus utraque

Majestatereum geminae se fecerat aulae.

Unde etiam tandem (neque enim reor esse silendum)

Nec de funesto repetatur postea sermo

Judicio clerinostro sub principe victus

Adpensusque cruciflammâque cremante solutus

In cineresTyberinetuas est sparsus in undas

Ne stolidae plebisquem feceratimprobus error

Martyris ossa novocineresve foveret honore.

Jamque Ravennatis defuncto praesule sedis

Hanc res Anshelmograecâ de gente reverso

Contulitemeriti ceu praemia grata laboris

Curia saepe suos cathedrae transmittit alumnos.

Sic gemini proceresveluti duo maxima mundi

Luminaconjunctis aliquanto tempore castris

Hinc paterinde patris devotus filius almi

Ille sacerdotum celeberrimusille regentum

Hic regni gladio metuendusat ille superno

Dulcia colloquii tandem consortia nacti

Insatiata pio carpebant gaudia voto.

Cumquepetens RomamSutrii jam moenia rector

Parva reliquissetmagnaeque accederet urbi

Occurrêre viri patriae mandata ferentes

Conspicuo sermone quidem phaleratased astu

Et tacitus perplexa dolis: nec protinus ausi

Ni prius indulto regalis foedere pacis

Ut liceat quaecumque ferantimpune profari.

Tunc itacompositis ficto moderamine verbis

Praemeditata diu molimina protulit unus.

Ducit in adventu felicia gaudiaprinceps

Roma potensinvictetuodevotaque pandit

Moeniamaternosque sinus aperire potenti

Quem sibi rectorem delegitgaudet amico

Imperiumque tibiatque Augusti nominis ultro

Quo nihil in terris majuspromittit honorem:

Si modo pace venissi pristina jura fideli

Ac bene promeritae conservas integra matri.

Adspice quae fuerit priscis sub regibus Urbis

Gloriaquae populi libertasquanta senatus

Majestaspraetoris honoset consul uterque

Annuuset gemini plebis tutela tribuni

Gratia quae morumcastarum sanctio legum

Pace tenor jurisjustis audacia bellis

Quantus amor laudispatientia quanta laboris:

Haec sunt quae nostram longis proventibus urbem

Ex illâ tenui nascentis origine fati

Ex laribus parviset primi regis asylo

Stramineisque casiset sparso sanguine sulco

Ad celebres tituloset tanti culmen honoris

Extulerantubi nilnisi sydera solasuper se

Cerneret; his gaudens populosregesque per orbem

Consiliisvalidisque sibi subjecerat armis.

Tunc populus regi belli mandata domique

Non populo rex illa dabatpassuraque nullum

Urbs erat haec regemnisi quem regnare juberet

Ut patriae mitisnon aegre visa ferendo

Jussa daret populiset magnae regibus urbis.

Tunc hujus populi mandataminasque timebat

Ortuset occiduo tellus subcincta profundo.

Et Notuset gelidi Boreas sub cardine mundi.

Ast ubifortunae vitiopopulique paventis

Desidiâprisci perierunt signa decoris

Justitiaeque silent longo jam tempore leges

Suppressae; tanto retrocessit Roma relapsu

Ut vix ad decimum lapidemfinesque propinquos

Audeat ipsa sui protendere nominis umbram.

Vilis apud gentesin se male firma nec ullo

Robore fulta sui; quam seditione frequenti

Atque intestinis lacerat discordia bellis.

Nullus amor jurisnulla est reverentia morum

Nec jam libertasnec libertatis imago.

Nusquam patriciinusquam sacer ordo senatus

Nusquam cum gemino consulpraetorve tribuno

Cumque ruinosis procumbunt moenia muris:

Majorem morum patimurquerimurque ruinam.

Hoc ideo nobis usu venitoptime princeps

Hic disponendi populus moderamina regni

Et totum priscis fraenandi legibus orbem

Non habet arbitrium: majestas regia dudum

Abstulitet priscum populi mutilavit honorem

Ex quo teutonicos admisit Roma tyrannos.

Tu procul a nobis absenset in orbe remoto

Rarus in Italiâsed in hac rarissimus urbe

Esse soleset regemeo mihi notior hospes.

Sic neque nos nobisnec tu satisinclyte rector

Consuliset curâ miseri fraudamur utraque

Expositi cunctis nullo sub vindice fatis.

Respice nos animo tandemvultuque benigno

Atque ipsam deflere puta tibi talia Romam;

Si te cura mei tangatsi gratia matris

Ulla movetsi teutonicâ de gente vocatum

Imperii summâ gaudens in sede locavi

Redde vicem meritiset dignos gratus honores.

Longos pelle situsantiqua refloreat aetas

Prisca vetustorum redeant insignia morum:

Patricioscivespriscos arcesse Quirites

Nomine plebeio secedat nobilis ordo:

Da libertatemsanctumque repone senatum:

Jam redeat seniorredeat cum consule praetor

Et redeant gemini cum dictatore tribuni:

Curia respiretCapitolia lapsa resurgant

Pulchra vetustorum redeant insignia morum:

Gaude quod tanti dudum sit gloria facti

Temporibus servata tuis: felicior illo

Adveniascujus pariter nomenque locumque

SuscipisAugusto; Trajano mitior adsis;

Quaeque alii reges jurando foedera mecum

Tempus ad usque tuum pepegerunttu quoque jura;

Ne concessa mihipriscorum munere regum

Vel resecare vetisvel tollere; neve salutis

Pro me quoque meâ fugias discrimina plebe

Largaque Romanae persolvas munera plebi

Ut tibi festivum celebret devota triumphum.

Dixit: at ille dolosinfectaque verba veneno

Comperitet contra regali concitus irâ

Dissimulare gravem contemnens voce dolorem:

Quantum Roma meonon Romased incola Romae

Gaudeat adventusecretae consona menti

Verba satis fecere palam: commercia certe

Non satis aequa mihi faciuntdum vendere nobis

Nostra voluntveluti plenis cum follibus emptum

Adveniamprecioque novos sumpturus honores

Quos sibi jam proprios effecit Francona virtus.

Non emimus fascesnonsi credamus emendos

Praeter virtutem preciumquod deturhanbemus.

Hoc mihi vel nullo venient commercia pacto:

Non turget loculis inferta pecunia nostris

Nec multis opibussed laude venimus onusti.

Non est teutonico cumulata pecunia cordi

Nec sibi quaerit opessed pulcrae laudis honores:

Non habet ille suumsed habentibus imperat aurum.

Quanto Romanus studio cupidissimus aera

Congeritet magno vigilans incumbit acervo;

Tanto Teutonicus vel adhuc majoreparatas

Fundit opesnitidasque manus erugine turpi

Foedari scelus esse putatdignumque pudore.

Invigilent opibus cupidimihi sola potestas

Sufficitet cunctis dare jura potentia terris.

Quo mihi divitiascui servit gloria mundi

Quem possessor opum cum paupere dives adorat?

Quidquid habet locuplesquidquid custodit avarus

Quidquid in occultis abscondit terra cavernis

Jure quidem nostrumpopulo concedimus usum:

Rege figuratamregis patet esse monetam

Caesariset domino sub Caesare fulget imago.

Quo mihi divitiascui quaeque potissima reges

Ac populi crebris non cessant mittere donis?

Semper habet veteressemper videt aula recentes

Undique legatoset ab omni principe missos

Semper ab ignotis veniunt nova munera terris.

Ergo pudetpopulo quasi debita cogar avaro

Solverecui magni solvunt indebita reges.

Miror ab antiquo famosam moribus urbem

Tam foedum sperasse nefasut rege coacto

Erueret preciumveluti jam carcere vasto

Inclusum duris adstrinxerit illa catenis.

Ergo neRomatuo legem vis ponere regi

Cum potius regem deceat te subdere legi?

Millia quinque tibi librarum debita poscis:

Poscenti debere nego: largitio reges

Non extorta decet: captivos ista reosque

Sors premitextortis redimant sua tempora nummis;

Munera magnorum laeta atque ultronea regum

Esse voluntut dans plus gaudeat accipiente.

Hoc est gratuitumquod possum dicere solum

Quo plus ille datoquam gaudeat iste recepto.

Hunc mihi munifici morem liquêre parentes

Hunc retinere libet: nec plebem munere largo

Laetificare tuam renuosed pacta recuso.

Nil nisi gratuito manus haec dare novitet ultro.

Juramenta petis? regem jurare minori

Turpe reor; nudo jus et reverentia verbo

Regis inesse solet; quovis juramine major

Non decet in labiis versari lubrica regis

Non decet ore sacro mendacia cudere regem:

Sancta et plena suo sunt regia pondere verba;

Dicta semel nullum patiuntur jure recursum.

Ergo quod instigas jurandojuve pacisci

Pone metum curaevel non juratus habebo.

Adde quod hoc ipsum nostris est utile rebus

Quod petiset nobis nullo suadente gerendum.

Jura vetusta ferampotius supplere paratus

Quam minuisse bonis aliquid de moribus urbis.

Te mihi vel summo non conservabo periclo:

Dum mea non essessummo discrimine jussi

Esse meam; nunccum mea sis jam factarelinquam?

Namque quod ImperiumteRomavocantereceptum

Adseriset meriti peragis praeconia tanti

Non magni reputare libet: venisse vocatum

Confiteorsed quae fuerit tibi caussa vocandi

Ne multum te forte putes meruissevidendum est.

Hostibus infestiset belli pressa tumultu

Undiquenec propriis ultra tutandanec illis

Quas tibi tentarasprecibus consciscere vires

Desperata diucunctisque relicta jacebas.

Nunc ubiRomatuae vires? ubi perfidus ille

Graeculus? et Siculae vindex tuus arbiter aulae

Quem tibi tutorem timeas? licet ore fateri

Mente tamen tractasfortassis sentiet ille

Romatuus vindex: veniant modo congrua rerum

TemporaTeutonici vires et pondera regni

Tandem consilio sicut patet usa salubri:

Francorum viresinvictaque signa rogasti;

Affluit immensi domitor fortissimus orbis

Caroluset magna miseram virtute redemit

Ereptumque manu mediis ex hostibus in se

Transtulit imperiumbellique tenore recepta

Haec tua Francorum sociavit moenia regno.

Nunc age collatos nobistua munerafasces

Et quasi gratuita primum bonitate vocatos

Magnifico sermone refer: sed verius illud

Implorare fuit: sic pauper ad ostia clausa

Saepius imploransquerulo vocat ore potentem.

Namque Beringerum Desideriumque tyrannos

Romatuosquibus attonitum cervice subacta

Subdideras miseranda caputquis nesciat armis

Francorum victoscaptosqueaeternaque passos

Exiliain nostro per tempora plurima regno

Victori servisse suotardaque senecta

Tandem servili pressisse cadavere terram?

Illa dies uno tua pristina jura triumpho

Si qua tibi Grajae fortuna reliquerat urbis

Transtulit in Francosnon sunt extinctased extant

Imperium comitata suumquod debita secum

Ornamenta trahensnudum vacuumque decoris

Non poterat transire sui: mea respice castra

Omniaquae dudum quereris sublatavidebis

Nomine mutatosub eadem vivere forma.

Hic equeshic praetorhic consulis atque tribuni

Imperiosus honoset publica cura senatus:

Adspice teutonicos proceresequitumque catervas;

Hos tu patricioshos tu cognosce Quirites

Hunc tibi perpetuo dominantem jure senatum:

Hi teRomasuis (nolis licet) ipsa gubernant

Legibushi pacis bellique negocia tractant.

Sed libertatis titulos antiquaque legum

Tempora commemoras: quas legesimprobapraeter

Teutonicasaut quaepraeter meajura requiris?

Quae tibi libertas poterit contingere major

Quam regi servire tuo? Sic faturet aeres

Ingenuo vultu regaliter excitat iras.

Audierantstupidoque metu praecordia pressi

Obticuere virimultisque rogantibusan ne

Plura loqui vellent! nihil ultra vocibus ausos

Addere praemissistantum dixisse pigebat.

Tantus eis tristes irato principe vultus

Cernere terror erat: mallent siluissenec unquam

Suscepisse suae peragenda negocia Romae

Securosque petunt in moenia tuta regressus

Orsa relaturi metuendi principis urbi.

At rex colloquium solo cum praesule miscens

Principibusque virisquod nunc sibi restet agendum

Quamve dolo plebis versutae providus artem

Apposuisse queatsolerti consulit astu

Et simul interna fervens exaestuat ira.

Cui pater eximius laesae solatia menti

Addere blanda volens: Non estaitoptime fili

Hac in genta novumnec res miranda videtur

Fraudibus occultis blande palpare potentes

Principibusque suis argutam ostendere vulpem:

Hoc vitium gentile tenetsic vivitur istic:

Jam partim sensisse doles; sed verius illud

Amodo concipieset adhuc majora videbis.

Me quoque non longo residentem tempore multis

Est aggressa dolisindignaque multa relatu

Tam mihi quam sacro plebs intulit improba clero.

Verum contemptus minor est injuria nostri

Quos manus imbellisnulloque armata potestas

Sanguinesed tantum divino fulta timore

Spernendos impune viris exponit iniquis.

Te quem terreni metuenda potentia regni

Quem scelerum vindex gladius facit esse verendum

Romanis qui fronte dolis ambire laboret

Mirandum satis est: sed justo parce dolori

Et nobis (auctore Deo) gens improba justas

Et tibi maturo persolvet tempore poenas.

Tu modo belligero delectos agmine fortes

Instructos telisinstructos omnibus armis

Occulto praemitte graduqui sacra beati

Corripiant posita formidine limina Petri

Atque Leoninae munimina fortiter urbis.

Sunt tibi praesidii caussa sub nomine nostro

Praestantes animi juvenesqui moenia tradent

Admittentque tuos; aderit qui moenia tradi

Imperetegregius romanae stirpis alumnus

Sedis apostolicae comeseximiusque sacerdos

Et tibi prae cunctis Octavius iste fidelis.

Desierat presul: placuit laudabile cunctis

Consiliumsincera fideset plena voluntas.

Mittuntur properequasi millia quinque virorum

Nocte fere mediaquo tempore lumina Titan

Opposito praebenssi fas est crederemundo

Ex aequo medium noctis discriminat arcum

Haud mora festinant jussiportasque patentes

Ingressi tacitesancti munimina Petri

His prius eductis qui limina prima tenebant

Atque Leoninam rapiunt hostiliter urbem.

Nuncius ad proceresredienscompendia facti;

Edocetet totis hilarescunt agmina castris.

Jamque soporiferae decurso limite noctis

Aureus occulto sublatam lampada coelo

Coeperat in nostrum traducere Phoebus Olympum.

Tempore non alio nitidos magis extulit ortus

Purgavitque poloset nubila tota removit:

Exoritur felixet cunctis pene diebus

Candidiorprimos tibi collaturus honores

ImperiiFridericediesradiisque serenis

Publica per totum diffundens gaudia mundum.

Jamque per oppositi princeps declivia montis

Adveniensclaramquam nondum videraturbem

Adspicit: huic populi festivum gaudia nomen

Imposuere loco: siquidem qui moenia clara

Illâ parte petuntex illo vertice primum

Urbem conspiciuntet tesacra Romasatulant.

Prima Leoninam gaudens admisit in urbem

Aurea porta ducem; mox limina sacra petentem

Sedis apostolicaedivmis rite peractis

Obsequiissacrâ redimitus veste sacerdos

Summusad alta sacri ducens altaria Petri

Innexum digitismundi totius honorem

Imposuitpressitque sacro diademate crines

Sacraque missarum peragens solemnia rite

Nobile coelesti munivit foedere factum

Omnibus egregie laetistotaque catervâ

Acclamante virofaustum feliciter omen;

Hic favor armatusturbaeque hic plausus equestris

Dulcius Augusti mulcebat principis aures

Quam venalis honorconductaque gaudia vulgi.

Hic siquidem sincerus amorgaudensque fideli

Obsequiodevota fides; ibi gloria tantum

Mendaci fucata dolopreciosaque pompa.

Nos quoque carminibusni mens angusta negaret

Acclamare tuofortissime; Caesarhonori

Et fasces celebrare tuosrerumque nitorem

Eloquionumerisque suis implere decebat;

Sed vereor ne plura loquensmultumque laborans

Inveniar dixisse minusmagnique reatus

Arguar eximiis indocuens nubila rebus.

Atque ideo carptimnon singula quaequesed ipsam

Gestarum propero rerum percurrere summam:

Immo etiam facti compendia vera secutus

Hoc ipsum satis esse reor; namque illa serenae

Tempora laeticiaetantique insigna plausus

Non longas habuere moraspopulique furentis

Insidias strepitumque timensarmatus ubique

Adstat equestemplique fores et limina servat

Crescentisque domumpontisque angusta propinqui

Obsidetet totas densâ statione plateas.

Hos regi tituloshoc clari nomen honoris

Quartus ab ingressu regnorum contulit annus

Plusque fere medio juvenum se mensis agebat

Et quarto decimo prodiret Julius ortu

Postea gemmiferam laetâ cervice coronam

Ipse ferensinsedit equoquem purpura totum

ambitet intextis velamina picta figuris

Aurea mirifico radiantibus ordine gemmis

Sella nitenspicto regem complectitur arcu.

Aurea nexilibus fastidit fraena catenis

Gemmatosque luposet fulvum masticat aurum:

Lucidus e mediâ dependet fronte pyropus

Lucida multisonis pharetrantur pectora bullis.

Ipse feroxincerta vago vestigia gressu

Multiplicattensusque interdum calcibus auras

Verberatet tanto sonipes vectore superbit.

Hoc invectus equoturbâ comitante pedestri

Gaudet habere viros utrinque ad fraena potentes

Sanguine conspicuos; et mundi jura regentes.

Tunc ita productusplausu resonante suorum

Proxima turrigeris repetit tentoria muris.

Ipse sed eximiusdimisso principepraesul

Urbe Leoninâ propriâque in sede remansit.

Cumque siti fervens et multo temporis aestu

Languidusoptatâ castrorum fusus in umbrâ

Corpora fessa cibo miles recreare pararet

Ecce repentinus vicinâ clamor ab urbe

Insonatet subiti feralia signa tumultus.

Jamque furens populusprisco sibi jure negato

Injussuque suo sumptos a principe fasces

Indignansrapidotransmisso pontetumultu

Irrueratpaucosque viros ex agmine nostro

Securos nimiumnulloque pavore relictos

Fuderat: ast alii celeresurgente periclo

Castra petuntsocios atque ipsum nomine regem

Cujus erat cunctis virtus bene notavocantes.

Horruit irarum stimulisjustoque furore

Caesaret ingratum socios iterare laborem

Compellittotis educens agmina castris;

Hoc magis acceleransquod eum metus acer agebat

Ne quid in eximium crudeliter impia patrem

Auderetsolito plebes grassata furore:

Distulit ira ciboshostili sanguine malunt

Dilatam satiare famemfremituque leonum

Terribiles urbem repetuntet in arma feruntur.

Nec cedunt hostessed pectore praelia firmo

Excipiunt; missis bellum committitur hastis

Et levibus jaculisetquas pluit aurasagittis.

At simul incaluit stimulis gravioribus ira

Conseruere manusadmotaque cominus arma

Non jam missilibus telisferroque volanti

Sed gladiis pugnare libet: tinnire sonoros

Ictus audires galeasincussaque telis

Arma graviclypeosque leves mugire fragore;

Cernere palantes passimrursumque resumptis

Viribus instantesalterna sorte licebat.

Maxima conflictus moles in limite pontis

Ante domum Crescentis erat: facilique rotatu

Obruta saxorumseu missis desuper hastis

Regia pars certae poterat succumbere cladi

Ni quae spectandi caussa pinnacula turris

Servabant matresvalidaepulchraeque cohorti

Parcerenon stolidae plebi sociare furorem

Orarent juvenes jam mittere tela parantes.

Sic parti nostrae castarum gratia matrum

Profuitinnocuas prohibens a sanguine dextras.

Hic furora decimâ spaciosus et integer horâ

Perstitit ad primas merso jam sole tenebras.

Nec quisquamquamvis jejunia longa tulisset

Totam quippe diem miles jejunus agebat:

Jam poterat sentire famempondusve laboris

Immemor ipse suitantoque nocentior hosti:

Tantus in ultores fundendi sanguinis ardor

Inciditet justam satiandi caede furorem.

Atque aliquis gaudens in tantâ strage reorum

Insultare malis: haec sint sibiRomavetusti

Praemia jurisait: merces a principe justo

Redditur ista tibi: sic nobis regna parantur

Sic emimus fascessic acclamare triumphis

Te jubet ille suis: ac tecum foedera Caesar

Percutitatque tuo juramina sanguine firmat.

Vix tandem miseros sero jam vespere cives

Afflictosque diu bellofuganoxque removit

Claraque justitiae patuerunt signa supernae

Ex rerum merito varios prodentia casus;

Namque uno tantum nostrâ de parte perempto

Mille vel immersos Tyberi periisse vel armis

Hostili de plebe quidemcaptiva ducentos

Supposuisse ferunt injectis colla catenis.

Mox cum laude Dei repetunt tentoria laeti

Victoresgratoque cibodulcique sopore

Membra foventtutis carpentes otia castris.

Vix erat orta diessuspectâ Caesar ab urbe

Regia signa movet (neque enim commercia rerum

Indigus afflicto sperabat miles ab hoste)

Pulchraque fecundis fixit tentoria campis.

Inde secus montemquo quondam saeva tyranni

Jussa timensnondum teConstantinerenato

Sylvester latuitSoracten nomine dicunt.

Teplacido transmisso vadovetus Albulatransit

Albulacujus aquis Tyberinus nomina fecit;

Primaque castra locat vicina ad moenia Romae

Inter et argoas famosi Tyburis arces.

Hosut famalaresGrajâ de gente profecti

Tres posuere viri; Coras cum fratre Catillo

Argolicae stirpis juveneset major utroque

Tyburtuscujus sumptum de nomine nomen

Nobile Tybur habetperhibent si vera poetae.

Jamque aderat veneranda diesquae clara triumpho

Fulget apostolico totum festiva per orbem

Illa quidemsed Romuleae specialiter urbi

Cujus sacra suo lustrarunt moenia patres

Martyriosaevi dum spernunt sceptra Neronis.

Illam quo poterat populus castrensis honore

Suscepere diemdevotas praesule summo

Missarum celebrante preceset Caesare sanctam

Imperii cervice piâ gestante coronam.

Illâ quippe die sacris altaribus adstans

Omnemqui justo sub principe bella gerendo

Cinxerat ultorem Romanis caedibus ensem

Clavibus aethereis et Petri fretus honore

Solvit et indultum purgavit papa reatum:

Et ratione quidem; nam quisquis jura tuetur

Ecclesiaeregnive decussi forte cruorem

Fuderit humanumnon est homicidased ultor.

Hoc siquidem bellumquod juris amore coacto

Milite suscipiturmeritumnon culpa vocatur.

<***>

 

MuratoriRer. Italic. Script. Tom. iiipag. 441. - VitaAdriani papae iv ex Card. Aragonio. De Adriano papa ivqui coepit anno mcliv.

Adrianus ivnatione Anglicusde castro Sancti AlbaniquiNicolaus Albanensis episcopus sedit annis ivmensibus viiidiebus vi. Hicnamque pubertatis suae temporeut in literarum studiis proficeretegrediens deterrâ et de cognatione suâ pervenit Arelatemubi dum in scholis vacaretaDomino factum estut ad ecclesiam Beati Ruffi accederetet in eâ religionishabitumfactâ canonicâ professionesusciperet. Proficiscens ergoDeoauctorede bono semper in meliusprioratum in ipsa domo prius obtinuitetpostmodum ad Abbatiae apicem de communi voluntate fratrum conscendit. Acciditautemut pro incumbentibus Ecclesiae sibi commissae negotiis ad ApostolicamSedem veniretet peractis omnibus causis pro quibus veneratcum redire adpropria velletbeatae memoriae papa Eugenius eum secum retinuitet de communifratrum suorum consilio in Albanensem episcopum consecravit. Processu veromodici temporis cognita ipsius honestate ac prudentiâde latere suo eum adpartes Norvegiae legatum Sedis Apostolicae destinavitquatenus verbum vitae inipsâ provinciâ praedicaretet ad faciendum Omnipotenti Deo animarum lucrumstuderet. Ipse vero tamquam minister Christiet fidelis ac prudens dispensatormysteriorum Dei gentem illam barbaram et rudem in lege Christianâ diligenterinstruxitet ecclesiasticis eruditionibus informavit. Divinâ itaquedispensatione apostolatus sui diem praeveniensdefuncto papâ EugenioetAnastasio in loco ejus ordinato ad matrem suam sacrosanctam romanam Ecclesiamductore Dominoremeavitrelinquens pacem regnislegem barbarisquietemmonasteriisEcclesiis ordinemClericis disciplinamet Deo populumacceptabilem sectatorem bonorum operum. Transeunte autem modico temporisintervalloobiit Anastasius papaet in secundâ die convenientibus in unum proeligendo sibi pastore cunctis episcopis et cardinalibus apud ecclesiam BeatiPetrinon sine divini dispositione consilii factum est ut in ejus personamunanimiter concordarentet papam Adrianum electum() tam clerici quam laicipariter conclamanteseum invitum et renitentem in sede Beati PetriinthronizarentDeo auctoreDominicae Incarnationis anno mclivIndictione iii.Erat enim vir valde benignusmitis et patiensin anglicâ et latinâ linguâperitusin sermone facundusin eloquentiâ politusin cantilenâ praecipuuset praedicator egregiusad irascendum tardusad ignoscendum veloxhilarisdatorin eleemosynis larguset in omni morum compositione praeclarus.

In diebus illis Arnaldus Brixiensis haereticus Urbem intrarepraesumpseratet erroris sui venena disseminansmentes simplicium a viâveritatis subvertere conabatur. Pro cujus expulsione supradicti Eugenius etAnastasiusromani pontificesplurimum jam laboraverunt; sed favore etpotentiâ quorumdam perversorum civiumet maxime senatorumqui tunc ad regimencivitatis a populo fuerant institutiantedictus haereticus munitus et tutuscontra prohibitionem Adriani papae in eâdem civitate procaciter morabaturetsibi ac fratribus suis insidiari coeperatet publice atque atrociter adversari.Venerabilem namque virum magistrum D. . . .presbyterum cardinalem tituloSanctae Potentianaead praesentiam ipsius pontificis euntemquidam ex ipsishaereticis ausu nefario in Viâ Sacrâ invadere praesumpseruntet ad interitumvulneraverunt. Quapropter pontifex ipse civitatem romanam interdicto supposuitet usque ad quartam feriam majoris hebdomade universa civitas a divinis cessavitofficiis. Tunc vero praedicti senatores compulsi a clero et populo romanoaccesserunt ad presentiam ejusdem pontificiset ad ipsius mandatum super sanctaDei Evangelia juraveruntquod saepe dictum haereticum et reliquos ipsiussectatores de totâ urbe romanâ et ejus finibus sine morâ expellerentnisi admandatum et obedientiam ipsius papae redirent. Sic itaque ipsis ejectisetcivitate ab interdicto absolutârepleti sunt omnes gaudio magnolaudantespariter et benedicentes Dominum. In crastinum autemvideliect die CoenaeDominiconcurrente undique de more ad annuae remissionis gratiam et gloriosamfestivitatem maximâ populorum multitudineidem benignus pontifex cum fratribussuis episcopis et cardinalibusatque immensâ procerum et civium turbâdecivitate Leoninâubi a tempore ordinationis suae fuerat commoratuscumhonorificentiâ magnâ exivitet transiens per mediam Urbemuniverso sibipopulo congaudentead Lateranense Patriarchium cum jucunditate pervenitibiquedie ipso et sequente sextâ feriâet Sabato sanctoPaschâ quoqueacsecundâtertiâ et quartâ feriâ divina Mysteria solemniter celebravitatquein lateranensi palatiosecundum Ecclesiae antiquam consuetudinempascha cumdiscipulis suis festive comedit. Celebrato itaque cum laetitiâ festosinguliad propria cum gaudio redierunt.

Eodem tempore Wilhelmus rex Siciliae contra matrem ac dominamsuam sacrosanctam romanam Ecclesiam procaciter cornua erexitet congregatoexercitu terram Beati Petri hostiliter fecit invadi: Beneventanam itaquecivitatem aliquandiu exercitus ejus obseditet burgos ejus incendit. Deindefines Campaniae violenter ingrediensvillam Ceperam() et castrum Babucum()atque alia immunita loca nihilominus concremavit. Pro iis ergo et aliis offensispraedictus Adrianus papaPetri gladium exerens()ipsum regem excomunicationisgladio percussit. Interea Fridericus Teutonicorum rex cum magno exercituLombardiam intravitet civitatem Terdonam diu obsedit; quâ devictâet sibisubactâceleriter properabat ad Urbem in tantâ festinantiâ ut merito crediposset magis hostis accederequam patronus. Hoc igitur cognitoAdrianus papaqui eo tempore Viterbium residebatdeliberato cum fratribus suiset PetroUrbis praefectoatque Oddone Frangepane() consiliomisit ei obviam Johannemtitulo Sanctorum Johannis et Pauliet G. titulo Sanctae Pudentianaepresbyterosatque G. diaconum Sanctae Mariae in Porticucardinalesquibus etcaetera capitula deditac modum et formam praefixitqualiter cum ipso proEcclesiâ deberent componere. Quiaccepto mandatocum festinantiaproficiscentes cum apud S. Quiricum inveneruntet accedentes ad ipsumhonorifice recepti sunt et in tentorium deducti. Post salutationem vero literasei apostolicas porrexeruntet domni papae exposuerunt mandatum. In quibuscontinebatur inter caeteraut redderet eisdem cardinalibus Arnaldum()haereticumquem vicecomites de Campaniâ abstulerant magistro O. diacono sanctiNicolai apud Briculas()ubi cum ceperatquem tamquam prophetam in terrâ suâcum honore hahebant. Rex veroauditis domini papae mandatiscontinuo missisapparitoribuscepit unum de vicecomitibus() illisqui valde perterritus eumdemhaereticum in manibus cardinalium statim restituit. Caeterum ante adventumipsorum cardinalium idem rex praemiserat Arnulfum Coloniensemet AnselmumRavennatem archiepiscopos ad praesentiam saepe dicti pontificisut de ipsiuscoronatione cum eo tractarentet de aliis insimul convenirent; ideoqueresponsum cardinalibus dare non poteratnisi prius archiepiscopos ipsosreciperet. Pontifex autemqui propter nimium suspectum imperatoris adventum adUrbevetanam civitatem transireet illuc imperatorem disposuerat expectareprorepentino et inopinato illorum adventu in majorem dubitationem cecidit. Sed cumad locum illum tutissimum jam secure non posset transiread CivitatemCastellanam festinanter ascenditubi si de personâ ejus rex male cogitassetiram illius secure declinareet iniquos cogitatus ipsius facile posset elidere.Archiepiscopi vero secuti sunt eumexponentes bonam regis voluntatemquam ergaeum et totam romanam Ecclesiam habebatet aliaquae sibi erant impositanihilominus ostendentes. Quibus pontifex de consilio fratrum suorum dixit: Nisiprius recepero fratres meos cardinalesquos ad regem delegavinullum vobisresponsum dabo. Cardinales itaque a regeet archiepiscopi a pontifice infectonegotio redeuntesobviaverunt sibi dicentes ad invicemquod propter eorumabsentiam responsum ab utraque parte dilatum fuerat. Ideoquehabito inter sesalubriori consilioinsimul venerunt ad presentiam regis in campo viterbensiubi castra posuerat. Venerat autem ad eum Octavianus titulo S. Caeciliaepresbyter cardinalisnon missus a pontificesed dimissusjam spiransseditionem ex schismaticis. Postquam vero praedicti cardinales intraverunt adregemet haberetur() consilium super eorum legatione de satisfacendo mandatoromani pontificisidem Octavianusquod hauseratvirus evomere coepitetpacem turbare; sed in brevi et ratione validâ repressus est a fratribus suiscardinalibuset sicut dignus eratmulta confusione respersus. Tandemadversario confutatoet salubri consilio comprobatorex omnium procerum etmilitum suorum Curiam maximam congregavitet in presentia eorumdem cardinaliumallata sunt sacra pignoraCrux et Evangeliasuper quae nobilis quidam miles decaeteris electuset conjuratusatque tertio jurare jussusin animâ suâ etejusdem regis juravitvitam et membra non auferresed conservare papae Adrianoet cardinalibus ejusnec malam capitonem facerehonorem et bona sua eis nonauferrenec auferri permitteresed et si quis auferre velletomnimodeprohibereet contradicere. Post illatam vero injuriam pro posse suo etvindicari faceretet emendariatque concordiamjampridem per principales()personas utriusque Curiae factaminviolatam de caetero conservare.

Hoc itaque juramentosicut dictum estet a rege praestitoet a cardinalibus ipsis cum alacritate receptocontinuo acceptâ licentiâconcito gradu cardinales reversi sunt ad summum pontificemuniversaquaefecerantsibi et fratribus suis cum diligentiâ referentes. Placuit ergopontifici et ejus collateralibusquod talis securitas eis a rege dataet perconsilium principum suorum firmiter roborata est; ideoque omni malâ suspicionesublatâ de medioregiae petitioni de imponenda sibi coronâ imperii benigneannuitet ut ad invicem sese viderentlocus congruus et dies certus abutrâque parte statutus est. Processit igitur rex cum exercitu suo interritorium Sutrinumet castrametatus est in Campo Grasso. Pontifex autem adcivitatem Nepesinam descenditet in secunda dieoccurrentibus multisTeutonicorum principibus cum plurimâ clericorum et laicorum multitudineadpraesentiam saepe dicti regis cum episcopis et cardinalibus suis usque ad ipsiustentorium cum jucunditate deductus est. Cum autem rex de more officium stratoriseidem papae non exhiberetcardinalesqui cum eo veneruntturbatiet valdeperterriti abierunt retrorsumet in praedicta Civitate Castellanâ sereceperuntrelicto pontifice ad tentorium regis. Quo circa domnus papa nimiostupore turbatuset quod sibi foret agendum incertuslicet tristis descenditet in praeparato sibi faldistorio sedit. Tunc rex ad ejus vestigia prociditetdeosculatis pedibus ad pacis osculum accedere voluit. Cui protinus idem pontifexlocutus est in haec verba: “Quandoquidem tu illum mihi consuetum ac debitumhonorem subtraxistiquem praedecessores tui orthodoxi imperatores proapostolorum Petri et Pauli reverentiâ praedecessoribus nostris romanispontificibus exhibere usque ad haec tempora consueveruntdonec mihisatisfaciasego te ad pacis osculum non recipiam.” Rex autem respondit etdixitse hoc facere non debere. Ea propter remanente ibidem exercitutotussequens dies sub istius rei variâ collatione decurrit. Tandem requisitisantiquioribus princibuset illis praecipuequi cum rege Lotario ad Innocentiumpapam venerantet priscâ consuetudine diligenter investigatâex relationeillorum et veteribus monumentisjudicio principum decretum estet comunifavore totius regalis Curiae roboratumquod idem rex pro beatorum Apostolorumreverentiâ praedicto papae Adriano exhiberet stratoris officiumet ejusstreugam teneret. Aliâ itaque dieregis mota sunt castraet in territorionepesinojuxta lacum qui dicitur Jaulafuerunt translata. Ibiquesicut aprincipibus fuerat ordinatumrex Fridericus processit aliquantulumetappropinquante domni papae tentorioper aliam viam transiens descendit de equoet occurrens ei quantum jactus est lapidisin conspectu exercitus officiumstratoris cum jucunditate implevitet streugam fortiter tenuit. Tum veropontifex eumdem regem ad pacis osculum primo recepit. Post haec autem versusUrbem insimul procedentespro eo quod ab eis romanus populus discordabatlicetbeati Petri munitionem in potestate suâ pontifex detineretplacuit tamen ut inmanu validâ civitatem Leonianam rex introiret. Positis igitur exterius castriset deliberato festinanter consilioatque dispositis quae ad coronationemspectabanteâdem die ante horam tertiam rex ad gradus Beati Petri armatorummaximâ multitudine stipatus accessit; ibique depositis vestibus quas gerebatsolemniori se habitu induitet ad ecclesiam Beatae Mariae in Turriin quâ eumante altare pontifex expectabatascendensgenua sua fixit() coram eoet manussuas inter ipsius pontificis manus imponensconsuetam professionemetplenariam securitatemsecundum quod in ordine contineturpublice exibuit sibi.Relicto autem ibidem regepontifex ad altare Beati Petri adscenditcujusvestigia rex cum processione subsequens ad portas argenteasorationem infraecclesiam in rotâ super eumdem regem alius ex episcopis nostris dedit.Orationem vero tertiam et unctionem tertius episcopus ante confessionem BeatiPetri eidem regi nihilominus contulit. Missâ itaque incoeptâet Graduali postEpistolam decantatorex adpontificem coronandus accessitet praesentatisimperialibus signisgladium et sceptrum atque Imperii coronam de manibusejusdem pontificis suscepit. Statim tamen vehemens et fortis Teutonicorum voxconclamantium in vocem laudis et laetitiae concrepuitut horribile tonitruumcrederetur de coelis subito cecidisse.

His igitur ante horam nonam in pace et tranquillitateperactispopulus romanusqui clausis portis apud Castrum Crescentii residebatarmatusignorans quae facta fuerantsine consilio et deliberatione majorumadcivitatem Leonianam paulatim ascenditet eorumqui in porticu remanserantspoliis violenter direptisomnes quos reperitusque ad imperatoris castrapersequendo fugavit. Invalescentibus autem clamoribuset undique resonanteinopinate tumultuTeutonicorum exercitus ad arma velociter convolavitstrictisque mucronibus ab utrâque parte acriter dimicatur. Quid plura? Caesisunt multiet plurimi capti. Tandem populus ipse non sine multo suorumdiscrimine infra portas ipsius castri se ipsum recepit. Pontifex autemsicutbenignissimus pastor et pius patersuper tanto excessu valde turbatus eteffectus tristiseidem populotamquam suo gregidebitâ charitate compassusest. Cujus casum relevare desideranspro liberatione suarum ovium apud ejusdemimperatoris clementiam diutius laboravitet affectuosas preces instanterfundere non cessavitdonec universos Urbis captivos de manibus Teutonicorumereptos in potestate Petri Urbis praefecti restitui fecit. De caetero autemimperator simul ac pontifex exeuntes de finibus urbisper campestria juxtaTiberimprocesserunt usque ad vadum de Mallianoibique fluvium ipsum cum totoexercitu transeuntesintraverunt sabinensem comitatumet per Farsam atqueCastrum de Poli transitum facientesin vigiliâ Beati Petri pervenerunt adPontem Lucanumin quo nimirum loco pro tam gloriosae solemnitatis celebritatemoram facere decreverunt; et ut Ecclesia Dei et Imperium ampliori decoreclarescerentcommuni deliberatione statutum fuitut ad laudem Dei etexaltationem christiani populi praefatus romanus pontifex et Augustus admissarum solemnia in die illâ pariter coronati procederent. Dignum namque satiseratut illorum duorum Principum Apostolorum solemnia duo summi Urbis principesin laetitiâ et magno gaudio celebrarentquisusceptâ potestate a Dominoligandi atque solvendi portas Coeli clauduntet aperiunt quibus volunt.

 

 

<***>

Martene et durand amplissimacollectio veterum scriptorum etmonumentorum historicorumdogmaticorummoralium. Parisiis 1724.Epist. 384p. 554

 

wetzel ad Fridericum imperatorem

 

Instat ut excusso summi pontificis jugoimperium asenatu populoque romano recipiat. - An. 1152.

Carissimo Dei gratiâ F. Wetzel ad summa animae et corporislaeta undique proficere.

Immensâ laetitiâquod gens vestra vos sibi in regemelegeritmoveor.

Ceterumquod consilio clericorum et monachorumquorumdoctrinâ divina et humana confusa suntsacrosanctam urbemdominam mundicreatricem et matrem omnium imperatorumsuper hocsicut deberetisnonconsuluistiset ejus confirmationemper quam omneset sine quâ nulli unquamprincipum imperaveruntnon requisistisnec ei sicut filiussi tamen filius etminister ejus esse proposuistisnon scripsistisvehementer doleo. Quis enimstabili ordine proficere valeatnisi quem Rebecca dilexit et promovit? licetquippe pater Isaac vellet et niteretur Esau benedictionem praeferreJacobmatre ipsum vocanteet consilium quasi insulsum ipso Jacob timentequia Esaumoram in venando fecitbenedictionem et dominiumalio illo dolenteobtinuit.Et ut ad rem perveniamipsamque vobis plenius exponamquod dico diligentiusattendatis. Vocatio vestrorum olim praedecessorumet vestra adhuca caecisidest a Julianistishaereticis dico et apostatis clericis et falsis monachissuum ordinem praevaricantibuset contra evangelicaapostolica et canonicastatuta dominantibuset legibus tam divinis quam humanis reclamantibusEcclesiam Dei et saecularia disturbantibusfacta est. Quod autem tales sintostendit beatus Petruscujus vicarios se esse mentiunturdicens Fugientesejusquae in mundo estconcupiscentiae corruptionemministrale in fidevirtutem in virtute scientiamin scientiâ abstinentiamin abstinentiâpatientiamin patientiâ pietatemin pietate amorem fraternitatisin amorefraternitatis charitatem. Haec vobis super..... Cui enim haec praesto suntcaecus est et manu tentans. De quibus rursus idem Apostolus dicet: Eruntmagistri mendacisqui in avaritiâ de vobis negotiabunturdeliciisaffluentes in convitiis suis luxuriantes vobiscumoculos habentes plenosadulterioper quos via veritatis blasphemabiturhi sunt fontes sine aquâ.Tales quomodo cum Petro dicere possunt: Ecce nos reliquimus omniaet saeculisumus? Et iterum: Argentum et aurum non est mihi? Quomodo a Dominoaudiunt: Vos estis lux mundivos estis sal terrae? Quibus quod sequiturnimirum convenit: Quod si sal evanueritin quo salietur? ad nihilum valetultranisi quod conculcetur ab hominibus vel a porcis. Unde Johannes: Quidicit se credere in Christumdebetsicut ille ambulavitet ipse ambulare. Item:Qui dicit se nosse Deumet mandata ejus non custoditmendax estet veritasin eo non est. Petro et vicariis Petri a Domino dicitur: Sicut misit mepateret ego mitto vos. Sed qualiter ipse a patre missus fueritexprimitdicens: Si non fecero opera patrisnolite credere mihi. Si Christoquipeccatum non fecitsine operibus credendum non fuitquomodo istis non solummalesed etiam mala publice agentibus est credendum? unde dicitur: Quomodopotestis bona loquicum sitis mali? Non solum vero loqui non possunt bonased nec crederesicut ipse Dominus ait: Quomodo potestis crederegloriam adinvicem quaerentesnam Fides sine operibus mortua est? Quomodo enim istiquibuslibet divitiis inhiantes(sed qui divitiasquae toti mundo salutaresextiteruntper quarum utique usum pax tanta et talis per universum orbem fuitquod Filium Dei de sinu patris in sinum matris deposuitsuâ falsâ doctrinâluxuriose vivendo destruxerunt) possunt primum illud evangelicae doctrinaemandatorum audirebeati pauperes spiritu cum ipsi nec effectunecaffectu sint pauperes? Hinc beatus Hyeronynus: Clericum negotiatoremvel exinopi divitemvel ex ignobili gloriosumquasi pestem fuge. Quomodo istinegotiis saecularibus incumbentesprimum omnium decretorum romanorum pontificuma beato Clemente in epistolâ suâ primâ inductumsed a beato Petro apostolopromulgatum surdi auditores adimplent? Inter caetera quidemubi PetrusClementem ordinavitei injunxit dicens: Te quidem oportet irreprehensibilemvivere: et summo studio nitiut omnes hujus vitae occupationes abjiciasnefideijussor existasne advocatus litium fiasneve in aliquâoccupatione mundialis negotii prorsus inveniaris perplexus. Neque enim judicemneque saecularium cognitorem negotiorum hodie te jussit ordinari Christusnepraefocatus hominum praesentibus curis non possis verbo Dei vacare. Haecquaeminus tibi congruere diximusexhibeant sibi invicem laiciet te nemo occupetab his studiis sollicitudines saeculares suscipereita unicuique laicorumpeccatum essenisi invicem sibi etiam in his quae ad communis usum vitaepertinentopera fideliter dederint; te vero securum facere ex hisquibus nondebes instareomnes communiter elaborent. Quod si forte a semetipsis hoc laicinon intelliguntper diacones docendi suntet tibi solius Ecclesiaesollecitudines relinquantur. Si enim mundialibus curis fueris occupatuset teipsum decipis et eos qui te audiunt. Non enim poteris quae ad salutem pertinentplenius distinguereet ex eo fitut tu deponariset discipuli per ignorantiampereantidcirco tuquoad hoc solum vocatus esut sine intermissione doceasverbum Dei. Mendacium vero illud et fabulahaereticain quâ referturConstantinum Sylvestro imperialia simoniacae concessisse in Urbeita detectaestut etiam mercenarii et mulierculae quoslibet etiam doctissimos super hocconcludantet dictus apostolicus cum suis cardinalibus in civitate prae pudoreapparere non audeant. Siquidem sanctus Melchiadessancti Sylvestripraedecessorin decretis suis Constantinum esse baptizatum dicens: Cum interturbines mundi succresceret Ecclesiaadeousque pervenitut romani principes adfidem Christi et baptismi sacramenta concurrerentde quibus vir religiosissimusConstantinus primus fidem veritatis est adeptus. Tripartita etiam historiacumantequam unquam ipse imperator Urbem intraveritChristianum fuissetestatur. Quae loquor attendite. Esau non domi vacanselementa matris etconsilia ignoranssilvestria petensa caeco vocatususque nunc caretpromissis. Jacob vero matri obedienscolli et manus nuda domesticodisciplinarum tegmine tegens eaquae caecus silvestri promisitdivino nutusubripuit. Imperatorem non silvestremsed legum peritum debere esse testaturIulianus imperator in primo omnium legum edictodicens: Imperatoriammajestatem non solum armis decoratamsed etiam legibus decet esse armatamututrumque tempus et bellorum et pacis recte possit gubernari. Itidem etiamunde princeps romanus imperare et leges condere habeatpaulo post ostendit: sedet quod principi placuitlegis habeat vigorem; et quaresubinferteum populusei et in eum omne suum imperium et potestatem concessit. Sed cum imperium etomnis reipublicae dignitas sit Romanorumet dum imperator sit Romanorum nonRomani imperatorisquod sequitur considerantibus quae lexquae ratio senatumpopulumque prohibet creare imperatorem. Comitem Rodulphum de Ramesberchetcomitem Udalricum de Lencenburchet alios idoneosscilicet Eberhardum deBodemenqui assumptis peritis legumqui de jure imperii sciant et audeanttractareRomam quantocius poteritis mittere non dubitetiset ne aliquid noviibi contra vos surgatpraevenire curate.

 

<***>

 

Epist. 385pag. 557. Anno 1152.

Concordia inter Eugenium papam et Fridericum imperatorem.

In nomine Domini amen. Haec est forma concordiae etconventionis inter dominum papam Eugenium et dominum regem Romanorum Fridericumconstitutamediantibus cardinalibus Gregorio Sanctae Mariae trans TyberimUbaldo Sanctae PraxedisBernardo Sancti ClementisOct. Sanctae CaeciliaeRollando Sancti MarciGregorio Sancti AngeliGuidone Sanctae Mariae inPorticuabbate Brunone() de Claravalle ex parte domini papae: AnselmoHavelsbergensiHermanno ConstantiensiepiscopisUthelrico de LenceburchGuidone Werra Widone Blandratensecomitibusex parte domini regis. Dominussiquidem rex jurare faciet unum de ministerialibus suis in animam regiset ipseidemmanu propriâ datâ fide in manu legati domini papaepromittetquod ipsenec treguam nec pacem faciet cum Romanisnec cum Rogerio Siciliaesine liberoconsensu et voluntate romanae Ecclesiae et domini papae Eugeniivel successorumejusqui tenorem subscriptae concordiae tenere cum rege Friderico voluerintetpro viribus regni laborabit Romanos subjugare domino papae et romanae Ecclesiaesicut unquam fuerunt a centum annis et retro. Honorem papatuset regalia BeatiPetrisicut devotus et spiritualis advocatus sanctae romanae Ecclesiae contrahomines pro posse suo conservabitet defendetquae nunc habet. Quae vero nuncnon habetrecuperare pro posse juvabitet recuperata defendet Graecorum quoqueregi nullam terram ex istâ parte maris concedet. Quod si ille forte invaseritpro viribus regniquantocius poterit ipsum ejicere curabit; haec omnia facietet observabit sine fraude et malo ingenio. Dominus vero papa apostolicaeauctoritatis verbo una cum praedictis cardinalibus in praesentiâ praescriptorumlegatorum domini regis promisitet observabitquod eum sicut carissimum filiumBeati Petri honorabitet venientem pro plenitudine coronae suae sinedifficultate et contradictionequantum in ipso estimperatorem coronabitetad manutenendum atque augendumac dilatandum honorem regni pro debito officiisui juvabit; et quicumque justitiam et honorem regni conculcare aut subvertereausu temerario praesumpserintdominus papa a regiae dignitatis dilectionepraemunituscanonice ad satisfactionem eos commonebit. Quod si regi adapostolicam admonitionem de jure et honore regio justitiam exiberecontempserintexcommunicationis sententia innodentur. Regi autem Graecorum existâ parte maris terram non concedet; quod si ille invadere praesumpseritdominus papa viribus Beati Petri eum ejicere curabit. Haec omnia ex utrâqueparte sine fraudeet sine malo ingenio servabunturnisi forte libero et comuniconsensu utriusque immutentur.()

 

 

FINE